La prosecuzione dell'attività nelle imprese sequestrate e confiscate

Ferdinando Brizzi
17 Luglio 2018

Secondo la deliberazione del 23 giugno 2016 dell'A.N.B.S.C. circa il 90% delle attività produttive interessate da un provvedimento ablatorio definitivo è destinata al fallimento o è posta in liquidazione ovvero è cancellata dal registro delle imprese per mancanza di beni. Questo dato impietoso pone degli interrogativi: a fronte delle “roboanti” statistiche di sequestri e confische diffuse in occasione delle varie attività di contrasto alla criminalità organizzata ...
Abstract

Si legge nella deliberazione 23 giugno 2016, n. 5/2016/G della Corte dei conti, Sezione centrale di controllo sulla gestione delle smministrazioni dello Stato – l'amministrazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata e l'attività dell'Agenzia nazionale (A.N.B.S.C.) –, che circa il 90% delle attività produttive interessate da un provvedimento ablatorio definitivo è destinata al fallimento o è posta in liquidazione ovvero è cancellata dal registro delle imprese per mancanza di beni.

Questo dato impietoso pone degli interrogativi: a fronte delle “roboanti” statistiche di sequestri e confische diffuse in occasione delle varie attività di contrasto alla criminalità organizzata, finora poco è stato detto, e soprattutto fatto, per impedire che l'intervento ablativo si traduca nella cessazione di importanti realtà e produttive e nella conseguente, dolorosa, sparizione di posti di lavoro.

Eppure vengono in gioco importanti valori di rilevanza costituzionale: l'iniziativa economica privata (art. 41 Cost.), la proprietà privata (art. 42 Cost.), il diritto al lavoro (artt. 4 e 35 Cost.).

Nel silenzio del mondo politico, di ciò si è reso conto per primo il consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, (Impresa ed economia criminale. La finanza e la continuità aziendale nelle aziende sottoposte al sequestro, settembre 2017), che, pur senza disporre di norme ad hoc, poneva la ricerca della continuazione dell'attività in relazione all'art. 35, comma 5, del d.lgs. 159/2011, nella parte in cui dispone che l'amministratore abbia «il compito di provvedere alla custodia, alla conservazione e all'amministrazione dei beni sequestrati nel corso dell'intero procedimento, anche al fine di incrementare, se possibile, la redditività dei beni medesimi».

In tal senso il professionista chiamato a gestire le aziende sotto sequestro antimafia svolge tale incarico nel perseguimento dell'interesse pubblico.

Perciò, si legge nel documento, la chiusura di un'azienda oggetto della misura cautelare non viene mai fatta con serenità d'animo, rappresentando per la collettività una “perdita sociale” prima ancora che economica: ne discende che la continuazione dell'attività risponde all'esigenza di espletare anche una fondamentale funzione sociale da parte dell'amministratore.

Di tali considerazioni, fino al 2017, il Legislatore “di prevenzione” si è pressoché disinteressato.

Solo con la l. 161/2017 si registra una prima svolta: finalmente il Parlamento sembra essersi reso conto che la lotta alla criminalità organizzata non può tradursi in un'asettica spunta delle statistiche concernenti le imprese confiscate.

E così ha tentato di introdurre dei rimedi per scongiurare il pericolo che le misure ablative, la cui importanza viene continuamente esaltata in sede politica, quale che sia il gruppo “vincente”, si traducano nella mortificazione di quei valori costituzionali su cui si fonda la convivenza civile in una moderna società.

Se in sede “di prevenzione” si è dovuto attendere così a lungo, viceversa nel sistema delineato dal d.lgs. 231/2001, concernente la responsabilità degli enti, si sono registrati tentativi di coniugare le esigenze ablative, a fronte di realtà societarie “inquinate”, con le esigenze di tutela del prevalente interesse pubblicistico alla realizzazione di opere di rilevanza pubblica e al correlativo interesse alla salvaguardia dei posti di lavoro.

Obiettivo di questo contributo è quello di verificare se la svolta intrapresa con la l. 161/2017 possa essere in grado di “invertire la rotta” denunciata dalla Corte dei conti e così impedire che le misure ablative siano vissute da chi le subiscono – in primo luogo imprenditori e lavoratori – come la fine di esperienze aziendali, che, magari contigue a realtà criminali, possono essere emendate da tale condizionamento, tramite opportuni interventi normativi.

La legge 161/2017

Con la riforma del codice antimafia attuata con l. 161/2017 sembra essere stato intrapreso un percorso “virtuoso”, volto a creare le condizioni che rendano possibile la prosecuzione dell'attività delle imprese sequestrate e confiscate.

In tal senso di notevole rilievo appare il contenuto del comma 1-ter dell'articolo 41 del codice antimafia che consente al tribunale una valutazione ponderata, imponendo all'amministratore giudiziario l'obbligo di allegare alla proposta di prosecuzione o di ripresa dell'attività una specifica documentazione.

Si segnalano, tra gli obblighi documentali previsti: quello di distinguere tra beni personali del proposto e beni aziendali, così da permettere gestioni separate dei beni e impedire commistioni con il patrimonio personale dell'imprenditore; l'elenco dei creditori dell'impresa; l'elenco dei lavoratori impiegati; le proposte di prosecuzione dell'attività avanzate da sindacati interni all'azienda.

Il nuovo comma 1-quater dell'articolo 41 cod. antimafia prevede che, autorizzato dal giudice, l'amministratore giudiziario conferisce la manutenzione ordinaria e straordinaria delle aziende sequestrate preferibilmente alle imprese fornitrici di lavori, beni e servizi già sequestrate o confiscate.

Il comma 1-quinquies prevede la possibilità di adozione di un provvedimento provvisorio al fine di evitare la chiusura provvisoria dell'azienda o incertezze che comportano danni irreparabili all'attività imprenditoriale.

Più nel dettaglio, in attesa del provvedimento del tribunale, entro trenta giorni dall'immissione in possesso, l'amministratore giudiziario è autorizzato dal giudice delegato a proseguire l'attività dell'impresa o a sospenderla, con riserva di rivalutare tali determinazioni dopo il deposito della relazione semestrale.

Se il giudice autorizza la prosecuzione, conservano efficacia, fino all'approvazione del programma, le autorizzazioni, le concessioni e i titoli abilitativi necessari allo svolgimento dell'attività, già rilasciati ai titolari delle aziende in stato di sequestro in relazione ai compendi sequestrati.

Secondo il disposto del comma 1-sexies dell'articolo 41 del codice antimafia, il provvedimento del tribunale è adottato dopo avere esaminato la relazione dell'amministratore in camera di consiglio, ai sensi dell'articolo 127 c.p.p., con la partecipazione del pubblico ministero, dei difensori delle parti, dell'Agenzia e dell'amministratore giudiziario, che vengono sentiti se compaiono.

Ove rilevi concrete prospettive di prosecuzione o di ripresa dell'attività dell'impresa, il tribunale approva il programma con decreto motivato e impartisce le direttive per la gestione dell'impresa.

Ai sensi del comma 1-octies dell'articolo 41 cod. antimafia, per le società sottoposte a sequestro le cause di scioglimento per riduzione o perdita del capitale sociale non operano dalla data di immissione in possesso sino all'approvazione del programma di prosecuzione o ripresa dell'attività.

Il comma 6 dell'articolo 41-bis del cod. antimafia “ritaglia” uno spazio propulsivo per la decisione sulla prosecuzione dell'attività anche all'Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati: invero, il tribunale, anche su proposta dell'Agenzia, ove rilevi concrete prospettive di prosecuzione dell'attività dell'azienda sequestrata (o confiscata), può impartire le direttive per la sua ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese.

Dopo la confisca definitiva, provvede nello stesso modo l'Agenzia nazionale.

Infine, il nuovo articolo 41-bis , risorse finanziarie in favore delle aziende sequestrate e confiscate, prevede che l'accesso alle risorse del Fondo di garanzia e del Fondo per la crescita sostenibile di cui all'articolo 1, comma 196, della legge di stabilità 2016 deve essere richiesto dall'amministratore giudiziario, previa autorizzazione del giudice delegato o dall'Agenzia, dopo l'adozione dei provvedimenti di prosecuzione dell'attività dell'azienda, adottati dal Tribunale sulla base delle concrete prospettive di ripresa (comma 1).

Il d.lgs. 72/2018

A compimento della riforma del 2017, è stato emanato il decreto legislativo n.72 del 18 maggio 2018, Tutela del lavoro nell'ambito delle imprese sequestrate e confiscate in attuazione dell'articolo 34 della legge 17 ottobre 2017, n. 161.

Tale decreto introduce misure di sostegno al reddito in favore dei lavoratori dipendenti di aziende sequestrate o confiscate alla criminalità organizzata, prevedendo altresì un particolare regime di “sanatoria” in materia di irregolarità contributiva.

La principale novità è l'introduzione nell'ordinamento di nuove misure di sostegno al reddito, sia in costanza sia al termine del rapporto di lavoro, a favore dei lavoratori dipendenti delle imprese sequestrare e confiscate alla criminalità organizzata.

In particolare, all'articolo 1 del d.lgs. 72/2018 viene introdotto per gli anni 2018-2020 uno specifico trattamento di sostegno al reddito pari al trattamento straordinario di integrazione salariale per una durata massima di 12 mesi nell'arco del triennio, e sul quale, per espressa previsione legislativa, viene riconosciuta la contribuzione figurativa e in ogni caso fino alla assegnazione o destinazione dell'impresa sequestrata o confiscata.

Destinatari del trattamento sono i lavoratori dipendenti, sospesi o impiegati a orario ridotto nelle aziende confiscate o sequestrate alla criminalità organizzata e sottoposte all'amministrazione giudiziaria.

Possono altresì beneficiare del trattamento anche quei lavoratori per cui il datore di lavoro non ha adempiuto in tutto o in parte agli obblighi contributivi o agli altri obblighi derivanti dalle leggi in materia di lavoro.

Il trattamento viene concesso dal Ministero del Lavoro su richiesta dell'amministratore giudiziario e previa autorizzazione del giudice delegato qualora l'azienda non possa ricorrere ai trattamenti di integrazione salariali ordinari e straordinari di cui al d.lgs. 148/2015 e vi sia stata l'approvazione da parte del tribunale del programma di prosecuzione o di ripresa dell'attività dell'azienda presentato dallo stesso amministratore giudiziario ai sensi dell'articolo 41 del d.lgs. 159/2011.

Anche l'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (Agenzia), previo nulla osta del giudice delegato, può richiedere al Ministero del Lavoro l'applicazione della misura di sostegno al reddito per i lavoratori dipendenti delle imprese soggette alla sua gestione ovvero le imprese per cui il provvedimento di confisca sia stato emesso o confermato in giudizio di appello.

All'articolo 2 del d.lgs. 72/2018 viene introdotta per gli anni 2018-2020 una misura di sostegno al reddito per i lavoratori “irregolari” disoccupati quando il loro rapporto di lavoro sia stato risolto dall'amministratore giudiziario o dall'Agenzia secondo quanto previsto dal programma di prosecuzione o ripresa dell'attività di cui al d.lgs. 159/2011 e tali lavoratori non siano in possesso dei requisiti richiesti dalla legge per accedere alla Nuova prestazione di assicurazione sociale per l'impiego, Naspi.

Tale misura di sostegno è concessa dall'Inps su richiesta dell'amministratore giudiziario o dell'Agenzia previa autorizzazione del giudice delegato e consiste in un'indennità mensile pari alla metà dell'importo massimo mensile della Naspi (senza copertura previdenziale figurativa) per la durata di quattro mesi.

Il Legislatore ha espressamente escluso dai destinatari delle due misure di cui sopra, tra altri: i lavoratori indagati, imputati o condannati per associazione mafiosa; il proposto, il coniuge del proposto o la parte dell'unione civile, i parenti, gli affini e le persone con essi conviventi quando risulta che il rapporto sia fittizio o che tali soggetti si siano ingeriti nella gestione dell'azienda; dipendenti che hanno partecipato alla gestione dell'azienda prima del sequestro e fino alla sua esecuzione.

Il trattamento e l'indennità cessano di essere corrisposti o sono revocati con efficacia retroattiva se, rispettivamente, si realizza una delle condizioni di esclusione di cui sopra oppure tali condizioni siano accertate successivamente.

Il d.lgs. 72/2018 affida a un decreto interministeriale, da emanarsi entro 60 giorni dalla sua entrata in vigore, la determinazione delle modalità applicative della misura di sostegno al reddito in costanza di rapporto di lavoro e la fissazione dei limiti di spesa e la ripartizione delle risorse finanziarie tra le due misure di sostegno.

Inoltre, l'articolo 3 del d.lgs. 72/2018 modifica la disciplina prevista dai commi 195 e 196 della legge di stabilità 2016 in materia di finanziamenti agevolati e di garanzie per le operazioni finanziarie a favore delle imprese confiscate o sequestrate (e delle imprese che rilevano tali complessi aziendali) nei procedimenti penali per alcuni delitti e nei procedimenti di applicazione di misure di prevenzione patrimoniale limitatamente a soggetti indiziati per certi delitti. In particolare, queste norme mirano ad assicurare a tali imprese la continuità e l'accesso al credito bancario, il sostegno agli investimenti e agli oneri necessari per gli interventi di ristrutturazione aziendale, la tutela dei livelli di occupazione, la promozione di misure di emersione del lavoro irregolare, etc. La novella, tra altri, amplia il novero dei delitti di cui sopra includendo alcune disposizioni contenute nel codice penale, nel testo unico in materia di stupefacenti e nel testo unico in materia doganale, e introduce limiti di quantum e di durata ai finanziamenti agevolati.

Agli articoli 4 e 5 del d.lgs. 72/2018 è prevista una “sanatoria” per le imprese sequestrate e confiscate secondo cui, dalla data di approvazione del programma di prosecuzione o di ripresa dell'attività di cui al d.lgs. 159/2011, ai fini del rilascio del Durc, non rilevano gli eventuali inadempimenti contributivi precedenti alla data di approvazione di detto programma. Pertanto, la verifica della regolarità contributiva avviene solo in relazione al periodo successivo alla data di approvazione. Come conseguenza, sempre dalla data di approvazione del programma, non sono opponibili all'amministratore giudiziario e all'Agenzia i provvedimenti sanzionatori per gli illeciti amministrativi commessi prima del provvedimento di sequestro dell'azienda.

Infine, da un punto di vista procedurale si precisa che l'autorità amministrativa procedente, una volta ricevuta l'istanza dall'amministratore giudiziario o dall'Agenzia per la concessione delle misure di sostegno, ne dà comunicazione al Prefetto competente per territorio per l'attivazione del confronto sindacale e all' Inps (in caso di intermediazione illecita o sfruttamento del lavoro, la comunicazione è inviata anche all'Agenzia Rete del lavoro agricolo di qualità istituita presso l'Inps). È altresì prevista la collaborazione tra l'amministrazione procedente, l'amministratore giudiziario e l'Agenzia al fine dello scambio di informazioni e documenti.

Le misure di prevenzione diverse dalla confisca

Sarà la concreta applicazione tanto delle nuove norme introdotte tanto dalla l. 161/2017 tanto dal d.lgs. 72/2018 a rivelare se tali misure siano o meno idonee a scongiurare che i provvedimenti ablativi vengano “vissuti” dai lavoratori impiegati presso le aziende sequestrate e confiscate come una “iattura”.

Per altro, che la prosecuzione dell'attività d'impresa sia interesse primario del Legislatore che ha riformato la materia delle misure di prevenzione si desume anche dall'esame delle c.d. misure di prevenzione patrimoniali diverse dalla confisca.

Si tratta dell'amministrazione giudiziaria dei beni connessi ad attività economiche (art. 34 cod. antimafia) e del controllo giudiziario (art. 34-bis cod. antimafia).

Qui lo spossessamento gestorio dell'intera azienda finisce per diventare una eventualità remota e piuttosto l'autorità giudiziaria è chiamata a dispiegare una serie di attività di “bonifica”, per lo più in collaborazione con i destinatari della misura e in un arco di tempo ben definito.

Solo sullo sfondo, quale ipotesi residuale, rimane l'opzione ablativa, connessa all'eventuale emersione di beni «frutto di attività illecite o che ne costituiscano il reimpiego».

Che le finalità dell'amministrazione giudiziaria siano diverse da quelle di confisca, solo residuale, è testimoniato da due sentenze del Supremo collegio, Cass.pen. Sez. V, 24 maggio 2017, n. 30859 e Cass. pen.,Sez. I, 19 settembre 2017, n. 48560, pronunciate sotto la vigenza della pregressa disciplina, ma i cui principi debbono ritenersi applicabili anche a quella risultante dalla riforma del 2017.

In particolare, Cass.pen. Sez. V, 24 maggio 2017, n. 30859, ha negato che l'amministrazione giudiziaria possa essere considerata quale actio in rem,richiamando la nota sentenza delle Sezioni unite, del 26 giugno 2014, n. 4880, Spinelli, e ricordando che il complessivo sistema delle misure di prevenzione, secondo l'interpretazione della giurisprudenza di legittimità, è orientato non tanto verso l'introduzione di figure di actio in rem quanto piuttosto nel senso della tutela dei terzi incolpevolmente inconsapevoli, sia, infine, il quanto la Corte Edu, con la recente sentenza De Tommaso c. Italia del 22 maggio 2017, ha mostrato di propendere per l'estensione delle garanzie previste per i procedimenti penali al campo delle misure di prevenzione e, in generale, di subordinare le esigenze di tipo preventivo a quelle di natura garantistica, sicché il ritenere che una misura ablatoria importante quale quella in esame possa prescindere da una componente soggettiva, nei termini ricordati dalla Corte Costituzionale, sarebbe poco rispettoso anche dei principi Cedu.

Cass. pen. Sez. I, 19 settembre 2017, n. 48560, ha poi escluso che nell'ambito di una amministrazione giudiziaria in corso di applicazione si possa innestare una diversa misura cautelare ai sensi dell'art. 20 d.lgs. 159/2011 cit., che prevede il sequestro dei beni adottato nell'ambito del procedimento applicativo delle misure di sicurezza patrimoniale, rivelandosi estranea alla procedura tipizzata dal citato art. 34, atteso che il sequestro dei beni in costanza di amministrazione giudiziaria, ai sensi dell'art. 34, comma 9, cod. antimafia è consentito sino alla scadenza del termine stabilito a norma del comma 3 (sei mesi rinnovabili). Se dunque viene adottato un provvedimento di sequestro dei beni ai sensi dell'art. 20 nel contesto di un'amministrazione giudiziaria ciò si traduce in una strumentale elusione dei termini di durata dell'amministrazione stessa, lesiva dei diritti dell'interessato.

Dunque la giurisprudenza di legittimità mostra di non tollerare le “torsioni” cui l'istituto dell'amministrazione giudiziaria è stata, talvolta, sottoposto dalla giurisprudenza di merito.

Per altro è stata proprio quest'ultima ad avviare un percorso interpretativo in grado di cogliere la portata innovativa delle misure patrimoniali diverse dalla confisca a partire dal 2007 con un provvedimento di “sospensione temporanea” riguardante uno stabilimento di produzione della Italcementi Spa emesso dal tribunale di Reggio Calabria che aveva accertato rapporti commerciali preferenziali intrattenuti dalla grande azienda di produzione di calcestruzzo con un'impresa espressione di gruppi di ‘ndrangheta del territorio (trib. Reggio Calabria 19.7.2007, Italcementi). A seguito dell'adozione di un modello di organizzazione particolarmente rigoroso sul versante soprattutto della qualificazione di fornitori e clienti, la misura viene revocata dopo meno di un anno con contestuale applicazione del “controllo giudiziario”, istituto previsto dal comma 3 dell'art. 3-quinquies della previgente l. 575/1965, consistente nell'imposizione di oneri comunicativi all'autorità di polizia aventi per oggetto numero e qualità dei contraenti dell'azienda.

Il tribunale di Milano ha adottato provvedimenti simili quanto alle finalità perseguite, emessi a carico di una multinazionale operante nel settore delle spedizioni (trib. Milano, 16 aprile 2012, TNT), di un importante ente fieristico di proprietà pubblica (trib. Milano, 27 gennaio 2017, FieraMilano) e di un colosso della grande distribuzione (trib. Milano, 3 maggio 2017, LIDL); allo stesso modo si è mosso il tribunale di Palermo con provvedimenti riguardanti una grande azienda operante nel settore della produzione e distribuzione di gas (trib. Palermo 9 luglio 2014, Italgas); nonché il tribunale di Catania in una complessa vicenda avente come protagonista una rilevante impresa di costruzioni (trib. Catania 12 febbraio 2016, Tecnis); il tribunale di Roma con riferimento a una cooperativa sociale attiva nel comparto dei pubblici servizi (trib. Roma 27 luglio 2015, Gruppo La Cascina) e il tribunale di Trapani nei confronti perfino di una Banca popolare (trib. Trapani 25 novembre 2016, Banca popolare di Paceco).

Proprio tali orientamenti giurisprudenziali hanno condotto alla la riforma del 2017.

Gli “strumenti” per la prosecuzione dell'attività d'impresa

La centralità che la riforma del 2017 annette all'istituto dell'amministrazione e a quello del controllo giudiziario è testimoniata dal fatto che il tribunale ha il potere di disporre anche d'ufficio, in alternativa al sequestro, art. 20, le misure di cui agli articoli 34 e 34-bis cod. antimafia ove ricorrano i presupposti ivi previsti.

Allo stesso modo, se il tribunale non dispone la confisca (art. 24), può applicare anche d'ufficio le misure di cui agli articoli 34 e 34-bis ove ricorrano i presupposti ivi previsti.

Quindi nel disegno risultante dalla riforma il sequestro e la confisca diventano una sorta di extrema ratio ablativa cui ricorrere solo nei casi più gravi: laddove, invece, ne ricorrano i presupposti, il tribunale, anche in presenza di una richiesta di sequestro e confisca potrà disporre, d'ufficio i provvedimenti di “bonifica”, così disattendendo l'originario contenuto della proposta.

Non solo, ma se il tribunale ritiene che le indagini non siano complete restituisce gli atti all'organo proponente e indica gli ulteriori accertamenti patrimoniali indispensabili per valutare la sussistenza dei presupposti di cui al comma 1 per l'applicazione del sequestro o delle misure di cui agli articoli 34 e 34-bis cod. antimafia.

Amministrazione e controllo giudiziario rispondono dunque alla medesima logica, quella della prosecuzione dell'impresa.

Nel caso dell'amministrazione giudiziaria tale finalità si ricava dalla lettura congiunta dei commi 2 e 3 dell'art. 34: l'amministratore giudiziario, nella sua relazione, deve evidenziare la necessità di completare il programma di sostegno e di aiuto alle imprese amministrate e la rimozione delle situazioni di fatto e di diritto che avevano determinato la misura. Nel caso di imprese esercitate in forma societaria, l'amministratore giudiziario può esercitare i poteri spettanti agli organi di amministrazione e agli altri organi sociali secondo le modalità stabilite dal tribunale, tenuto conto delle esigenze di prosecuzione dell'attività d'impresa.

Sempre nell'ottica della minor invasività possibile nell'agire imprenditoriale, il comma 6 dell'art. 34 prevede che il tribunale può revocare anzitempo la misura ed eventualmente applicare l'ancor più blando controllo giudiziario di cui al nuovo art. 34-bis: nei casi, appunto, ove le attività di “bonifica” possano essere completate senza alcuno spossessamento gestorio e risulti sufficiente un affiancamento da parte dell'autorità giudiziaria.

Alla medesima finalità soggiace anche l'istituto del controllo giudiziario che, in climax discendente di invasività e adottabilità rispetto agli altri istituti previsti e disciplinati dal d.lgs. 159/2011, persegue finalità di «promozione del disinquinamento mafioso delle attività economiche, salvaguardando al contempo la continuità produttiva e gestionale delle imprese» (cfr. Relazione della Commissione Ministeriale incaricata di elaborare una proposta di interventi in materia di criminalità organizzata (d.m. 10 giugno 2013), c.d. Commissione Fiandaca, pag. 12 ss.).

Ciò si desume poi dalle prime applicazioni giurisprudenziali.

Si fa riferimento a Trib. RC – Sez. M.P., 31 gennaio 2018 (decr.). Il tribunale, dopo aver svolto alcune considerazioni introduttive sui presupposti e sull'ambito di applicazione della misura richiesta, si è soffermato a ricercare quali siano effettivamente i presupposti, indicati dal Legislatore ma non specificati, al ricorrere dei quali l'istituto del controllo giudiziario possa trovare applicazione. I giudici hanno effettuato una ricognizione della ratio della norma e dei presupposti al ricorrere dei quali è possibile accordare la richiesta misura. Scartata l'ipotesi dell'applicazione automatica dell'istituto del controllo giudiziario, i presupposti sono stati ravvisati nell'esigenza di salvaguardare non il mero interesse del privato a proseguire la propria attività nonostante l'interdittiva (per la tutela del quale è già previsto il ricorso al T.A.R. avverso l'interdittiva), bensì il parallelo e prevalente interesse pubblicistico alla realizzazione di opere di rilevanza pubblica e al correlativo interesse alla salvaguardia dei posti di lavoro. E così è stato disposto il controllo giudiziario nei confronti di una società a responsabilità limitata il cui legale rappresentante ne aveva chiesto l'applicazione con apposita istanza, depositata a seguito dell'emissione, da parte della Prefettura di Reggio Calabria, dell'informativa antimafia e del tempestivo ricorso innanzi al Tar.

Pressoché coevo a tale decreto è altro decreto del medesimo tribunale, Trib. RC – Sez. M.P., 17 gennaio 2018 (decr.), che ha rigettato una richiesta di ammissione al controllo giudiziario non ritenendo sussistente il presupposto del rilevante interesse pubblico, non dedotto né emergente ictu oculi, rilevando come l'unico danno prospettato dall'istante fosse quello consistente nel pericolo per il sostentamento del nucleo familiare.

Dunque l'obiettivo che si prefigge i Legislatore di prevenzione, con la riforma del 2017, legge 161, è quello della tutela del prevalente interesse pubblicistico alla realizzazione di opere di rilevanza pubblica e al correlativo interesse alla salvaguardia dei posti di lavoro.

Gli strumenti di tutela così predisposti fuoriescono dagli schemi della logica penalistica tradizionale, compresa la stessa responsabilità degli enti ex d.lgs.231/2001 ma anche dalla logica delle misure preventive ancorate alla pericolosità sociale. Non v'è dunque una finalità preventivo-repressiva volta a colpire il vantaggio conseguito dall'impresa contigua alla mafia, logica sottostante appunto alla responsabilità degli enti ex d.lgs. 231/2001.

Il commissario giudiziale nel d.lgs. 231/2001

Tuttavia, anche il sistema concernente la responsabilità degli enti ex d.lgs. 231/2001 si è fatto carico della prosecuzione dell'attività di impresa in una logica alternativa rispetto a quella sanzionatoria: si fa riferimento all'art. 15 del d.lgs. 231/2001 che affida la prosecuzione dell'attività di impresa a un commissario giudiziale .

In questo caso il presupposto è costituito dalla sussistenza dei presupposti per l'applicazione di una sanzione interdittiva: se questa determina l'interruzione dell'attività dell'ente, il giudice, in luogo dell'applicazione della sanzione, dispone la prosecuzione dell'attività dell'ente da parte di un commissario per un periodo pari alla durata della pena interdittiva che sarebbe stata applicata.

Deve però ricorrere almeno una delle seguenti condizioni: l'ente svolge un pubblico servizio o un servizio di pubblica necessità la cui interruzione può provocare un grave pregiudizio alla collettività; l'interruzione dell'attività dell'ente può provocare, tenuto conto delle sue dimensioni e delle condizioni economiche del territorio in cui è situato, rilevanti ripercussioni sull'occupazione.

Il provvedimento è adottato con sentenza che dispone la prosecuzione dell'attività. Con essa il giudice indica i compiti e i poteri del commissario, tenendo conto della specifica attività in cui è stato posto in essere l'illecito da parte dell'ente. Nell'ambito dei compiti e dei poteri indicati dal giudice, il commissario cura l'adozione e l'efficace attuazione dei modelli di organizzazione e di controllo idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi.

Ai sensi del comma 1 dell'art. 79, quando deve essere eseguita la sentenza che dispone la prosecuzione dell'attività dell'ente ai sensi dell'articolo 15, la nomina del commissario giudiziale è richiesta dal pubblico ministero al giudice dell'esecuzione, il quale vi provvede senza formalità.

Il comma 3 dell'art. 15 d.lgs. 231/2001 prevede che il commissario non può compiere atti di straordinaria amministrazione senza autorizzazione del giudice. L'articolo 15, comma 2 del d.lgs. 231/2001 detta norme ben precise sul comportamento che il commissario deve tenere nell'ambito della gestione: il lavoro e le mansioni attribuite allo stesso dovranno essere stabilite con precisione dal giudice, al quale il commissario dovrà rivolgersi per concordare le operazioni straordinarie che si rendessero necessarie. Si tratta, per il commissario giudiziale, nella sua qualità di “amministratore pro-tempore della società”, di continuare il normale svolgimento dell'attività societaria, sotto la stretta osservanza e controllo del giudice. Ad esempio, qualora si rendesse necessario un aumento del capitale sociale, compito del commissario giudiziale sarà quello di informare il giudice e convocare l'assemblea dei soci affinché deliberi, nonché presenziare all'atto notarile per tutte le formalità del caso. Parimenti, in caso di riduzione del capitale, il commissario giudiziale dovrà opporre resistenza affinché questo non avvenga durante la sua gestione, nonostante il volere contrario dell'assemblea. Nel caso in cui la decisione dei soci dovesse prevalere per la riduzione del capitale sociale, il commissario giudiziale dovrà informare il Giudice e attenersi alle direttive da questi impartite. Nell'esercizio dell'attività gestoria, è possibile che il commissario giudiziale si trovi di fronte alla necessità di convocare un'assemblea straordinaria, atta a modificare, sovente ampliandolo, l'oggetto sociale. Anche qui, come per gli altri casi, il commissario giudiziale informerà il giudice. Se sarà possibile farà differire il tutto, altrimenti dovrà convocare l'assemblea per svolgere quanto gli compete.

In ogni caso, ai sensi dell'art. 15, comma 5, la prosecuzione dell'attività da parte del commissario non può essere disposta quando l'interruzione dell'attività consegue all'applicazione in via definitiva di una sanzione interdittiva.

In conclusione

La prosecuzione dell'attività d'impresa, tanto nel sistema di prevenzione tanto nel sistema disegnato dal d.lgs. 231/2001, assegna un ruolo di primaria importanza alla figura dell'amministratore giudiziario - commissario giudiziale, che diventa il protagonista principale della prosecuzione dell'attività d'impresa.

In particolare nel sistema di prevenzione, egli assume un ruolo centrale sia nel contesto dell'amministrazione giudiziaria sia ai fini dell'ammissione alle nuove misure di sostegno al reddito a favore dei lavoratori dipendenti delle imprese sequestrare e confiscate alla criminalità organizzata.

Nel primo caso gli compete di presentare la proposta di prosecuzione o di ripresa dell'attività.

Nel secondo caso egli, previa autorizzazione del giudice delegato, richiede al Ministero del Lavoro il trattamento.

Già nel 2017, il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, cit., esponeva le difficoltà insite all'assolvimento di tale funzione ove si deve tener conto, da un lato, della compliance dell'azienda ai requisiti di accesso previsti da accordi o meccanismi nuovi o già presenti nel sistema (come il rating di legalità), dall'altro della verifica dell'impatto sociale e ambientale sostenibile nei processi di risk management di medio termine.

L'amministratore giudiziario non è dunque un mero “burocrate”, ma ha un ruolo dinamico, essenziale per evitare che le imprese sottoposte al suo controllo siano destinate al fallimento, come troppo spesso è avvenuto in passato.

Stona con la gravosità degli impegni che incombono all'amministratore giudiziario la previsione normativa per cui egli deve svolgere tale attività senza percepire ulteriori emolumenti (comma 3, art. 34)

Si tratta di un segnale disincentivante per quei professionisti più motivati e preparati che spesso hanno deciso di svolgere in maniera esclusiva la propria attività professionale a favore dei tribunali praticamente senza retribuzione.

Se la prosecuzione dell'attività di impresa è obiettivo primario del Legislatore, allora non è pensabile che un professionista quale l'amministratore giudiziario (art. 34 d.lgs. 159/2011) sia chiamato a svolgere tale funzione “senza percepire ulteriori emolumenti”.

E allora occorre domandarsi se siano reali le intenzioni del Legislatore di fare tutto il possibile perché le imprese sottoposte a procedure ablative possano poi continuare ad operare.

Sotto questo profilo va rimarcato che, mentre l'amministratore giudiziario previsto dall'art. 34 d.lgs. 159/2011 è espressamente indicato tra i professionisti soggetti al decreto legislativo 54/2018 che introduce nuove incompatibilità rispetto all'ufficio degli amministratori giudiziari, dei loro coadiutori, dei curatori fallimentari e degli altri organi delle procedure concorsuali, questo decreto non contempla i commissari giudiziali ex art. 15 d.lgs. 231/2001.

Si potrebbe dubitare della costituzionalità di tale disciplina, tanto più laddove si consideri che l'art. 79, comma 4, d.lgs. 231/2001 pone le spese relative all'attività svolta dal commissario e al suo compenso a carico dell'ente amministrato.

È indubbio che in tal modo viene riservata al commissario giudiziale una maggior tutela rispetto all'amministratore giudiziario che pare non trovare alcuna giustificazione.

In dottrina è stato osservato che l'intervento legislativo del 2017, e, aggiungiamo noi, del 2018, sia frutto dell'indignazione suscitata a livello nazionale dallo scandalo che ha coinvolto magistrati e amministratori giudiziari operanti presso la Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Palermo: tale notazione impone una riflessione sull'opportunità di emanare un provvedimento normativo, in quanto tale generale ed astratto, al fine di stigmatizzare una specifica condotta (FORTE, Misure di prevenzione e tutela dell'impresa, in Diritto penale dell'impresa, a cura di PARODI).

Non possono che condividersi tali considerazioni e sperare che il Legislatore, proprio per dare seguito ai migliori propositi, dimostrati con il complesso delle disposizioni adottate per la prosecuzione dell'attività di impresa, sappia recepire le indicazioni dalla più attenta dottrina, senza “mortificare” proprio coloro che sono i “motori” di tale ambiziosa prospettiva, ovvero gli amministratori giudiziari.

Guida all'approfondimento

Aa.Vv. a cura di Fiorentin Fabio (Antonio Balsamo - Caterina Brignone - Brizzi Ferdinando - Maria Francesca Cortesi - Valentina D'agostino - Maria Vittoria De Simone - Gian Paolo Dolso - Fabio Fiorentin - Chiara Luparello - Paolo Pittaro - Eva Stanig - Francesco Vergine), Misure di prevenzione personali e patrimoniali, Osservatorio della giustizia penale diretta da Spangher Giorgio, Torino 2018.

BENE, Dallo spossessamento gestorio agli obiettivi di stabilità macroeconomica, www.archiviopenale.it 2018.

CHIAMETTI, Il Commissario Giudiziale. Suo ruolo e sue competenze, www.rivista231.it

CHIAMETTI, Relazione e rendiconto del commissario giudiziale secondo l'art. 79 d.lgs. 231/2001, in www.rivista231.it

CHIAMETTI e GIORGI, Poteri del Commissario Giudiziale. Attività di ordinaria e straordinaria amministrazione, in www.rivista231.it

FORNARI, Criminalità del profitto e tecniche sanzionatorie, Padova 1997

FORTE, Misure di prevenzione e tutela dell'impresa, in Diritto penale dell'impresa, a cura di PARODI

GALLO, Misure di prevenzione, in EG, App. agg., 1998, 33

MANGIONE, La contiguità alla mafia fra prevenzione e repressione, in RIDPP 1996, 705 ss.

MOLINARI, Effetti perversi della sospensione temporanea dall'amministrazione dei beni, in CP 1998

TONA e VISCONTI, Nuove pericolosità e nuove misure di prevenzione: percorsi contorti e prospettive aperte nella riforma del codice antimafia, in La legislazione penale, 2018

VISCONTI, I proventi illeciti e il loro contrasto, in AA.VV., Il crimine organizzato come fenomeno transnazionale, Milano2000

VISCONTI, Legislazione antimafia Codice antimafia: luci e ombre della riforma, Dir. Pen. e Processo, 2018, 2, 145

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