Astensione degli avvocati nei processi con detenuti: incostituzionale la norma che rimanda al codice di autoregolamentazione

La Redazione
30 Luglio 2018

La Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionale l'art. 2-bis, l. 13 giugno 1990, n. 146, là dove consente che il codice di autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze degli avvocati, nel regolare l'astensione, interferisca con la disciplina della libertà personale. I Giudici costituzionali, dopo aver richiamato la riserva di legge stabilita dall'art. 13, Cost., in materia di libertà personale, ha preso atto che l'art. 2-bis, l. n. 146 del 1990, rimanda a una regola del codice di autoregolamentazione che produce effetti diretti sui termini di custodia cautelare, in violazione della riserva di legge. Di qui l'illegittimità costituzionale dell'art. 2-bis nella parte in cui consente – ossia non preclude - che il codice di autoregolamentazione interferisca con la disciplina legale dei limiti della custodia cautelare.

Incostituzionalità della norma che rimanda al codice di autoregolamentazione nel caso di astensione degli avvocati nei processi con detenuti. È incostituzionale la norma di legge che, rinviando al codice di autoregolamentazione, consentiva agli avvocati l'astensione dalle udienze nei processi con imputati detenuti. In base all'art. 13, Cost., infatti, soltanto il legislatore può intervenire in una materia che incide sulla libertà personale e stabilire la durata della custodia cautelare. Lo ha affermato la Corte costituzionale con la sentenza n. 180 depositata oggi (relatore Giovanni Amoroso) [27 luglio 2018, n.d.r.] nella quale si dichiara incostituzionale l'art. 2-bis, l. 13 giugno 1990, n. 146, là dove consente che il codice di autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze degli avvocati – adottato il 4 aprile 2007 dall'Organismo Unitario dell'Avvocatura e da altre associazioni (UCPI, ANF, AIGA, UNCC) e considerato idoneo dalla Commissione di garanzia sugli scioperi – nel regolare l'astensione interferisca con la disciplina della libertà personale.

La questione era stata sollevata dal Tribunale di Reggio Emilia nel cosiddetto maxiprocesso Aemilia con riferimento all'art. 2-bis, l. n. 146 del 1990, che riconosce il diritto dei difensori all'“astensione collettiva dalle prestazioni, a fini di protesta o di rivendicazione di categoria”, fermo restando il necessario “contemperamento con i diritti della persona costituzionalmente tutelati”, e, al contempo, affida alle associazioni o agli organismi di rappresentanza delle categorie interessate l'adozione di “codici di autoregolamentazione”. Ebbene, secondo l'art. 4, comma 1, lett. b) del codice di autoregolamentazione, il processo non può fermarsi se, malgrado l'astensione dell'avvocato, l'imputato in custodia cautelare chiede espressamente che si proceda. In sostanza, il giudice può respingere la richiesta di rinvio del difensore e andare avanti solo con il consenso espresso degli imputati detenuti. Se invece l'imputato non si oppone all'astensione, il processo è rinviato e i termini di custodia cautelare vengono sospesi, con il conseguente allungamento del periodo di restrizione della libertà personale, sia pure entro i limiti di durata complessiva prevista dalla legge. In tal modo, secondo il Tribunale l'imputato subisce restrizioni della libertà personale per motivi diversi da quelli espressamente considerati dalla legge.

La Corte costituzionale, dopo aver richiamato la riserva di legge stabilita dall'art. 13, Cost., in materia di libertà personale, ha preso atto che l'art. 2-bis, l. n. 146 del 1990, rimanda a una regola del codice di autoregolamentazione che produce effetti diretti sui termini di custodia cautelare, in violazione della riserva di legge. Di qui l'illegittimità costituzionale dell'articolo 2 bis nella parte in cui consente – ossia non preclude - che il codice di autoregolamentazione interferisca con la disciplina legale dei limiti della custodia cautelare.

(Fonte: www.cortecostituzionale.it)

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