Frode fiscale. La richiesta di patteggiamento a seguito di ravvedimento operoso

Corrado Sanvito
20 Luglio 2018

Argomento d'attualità è la possibilità che le parti di un procedimento penale per frode fiscale, chiedano l'applicazione della pena su richieste delle parti a seguito di ravvedimento operoso. La questione vede interessate due previsioni normative, l'art. 13-bis, comma 2, del d.lgs. n. 74/2000 e l'art. 13 del d.lgs. 472/1997, che parrebbero non trovare coordinamento; quanto il limite d'operatività della seconda previsione si assume sia da rinvenirsi nelle violazioni dovute a ...
Abstract

Argomento d'attualità è la possibilità che le parti di un procedimento penale per frode fiscale, chiedano l'applicazione della pena su richieste delle parti a seguito di ravvedimento operoso.

La questione vede interessate due previsioni normative, l'art. 13-bis, comma 2, del d.lgs. 74/2000 e l'art. 13 del d.lgs. 472/1997, che parrebbero non trovare coordinamento; quanto il limite d'operatività della seconda previsione si assume sia da rinvenirsi nelle violazioni dovute ad errori od omissioni e non anche a condotte fraudolente.

L'art. 13-bis del d.lgs. 74/2000 dispone infatti che, con riferimento ai reati di cui allo stesso decreto, il ravvedimento operoso sia occasione di poter chiedere il patteggiamento.

L'assenza di esclusione di sorta relativamente il novero dei reati induce appunto perplessità quanto alla possibilità che il ravvedimento operoso, previsto per correggere errori od omissioni, sia, diversamente, annoverato tra le procedure tributarie presupposto della richiesta di patteggiamento anche per reati il cui fondamento sia una condotta fraudolenta (quindi non solo erronea od omissiva).

Ci si domanda, dunque, se possa assumersi un difetto di coordinamento tra le due previsioni; in risposta una prospettazione interpretativa per ipotizzare che (il difetto) sia solo apparente: la previsione speciale del d.lgs. 74/2000, dunque quella del comma 2 dell'articolo 13-bis, risponde a logica propria del procedimento penale, quindi dell'accesso al rito premiale, appunto, del patteggiamento.

Ben conscio del limite della prospettazione, che è meramente interpretativa per ricondurre a ragione ciò che letteralmente parrebbe non trovare occasione di coordinamento, si propone il presente seguito di osservazione.

Non è passato molto tempo da quando la Corte di cassazione, con la sentenza n. 5444/2018, ha destato interesse per la materia. Un interesse, peraltro forse eccessivo, quanto a un dettato della sentenza che si è limitato a rimettere gli atti al giudice del merito per la mancanza di prova dell'avvenuto pagamento del debito erariale, che aveva avuto ad indurre il riconoscimento della richiesta di patteggiamento.

Una sentenza, dunque, che, pur foriera del merito di aver destato interesse circa un argomento certo non di poco conto, peraltro meno dice di quanto si avrebbe voluto.

Certamente, peraltro, la sentenza n. 5444/2018, è occasione di considerare l'argomento ed esprimere qualche riflessione.

La presente trattazione, dunque, ha come presupposto un possibile profilo di difetto di coordinamento di norme: previste dagli articoli 13-bis, comma 2, del d.lgs. 74/2000 e l'articolo 13 del D.Lgs. n. 472/1997; che danno il segno di previsione, l'una, della possibilità che il ravvedimento operoso consenta di chiedere il patteggiamento per tutte le fattispecie di reato di cui al d.lgs. 74/2000 (comprese quelle fraudolente); e, l'altra, della possibilità che il ravvedimento operoso posso perfezionarsi solo in caso di violazioni dovute ad omissioni od errori (escluse, dunque, quelle fraudolente).

Fonte: ilTributario.it

Le previsioni normative a confronto

L'articolo 13-bis, comma 2, del d.lgs. 74/2000, prevede che l'applicazione della pena ai sensi dell'art. 444 c.p.p., possa essere chiesta dalle parti anche nel caso in cui il contribuente abbia dato seguito di ravvedimento operoso. Ciò, in particolare, con riferimento ai delitti di cui al decreto medesimo, senza specifica distinzione di sorta; quindi con riferimento a tutti i delitti, anche quelli a condotta fraudolenta (ad esempio la dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, art. 2 d.lgs. 74/2000).

La specificazione rileva quanto al fatto che taluni reati tributari siano connotati da frode; ossia reati per cui la dichiarazione sia non rispondente al vero quanto frutto di una rappresentazione dichiarativa connotata da artifici o raggiri a nascondimento della realtà, per la finalità del risparmio d'imposta.

Il dettato letterale della norma induce così la considerazione che anche con riferimento ai reati tributari di frode il ravvedimento operoso integri la condizione del pagamento del debito tributario presupposta per la richiesta del patteggiamento.

Nulla di strano, almeno, in apparenza, se non che si faccia rilevare la previsione dell'altro articolo in commento, l'art. 13 del D.Lgs. n. 472/1997 (attinente le sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie), che parrebbe limitare la possibilità di accesso al ravvedimento operoso soltanto con riferimento ad ipotesi di dichiarazioni non rispondenti al vero quanto viziate da omissioni od errori; pertanto, non anche da fraudolenti condotte.

Dispone, così, l'articolo 13 del D.Lgs. n. 472/1997, che il contribuente possa dare seguito di rideterminazione della base imponibile che per errore od omissioni avesse indicato in maniera diversa dal vero.

La violazione potrebbe così essere sanata da un comportamento spontaneo del contribuente mediante versamento del dovuto oltre che di sanzioni ed interessi in misura ridotta.

Si noti, per l'accenno a seguire, che il ravvedimento operoso, per i tributi amministrati dall'Agenzia delle Entrate, a seguito della modifica dettata dalla legge 190/2014, è possibile fino alla notifica degli atti di liquidazione e di accertamento (comma 1-ter articolo 13 d.lgs. 472/1997; così negato il limite ostativo, la preclusione dell'inizio dell'attività di controllo (di cui al comma 1 del medesimo articolo).

Il coordinamento delle norme

Già la circolare ministeriale n. 180/1998, nonché oggi la circolare G.D.F. 1/2018, pur letture interpretative non indifferenti, assumono che l'operatività della previsione dell'articolo 13 del d.lgs. 472/1997 sia relativa alle sole ipotesi di dichiarazione che sia non veritiera quanto frutto di omissioni od errori; escludendo, quindi, che, dichiarazioni non veritiere frutto di comportamenti fraudolenti consentano accesso al ravvedimento operoso.

Per inciso, il ravvedimento operoso presenta il tratto della minore onerosità rispetto alle speciali procedure conciliative e di adesione all'accertamento, quanto le sanzioni vengono applicate in misura oltremodo ridotto rispetto alle speciali procedure conciliative; va da sé, dunque, almeno in certe condizioni, l'interesse alla sua adozione.

La previsione di cui al dettato dell'articolo 13-bis, comma 2, del d.lgs. n. 74/2000, diversamente, come ricordato, non sembra operare differenza di sorta.

Occasione di coordinamento dei due dettati normativi sembrerebbe essere l'estensione dell'operatività del ravvedimento operoso, che novella legislativa dovesse espressamente prevedere, senza il limite, per la rideterminazione della base imponibile, del solo errore od omissione.

Si preferisce non considerare, peraltro, l'intervento di coordinamento che dovesse prevedere l'aggiunta dell'inciso salvo che per i reati di frode fiscale alla dicitura secondo cui anche il ravvedimento operoso sia condizione per richiedere il patteggiamento, quanto limitativo della previsione, volendo diversamente conservare la previsione nella sua piena operatività non senza rinunciare all'ordinamento normativo, ossia ad un sistema “ordinato” di norme.

Il d.l. 138/2011 e la previsione del pagamento del debito tributario quale condizione per la richiesta del patteggiamento

La previsione del comma secondo dell'articolo 13-bis del d.lgs. 74/2000 trova originaria introduzione a far data dal 2011 in ragione della riforma dettata dal d.l. 138/2011, con la previsione dell'allora articolo 13, comma 2-bis.

Tale riforma ha condizionato l'accesso al rito del patteggiamento al previo pagamento del debito tributario; condizione che, in ragione della riforma ulteriore dettata dal d.lgs. 158/2015 ha aggiunto la previsione che anche in caso di ravvedimento operoso possa essere chiesto il patteggiamento.

La Corte costituzionale (n. 95/2015) ha avuto occasione di argomentare la legittimità della previsione (che appunto limita l'accesso al patteggiamento a condizione della ricorrenza della circostanza attenuante del pagamento del debito tributario) quanto la compressione del diritto di difesa, che il limite imposto all'accesso al rito la norma speciale comporta, non vulnera il nucleo essenziale del diritto di difesa.

Del resto, si dica che la stessa previsione dell'art. 444 c.p.p. attribuisce, con riferimento al alcuni elencati fatti di reato (comma 1-ter), alla restituzione integrale del profitto del reato, la valenza di condizione legittimante l'accesso al rito, diversamente, dunque, precluso.

Limiti alla richiesta di patteggiamento

La richiesta del rito del patteggiamento subisce limiti, che diremo, propri quanto dettati dall'istituto medesimo.

Limiti ulteriori, possono essere previsti da altre disposizioni, dunque, diremo speciali, quali ad esempio quelli imposti dalla normativa penale tributaria.

Il patteggiamento è istituto premiale di natura processuale. La diminuzione premiale non connota il fatto (di reato) nei suoi profili oggettivi e soggettivi, non ha natura di circostanza attenuante. Le condizioni di accesso al rito operano autonomamente dalle circostanze propriamente dette; rilevano così quanto dettate dal legislatore, dunque in termini di politica processuale penale.

Il legislatore che disciplini, con previsione speciale, un limite d'acceso al rito, induce limite all'accesso all'istituto premiale processuale.

La ricorrenza della circostanza speciale di cui al comma 1 dell'articolo 13-bis (il pagamento del debito tributario) è ragione di superamento del limite che, in materia di reati tributari, nega acceso al rito premiale; nonché il ravvedimento operoso, come dettato dal comma 2 dell'articolo 13-bis medesimo, previsione che appare scelta di politica processuale, condizione di accesso al rito.

La differenza tra circostanza attenuante e ravvedimento operoso

Pare doversi rilevare che l'assenza di previsione, nel comma 1 dell'articolo 13-bis, del riferimento espresso al ravvedimento operoso, gli neghi valenza di attenuante speciale.

Del resto, anche a volerlo considerare ricompreso nell'espressione “speciali procedure conciliative” (espressione letterale del comma 1 dell'articolo 13-bis, al cui accostamento sembra peraltro osti il fatto che il ravvedimento non necessita di conciliazione), che, appunto, sono ragione di riconoscimento dell'attenuante speciale del pagamento del debito tributario, non sarebbe dato comprendere perché il legislatore abbia voluto, diversamente, quanto al comma secondo, farne espresso riferimento. Ma, non solo, il legislatore ne ha fatto espressa menzione anche relativamente all'operare della causa di non punibilità.

A ipotizzarne dunque espressa menzione proprio con riferimento all'accesso al rito quale condizione legittimante (altra rispetto a quella integrante l'attenuante speciale), potremmo ritenere che il legislatore abbia voluto dare seguito di previsione oltremodo speciale quanto propria dell'istituto premiale e non anche attenuante della condotta, dunque irrilevante quanto a quei profili oggettivi e soggettivi, che il rito non connota; e che pur possono, diversamente, quanto all'accertamento tributario dare quel diverso segno per cui si vorrebbe la previsione dell'art. 13 D.Lgs. n. 472/1997, operativa solo con riferimento ad ipotesi di violazioni dovute ad errori od omissioni.

Per cui, in sostanza, parrebbe potersi assumere, senza rilievo di incongruenza, che, per un verso il fatto, quanto di frode, neghi accesso all'istituto “premiale” del ravvedimento operoso che prevede la condotta, dunque il fatto nella sua connotazione soggettiva (ed oggettiva) di omissione od errore (e così esclusa quella di frode), elemento determinante la possibilità della soluzione operosa (art. 13 d.lgs. 472/1997). Per altro verso che, indifferente sia la connotazione soggettiva ed oggettiva del fatto, dunque pur anche di frode, quanto alla diminuzione premiale del rito, condizionata da un ravvedimento operoso che non connotando il fatto di reato non può trovare, nel limite d'operatività dell'istituto tributario, ragione di mancata applicazione.

In tal modo si vorrebbe azzardare che il difetto di coordinamento sarebbe soltanto apparente.

La diversa argomentazione

Si potrebbe, così dunque, ovviare alla necessità di connotare il ravvedimento, nuova formulazione, quale istituto privo del carattere della spontanea resipiscenza che pur l'ha caratterizzato ante riforma del 2014, per assumere che lo stesso sia possibile anche con riferimento ad ipotesi di evasione con frode; quanto, dunque, a rilevare sia la volontarietà della decisione, di recepire i rilievi formulati in verifica, e non anche e necessariamente la spontaneità.

Diversamente argomentando, in sostanza, si potrebbe assumere che, oggi, il ravvedimento, così com'è possibile anche dopo l'inizio dell'accertamento, quindi ormai svincolato da criteri di “meritevolezza” legati alla condotta (dunque oggettiva, rappresentativa di un approccio soggettivo di resipiscenza spontanea, quanto ante conoscenza d'accertamento in corso), ben si attagli anche alle violazioni derivanti da frode e non solo a quelle dovute ad errore od omissione.

La possibilità, così, quindi, di ravvedere la propria dichiarazione anche a fronte di fatti di frode fiscale negherebbe valore al prospettato contrasto normativo; la possibilità di accedere al “patteggiamento”, per un reato di frode fiscale, a seguito di ravvedimento operoso troverebbe riscontro nella norma tributaria così interpretata.

Ma tale connotazione deve fare i conti con il tenore letterale della previsione espressa dello stesso art. 13 del d.lgs. 472/1997: regolarizzazione degli errori e delle omissioni è la formulazione letterale che individua la violazione sanabile.

Tale connotazione, ancora, mal si concilia con la previsione del ravvedimento operoso quale causa di non punibilità dei reati di infedele od omessa dichiarazione (art. 13, comma 1, d.lgs. n. 74/2000) che pur prevede, per la sua operatività, il limite temporale della formale conoscenza dell'inizio di qualunque attività ispettiva; quindi di un istituto che pur opererebbe conseguenze, proprio e solo nei casi di condotte evasive prive di fraudolenza e sol se dia il senso, il segno della resipiscenza spontanea, cui il limite temporale induce.

Sembra sia logico assumere che quanto meno con riferimento al contesto della rilevanza penale del comportamento di evasione fiscale, la connotazione soggettiva del ravvedimento assuma ancora la valenza di limite al suo operare; quantomeno laddove attenga l'operare della causa di non punibilità così come si vuole connessa (anche) all'elemento soggettivo del fatto di reato.

In conclusione

In conclusione, a soluzione del contrasto, tale dunque da sembrare solo apparente, si potrebbe assumere che il legislatore abbia voluto condizionare l'accesso al rito a una condotta, che pur prescinda da un accordo con l'erario (l'istituto è fattispecie legale di definizione delle sanzioni senza previo contradditorio), tesa alla regolazione volontaria, di segno inverso a quella illecita precedente, delle violazioni fiscali.

Di regolazione, del resto, trattasi, quando la condotta sia di rideterminazione della base imponibile (integrazione/rettifica della dichiarazione precedente) che, dalla contestazione tributaria (e comunque prima che vi sia già stata la notifica degli atti di liquidazione e di accertamento, preclusione di cui al comma 1 ter art. 13 .d.lgs. n. 472/1997), tragga indicazione; così, da eliminare il costo od assumere il ricavo omesso che vengano contestati (si pensi al costo portato dalla fattura che il PVC assuma emessa per operazioni inesistenti, piuttosto che..) pagare l'imposta (ancora) dovuta (oltre ad interessi e sanzioni), dunque eliminare la ragione stessa della relativa contestazione.

Meno rilevante apparirebbe, quindi, il condizionamento all'operatività del ravvedimento operoso, voluto dagli intepreti della previsione dell'articolo 13 d.lgs. 472/1997 e relativo al limite delle violazioni connotate da errori od omissioni.

Conferente apparirebbe, inoltre, anche la previsione che pare limitare l'operatività dell'attenunate speciale (la riduzione di pena fino alla metà) ai meccanismi di regolazione delle violazioni fiscali espressamente previsti dal primo comma dell'art. 13, tra quali non vi è cenno al ravvedimento operoso, del resto, comportamento consistente nella ripresentazione della dichiarazione corretta e non nel pagamento di un debito tributario già maturato a seguito dell'illecito commesso -ed accertato-.

Si direbbe, quindi, di un ravvedimento operoso che rileva penalmente proprio quanto e soltanto consenta di accedere allo sconto di pena connesso al rito premiale. Certo un ravvedimento operoso che pur rileva, quanto alla dichiarazione infedele, quale causa di non punibilità, solo peraltro se, in tal caso, effettuato “prima che l'autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dall'inizio di qualsiasi attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali” e comunque entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d'imposta successivo (articolo 13, comma 2); ma, non anche, quanto alla determinazione della pena, per cui rileva, diversamente il pagamento del debito tributario, compreso sanzioni e interessi, estinto anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all'accertamento previste dalle norme tributarie.

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