Regolamento assembleare (obbligatorietà, approvazione e efficacia)Fonte: Cod. Civ. Articolo 1107
29 Agosto 2018
Inquadramento
Il regolamento assembleare - peraltro, l'unico contemplato dal Legislatore codicistico - rappresenta lo “statuto convenzionale” del condominio - terminologia, un po' aulica, adoperata da Cass. civ., sez. II, 29 novembre 1995, n. 12342; Cass. civ., sez. II, 30 marzo 1990, n. 2590 - efficace solo nell'orbita dell'ente, cui devono richiamarsi tutti i singoli partecipanti al condominio medesimo, e chi vi entra a far parte, per il solo fatto di essere diventato condomino, automaticamente ne resta soggetto (d'altronde, con l'acquisto di un'unità immobiliare dello stabile, è annessa inscindibilmente la quota di comproprietà sulle parti comuni). Il condominio sorge pleno iure con il frazionamento, da parte dell'unico proprietario, di un edificio le cui unità immobiliari vengono attribuite a più soggetti in proprietà esclusiva, sicché la formazione del regolamento si inserisce, a sua volta, senza alcun carattere di preliminarità, nel novero delle attribuzioni demandate al potere deliberante dell'assemblea (che si autodisciplina per il futuro). A proposito del regolamento assembleare si parla anche di regolamento di origine “interna” - per contrapporlo a quello di origine “esterna” - per evidenziare che è il gruppo che si autorganizza, con un processo formativo che è tutto interno, dalla fase iniziale ad opera di uno o più condomini alla fase della discussione ed approvazione collegiale da parte dell'assemblea. Le difficoltà ricostruttive sorgono soprattutto per il fatto che il regolamento ha efficacia anche nei confronti dei proprietari che hanno dissentito alla sua approvazione (o non hanno partecipato all'assemblea che l'ha approvato), ed anche nei confronti degli aventi causa a titolo particolare da coloro che rivestivano la qualità di condomini al momento della sua adozione (comma 2 dell'art. 1107 c.c. richiamato dall'art. 1138, comma 3, c.c.), a prescindere dalla possibilità, normale, di essere modificato da persone diverse da quelle che l'hanno approvato e, eccezionale, di essere formato e revisionato ad opera dell'autorità giudiziaria. A ben vedere, l'art. 1138 c.c. è composto di quattro scarni capoversi - a seguito della l. n. 220/2012 diventati cinque - che stabiliscono soltanto quando debba essere predisposto, il contenuto dell'atto, le modalità per formarlo, approvarlo e impugnarlo, e i limiti della potestà regolamentare. In questa sede, si analizzeranno le principali problematiche in materia di obbligatorietà, approvazione ed efficacia di questo importante strumento di gestione del condominio. L'art. 1138, comma 1, c.c. prescrive che debba essere formato un regolamento, quando in un edificio il numero dei condomini è superiore a dieci (soglia, quest'ultima, rimasta invariata anche a seguito della Riforma del 2013, la quale ha, invece, innalzato da quattro a otto il limite per dotarsi obbligatoriamente di un amministratore, v. art. 1129, comma 1, c.c.). Tale numero va calcolato facendo valere per uno i comproprietari della stessa unità immobiliare: sarebbe, infatti, assurdo rendere obbligatorio un regolamento solo perché un appartamento appartenga, anziché ad una persona, a più soggetti; peraltro, il criterio che individua i diritti e gli obblighi dei singoli è quello della proprietà esclusiva, intesa in senso unitario (rispettivamente, artt. 1118 e 1123 c.c.), sicché potrebbe configurarsi incoerente far riferimento al criterio del numero dei titolari alla luce dell'ordinamento sistematico dell'istituto nel suo complesso. Pertanto, qualora si tratti di più comproprietari di un'unità immobiliare ancora indivisa, detti comproprietari devono essere conteggiati come una persona; tale soluzione appare convalidata anche dall'art. 67, comma 2, disp. att. c.c., che, ai fini della regolare costituzione dell'assemblea, per le delibere di sua competenza, stabilisce che, nell'ipotesi in cui un'unità immobiliare dell'edificio appartenga in proprietà indivisa a più persone, queste hanno diritto ad un solo rappresentante, che attualmente è designato dai comproprietari interessati a norma dell'art. 1106 c.c. (e non più, come in passato, per sorteggio da parte del presidente dell'assemblea). Persone, dunque, non intese dal punto di vista fisico, ma riguardate sotto il profilo della proprietà esclusiva e del conseguente “diritto di voto”: qualora un soggetto sia proprietario di più appartamenti non varrà il numero degli stessi, ma gli stessi vanno conteggiati come una sola unità, in quanto l'art. 1138, comma 1, c.c. prende come parametro il numero dei condomini e non le unità immobiliari costituenti il condominio. Ciò non esclude che, qualora il proprietario di più unità immobiliari ne venda una, superando il numero di dieci condomini, il regolamento da facoltativo diventa obbligatorio, e, di converso, se si concentra in un unico soggetto la proprietà di più unità immobiliari e il numero dei condomini scenda a meno di dieci, il regolamento da obbligatorio diventa facoltativo (permanendo, ovviamente, la sua efficacia fino a che non intervenga una delibera di modifica o di abrogazione da parte dell'assemblea); al contempo, se originariamente un'unità immobiliare apparteneva ad una sola persona e questa lo abbia diviso in più appartamenti in modo che il numero di questi in proprietà separata, entro lo stesso edificio e sommato a quello degli altri, sia superiore a dieci, la formazione del regolamento prima soltanto facoltativa, potrebbe diventare sùbito obbligatoria; del pari, nel caso in cui l'originario proprietario di più appartamenti lasci, con testamento, ciascuno di essi ad ognuno dei suoi figli. Dunque, tale obbligo sorge nell'ipotesi in cui i condomini dell'edificio, intesi come proprietari esclusivi, pro diviso, di una parte (locale, appartamento, piano) dell'edificio medesimo, siano più di dieci, e ciò indipendentemente dalle cause che abbiano potuto determinare tale distribuzione delle proprietà separate (acquisto per atto tra vivi, divisione, successione mortis causa), mentre per la sussistenza di tale presupposto concernente la consistenza, il condominio deve avere almeno undici partecipanti, senza che l'entità delle quote di proprietà di ciascuno abbia alcuna influenza.
Si fa, quindi, riferimento all'elemento soggettivo dei titolari, e non all'elemento oggettivo delle frazioni in cui è diviso il condominio, stante che lo scopo della formazione del regolamento è proprio dato dalla necessità di esso, laddove vi sia un gran numero di distinte persone e, dunque, più complessa l'amministrazione; in altri termini, attribuendo decisivo rilievo al numero dei condomini e non alla consistenza della proprietà esclusiva di ciascuno di essi, si è presupposto che, superato un certo limite - dieci, secondo l'assunto normativo - sarebbe stata congrua la redazione di uno statuto per la collettività condominiale. La disposizione dell'art. 1138 c.c. non esclude la possibilità di formazione, questa volta facoltativa, del regolamento nei condominii il cui numero dei partecipanti sia inferiore a undici, ossia dieci o meno (v., anche se datate, Cass. civ., sez. II, 28 luglio 1956, n. 2957; Cass. civ., sez. II, 7 giugno 1950, n. 1450), e ciò a prescindere dall'ipotesi in cui lo stesso regolamento sia stato predisposto dall'originario costruttore o proprietario dell'edificio. Atteso che, nei piccoli condominii, la predetta formazione è facoltativa, ne consegue, però, la mancanza di un corrispondente diritto del singolo partecipante, che non potrà ricorrere al giudice se l'assemblea respinge la relativa richiesta, o non si raggiunge la maggioranza necessaria per l'approvazione della relativa delibera, e tanto meno potrà chiedere che, a tale formazione, provveda direttamente il magistrato quando gli altri condomini restino indifferenti alla proposta di formarlo. In ordine al regolamento c.d. facoltativo, ossia rimesso all'autoregolamentazione dell'assemblea, alcuni (Peretti Griva) ritengono che non sarebbe sottoposto alle regole che la legge stabilisce per quello obbligatorio, perché l'art. 1138 c.c. detta specifiche norme che devono avere come presupposto la condizione prevista, mentre si manifesterebbero sproporzionate in un condominio di tre o quattro partecipanti e potrebbero comportare un'impossibilità di funzionamento (si pensi al raggiungimento del quorum); ne consegue che la maggioranza non potrebbe essere quella di cui al comma 3 del citato art. 1138, bensì quella di cui ai diversi commi dell'art. 1136 c.c., in dipendenza della specifica materia regolata, sicché, per approvare le singole clausole dello stesso regolamento, potrebbero rendersi necessari quorum differenziati (ad esempio, per la nomina e la revoca dell'amministratore la maggioranza di cui al comma 4, o quella del successivo capoverso qualora la clausola disciplinasse l'introduzione di innovazioni). È, invece, preferibile la tesi di chi (Visco) ritiene che, anche per l'approvazione dei regolamenti c.d. facoltativi, sia necessario il quorum di cui all'art. 1138, comma 3, c.c., quantomeno in forza di una naturale applicazione analogica, se non addirittura in virtù di un'applicazione diretta (ovviamente, non escludendo una convenzione unanime dei pochi condomini che disciplinino così le modalità di gestione del condominio): in fondo, entrambi i regolamenti, quello obbligatorio e quello facoltativo, adempiono alla stessa funzione e lo stesso art. 1138 c.c. nessuna distinzione introduce al riguardo, per cui deve richiedersi il raggiungimento della stessa maggioranza. In forza dell'art. 1138 c.c., l'organo legittimato alla formazione del regolamento è l'assemblea dei condomini: invero, salva la possibilità riconosciuta al comma 2 in capo a ciascun condomino di prendere la relativa iniziativa, il capoverso successivo prevede che: «Il regolamento deve essere approvato dall'assemblea con la maggioranza stabilita dal secondo comma dell'art. 1136 ed allegato al registro indicato nel numero 7) dell'articolo 1130. Esso può essere impugnato a norma dell'articolo 1107c.c.». L'obbligo contemplato da tale norma ha come naturale destinatario l'amministratore, il quale dovrà assumere le idonee condotte al riguardo - convocazione, ordine del giorno, idonea informazione sull'oggetto del discutere o sulle modalità con cui operare, eventuale previa trasmissione dello schema da esaminare, comunicazione della delibera agli assenti, ecc. - il che non esclude, però, che anche l'autorità giudiziaria possa intervenire nella formazione del regolamento. La predetta iniziativa in capo a ciascun condomino va interpretata nel senso che l'assemblea può essere convocata a pronunciarsi sull'approvazione del regolamento anche da parte del singolo, oltre che normalmente dall'amministratore, ma solo in caso di inerzia sul punto di quest'ultimo - e non direttamente - con ciò derogando solo il disposto dell'art. 66, comma 1, disp. att. c.c. che prescrive la previa richiesta all'amministratore medesimo ad opera di due condomini che rappresentino almeno un sesto del valore dell'edificio e l'inutile decorso di dieci giorni dalla predetta richiesta (salvo che manchi addirittura l'amministratore, ma allora il potere di convocazione diretta discende dal comma 2 dell'art. 66 citato). L'art. 1138, comma 3, c.c. si riferisce alla maggioranza necessaria per l'assemblea in prima convocazione, ossia la maggioranza degli intervenuti che rappresentino almeno la metà del valore dell'edificio, per cui potrebbe sorgere il problema se venga approvato in seconda convocazione. Alcuni ritengono che, in questa ipotesi, il regolamento possa essere approvato, in seconda convocazione, con la maggioranza prevista dal comma 3 dell'art. 1136 c.c., cioè con il minor numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno un terzo del valore dell'edificio (Peretti Griva, ad avviso del quale l'essersi ritenuta sufficiente la normale maggioranza, senza esigersi, nonostante l'importanza e la portata permanente del regolamento, uno speciale quorum, è dovuto al fatto che «il regolamento non costituisce che la disciplina sistematica degli atti di amministrazione, i quali non restano snaturati per il solo fatto di essere regolati in via continuativa, anziché in via frazionaria e contingente»). È, invece, preferibile ritenere che sia necessaria la maggioranza di cui al comma 2 sia in prima sia in seconda convocazione: è vero che, in questo caso, il codice civile, a differenza delle delibere previste dai commi 4 e 5 del medesimo art. 1136 c.c., non ha stabilito che è “sempre” necessario un determinato quorum, ma il maggior rigore si giustifica considerando la ben maggiore importanza rispetto alla singola delibera, stante che il regolamento è destinato a regolare - non singoli o isolati affari, bensì - tutta una serie di molteplici rapporti destinati a ripetersi nel tempo, provvedendo così per una serie di ipotesi attraverso valutazioni astratte che, per essere tali, esigono soluzioni di più vasto consenso e una partecipazione di interessi che permetta ampie discussioni e un maggior incrocio di esperienze (Ruscello, secondo il quale se il Legislatore avesse voluto stabilire, anche per l'approvazione del regolamento, l'applicabilità delle maggioranze per le normali delibere assunte in prima o in seconda convocazione, il comma 3 dell'art. 1138 c.c. sarebbe una disposizione superflua, mentre, invece, avrebbe una giustificazione logica se interpretata nel senso che, in ogni caso, e quindi anche in sede di assemblea di seconda convocazione, per l'approvazione del medesimo regolamento si richieda la maggioranza di cui al comma 2 dell'art. 1136 c.c.). L'art. 68 disp. att. c.c. prevede, però, che il regolamento di condominio debba anche precisare il valore di ciascuna unità immobiliare e che tali valori siano riportati nelle tabelle millesimali da allegarsi al regolamento stesso: tali tabelle, da un lato, facilitano il conteggio della ripartizione delle spese nelle ipotesi di cui agli artt. 1123, 1124 e 1126 c.c., e, dall'altro, agevolano il calcolo dei quorum personali e reali necessari per il funzionamento dell'assemblea ex art. 1136 c.c. Stante, però, il loro contenuto, che incide sul diritto di proprietà dei singoli partecipanti, per l'approvazione delle tabelle de quibus occorrerebbe la totalità dei consensi (richiedendosi, se del caso, una duplice approvazione); in realtà, quello che, poi, risulta decisivo sarà non tanto il poter essere approvate a maggioranza dall'assemblea, come il regolamento cui vanno allegate, o di dover essere approvate da tutti i partecipanti, con un atto che si configura come un negozio di accertamento, quanto piuttosto l'assetto degli interessi disciplinati. Il problema nasce dal fatto che l'espressione in millesimi delle quote di comproprietà (rilevante ai fini della determinazione dei quorum) spesso non preesiste all'adozione del regolamento, stante che è proprio quest'ultimo che deve esprimere le predette tabelle; in giurisprudenza (Cass. civ., sez. II, 26 gennaio 1978, n. 1946) si è sostenuto che, comunque, la validità delle delibere non possa essere condizionata dalla mancata approvazione delle tabelle, per lo più costituente un atto successivo - salvo far riferimento alla regola della presunzione dell'eguaglianza delle quote ex art. 1101, comma 1, c.c. - poiché il criterio di identificazione della quota di partecipazione al condominio, rappresentato dal rapporto tra il valore della proprietà singola e il valore dell'edificio, esiste prima ed indipendentemente dalla formazione delle medesime tabelle. Sempre riguardo al comma 3 dell'art. 1138 in commento, la seconda parte di tale capoverso continua a prescrivere che il regolamento assembleare «può essere impugnato a norma dell'art. 1107 c.c. »- norma contemplata in materia di comunione - che prevede la possibilità, per i partecipanti dissenzienti e assenti alla delibera di approvazione del regolamento, di impugnare quest'ultimo davanti all'autorità giudiziaria entro trenta giorni, decorrenti, per i primi, a cui ora vanno aggiunti gli astenuti, dalla riunione e, per i secondi, dalla comunicazione della decisione, essendo per questi ultimi irrilevante il fatto che siano a conoscenza aliunde dell'esistenza del predetto regolamento (ad avviso di Andreoli, il Legislatore ha voluto esonerare l'amministratore dall'osservanza delle forme previste per la notifica degli atti giudiziari, consentendo la più ampia libertà nella scelta del mezzo idoneo a portare a conoscenza dei condomini non intervenuti in assemblea la delibera di approvazione del regolamento). Va, comunque, esclusa la possibilità di una comunicazione effettuata oralmente, in quanto tale comunicazione deve avere la stessa forma scritta dell'atto, verbale e regolamento, il cui contenuto viene portato a conoscenza del destinatario. Quindi, l'efficacia del predetto regolamento, avendo inizio dalla scadenza dei relativi termini di impugnazione, se decorre in tempi diversi per ciascun condomino (dissenziente/astenuto o assente), dovrebbe operare dopo la scadenza più lontana (nelle more, ossia durante tutto il periodo di tempo in cui vige la possibilità di impugnarlo, il regolamento non è efficace), mentre, se è stata fatta opposizione, la stessa decorrerà dal passaggio in giudicato della sentenza che disattende l'impugnazione (l'art. 1107, comma 1, c.c. prescrive, infatti, un'unica sentenza qualora il giudice decida su una pluralità di opposizioni). Si è, al riguardo, affermato (Triola) che tale impugnazione non sospende l'efficacia del regolamento, a differenza di quanto accade per l'impugnazione delle delibere riguardanti un singolo affare, delle quali solo il giudice può sospendere gli effetti in pendenza del giudizio (art. 1137, comma 3, c.c.): in realtà, se il regolamento acquista efficacia solo dopo che è scaduto il termine per la proposizione dell'impugnazione, quest'ultima non sospende un'efficacia già esistente, ma la ritarda soltanto. Il comma 2 dell'art. 1107 c.c. - anch'esso richiamato dall'art. 1138, comma 3, c.c. - statuisce, inoltre, che, decorso inutilmente il termine per fare opposizione, il regolamento «ha effetto anche per gli eredi e gli aventi causa dei singoli partecipanti» (che, ovviamente, a loro volta, potranno modificarlo osservando tutte le formalità prescritte per l'approvazione). La norma in commento trova la sua ratio nell'individuata natura del regolamento contenente norme giuridiche, che rimangono in vigore pur allorquando vengano a cambiare i connotati della compagine condominiale, ossia i soggetti dell'ordinamento all'interno del quale sono destinate ad avere efficacia (fenomeno, quest'ultimo, tutt'altro che infrequente). In altri termini, il regolamento assembleare è legge interna del condominio, per cui chi vi entra ne resta automaticamente soggetto solo perché è divenuto condomino (prescindendo, quindi, da una qualsiasi loro adesione o altra forma di pubblicità): avendo un contenuto meramente “gestorio” nei limiti delle materie predeterminate dalla legge, il regolamento assembleare vincola tutti partecipanti “attuali”, compresi i dissenzienti, gli astenuti e gli assenti, ed i partecipanti “futuri”, ossia coloro i quali verranno a far parte del condominio (eredi ed aventi causa). Dunque, la sopra evidenziata natura “normativa” delle disposizioni del regolamento assembleare implica la risoluzione del problema della loro cogenza nei confronti di coloro che, in tempi successivi, entreranno a far parte del condominio, sicché non sorge la necessità di mettere i terzi in condizione di conoscere il predetto regolamento; l'efficacia di quest'ultimo rispetto ai successivi acquirenti, tenuti ad un suo puntuale rispetto, deriva direttamente dalla legge, ossia dal valore normativo riconosciuto dal combinato disposto di cui agli artt. 1107, 1138 e 1139 c.c., rendendo superflua ogni forma di pubblicità. Quindi, i regolamenti approvati a maggioranza, purché nell'esplicazione delle funzioni assembleari, riguardanti la mera gestione e non incidendo sui diritti dei condomini, non devono essere trascritti; del resto, «poiché essi contengono norme d'amministrazione e di gestione del condominio, non si vede cosa si dovrebbe trascrivere» (così Branca): non toccando i diritti di godimento dei singoli sui beni di proprietà esclusiva o comune, non contengono nulla di trascrivibile, né producono nessuna delle vicende menzionate nell'art. 2643 c.c. che esige la trascrizione (limitata soltanto ad alcuni atti di autonomia privata). Del pari, alcuna influenza sull'efficacia o pubblicità ai terzi del suddetto regolamento riveste l'ulteriore formalità, in toto di valenza privata, contemplata nell'art. 1138, comma 3, c.c. (nuovo testo), ossia l'allegazione nel registro delle assemblee, indicato nel n. 7) dell'art. 1130 c.c. e curato dall'amministratore, con ciò non escludendo che il futuro condomino possa ottenere dal venditore ogni informazione utile circa il condominio in cui entrerà a far parte (sul precedente registro previsto dall'art. 1129 c.c., v. Cass. civ., sez. II, 15 aprile 1999, n. 3749; Cass. civ., sez. II, 4 febbraio 1999, n. 985; Cass. civ., sez. II, 1 ottobre 1997, n. 9564). Casistica
Corona, I regolamenti di condominio, Torino, 2004, 4; Nicoletti - Redivo, Il regolamento e l'assemblea nel condominio degli edifici, Padova, 1994, 6; Ruscello, I regolamenti di condominio, Napoli, 1980, 51; Andreoli, I regolamenti di condominio, Torino, 1961, 12; Peretti Griva, Il condominio di case divise in parti, Torino, 1960, 516. |