Regolamento di condominio (limiti)Fonte: Cod. Civ. Articolo 1138
13 Marzo 2019
Inquadramento
L'attuale penultimo comma - prima della l. n. 220/2012, era l'ultimo - dell'art. 1138 c.c. stabilisce un duplice ordine di limiti al potere dispositivo delle norme del regolamento di condominio: «Le norme del regolamento non possono in alcun modo menomare i diritti di ciascun condomino, quali risultano dagli atti di acquisto e dalle convenzioni, e in nessun caso possono derogare alle disposizioni degli articoli 1118, comma 2, 1119, 1120, 1129, 1131, 1132, 1136 e 1137 c.c.» Il disposto in esame, quindi, contempla due distinte disposizioni, l'una generica e l'altra specifica: la prima esclude che i regolamenti possano menomare i diritti di ciascun condomino, quali risultano dagli atti di acquisto e dalle convenzioni, e la seconda dichiara inderogabili, in nessun caso, le disposizioni del codice civile sopra richiamate (in dottrina, Peretti Griva, secondo il quale «la prima appare limitare la sua portata ai diritti di ogni condomino, con carattere evidentemente privatistico, lasciando, quindi, del tutto integre le posizioni dei singoli di fronte al contratto condominiale, che è legge tra le parti e, quindi, fonte di diritti; la seconda, invece, appare essere assoluta ed incondizionata, mostrando di voler esigere sempre, e pertanto anche di fronte al consenso unanime dei partecipanti, il rispetto delle disposizioni richiamate»). In ordine al regolamento assembleare, d'altronde, l'espressa previsione nel comma 1 dell'art. 1138 c.c. delle materie che ne possono essere oggetto esclude, a contrario, che lo stesso possa menomare le posizioni soggettive dei singoli condomini; invece, il regolamento contrattuale può sottoporre a limitazioni l'esercizio dei poteri e delle facoltà, che normalmente caratterizzano il contenuto del diritto di proprietà, tanto sulle parti comuni, quanto sulle unità immobiliari di proprietà esclusiva, traendo validità ed efficacia dal consenso degli interessati, purché espresso nella forma richiesta dalla natura di ciascuna limitazione (Branca, ad avviso del quale «poiché ciascun condomino può disporre dei propri diritti, niente gli impedisce di rinunciare ad essi in tutto o in parte, e chi vi rinuncia in un regolamento votato anche da lui, non potrà lamentarsene più tardi»), ma si esclude che lo stesso possa derogare alle disposizioni riguardanti l'organizzazione del gruppo o la dinamica dell'amministrazione. Il potere di gestione e di disposizione
Prima, però, di affrontare il primo ordine di limiti, vale la pena richiamare le tesi relative al potere di disposizione e di gestione all'interno dell'istituto del condominio, perché ciò ci consentirà di comprendere e, quindi, circoscrivere, i poteri regolamentari. Il potere di “disporre” dei profili attivi e passivi della situazione soggettiva di condominio è riservato, nel nostro ordinamento, all'autonomia privata, mediante i contratti di compravendita delle singole unità immobiliari di cui è composto lo stabile, stipulati tra il costruttore del secondo e gli acquirenti delle prime, nonché mediante convenzioni poste in essere successivamente da tutti i partecipanti al condominio (Corona). Sotto il profilo attivo, l'art. 1118, comma 1, c.c. (sostanzialmente invariato anche a seguito della Riforma) fa riferimento al “titolo” - costituito appunto dai suddetti negozi di trasferimento e convenzioni totalitarie - il quale può determinare la misura del diritto di ciascun condomino sulle cose comuni, conseguendone che l'assemblea non può, a maggioranza, modificare la proporzione rappresentata tra il valore delle singole unità immobiliari e quello dell'intero edificio; sotto il profilo passivo, in forza dell'art. 1123, comma 1, c.c., soltanto per contratto è possibile derogare al criterio secondo cui il contributo di ciascun condomino alle spese per la conservazione delle parti comuni è proporzionato al valore della propria unità immobiliare, non potendo una deliberazione maggioritaria costringere il singolo a concorrere alle medesime spese in misura diversa da quella relativa alla quota di appartenenza. L'assemblea è, invece, competente in ordine al settore della “gestione”, nel quale le deliberazioni, assunte con il metodo collegiale e con il principio maggioritario, restano vincolanti per tutti i condomini, anche per quelli che non le hanno approvate (dissenzienti e astenuti) e per quelli che non hanno preso parte alla relativa riunione (assenti); l'assemblea non può disporre, però, dei diritti che ai singoli sono attribuiti dalla legge, dagli atti di acquisto e dalle convenzioni - oltre che con deliberazioni riguardanti i casi di specie, per quel che ci interessa più da vicino, anche - con norme regolamentari di carattere generale, così come sono invalide le statuizioni assembleari che colpiscono i diritti del singolo, altrettanto dicasi per le disposizioni regolamentari che abbiano lo stesso difetto. Il legislatore usa il verbo “menomare” che non va inteso nel senso più ampio di ridurre, diminuire, intaccare, ma nel significato più rigoroso di far mancare o venir meno, ossia impedire: in quest'ottica, l'assemblea, approvando una clausola regolamentare, non può impedire l'uso delle cose comuni, ma può diminuire l'esercizio di tale uso, apportando limitazioni che non lo impediscono. Argomentando dall'art. 1102, comma 1, c.c., che consente a ciascun partecipante di servirsi della cosa comune purché «non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto», si ritiene che l'accezione adoperata dal legislatore, se correttamente intesa, permette al singolo di utilizzare la cosa comune (apportandovi anche delle modifiche), vietando solo l'uso che rende impossibile il godimento altrui, e non quell'uso che semplicemente limita il godimento altrui. Nella stessa prospettiva, l'assemblea può deliberare innovazioni sulla cosa comune ex art. 1120, comma 1, c.c., le quali possono anche determinare diminuzioni o riduzioni non insignificanti all'esercizio dei diritti individuali, che non può, tuttavia, essere impedito del tutto - v., sul punto, l'attuale comma 4 dello stesso disposto, laddove vieta quelle innovazioni che «rendano talune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso o al godimento di un solo condomino» (nella comunione, con l'art. 1108 c.c., si assiste a limiti meno severi, inibendo solo quelle opere che possano provocare un pregiudizio ad alcuno dei partecipanti o importino una spesa eccessivamente gravosa) - sicché il regolamento assembleare non può incidere sulla titolarità del diritto, potendo operare sull'esercizio, che date limitazioni può, invece, subirle: pertanto, la competenza del collegio può giungere fino a stabilire limitazioni, che possono diminuire o ridurre, senza impedirlo, l'esercizio dei poteri e delle facoltà inerenti al contenuto del diritto. Del resto, il potere dell'assemblea di stabilire limitazioni all'uso ed al godimento delle parti comuni dell'edificio, in funzione della migliore utilizzazione o del miglior godimento delle parti comuni, si desume anche dal fatto che al collegio è attribuita la competenza “generale” in ordine all'amministrazione delle cose comuni; ad esempio, spettando all'amministratore la disciplina dell'uso delle cose comuni e la prestazione dei servizi (art. 1130, n. 2, c.c.) ed essendo ammesso ricorso avverso i provvedimenti in materia all'assemblea (art. 1133 c.c.), quest'ultima può disciplinare direttamente il godimento delle cose comuni, come può, sempre a maggioranza, approvare il regolamento che appunto si occupi di tale uso; in tema di innovazioni, quindi, si manifesta il più ampio potere riconosciuto all'assemblea in ordine alla “gestione” dinamica delle cose comuni: trattasi di un potere abbastanza esteso ed incisivo, che, però, va esercitato circoscrivendolo nell'alveo delle attribuzioni demandate all'assemblea stessa. La legittimità della clausola regolamentare dipenderà, quindi, dal suo oggetto, secondo che riguardi la “gestione” o sconfini nella “disposizione”, settore quest'ultimo devoluto, invece, esclusivamente all'autonomia privata (Corona). Gli atti di acquisto e le convenzioni
Gli “atti di acquisto” richiamati dall'art. 1138, comma 4, c.c., dai quali i singoli condomini derivano diritti “inderogabili” da parte del regolamento assembleare, sono solo quelli anteriori alla formazione del medesimo regolamento, ossia quegli atti di alienazione delle singole unità immobiliari a favore di persone diverse, compiuti dall'unico proprietario dell'edificio, o anche gli atti precedenti la costruzione dell'edificio, con i quali il proprietario del suolo, dopo averlo lottizzato, aliena i singoli lotti a persone diverse, imponendo che le unità immobiliari che sorgeranno abbiano determinate caratteristiche o destinazioni (Salis). Se, infatti, il regolamento fosse predisposto dall'unico proprietario dell'edificio e fosse richiamato nell'atto di acquisto del singolo appartamento come parte integrante di tale atto, l'efficacia vincolante delle clausole in esso contenute deriverebbe dal fatto stesso della loro inserzione, come clausole contrattuali vere e proprie, nell'atto di acquisto; se, invece, gli acquirenti di un appartamento, nel comprarlo, hanno preteso dal proprietario dell'edificio il riconoscimento di un loro diritto su talune parti dell'immobile - si pensi al diritto di aprire date porte o finestre - facendone esplicita menzione nell'atto di acquisto, la maggioranza dei partecipanti, formando in seguito il regolamento, non sarebbe legittimata a privare il singolo proprietario dell'esercizio di tali diritti. Le “convenzioni”, anch'esse richiamate nel penultimo capoverso dell'art. 1138 c.c., da cui deriverebbero posizioni giuridiche inderogabili da parte del regolamento, sono i contratti che fanno nascere quei diritti che un condomino abbia consentito all'altro sulle cose di sua proprietà, o che tutti i condomini insieme abbiano consentito ad uno o più tra essi sulle cose comuni; così, ad esempio, se i partecipanti hanno costituito sul cortile o sul lastrico solare un diritto di servitù a favore di uno, il regolamento successivo, approvato a mera maggioranza, non potrebbe vietare o ostacolare l'esercizio di tale diritto. Il comma 4 dell'art. 1138 c.c. - accanto agli atti di acquisto e alle convenzioni, sopra analizzati - non menziona espressamente i diritti attribuiti ai singoli condomini dalla “legge”, in quanto, avuto riguardo alla disciplina complessiva dell'istituto dettata dal codice civile, la ripetizione sarebbe stata superflua, essendo stabilita in modo esplicito da altre norme l'inderogabilità, ad opera della maggioranza, dei diritti attribuiti ai condomini immediatamente dalla legge; invero, prevedendo tale derogabilità esclusivamente per titolo o per convenzione, si stabilisce implicitamente l'intangibilità da parte dell'assemblea, tramite deliberazioni o disposizioni regolamentari (ad esempio, gli artt. 1117, 1123 e 1127 c.c.). In questa prospettiva, non appaiono corrette quelle aperture giurisprudenziali in base alle quali il regolamento non contrattuale possa imporre o vietare ai condomini un determinato comportamento, in ordine all'uso, alla manutenzione e all'eventuale modifica delle parti di proprietà esclusiva nella misura in cui si rende necessario per tutelare gli interessi generali dei condomini. Si tratta, infatti, di restrizioni delle facoltà inerenti alla proprietà esclusiva dei singoli condomini, sicché risulta eccessivo conferire tale potere all'assemblea, in forza di un'interpretazione estensiva dell'art. 1138, comma 1, c.c., che assegna al regolamento l'idoneità a disciplinare “tutti” gli interessi comunque afferenti all'edificio soggetto al regime di condominio. Sul punto, si replica (Salis) che, in tal modo, si viene a disconoscere la funzione del regolamento, che, tra l'altro, deve contenere «norme circa l'uso delle cose comuni … per la tutela del decoro dell'edificio e quelle relative all'amministrazione», impedendo ai condomini di regolare gli interessi di tutti, quando la loro disciplina esige forme più articolate e complesse; invece, anche il regolamento approvato a maggioranza può prevedere disposizioni concernenti il godimento e la destinazione delle unità immobiliari di proprietà esclusiva, purché le stesse siano necessarie per circoscrivere l'uso delle cose/impianti/servizi comuni nei limiti della quota di ciascuno: in pratica, nel godimento del suo appartamento, il proprietario sarà tenuto ad osservare quelle limitazioni che valgano a consentire agli altri condomini un eguale godimento delle cose comuni, in funzione del godimento dei rispettivi appartamenti. Non si nasconde, però, che, così ragionando, ossia ammettendo che il regolamento non contrattuale possa dettare regole sul godimento e sulla destinazione delle cose proprie, si ammette, in concreto, la menomazione dei diritti di proprietà dei singoli (derivati dalla legge, dagli atti di acquisto e dalle convenzioni) rispetto ai quali l'assemblea non ha alcun potere di interferenza (v. supra). Invero, i poteri dell'assemblea, fissati tassativamente dal codice, non possono interessare la sfera di proprietà dei singoli condomini, in ordine sia alle cose comuni sia a quelle esclusive, tranne che una siffatta “invasione” venga da loro specificatamente accettata, o nei singoli atti di acquisto, o mediante approvazione espressa del regolamento che la preveda; in quest'ottica, appare generica l'affermazione secondo cui la disciplina del godimento delle unità immobiliari esclusive è ammissibile da parte del regolamento assembleare «se ha funzione strumentale, ossia se indirettamente mira ad assicurare il godimento delle cose, impianti e servizi comuni da parte dei condomini e impedire che vengano arrecati pregiudizi» (così Corona, secondo il quale la necessità di non impedire a tutti i condomini il pari uso delle cose/impianti/servizi comuni rappresenta il punto di equilibrio tra i diritti dei singoli e i poteri dell'assemblea e, quindi, il limite dell'intervento del collegio nella disciplina delle unità immobiliari). In altri termini, il riconoscimento di questi poteri più incisivi in capo all'organo gestorio collide con la rigida distinzione tra i distinti ambiti - sopra evidenziati - della “disposizione”, riservata gelosamente ai singoli condomini (e alla loro autonomia negoziale), e della “gestione”, di competenza dell'assemblea (la problematica attinente ai limiti della potestà regolamentare è stata affrontata dalla giurisprudenza soprattutto per quel che concerne la tutela del decoro architettonico). La disciplina legislativa inderogabile
La parte finale del penultimo comma dell'art. 1138 c.c. stabilisce l'inderogabilità assoluta - «…in nessun caso possono derogare… » - da parte del regolamento (sia assembleare che contrattuale) di alcune disposizioni del codice civile, poste a tutela di fondamentali interessi del condominio o dei terzi. Trattasi di materie che eccedono la mera gestione del condominio e, comunque, tutelano interessi fondamentali della collettività o dei terzi, esprimendo principi di ordine pubblico, sicché il legislatore esige che, almeno in tali settori, tutti i condominii siano disciplinati in maniera uniforme (v., tra le altre, Cass. civ., sez. II, 9 novembre 1998, n. 11268, e, tra le più remote, Cass. civ., sez. II, 3 marzo 1961, n. 443); «se il codice avesse taciuto, a nessuno sarebbe venuto in mente di ritenerle derogabili con un regolamento, per cui è probabile che l'art. 1138, comma 4, c.c. le abbia richiamate per affermarne l'intangibilità assoluta» (così Branca; ad avviso di Salis, le disposizioni enunciate negli artt. 1138, comma 4, c.c. e 72 disp. att. c.c. non possono essere modificate perché muterebbero la figura stessa del condominio delineata dal legislatore e consentirebbero una regolamentazione del tutto arbitraria). Peraltro, alcune delle norme richiamate o non disciplinano affatto la gestione del condominio e perciò non contengono materia “regolamentare”, stabilendo il collegamento tra le unità immobiliari di proprietà esclusiva e la situazione soggettiva di condominio, sancito dall'irrinunciabilità del diritto sulle parti comuni quale strumento per sottrarsi all'obbligazione di contribuire alle spese e dall'indivisibilità delle cose, impianti e servizi comuni (rispettivamente, artt. 1118, comma 2, e 1119 c.c.), oppure sono tali che chi le derogasse stabilmente minaccerebbe addirittura la vita del condominio (art. 1136, comma 6, c.c.).
Comunque, la disposizione di carattere “speciale” contenuta nel penultimo comma dell'art. 1138 c.c. riguarda l'inderogabilità delle norme concernenti, immediatamente o in modo mediato, i principi fondamentali che denotano la tipicità dello stesso condominio (con la sua gestione dinamica in riferimento ai suoi strumenti operativi), che non può essere alterata nelle sue linee essenziali né dall'assemblea che delibera a maggioranza né dall'autonomia privata con atti negoziali; relativamente alla situazione soggettiva di condominio, l'ordinamento prestabilisce un paradigma legale, delineato dai diritti e dalle obbligazioni dei partecipanti, dall'organizzazione del gruppo (contrassegnata dai poteri dell'amministratore e dalla competenza dell'assemblea), nonché dal contemperamento tra gli interessi individuali e gli interessi che fanno capo a tutti, assetto che non può essere modificato neppure per contratto (secondo Corona, la ragione decisiva va trovata nel fatto che «la deroga inciderebbe sui fondamentali principi ordinanti dell'istituto e menomerebbe la tipicità del condominio negli edifici», stante che le norme richiamate da tali articoli riguardano determinati poteri e facoltà inerenti alla situazione soggettiva di condominio e taluni aspetti dell'organizzazione del gruppo). Si è, altresì, osservato che, ammettendo la derogabilità di tali disposizioni, si consentirebbe la possibilità di frustrare quelle finalità di omogenea disciplina dei rapporti condominiali che il legislatore si è prefisso di realizzare (Andreoli, secondo il quale le disposizioni dei regolamenti contrattuali, che non tenessero conto delle limitazioni previste dal legislatore, sarebbero nulle per contrasto con norme imperative); in buona sostanza, il legislatore, stabilendo l'inderogabilità, non si è tanto preoccupato della volontà dei condomini (anche se unanime), quanto della tutela degli interessi collettivi, collegati ad un'armonica coesistenza dei rapporti condominiali. Alla luce delle nuove disposizioni introdotte dalla Riforma, ci si è sùbito interrogati della sorte di tutti quei regolamenti che contenevano clausole di contenuto contrario. Tale questione sconta, purtroppo, il fatto che la l. n. 220/2012 non offre una disciplina transitoria analoga a quella disposta con l'art. 155 disp. att. c.c. il quale, nei confronti dei regolamenti formati anteriormente all'entrata in vigore del codice civile (28 ottobre 1941), aveva sancito il caducamento delle relative disposizioni contrarie alle norme inderogabili richiamate dall'allora ultimo comma dell'art. 1138 c.c., in pratica, estinguendo in radice ogni possibile dubbio sulla retroattività o meno dei nuovi precetti (Cass. civ., sez. II, 19 ottobre 1961, n. 2246, con particolare riferimento all'art. 1129 c.c.). A ciò si aggiunga il fatto che il legislatore si è dimenticato di aggiornare l'elenco del comma 4 dell'art. 1138 c.c., che appunto contempla le norme del codice civile che le disposizioni del regolamento “in nessun caso” possono derogare; in particolare, non si è accorto che alcune norme sono mutate nella loro articolazione (si pensi all'art. 1108 c.c. che ha raddoppiato gli originari due commi, in ordine alla problematica del distacco dall'impianto di riscaldamento centralizzato), oppure che altre sono vere e proprie new entry (si pensi a tutte le norme inserite con la tecnica della novellazione, come bis, ter, quater, laddove il caso più clamoroso riguarda l'art. 71-bis disp. att. c.c. relativo ai requisiti per esercitare l'attività di amministratore). Si tratta, quindi, di verificare se le clausole di tali regolamenti mantengono la loro ultrattività nonostante l'entrata in vigore della novella oppure diventino inefficaci in parte qua. L'opzione interpretativa è nel senso che le clausole dei “vecchi” regolamenti, ossia redatti prima del 18 giugno 2013 ma destinati a disciplinare rapporti condominiali successivi, debbano comunque adeguarsi alle sopravvenute confliggenti disposizioni inderogabili, a pena della loro inefficacia, laddove, invece, gli stessi rapporti consumatisi nel vigore della precedente normativa rimangono intangibili (come, peraltro, quelli coperti da giudicato). Invero, non sembra affatto frustrare il principio di irretroattività un'interpretazione che conduca ad affermare l'operatività della Riforma per i regolamenti ad essa anteriori, impedendo che gli stessi continuino a disciplinare l'uso delle cose comuni, la ripartizione delle spese e il rapporto di amministrazione secondo modalità divenute contra legem, senza ovviamente travolgere gli effetti esauriti; in pratica, si tratta di distinguere il fatto generatore del rapporto condominiale, soggetto alla legge del suo tempo, e la disciplina degli effetti del medesimo rapporto, assoggettati alla legge in cui si realizzano, comportando la nullità delle disposizioni regolamentari in contrasto con la nuova normativa. Qualora, invece, i preesistenti regolamenti contengano rimandi numerici ad articoli, o richiami di rubriche, o rinvii a disposizioni della previgente disciplina codicistica, o addirittura la riproduzione del testo normativo, occorrerà, secondo i noti canoni ermeneutici, ricostruire l'intenzione comune dei partecipanti, non limitandosi al senso letterale delle parole ed esaminando lo strumento regolamentare nel suo complesso, in modo da verificare se i condomini avessero voluto riferirsi alla legge comunque in vigore, sì da spostare l'integrazione recependo il novellato sistema legale, o se, per contro, essi pensarono di applicare proprio la regola del codice civile a quel tempo imperante, la quale rimarrebbe perciò obbligatoria nelle relazioni condominiali, salvo che non ricorra la sanzione di una sua sopravvenuta invalidità In altri termini, nell'ipotesi in cui si è inteso riferirsi alla norma vigente, cambiando quest'ultima, cambierà anche l'effetto del richiamo, mentre, nell'ipotesi in cui si è voluto richiamare quella regola iuris, quest'ultima persisterà purché rientrante nel novero delle disposizioni derogabili. Casistica
Belli - Meo, Regolamento di condominio, contratto di locazione e divieto di detenzione di animali, in Immob. & proprietà, 2014; Salciarini, Il distacco unilaterale dall'impianto di riscaldamento: tra clausola di divieto e risparmio energetico, in Immob. & proprietà, 2012, 221; De Tilla, Sulla rinuncia al diritto sulle cose comuni, in Rass. loc. e cond., 2005, 149; Corona, I regolamenti di condominio, Torino, 2004; Santersiere, Assemblea del supercondominio e inderogabilità delle sue attribuzioni essenziali, in Arch. loc. e cond., 2003, 214; Ceniccola, Condominio e clausola compromissoria, in Vita notar., 1985, I, 599; Salis, Deroga all'art. 1136, quarto comma, contenuta in regolamento approvato all'unanimità, in Riv. giur. edil., 1970, I, 1215; Andreoli, I regolamenti di condominio, Torino, 1961; Branca, Regolamenti di condominio e inderogabilità di norme, in Foro it., 1961, I, 768; Peretti Griva, Il condominio di case divise in parti, Torino, 1960. Bussole di inquadramentoPotrebbe interessarti |