Condotte riparatorie. La Cassazione perde un'occasione per chiarire l'applicabilità dell'istituto in sede di legittimità

16 Marzo 2018

La Corte di cassazione, con la sentenza 1580/2017, perde l'occasione per approfondire la problematica di diritto intertemporale circa l'applicabilità, ai giudizi in corso in sede di legittimità, del neointrodotto istituto dell'estinzione del reato conseguente a riparazione. Infatti, in poche righe, la Corte dichiara l'inapplicabilità del beneficio in quanto nel caso di specie di procedeva per un reato non rientrante tra quelli indicati dall'art. 162-ter c.p., evitando, tuttavia, di pronunciarsi sulla questione più ampia ...
Abstract

La Corte di cassazione, con la sentenza 1580/2017, perde l'occasione per approfondire la problematica di diritto intertemporale circa l'applicabilità, ai giudizi in corso in sede di legittimità, del neointrodotto istituto dell'estinzione del reato conseguente a riparazione. Infatti, in poche righe, la Corte dichiara l'inapplicabilità del beneficio in quanto nel caso di specie di procedeva per un reato non rientrante tra quelli indicati dall'art. 162-ter c.p., evitando, tuttavia, di pronunciarsi sulla questione più ampia della possibilità, per il giudice di legittimità, di dichiarare estinto il reato qualora sopraggiunga l'adempimento di una condotta riparatoria.

La causa di estinzione per riparazione: brevi cenni sul “nuovo” art. 162-ter c.p.

Il neo introdotto articolo 162-ter c.p. prevede che: «nei casi di procedibilità a querela soggetta a remissione, il giudice dichiara estinto il reato, sentite le parti e la persona offesa, quando l'imputato ha riparato interamente, entro il termine massimo della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, il danno cagionato dal reato, mediante le restituzioni o il risarcimento, e ha eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato». La struttura di tale norma richiama l'art. 35 del d.lgs. 274/2000, norma che, come è noto, disciplina la causa di estinzione per riparazione nella giurisdizione di pace.

Il beneficio dell'estinzione disciplinato dall'art. 162-ter c.p. è applicabile a tutti i reati procedibili a querela soggetta a remissione (art. 162-ter c.p.), fatta eccezione dell'ipotesi di cui all'art. 612-bis, commi 1 e 2, c.p.Tale deroga è il frutto di una correzione postuma effettuata dal Legislatore che, dopo la pronuncia del tribunale di Torino con la quale si dichiarava estinto il reato di stalking a seguito di condotte riparatorie (e dopo il fiume di polemiche che hanno accompagnato la pronuncia di merito), ha inserito un ultimo comma all'art. 162-ter c.p. prevedendo che «le disposizioni del presente articolo non si applicano nei casi di cui all'articolo 612-bis».

Il fine principale dell'istituto è quello deflattivo, la norma prevede, infatti, un termine perentorio entro cui porre in essere il comportamento riparatorio: prima della dichiarazione di apertura del dibattimento; pertanto, la riparazione, se correttamente adempiuta, incide latu sensu, sulla punibilità dell'imputato, sull'iter processuale e sul decisum, determinando una deflazione dell'intera fase dibattimentale, con conseguente provvedimento di estinzione del reato. Il giudice non è chiamato a pronunciarsi sul merito ma solo sull'idoneità della riparazione e sulla sussistenza dei requisiti per l'applicabilità della causa estintiva in esame. Altra finalità è quella rieducativa e, ovviamente, ristorativa.

Il dettato normativo prevede, altresì, che la riparazione sia adempiuta personalmente dall'imputato, pertanto, appare corretto desumere che l'istituto abbia carattere soggettivo, operando nei confronti del solo imputato che pone in essere un comportamento post factum e manifesti il sopravvenuto ravvedimento e la sua minore pericolosità sociale. Il requisito della personalità, implica l'inapplicabilità della causa di estinzione al correo inadempiente.

Inoltre il giudice ha l'obbligo di sentire le parti e la persona offesa (se compare). Va sottolineato che alla vittima non viene conferito alcun potere di veto, avendo il giudicante un vero e proprio potere di scavalcamento della volontà punitiva dell'offeso che svincola il beneficio dell'estinzione del reato dal dissenso della vittima.

La norma, infine, prevede che, per i giudizi in corso, fatta eccezione per il giudizio di legittimità, l'imputato, alla prima udienza successiva all'entrata in vigore della legge, possa chiedere al giudice la fissazione di un termine per provvedere alla riparazione; tale richiesta, se accolta, sospende il decorso del termine di prescrizione.

Una norma sostanziale con numerose problematiche processuali

L'art. 162-ter è rubricato nel codice penale tra le cause di estinzione del reato; tuttavia, non si prevede una specifica disciplina procedurale, mancando anche dei generici richiami al codice di rito. Plurime, pertanto, appaiono le questioni aperte relative al modus operandi della causa di estinzione in esame.

Nel cercare di individuare, seppure succintamente, i nodi critici legati all'operatività dell'istituto, si riscontra preliminarmente che nel prevedere un termine perentorio (prima della dichiarazione di apertura del dibattimento), nulla si dispone in ordine all'ipotesi in cui sia stato emesso un decreto penale di condanna,lasciando aperta la questione circa la possibilità di ricorrere all'istituto della riparazione estintiva con l'atto di opposizione (e in tal caso andrebbe integrata la disciplina degli avvisi di cui all'art. 460 lett. e) c.p.p.). Evidenti appaiono i profili di incostituzionalità determinati da tale vulnus normativo, stante la differenza disciplina tra l'istituto in esame e l'oblazione, altra causa di estinzione del reato, che può essere richiesta in sede di opposizione a decreto penale di condanna.

Anche la disciplina (scarna) dell'audizione della persona offesa non appare scevra da criticità, infatti, la norma non indica con quali criteri debba essere sentita la vittima, né se tali dichiarazioni dovranno essere verbalizzate, né se le parti possono formulare domande. Nulla si dispone, in caso di esito negativo della condotta riparatoria, circa l'utilizzabilità delle dichiarazioni dell'offeso; né si specifica se la mancata audizione della vittima, presente in udienza, possa costituire motivo di impugnazione, alla stregua di quanto è espressamente previsto nella disciplina della messa alla prova per adulti (art. 464-quater, comma 7, c.p.p.).

In caso di esito negativo della condotta riparatoria si aprono numerose questioni controverse.

Preliminarmente, la norma non specifica la forma del provvedimento (verosimilmente sarà un'ordinanza), né stabilisce se questo debba avere dei requisiti motivazionali. Inoltre non è prevista alcuna disciplina impugnatoria del provvedimento che decide sull'esito delle condotte riparatorie, né si prevede la possibilità di reiterare le condotte nel giudizio di appello qualora l'esito negativo sia apparso ingiustificato o infondato. Non si prevede se, «fallita» la condotta riparatoria, l'imputato possa opzionare per gli altri riti premiali (patteggiamento, oblazione, messa alla prova, ecc) e, nello specifico, la problematica attiene alla coincidenza tra il termine finale per adempiere la riparazione e quello entro il quale possono essere richiesti gli altri riti premiali; né si introduce una previsione di incompatibilità del giudice nelle ipotesi di esito negativo della condotta riparatoria.

Altro dubbio attiene all'assenza di una disciplina in tema di acquisizione di prove durante il periodo di sospensione; infatti, nel caso in cui il processo venga sospeso per consentire la riparazione (sospensione che può durare fino sei mesi), non si disciplina alcuna ipotesi di acquisizione delle prove non rinviabili.

Inoltre, se la finalità conclamata dell'istituto è la deflazione, appare sicuramente emblematica l'assenza di una disciplina in materia di archiviazione. Infatti, l'attuale proposta normativa non legittima una richiesta di archiviazione in caso di “reato riparato”, stante l'assenza di una espressa deroga al principio di cui all'art. 112 Cost.

Tali lacune lasciano intravedere plurime criticità applicative dell'istituto.

I poteri del giudice
La norma collega la dichiarazione di estinzione ad una sommaria valutazione positiva delle condotte riparatorie effettuata dal giudice, si prevede infatti che il giudice dichiari l'estinzione del reato all'esito positivo delle condotte riparatorie. La generale previsione lascia aperte diverse questioni: non è dato comprendere se il giudice sia chiamato valutare la riparazione in base al grado di colpa, ovvero se l'assenza di criteri tassativamente indicati renderà del tutto arbitraria e discrezionale l'applicazione del beneficio, con evidenti criticità in ordine alla proporzionalità della condotta riparatoria rispetto al fatto e alle esigenze preventive e rieducative. Inoltre, l'assenza di specifici criteri rischia di rendere automatica la dichiarazione di estinzione del reato a seguito di riparazione, opportuno sarebbe stato quantomeno un richiamo ai parametri di cui all'art. 133 c.p.Tra le valutazioni che il giudicante è chiamato ad effettuare vi è anche quella relativa all'integralità della riparazione, valutazione che comporta una serie di problematiche applicative, stante la mancata specificazione del danno (civile o criminale?). Il rischio sotteso alla lacuna normativa è quello di far impropriamente sorgere in capo al giudice (penale) l'onere di quantificare interamente un danno àncorato ai parametri del giudizio civile; mancando altresì una previsione che precluda alla vittima, integralmente risarcita, di agire nell'eventuale giudizio civile.
La difficile applicabilità dell'art. 162-ter c.p. al giudizio di legittimità e la sentenza 1580/2017

Premesso ciò, appare opportuno valutare la compatibilità (problematica) della norma in esame con il giudizio di legittimità. Invero, la Corte, investita di tale problematica, con la sentenza Sez. III, 19 ottobre 2017 n. 1580, non risolve la questione, limitandosi a ritenere inapplicabile l'istituto al caso di specie in quanto il reato per cui si stava procedendo (art. 609-septies,comma 4, c.p.) è a querela non revocabile.

Va sicuramente rilevata una difficile applicabilità della norma nel giudizio di cassazione, in quanto al giudice vengono espressamente richieste valutazioni avulse dal giudizio di legittimità, basti pensare alla necessaria audizione delle parti, alla valutazione sull'integralità della riparazione o sulla personalità dell'adempimento, nonché sulla positività della riparazione.

Ciò che lascia perplessi è proprio il secondo comma della norma de qua, nel quale espressamente si prevede l'esclusione dell'operatività del beneficio in sede di legittimità, pur essendo lo stesso una causa di estinzione del reato rilevabile, in astratto, in ogni stato e grado del processo; infatti nella sentenza suddetta si legge che «l'espressa esclusione da giudizio di legittimità, operata dal secondo comma, con riguardo alla possibilità per l'imputato di chiedere la fissazione di un termine non superiore a sessanta giorni per provvedere alle restituzioni e al pagamento, sembrerebbe muovere proprio dal presupposto della applicabilità, per il resto, del procedimento anche dinanzi a questa Corte».

Applicabilità verosimilmente astratta, perché sul piano pratico richiederebbe una valutazione da parte dei giudici sicuramente non di legittimità ma tuttavia neanche squisitamente di merito. Infatti, la sentenza dichiarativa dell'estinzione del reato per intervenuta riparazione non è una sentenza di proscioglimento nel merito, in quanto non si valuta la responsabilità dell'imputato né vi è un espresso rigetto della domanda civile, ma appare piuttosto una sentenza di proscioglimento di natura processuale (sul punto Cass. pen. Sez. unite, 23 aprile 2015, n. 33864).

In conclusione

L'analisi fin qui condotta ci porta ad alcune considerazioni finali. Delineata l'operatività della causa di estinzione, i poteri valutativi del giudice e la natura della sentenza (processuale e non di merito), appare utile valutare l'eventuale applicabilità del beneficio in sede di legittimità.

Va rilevato, preliminarmente, una oggettiva incompatibilità tra l'istituto in esame e il giudizio di cassazione a causa della valutazione che il giudice è chiamato a fare, tuttavia appare illogico (e sotto alcuni profili incostituzionale) il mancato riconoscimento all'imputato di una causa sopravvenuta di estinzione del reato.

Il bilanciamento tra lo spazio valutativo riservato al giudizio di legittimità e la valutazione necessaria ai fini della dichiarazione di estinzione del reato per riparazione è sicuramente complesso, i giudici non potrebbero sentire le parti, né valutare l'integralità della riparazione, apparendo, forse, doveroso un annullamento con rinvio, al fine di consentire all'imputato di beneficiare dell'istituto, richiedendolo innanzi ad un giudice (di merito) che ben può procedere a tutte le valutazioni richieste dalla norma.

La questione appare apertissima; si attende, pertanto, un intervento chiarificatore della Corte di legittimità, auspicalmente in linea con le finalità deflattive, premiali e rieducative dell'istituto.

Guida all'approfondimento

R. BARTOLI, Le definizioni alternative del procedimento, in questa Rivista, 2001, pagg. 188; N. GALATINI, La disciplina processuale delle definizione alternative del procedimento innanzi al giudice di pace, in L. PICOTTI - G. SPANGHER, (a cura di), Verso una giustizia penale conciliativa, cit. pag. 266.

S. GUERRA, L'estinzione del reato conseguente a condotte riparatorie, in A. SCALFATI, Il giudice di pace, un nuovo modello di giustizia penale, Padova, 2001, pag. 504.;

O. MURRO, Riparazione del danno ed estinzione del reato, Milano, 2016.

La causa di estinzione del reato per condotte riparatorie deve ritenersi applicabile anche in sede di legittimità

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