Trattenimento della caparra e configurabilità del reato di truffa

Lucia Randazzo
26 Luglio 2018

Quando il trattenimento della caparra costituisce una condotta penalmente rilevante? Da ultimo Cass. pen., Sez. II, 6 aprile 2017, n. 32699 si è pronunciata ribadendo il dominante indirizzo giurisprudenziale per cui risponde del reato di truffa colui che, trattenendo la caparra ricevuta dall'acquirente, non adempia all'obbligo di vendere assunto sulla base di un contratto preliminare di compravendita stipulato nella consapevolezza di non potere o volere adempiere ...

Quando il trattenimento della caparra costituisce una condotta penalmente rilevante? La mancata conclusione del contratto di acquisto può integrare il reato di truffa?

La risposta al quesito formulato è affermativa ma è necessario specificare i casi in cui la mancata restituzione della caparra assurga a condotta penalmente rilevante.

Da ultimo Cass. pen., Sez. II, 6 aprile 2017, n. 32699 si è pronunciata ribadendo il dominante indirizzo giurisprudenziale per cui risponde del reato di truffa colui che, trattenendo la caparra ricevuta dall'acquirente, non adempia all'obbligo di vendere assunto sulla base di un contratto preliminare di compravendita stipulato nella consapevolezza di non potere o volere adempiere (v. anche Cass. pen., Sez. II, 26 febbraio 2010, n. 14674; Cass. pen., Sez. III, 14 novembre 2006, n. 563):

«l'erroneità della prospettazione dei ricorrenti risulta peraltro dal fatto che la richiesta del doppio della caparra da parte delle parti offese costituisce una condotta contrattuale ordinaria. Dimentica il ricorrente che, ai sensi dell'art. 1385 c.c., se la parte che ha dato la caparra è inadempiente, l'altra può recedere dal contratto, trattenendo la somma consegnata a tale titolo; se inadempiente è invece la parte che l'ha ricevuta, l'altra può recedere dal contratto ed esigere il doppio della caparra. Il rifiuto opposto a tale richiesta, unitamente al rifiuto di risolvere il contratto costituisce elemento che concretizza il requisito del danno a carico del truffato, fermo restando che, in questo caso, il profitto era già stato incamerato tramite la riscossione dell'assegno».

Integra, dunque, il reato di truffa in contrahendo l'induzione a trattare l'acquisto di un auto instaurando trattative e fornendo un numero di telefono intestato a persona diversa nonché gli estremi di pagamento della caparra su una carta di credito senza poi consegnare la merce (si veda: tribunale La Spezia, 11 marzo 2014, n. 247).

È evidente, infatti, che un simile comportamento non è compatibile con la volontà di condurre a buon fine l'acquisto. In questi casi, motiva il tribunale, infatti non può parlarsi di una condotta che abbia una rilevanza meramente civilistica: all'accordo per la vendita del bene, si aggiungono la condotta connotata dalla volontà di non consegnare lo stesso bene, nonostante la ricezione del pagamento, e la condotta artificiosa e menzognera; «ciò non solo ha recato alla persona offesa un danno economico, ma altresì, in considerazione della sussistenza degli elementi oggettivi e dell'elemento soggettivo del delitto contestato, ha pienamente integrato la fattispecie di truffa in contrahendo».

Si realizza, inoltre, il delitto di truffa e non quello di insolvenza fraudolenta nel caso in cui la parte lesa sia stata tratta in errore mediante la creazione di una situazione artificiosa da parte dell'imputato, il quale non si sia limitato semplicemente a nascondere il proprio stato d'insolvenza ma abbia rappresentato, in un ampio arco di tempo, circostanze inesistenti e sia ricorso ad artifizi per farsi credere solvibile (si veda in tal senso, in questa rivista, nota di Carrelli Palombi Roberto, Cass. pen., Sez. II, 10 gennaio 2018, n. 8558).

La truffa si differenzia, inoltre, dal delitto di insolvenza fraudolenta perché nella truffa la frode è attuata mediante simulazione di circostanze e di condizioni non vere, create con artifici al fine di indurre in errore la vittima, mentre nel caso di insolvenza fraudolenta la frode si concretizza con la dissimulazione del reale stato di insolvenza dell'agente (Cass. pen., Sez. VII; ord. 16723/2015).

Nello specifico non integra il reato di insolvenza fraudolenta la condotta di colui che, trattenendo la caparra ricevuta dall'acquirente, non adempie all'obbligo di vendere assunto sulla base di un contratto preliminare di compravendita la cui stipula integra il diverso delitto di truffa nel caso in cui sussista il precostituito proposito di non adempiervi (Cass. pen.,Sez. II, n. 14674/2010).

La condotta tipica dell'insolvenza fraudolenta si distingue dalla truffa, sebbene sia caratterizzata dalla fraudolenza, perché non richiede la presenza degli artifici e raggiri previsti per l'integrazione del reato di truffa. In particolare sussiste la truffa contrattuale e non l'insolvenza fraudolenta in tutti i casi in cui la condotta dell'agente si sia realizzata mediante artifici e raggiri ulteriori e diversi rispetto all'occultamento del proprio stato di insolvenza. «Per meglio chiarire la nozione di ‘dissimulazione' propria dell'insolvenza fraudolenta, differenziandola dal concetto di ‘artificio' proprio della truffa, parte della dottrina ha posto l'accento sull'atteggiamento psicologico della vittima rispetto alla condotta dell'agente: nell'insolvenza fraudolenta il soggetto passivo viene a trovarsi in uno stato di ‘ignoranza', mentre nella truffa in quello di ‘errore'» (in Codice penale commentato a cura di Tullio Padovani, Milano, GIUFFRE' EDITORE, 2007, p. 4040, PEDRAZZI, 2, 266, MANTOVANI, 4, 749).

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.