Il calcolo dell'imposta evasa nei reati tributari

27 Giugno 2018

È illegittimo il sequestro se il profitto è determinato, in caso di accertamento di un maggior reddito imponibile, escludendo a priori e senza una specifica valutazione l'esistenza dei costi necessari per la produzione dello stesso. Anche ove la ri-determinazione dei maggiori ricavi derivi da un accertamento di natura induttiva, il principio rimane lo stesso: deve in ogni caso tenersi conto di tutti gli elementi, quindi anche degli oneri, che concorrono a formare il reddito imponibile presunto.
Massima

È illegittimo il sequestro se il profitto è determinato, in caso di accertamento di un maggior reddito imponibile, escludendo a priori e senza una specifica valutazione l'esistenza dei costi necessari per la produzione dello stesso. Anche ove la rideterminazione dei maggiori ricavi derivi da un accertamento di natura induttiva, il principio rimane lo stesso: deve in ogni caso tenersi conto di tutti gli elementi, quindi anche degli oneri, che concorrono a formare il reddito imponibile presunto.

Il caso

A seguito di una verifica della Guardia di Finanza nei confronti di una S.r.l. veniva aperto un procedimento penale a carico dei legali rappresentanti della stessa per omessa presentazione della dichiarazione dei redditi dell'impresa, ex art. 5, D.Lgs. n. 74/2000.

Precisamente, il GIP disponeva il sequestro di tutti i beni della società sino alla concorrenza di circa tre milioni e mezzo di euro e, inoltre, qualora ciò non fosse stato possibile, disponeva altresì eseguirsi la misura su tale patrimonio, di tutti i beni delle persone fisiche che ricoprivano la qualità di amministratori della S.r.l., sempre entro la soglia suindicata.

Il provvedimento veniva impugnato, ma il Tribunale del Riesame respingeva le doglianze degli indagati.

Avverso predetto provvedimento, questi ultimi, proponevano ricorso per Cassazione con due distinti atti, censurando la legittimità del provvedimento del riesame, in particolare nella parte in cui aveva considerato affidabile l'accertamento presuntivo a carico della società sulla base del volume d'affari dichiarato ai fini IVA, senza però la sottrazione di alcun costo, nonostante gli stessi fossero stati indicati nella medesima dichiarazione utilizzata per la determinazione dei ricavi. Inoltre, i ricorrenti rilevavano l'inesistenza dell'elemento soggettivo del reato.

Ebbene, la Suprema Corte, investita della controversia, ha affermato che in tema di reati tributari, nella determinazione dell'imposta evasa per verificare il superamento della soglia di punibilità, le norme individuate dal legislatore per la quantificazione della base imponibile subiscono “… limitazioni che derivano dalla diversa finalità dell'accertamento tributario, con la conseguenza che i costi non contabilizzati debbono essere considerati solo in presenza di allegazioni fattuali da cui si desuma la certezza o comunque il ragionevole dubbio della loro esistenza …”.

Precisamente, a parere della giurisprudenza di legittimità, nel caso in cui vengano riscontrati ulteriori ricavi rispetto a quelli dichiarati dal contribuente, “nella determinazione del reddito imponibile non può non tenersi conto di tutti gli elementi - ricavi, proventi, costi e oneri - che concorrono a formarlo…”.

Infatti, escludere a priori l'esistenza dei costi necessari per la produzione del reddito, risulterebbe in contrasto con i criteri applicabili ai fini della determinazione del reddito imponibile.

La questione

La questione trae origine dal rigetto della richiesta di riesame del sequestro preventivo di tutti i beni di una s.r.l., del valore di circa tre milioni e mezzo di euro.

Avverso suddetto provvedimento hanno proposto ricorso per Cassazione i due indagati (legali rappresentanti della società s.r.l.), con due distinti atti, affidando le loro doglianze a due motivi d'impugnazione.

Con il primo motivo di doglianza, da cui emerge la questione che rileva in questa sede, i ricorrenti deducevano la violazione di legge per l'assenza o la mera apparenza della motivazione, nella parte dell'ordinanza impugnata in cui è stato considerato affidabile l'accertamento reddituale a carico dell'impresa dalla GdF, tenendo conto del volume di affari dichiarato ai fini IVA, senza che dall'importo predetto fosse sottratto alcun costo, nonostante l'importo degli stessi fosse stato indicato nella stessa dichiarazione utilizzata per determinare i ricavi.

Calcolo dell'imposta evasa

Il Supremo Consesso, con la sentenza in commento, ha ritenuto immotivato il modus procedendi del Tribunale di Benevento, che ha rigettato il rilievo formulato dai ricorrenti, in riferimento alla necessaria decurtazione dal reddito imponibile dei costi riportati nella stessa dichiarazione dei redditi.

A sostegno di ciò, la Corte di Cassazione ha richiamato alcune precedenti statuizioni nelle quali afferma che l'A.F. “ ... ove sia omessa la dichiarazione da parte del contribuente, può anche ricorrere a presunzioni anche prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, ma deve comunque tenere conto anche delle componenti negative di reddito emerse dagli accertamenti, sicchè qualora non sia possibile accertare i costi, questi possono essere determinati anche induttivamente … ” (Cass.Civ.,Sez.V, 10 febbraio 2017, n. 3567).

Pertanto, qualora non si tenesse conto dei costi di produzione del reddito, si finirebbe per considerare reddito d'impresa, “... costituente la base imponibile per il calcolo d'imposta, il profitto lordo anziché quello netto” (Cass.Civ.,Sez.V., 19 febbraio 2009, n.3995).

Orientamenti conformi

In una precedente pronuncia, la Corte di Cassazione ha sottolineato che nel caso di accertamento del maggior reddito a carico di una ditta, effettuato sulla base d'indici presuntivi di tipo astratto e automatico e senza alcun riferimento ai fatti concreti dai quali possa desumersi il fatto materiale dell'imposta evasa, si devono prendere in considerazione solo i ricavi, qualora solo di essi vi era documentazione ed erano assenti elementi che potessero legittimamente far pensare all'esistenza di costi sostenuti dall'azienda (Cass. pen. sez.III, 4 ottobre 2011, n. 35858).

La Suprema Corte ha, altresì, dato definizione alla nozione d'imposta evasa, secondo cui tale deve intendersi l'intera imposta dovuta, da determinarsi, tenuto conto, delle risultanze probatorie acquisite nel processo penale, sulla base della contrapposizione tra ricavi e costid'esercizio fiscalmente detraibili, in una prospettiva di prevalenza del dato fattuale reale rispetto ai criteri di natura meramente formale che caratterizzano l'ordinamento tributario” (Cass. civ. sez. III, 26 febbraio 2008, n. 21213; Cass. Pen. Sez. III, 23 settembre 2014, n. 38684; Cass.,Sez. Pen.III, 26.09.2016, n.39789).

Anche in predetta sentenza la giurisprudenza di legittimità ha sottolineato che per la determinazione dell'imposta evasa nei reati tributari bisogna tener conto anche degli elementi negativi del reddito “... a condizione che siano legittimamente detraibili, spettando al giudice penale il compito di accertare e determinare l'ammontare dell'imposta evasa, da intendersi come l'intera imposta dovuta, attraverso una verifica che può venire a sovrapporsi ed anche entrare in contraddizione con quella eventualmente effettuata dinanzi al giudice tributario, non essendo configurabile alcuna pregiudiziale in tal senso (Cass. Pen. Sez. III ,18 maggio 2011, n. 36396; Cass. pen., sez.III, 23 settembre 2014 n. 38684; Cass. pen. sez. III, 26 settembre 2016, n. 39789).

Con la pronuncia n. 39379/2016, la Suprema Corte ha precisato infatti che ai fini penali, la determinazione dell'imposta evasa deve essere effettuata tenendo in considerazione i costi documentati o, in ogni caso, presumibili; qualora vengano rideterminati maggiori ricavi, si dovranno considerare anche i costi, siano effettivamente provati o comunque presumibili, poiché correlati ai maggiori ricavi accertati.

Infatti, per la determinazione dell'imposta evasa, occorre sì attingere alle regole statuite dalla normativa fiscale ma con le limitazioni che derivano dall'accertamento penale “ … per cui i costi concorrono sì alla determinazione dell'imponibile purchè ne sussista la certezza o, come si vedrà, anche solo il ragionevole dubbio circa la loro esistenza” (Cass. pen., sez. III, 15 settembre 2015, n. 37094).

La soluzione giuridica

Sulla base di tali argomentazioni, i giudici della Suprema Corte sono, quindi, pervenuti alla conclusione che, in tema di reati tributari, per accertare l'ammontare dell'imposta evasa ai fini della verifica del superamento delle soglie di punibilità, le regole stabilite dalla normativa fiscale subiscono delle limitazioni a causa della diversa finalità dell'accertamento tributario e, per tale ragione, i costi non contabilizzati debbono essere considerati solo in presenza di allegazioni fattuali da cui si desuma la certezza o qualora vengano accertati ulteriori ricavi rispetto a quelli dichiarati dal contribuente ...”( cfr. Cass. pen. sez. III, 20 dicembre 2016, n. 53907).

In sintesi, in sede penale, anche se le regole probatorie sono diverse dal processo tributario, i costi non contabilizzati devono in generale essere considerati solo in presenza di allegazioni fattuali; qualora vengano accertati maggiori ricavi rispetto a quelli dichiarati non può non tenersi conto di tutti gli elementi (ricavi e costi) che concorrono a formare il reddito del contribuente.

Per tale motivo, non è legittimo escludere a priori l'esistenza dei costi necessari per la produzione.

Alla luce di tali deduzioni, la Corte di Cassazione ha ritenuto la motivazione del Tribunale di Riesame illegittima e incompleta.

Osservazioni

È ormai principio pacifico che l'imposta evasa deve essere determinata in maniera autonoma dal giudice del procedimento penale. Tale determinazione può, eventualmente, anche discostarsi ed entrare in contraddizione con quella determinata dal Fisco ovvero dal giudice tributario. A tal fine è, però, necessario che il giudice penale ne dia adeguata motivazione.

Inoltre, è evidente che la determinazione dell'imposta evasa ai fini penali deve tenere conto anche degli elementi negativi del reddito – siano essi certi o presumibili –, purché deducibili secondo le normali regole tributarie.

È di tutta evidenza che, in tal caso, non si avrà – così come richiesto dalla normativa – una determinazione dell'imposta evasa “effettivamente” dovuta. È pertanto, opportuno che un'eventuale difesa sia volta a dare il giusto risalto agli elementi negativi del maggior reddito accertato al contribuente/imputato, anche e soprattutto ai fini della determinazione del superamento della soglia di punibilità del reato.

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