Le nuove disposizioni in tema di procedibilità: più problemi che benefici, come al solito

04 Giugno 2018

Il d.lgs. 36 del 2018, in attuazione di una delle deleghe conferite dalla riforma Orlando, ha previsto la procedibilità a querela per molte fattispecie in precedenza procedibili d'ufficio, esaminando i numerosi problemi interpretativi dalla stessa posti, ed osservando che, ancora una volta, una riforma concepita per alleggerire i carichi di lavoro gravanti sugli uffici giudiziari, non soltanto non produce effetti benefici di rilievo apprezzabile, ma aggrava ancor di più la situazione.
Abstract

L'autore esamina il d.lgs. 36 del 2018 che, in attuazione di una delle deleghe conferite dalla riforma Orlando, ha previsto la procedibilità a querela per molte fattispecie in precedenza procedibili d'ufficio, esaminando i numerosi problemi interpretativi dalla stessa posti, ed osservando che, ancora una volta, una riforma concepita per alleggerire i carichi di lavoro gravanti sugli uffici giudiziari, non soltanto non produce effetti benefici di rilievo apprezzabile, ma aggrava ancor di più la situazione.

Le nuove disposizioni

Il d.lgs. 36 del 10 aprile 2018, attuativo di una delle deleghe conferite dalla riforma Orlando (ex art. 1, commi 16, lett. a) e b), e 17, legge 23 giugno 2017 n. 103), e in vigore dal 9 maggio 2018, ha introdotto la previsione della procedibilità a querela per molte fattispecie in precedenza procedibili d'ufficio (in argomento, cfr. VARANO, Procedibilità a querela. Cosa cambia, articolo per articolo, in questo sito): le finalità deflattive dell'intervento sono evidenti ma è altrettanto evidente che, in concreto, si è deflazionato poco o nulla (come già osservato da VARANO, «probabilmente non ci sarà una significativa diminuzione, considerando i dati ministeriali allegati all'analisi d'impatto sulla regolamentazione, redatta dall'Ufficio legislativo del Ministero della Giustizia, che evidenziano un modestissimo carico di processi» aventi a oggetto i reati interessati dalle nuove disposizioni), ponendo anzi, anche attraverso la miope disciplina transitoria pensata ad hoc, nuovi problemi interpretativi e quindi nuove incertezze, della quali francamente non si sentiva il bisogno.

L'art. 12 del d.lgs. 36 del 2018, rubricato Disposizioni transitorie in materia di perseguibilità a querela (ma perché perseguibilità se il d.lgs. reca dichiaratamente Disposizioni di modifica del regime di procedibilità per taluni reati in attuazione della delega etc. e dovunque – artt. 7, 11 – si parla di procedibilità? Mah!) stabilisce:

  • nel primo comma, che «Per i reati perseguibili a querela in base alle disposizioni del presente decreto, commessi prima della data di entrata in vigore dello stesso, il termine per la presentazione della querela decorre dalla predetta data, se la persona offesa ha avuto in precedenza notizia del fatto costituente reato». La disposizione sembrerebbe non porre particolari problemi;
  • nel secondo comma, che «Se è pendente il procedimento, il pubblico ministero, nel corso delle indagini preliminari, o il giudice, dopo l'esercizio dell'azione penale, anche, se necessario, previa ricerca anagrafica, informa la persona offesa dal reato della facoltà di esercitare il diritto di querela e il termine decorre dal giorno in cui la persona offesa è stata informata».

Quest'ultima disposizione ha immediatamente posto numerosi problemi; ci si chiede, infatti:

  • se la disposizione operi anche nei casi in cui sia già maturata una diversa causa di estinzione del reato;
  • se la disposizione operi anche con riferimento al subprocedimento cautelare;
  • se la manifestazione della volontà punitiva possa essere desunta anche dall'intervenuta costituzione di parte civile.

Con specifico riferimento al giudizio di legittimità, ci si chiede, inoltre:

  • se, in presenza di un ricorso inammissibile, sia ugualmente necessario dare alla persona offesa il previsto avviso.

Ci si chiede, infine, se, nel tempo necessario alle ricerche anagrafiche della persona offesa e al successivo adempimento, nonché in pendenza del termine di novanta giorni decorrenti dal prescritto avviso, il termine di prescrizione sia sospeso.

Fin qui i problemi di diritto intertemporale. Ma è necessario chiedersi anche se la procedibilità ricollegata alla contestazione di una circostanza aggravante a effetto speciale venga meno nel caso in cui sia inizialmente contestata, e poi discrezionalmente esclusa, una forma di recidiva “qualificata”.

La disciplina intertemporale nei casi in cui è già maturata una diversa causa di estinzione del reato

La questione fu già esaminata dalla giurisprudenza (Sez. unite, sentenza n. 5540 del 1982, C.) in riferimento all'informativa del giudice alla persona offesa in ordine alla facoltà di esercizio del diritto di querela di cui all'art. 99, comma 2, della legge 24 novembre 1981, n. 689: in quella occasione si affermò che l'informativa non era dovuta quando sia già intervenuta una causa di estinzione del reato, in quanto il principio della prevalenza delle cause d'improcedibilità su quelle di estinzione del reato può valere soltanto nell'ipotesi della sussistenza di entrambe le anzidette cause e non già quando tale coesistenza sia del tutto potenziale (nel nostro caso, la persona offesa potrebbe non sporgere querela ma potrebbe anche sporgerla), dovendosi, in tali situazioni, procedersi all'immediata declaratoria della causa di estinzione del reato, l'unica in atto sussistente, e quindi dichiarabile ex art. 129 c.p.p.

La disciplina intertemporale nel subprocedimento cautelare

Gli oneri d'informazione previsti dall'art. 12, comma 2, cit. gravano, in fase d'indagine preliminare, unicamente sul pubblico ministero; nel silenzio assoluto della novella, sembra potersi ritenere che il subprocedimento cautelare – in qualunque fase esso versi (e quindi, anche dinanzi al tribunale del riesame o in Cassazione) – proceda senza intralci fino a quando il pubblico ministero non si sia attivato e che quindi, nelle more, le misure cautelari in corso di applicazione (come accadrà frequentemente in particolare per quelle reali) conservino efficacia.

La disciplina intertemporale e l'intervenuta costituzione di parte civile

I primi orientamenti emersi in argomento (Sez. II, 10 maggio 2018, P., notizia di decisione; Sez. II, n. 23077 del 9/23 maggio 2018, naturalmente non ancora massimate) hanno concordemente ritenuto che, per i reati divenuti perseguibili a querela a seguito dell'entrata in vigore del d.lgs. 36 del 2018, il giudice non abbia l'onere di informare la persona offesa della facoltà di esercitare il diritto di querela, nei casi previsti dall'art. 12, comma 2, cit., quando la stessa sia costituita parte civile, in quanto «il giudice può desumere la volontà punitiva della persona offesa, che non richiede formule particolari, anche da atti che non contengono la sua esplicita manifestazione; la volontà punitiva, in particolare, può essere riconosciuta nell'atto con il quale la persona offesa si costituisce parte civile e nella persistenza di tale costituzione nei successivi gradi di giudizio» (sent. 10 maggio 2018 cit.), non quindi nei casi in cui la costituzione sia stata nelle more revocata, anche se, all'uopo, «è irrilevante la circostanza che la parte civile non abbia presentato le proprie conclusioni»: sent. n. 23077/2018 cit.).

L'orientamento risulta, peraltro, in linea con quanto già in passato sostenuto dalla giurisprudenza in sede di interpretazione della effettiva volontà del querelante: si è, infatti, sostenuto che la riserva di costituzione di parte civile, manifestata in querela, equivale ad istanza di punizione, poiché dimostra chiaramente la volontà del querelante che si proceda penalmente nei confronti del querelato (Cass. III, n. 3155 del 1984); più recentemente, si è ritenuto che la manifestazione della volontà di punizione è confermata dalla riserva di costituirsi parte civile nel procedimento penale non ancora aperto, che esprime proprio la volontà che quel procedimento sia instaurato (Cass. V, n. 21359 del 2016, sul presupposto che la sussistenza della volontà di punizione da parte della persona offesa non richiede formule particolari e può, pertanto, essere riconosciuta dal giudice anche in atti che non contengono la sua esplicita manifestazione, i quali, ove emergano situazioni di incertezza, vanno, comunque, interpretati alla luce del favor querelae, come nel caso della dichiarazione con la quale la persona offesa, all'atto della denuncia, affermi di volersi immediatamente costituire parte civile).

Naturalmente, ai fini che ci occupano, il predetto orientamento giurisprudenziale impone di verificare con scrupolo che parte civile costituita sia la persona offesa dal reato, non il mero soggetto danneggiato (che pure ha facoltà di agire civilisticamente nei confronti dell'imputato ma non è legittimato a sporgere querela) e che non vi siano ulteriori persone offese dal medesimo reato divenuto procedibile a querela in forza della novella, non costituite parte civile.

Priva di rilievo risulterà, al contrario, ma per le medesime ragioni, l'esistenza in atti di una mera denuncia che non contenga la manifestazione della volontà punitiva della persona offesa.

La disciplina intertemporale in Cassazione

Come già osservato da VARANO, «Per i processi pendenti in Cassazione non è prevista alcuna norma transitoria e, pertanto, la nuova disciplina sarà applicabile anche ai processi pendenti presso la Suprema Corte. Nell'originario art. 12 era previsto un terzo comma, che recitava: “Le disposizioni del presente decreto non si applicano ai processi che, alla data di entrata in vigore del decreto medesimo, sono pendenti avanti alla Corte di cassazione”. Tale comma non è stato poi inserito nel decreto, perché le commissioni preposte hanno ritenuto esserci, in questo caso, un eccesso di delega».

Con specifico riferimento al giudizio di legittimità, ci si chiede se, in presenza di un ricorso inammissibile, sia ugualmente necessario dare alla persona offesa il previsto avviso.

La questione sarà decisa dalle Sezioni unite all'udienza 21 giugno 2018.

Allo stato, va detto che la giurisprudenza non dubita, in presenza di una sopravvenuta remissione accettata di querela, che quest'ultima determini l'estinzione del reato anche in presenza di cause d'inammissibilità del ricorso, travolgendo le statuizioni civili accessorie (Sez. II, sentenza n. 18680 del 2010 e n. 37688 del 2018), ma soltanto nei casi in cui il ricorso sia stato tempestivamente proposto; le Sezioni unite (sentenza n. 24246 del 2004, Chiasserini) hanno, infatti, precisato che:

  • in caso d'inammissibilità (originaria) del ricorso per tardività (ovvero per violazione dei termini previsti all'art. 585 c.p.p.), prevale quest'ultima;
  • in tutti gli altri casi, sull'inammissibilità del ricorso prevale la declaratoria di estinzione del reato per sopravvenuta remissione di querela.

La distinzione tra cause d'inammissibilità del ricorso per cassazione originarie (tra le quali venivano annoverate anche la denuncia di motivi non consentiti e di violazioni di legge non dedotte con i motivi di appello) e quelle sopravvenute, che la giurisprudenza sembrava avere accantonato, negando che potessero derivarne effetti concreti (Sez. unite, sentenze n. 23428 del 2005, Bracale, e n. 12602 del 2016, Ricci), è stata riproposta dalla riforma Orlando (cfr. art. 618, comma 1-ter, c.p.p.) e potrebbe, quindi, essere tuttora valorizzata, sulla scia di quanto già in passato ritenuto dalle Sezioni unite.

Con specifico riferimento al problema in esame, deve rilevarsi che, per effetto delle disposizioni sopravvenute, il reato in ordine al quale – dichiarando immediatamente l'inammissibilità del ricorso – verrebbe a formarsi il giudicato, risulta, all'atto della decisione, improcedibile (in difetto dell'informativa ex art. 12, comma 2, cit., la successiva presentazione della querela non potrebbe aver luogo, costituendo mera e astratta eventualità); né il condannato potrebbe sottrarsi all'esecuzione della pena attivandosi in sede esecutiva per far valere la normativa sopravvenuta favorevole, in difetto di strumenti ad hoc.

Ciò sembrerebbe comportare la necessità dell'informativa di cui all'art. 12, comma 2, cit., in difetto della quale, la declaratoria d'inammissibilità del ricorso sembrerebbe impedita dall'attuale improcedibilità (per difetto – allo stato – della querela, divenuta necessaria a seguito della novella).

Non appare inopportuno ricordare che la giurisprudenza delle Sezioni unite è ferma nel ritenere che «al giudice dell'impugnazione inammissibile è consentito, quale eccezione alla regola, confrontarsi, privilegiando l'applicazione dell'art. 129 c.p.p., con peculiari cause di non punibilità rigorosamente delimitate, quali l'abolitio criminis, la dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice formante oggetto dell'imputazione, l'ipotesi in cui debba essere dichiarata l'estinzione del reato a norma dell'art. 150 c.p., l'ulteriore ipotesi – già considerata da Sez. unite, 25 febbraio 2004, n. 24246, Chiasserini – di estinzione del reato per remissione di querela, intervenuta in pendenza del ricorso per cassazione e ritualmente accettata. Su tale epilogo deve, però, prevalere la declaratoria d'inammissibilità, se questa è riconducibile all'inosservanza del termine per impugnare, considerato che in tal caso il giudicato sostanziale finisce col coincidere con quello formale» (Sez. unite, sentenza n. 12602 del 2016, Ricci, con la precisazione che ad identico esito deve pervenirsi in relazione alla impugnazione di provvedimento non impugnabile; nel medesimo senso, in precedenza, Sez. unite, 22 novembre 2000, n. 33542, Cavalera; n. 23428 del 2005, Bracale).

La disciplina intertemporale e la sospensione del termine di prescrizione

La disposizione transitoria di cui all'art. 12 cit. non prevede ipotesi di sospensione della prescrizione in pendenza del tempo necessario all'effettuazione dei nuovi adempimenti.

La questione «se durante i novanta giorni decorrenti dall'avviso dato alla persona offesa, ai sensi dell'art. 12 d.lgs. cit., operi la sospensione del termine di prescrizione», sarà decisa dalle Sezioni unite all'udienza 21 giugno 2018.

La formulazione del quesito posto al Supremo Collegio di legittimità evidenzia che si è ritenuto non porsi il problema con riferimento ai tempi necessari per l'accertamento degli elementi prodromici alla notificazione della predetta informativa (ricerche anagrafiche della persona offesa e materiale effettuazione del prescritto adempimento), in relazione ai quali sembrerebbe doversi, quindi, ritenere non sospeso il corso della prescrizione.

Quanto alla pendenza del termine di novanta giorni (decorrenti dalla valida notificazione del prescritto avviso), deve rilevarsi che, ai sensi dell'art. 159, comma 1, c.p. «il corso della prescrizione rimane sospeso in ogni caso in cui in cui la sospensione del procedimento o del processo […] è imposta da una particolare disposizione di legge».

Ciò sembrerebbe poter legittimare l'assunto che, nel giudizio di legittimità, nel quale, a seguito della presentazione del ricorso, deve procedersi unicamente alla decisione, la disposizione transitoria de qua abbia previsto, sia pure implicitamente, la sospensione del processo (essendo impossibile celebrarne l'ultimo atto in difetto della notificazione della prevista informativa alla P.O.) e, con essa, ex art. 159, comma 1, c.p., della prescrizione, sia pure soltanto in pendenza del termine di novanta giorni, decorrenti dall'effettuazione del predetto avviso. Argomentando in tal senso, il provvedimento di rimessione della questione alle Sezioni unite (emesso in data 15 maggio 2018) ha osservato che «non sembra irragionevole considerare la possibilità di una interpretazione estensiva della disciplina di cui all'art. 159 c.p., rispetto alla formale tassatività delle ipotesi in essa previste, in considerazione della situazione di stallo in cui viene a trovarsi per almeno novanta giorni l'autorità giudiziaria procedente. In questo periodo, infatti, l'azione penale resta sospesa in una sorta di limbo processuale, e con essa lo snodarsi del relativo procedimento; logico corollario di tale situazione dovrebbe consistere nella sospensione del decorso del tempo utile a prescrivere fino alla eliminazione di tale fattore di blocco. La disciplina introduce infatti una condizione di inerzia obbligata nella quale si viene a trovare l'organo procedente, circostanza che sterilizza la qualità del decorso del tempo come circostanza rappresentativa del venir meno della volontà punitiva statale», nel che risiede la ratio della disciplina della prescrizione.

Alle stesse conclusioni potrebbe giungersi per i processi nei quali, in primo grado o in appello, si è giunti alla fase della decisione e non sia quindi necessaria alcuna ulteriore attività.

A conclusioni diverse dovrebbe, al contrario, giungersi, in ogni altro caso: in difetto dell'espressa previsione della sospensione, il procedimento/processo può, nelle more, procedere, il che potrebbe giustificare – solo in tali casi – la mancata sospensione della prescrizione.

Gli effetti sulla procedibilità dell'esclusione della recidiva “qualificata”

I nuovi articoli 623-ter e 649-bis c.p. (introdotti rispettivamente dagli articoli 7 e 11 del d.lgs. 36 del 2018) prevedono, nei medesimi termini (il primo, con riferimento ai reati di cui agli articoli 612, se la minaccia è grave; 615, comma 2; 617-ter, comma 1; 617-sexies, comma 1; 619, comma 1; 620 c.p. Il secondo, con riferimento ai reati di cui agli articoli 640, comma 3; 640-ter, comma 4; 646, comma 2, oppure aggravato ex art. 61, comma 1, n. 11 c.p.), che si procede d'ufficio qualora ricorrano circostanze aggravanti ad effetto speciale.

Tra le circostanze aggravanti ad effetto speciale, secondo quanto previsto dall'art. 63, comma 3, ultima parte, c.p., rientrano anche le forme di recidiva previste dall'art. 99, commi 2, e seguenti c.p., che il giudice potrebbe quindi ex ante valorizzare ai fini di ritenere la procedibilità d'ufficio per i reati predetti, ed ex post facoltativamente escludere quod poenam.

In passato le Sezioni unite (sentenza n. 35738 del 2010, C.) hanno affermato che, una volta contestata la recidiva nel reato, qualora essa sia stata esclusa dal giudice, non solo non ha luogo l'aggravamento della pena, ma non operano neanche gli ulteriori effetti commisurativi della sanzione costituiti dal divieto del giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti, di cui all'art. 69, comma 4, c.p., dal limite minimo di aumento della pena per il cumulo formale di cui all'art. 81, comma 4, stesso codice, e dall'inibizione all'accesso al cosiddetto "patteggiamento allargato" ed alla relativa riduzione premiale di cui all'art. 444, comma 1-bis, c.p.p.; effetti che si determinano integralmente qualora, invece, la recidiva stessa non sia stata esclusa, per essere stata ritenuta sintomo di maggiore colpevolezza e pericolosità.

Come espressamente indicato dalla predetta decisione, il principio affermato riguarda i soli «effetti commisurativi» della recidiva.

La predetta decisione non esclude, a nostro avviso, che, ai fini della procedibilità, la valutazione richiesta dai nuovi articoli 623-ter e 649-bis c.p. venga operata unicamente sulla base della contestazione, a nulla rilevando, quindi, l'eventuale, successiva esclusione degli “effetti commisurativi” della recidiva.

Questa soluzione appare necessitata da numerosi parametri di legittimità costituzionale.

Invero, il pubblico ministero non ha facoltà di eludere la contestazione di una forma di recidiva “qualificata” ex art. 99, comma 2 e ss., c.p., ove ne ricorrano le condizioni (cfr. Sez. unite, n. 35738/2010 cit.: «La recidiva, operando come circostanza aggravante inerente alla persona del colpevole, va obbligatoriamente contestata dal pubblico ministero»), e, in virtù della predetta contestazione, ha altresì l'obbligo di esercitare l'azione penale (art. 112 Cost.) per i reati dei quali si discute.

Il giudice, fino alla conclusione della celebrazione del giudizio, che è ineludibile, non ha facoltà di escludere la recidiva: sarebbe, pertanto, irragionevole ex art. 3 Cost. prevedere la necessità della celebrazione di un procedimento che solo ex post per il giudice sia possibile ritenere che non dovesse essere celebrato in difetto della querela, in ipotesi divenuta necessaria per effetto dell'esclusione della recidiva. Peraltro, detta esclusione va disposta verificando in concreto «se la reiterazione dell'illecito sia sintomo effettivo di riprovevolezza della condotta e di pericolosità del suo autore, avuto riguardo alla natura dei reati, al tipo di devianza di cui essi sono il segno, alla qualità e al grado di offensività dei comportamenti, alla distanza temporale tra i fatti e al livello di omogeneità esistente tra loro, all'eventuale occasionalità della ricaduta e a ogni altro parametro individualizzante significativo della personalità del reo e del grado di colpevolezza, al di là del mero e indifferenziato riscontro formale dell'esistenza di precedenti penali» (Sez. unite, n. 35738/2010 cit.); trattasi, all'evidenza, di elementi che nulla hanno a che vedere con l'astratta procedibilità, ed all'uopo non appaiono significativi, poiché il sottostante giudizio di non assoluta riprovevolezza, che legittima l'esclusione della recidiva può sistematicamente riguardare la complessiva determinazione del trattamento sanzionatorio (che anche l'accesso al rito del “patteggiamento” è finalizzato, in definitiva, a mitigare), non certo la possibilità tout court di essere sottoposti a processo.

Sarebbe, d'altro canto, abnorme, perché a-sistematica, una disposizione che legittimi l'ingerenza del giudice – attraverso il giudizio che può portarlo ad escludere discrezionalmente la recidiva – sull'esercizio dell'azione penale, costituzionalmente riservato esclusivamente al pubblico ministero.

Nessun problema si pone, naturalmente, nei casi in cui la recidiva “qualificata” concorra, e sia quindi “bilanciata” con le circostanze attenuanti concorrenti: deve, infatti, ritenersi "applicata" la recidiva che, nel giudizio di ”bilanciamento”, sia considerata equivalente (Sez. unite, sentenza n. 31669 del 2016, F.) o subvalente (Sez. VII, ordinanza n. 15681 del 2016, E.).

A conseguenze diverse dovrebbe giungersi, nei casi in cui il giudice riscontri che la contestata recidiva era, in realtà, insussistente: in tal caso, nulla osterebbe – in ipotesi - alla successiva declaratoria d'improcedibilità per difetto di querela.

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