Quantificazione del mantenimento per i figli e principio di proporzionalità alle risorse di ciascun genitore
11 Luglio 2018
Massima
La legge, nell'imporre a ciascun genitore l'obbligo di provvedere al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito, individua quali elementi tenere in considerazione nella determinazione dell'assegno, oltre alle esigenze del figlio, al tenore di vita dallo stesso goduto in costanza di convivenza, ai tempi di permanenza presso ciascun genitore, alla valenza economica dei compiti domestici di cura assunti da ciascun genitore, anche le risorse economiche di entrambi i genitori. Ciò comporta che il giudice, nel quantificare l'importo dell'assegno di mantenimento per il figlio e realizzare il principio di proporzionalità, è tenuto ad effettuare una valutazione comparata dei redditi e delle sostanze di entrambi i genitori. Il giudice è, altresì, tenuto per legge a disporre d'ufficio gli accertamenti tributari sui redditi e sui beni del genitore che non li abbia documentati. Il caso
Un padre ha proposto ricorso per cassazione avverso il decreto, depositato il 9 novembre 2016, con cui la Corte di appello di Torino aveva confermato il provvedimento del Tribunale Ordinario di Asti che aveva, oltre che statuito l'affidamento condiviso del figlio minorenne delle parti con residenza anagrafica presso la madre e disciplinato il diritto di visita del padre, disposto un assegno di mantenimento per la prole a carico del padre di € 400,00 mensili, oltre al concorso per le spese straordinarie. Due i motivi sui quali era fondato il ricorso per cassazione: 1) la violazione dell'art. 337-ter, comma 4 c.c. nella parte in cui, nel determinare l'assegno di mantenimento per il figlio a carico del padre, non era stato rispettato il principio di proporzionalità ai redditi di entrambi i genitori; 2) la violazione dell'art. 337–ter, comma 6, c.c. nella parte in cui i giudici di merito non avevano disposto d'ufficio i relativi accertamenti tributari sulla situazione reddituale della madre, nonostante quest'ultima non l'avesse documentata. Dalle motivazioni dell'ordinanza è possibile apprendere che la madre, genitore presso cui era collocato il figlio, avesse una capacità economica maggiore rispetto a quella del padre-ricorrente, ma che tale circostanza, seppur accertata, fosse stata trascurata dai giudici di merito che, pertanto, avevano quantificato l'assegno di mantenimento a carico del padre senza tener conto delle risorse economiche dell'altro genitore. La Corte di legittimità ha giudicato fondati entrambi i motivi di impugnazione, ritenendo che i giudici di merito non avessero correttamente applicato i principi in materia di determinazione dell'assegno di mantenimento in favore dei figli, per non aver rispettato il principio di proporzionalità ai redditi di ciascun genitore (il quale richiede una valutazione comparata dei redditi di entrambe le parti) e per aver omesso di disporre gli accertamenti tributari previsti dalla legge sulla situazione reddituale della madre. La Suprema Corte ha, pertanto, cassato la sentenza impugnata, rinviando la causa alla Corte di appello di Torino, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese processuali. Si noti, peraltro, che la Corte si è pronunciata con ordinanza, avendo optato per la trattazione della causa in camera di consiglio ex art. 380-bis c.p.c., presumibilmente, sul presupposto della manifesta fondatezza del ricorso principale, ai sensi dell'art. 375, comma 1, n. 5 c.p.c.. La questione
La quantificazione dell'assegno di mantenimento per la prole presuppone una rigida comparazione della situazione patrimoniale di entrambi i genitori, con la conseguenza che le maggiori potenzialità economiche del genitore collocatario determinano una proporzionale diminuzione del contributo posto a carico dell'altro genitore, o al contrario tale raffronto non è necessario, con la conseguenza che la maggiore disponibilità economica del genitore collocatario comporta solo un migliore soddisfacimento delle esigenze di vita del figlio, senza incidere sul quantum dell'assegno di mantenimento? Le soluzioni giuridiche
Nell'ordinanza in commento, la Suprema Corte torna sul tema dei principi e dei criteri cui deve attenersi il giudice per la quantificazione dell'assegno di mantenimento a carico del genitore non collocatario e, in particolare, sul principio proporzionalità ai redditi di ciascun genitore espresso dall'art. 337-ter, comma 4 c.c.. Nel caso di specie, il ricorrente si doleva del fatto che la Corte territoriale non avesse effettuato una valutazione comparata dei redditi di entrambi i genitori e, nello specifico, non avesse tenuto conto della maggiore capacità economica della madre rispetto alla propria. Il padre si lamentava, altresì, che i giudici non avessero disposto d'ufficio l'accertamento sui redditi e beni della madre, nonostante quest'ultima non li avesse documentati. La Corte di cassazione ha ritenuto fondati entrambi i motivi di impugnazione, affermando che il mantenimento per il figlio a carico del padre era stato quantificato «non rispettando il principio di proporzionalità, il quale richiede una valutazione comparata dei redditi di entrambi i genitori, non effettuata nel corso dei due giudizi di merito» e che, non essendo stata documentata la situazione economica della controricorrente, il giudice di merito avrebbe dovuto disporre d'ufficio i relativi accertamenti di natura tributaria sui redditi e beni oggetto di contestazione. Nella concisa motivazione, riportandosi a diverse pronunce conformi e prendendo, invece, le distanze da un isolato precedente orientamento, la Suprema Corte ripercorre sinteticamente i principi che regolano la materia. Sul tema, la legge è chiara, disponendo che «ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli, in misura proporzionale al proprio reddito» (art. 337-ter, comma 4, c.c.). Sul punto, la Corte precisa che entrambi i genitori, i quali svolgano attività lavorativa produttiva di reddito, hanno l'obbligo di mantenere i figli, in proporzione alle proprie disponibilità economiche, quale diretta applicazione dell'art. 30 Cost.. Il principio di proporzionalità ai redditi di ciascun genitore costituisce, pertanto, il principio cardine nel concorso dei genitori al mantenimento dei figli, richiamato anche dall'art. 316-bis c.c.. Il fine dell'assegno periodico di mantenimento è, come precisato dal medesimo art. 337-ter, comma 4, c.c., proprio quello di realizzare il principio di proporzionalità, ed il giudice nel quantificare il contributo deve tener conto di una molteplicità di fattori previsti dalla legge, quali le attuali esigenze del figlio, il tenore di vita goduto dallo stesso in costanza di convivenza con entrambi i genitori, i tempi di permanenza presso ciascun genitore, le risorse economiche di entrambi i genitori e la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore. Il contributo al mantenimento deve essere ovviamente rapportato alle attuali esigenze del figlio, concetto sul quale si sofferma il Giudice di legittimità nell'ordinanza in commento, precisando che lo standard di soddisfazione di queste ultime è comunque correlato anche al livello economico-sociale dell'intero nucleo familiare. Stessa cosa viene sostenuta con riferimento al parametro del tenore di vita del figlio, dovendosi considerare in concreto le sostanze, i redditi e a capacità di lavoro di ciascun genitore. Non è, infatti, raro che la separazione dei genitori abbia conseguenze economiche negative derivanti dalle maggiori spese che la nuova organizzazione familiare comporta, così come è possibile che uno dei genitori o entrambi dopo la separazione possano subire un decremento del proprio reddito. Pertanto, né il parametro delle esigenze del figlio né quello del tenore di vita possono assurgere a criteri assoluti per la quantificazione dell'assegno. Solo ragionando in tal modo, prosegue l'ordinanza, è possibile bilanciare in modo equo le esigenze dell'intero nucleo familiare e realizzare così laratio della norma di cui all'art. 337-ter, comma 4, c.c.. La Suprema Corte prende espressamente le distanze da un difforme arresto, nel quale era stato affermato che la determinazione del contributo di mantenimento per i figli non si fonderebbe su una rigida comparazione della situazione patrimoniale di ciascun genitore, con la conseguenza che le maggiori potenzialità economiche di un genitore concorrerebbero solo a garantire al minore un migliore soddisfacimento delle sue esigenze di vita, ma non comporterebbero una proporzionale diminuzione del contributo posto a carico dell'altro genitore (Cass. 2 agosto 2013, n. 18538).
Osservazioni
I parametri indicati dall'art. 337-ter, comma 4, c.c. per quantificare l'assegno periodico di mantenimento per i figli (attuali esigenze del figlio, tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori, tempi di permanenza presso ciascun genitore, risorse economiche di entrambi i genitori e valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore) sono riconducibili a due diverse esigenze: da un lato quella di garantire ai figli il soddisfacimento dei loro bisogni (adeguatezza del mantenimento alle esigenze dei figli), dall'altro quella di parametrare l'obbligo di mantenimento gravante su ciascun genitore alle concrete potenzialità di quest'ultimo (proporzionalità ai rispettivi redditi). Ciò premesso, l'ordinanza de qua ha il pregio di aver chiarito che la ratio dell'art. 337-ter, comma 4, c.c. è quella di bilanciare in modo equo le esigenze dell'intero nucleo familiare, attribuendo il giusto peso ai vari parametri di legge. In particolare, il principio di proporzionalità, alla cui realizzazione deve tendere l'assegno periodico di mantenimento, richiede che il giudice operi una comparazione delle rispettive sostanze dei genitori, non potendo attendersi unicamente alle esigenze del figlio e/o ai redditi del genitore onerato. La Cassazione precisa, in proposito, che l'onere di mantenere i figli grava su entrambi i genitori percettori di redditi, quindi anche su quello che convive con i figli, con la conseguenza che il principio di proporzionalità debba trovare applicazione anche laddove il genitore collocatario goda di maggiori risorse economiche rispetto all'altro genitore, determinando la proporzionale riduzione dell'assegno di mantenimento. Peraltro, la Cassazione rileva come gli stessi parametri costituiti dalle attuali esigenze dei figli e dal tenore di vita non possano assurgere a criteri assoluti e risentano invece del livello socio-economico cui appartengono i genitori. P. Morozzo Della Rocca, Il mantenimento del figlio: recenti itinerari di dottrina e giurisprudenza, in Fam. e Dir., 2013, 4, 385; A. Cordiano, Proporzionalità e adeguatezza nel mantenimento della prole: riflessioni sulle modalità attuative del dovere, in Rivista Aiaf, 2011, 3, 51. |