Omesso versamento di ritenute certificate ante riforma: irrilevanza probatoria del “modello 770”

07 Settembre 2018

In tema di omesso versamento di ritenute certificate, la dichiarazione “modello 770” proveniente dal sostituto di imposta non può essere ritenuta di per sé sola sufficiente ad integrare la prova dell'avvenuta consegna al sostituito della certificazione fiscale.
Massima

In tema di omesso versamento di ritenute certificate, con riferimento all'art. 10-bis D.Lgs. n. 74/2000 nella formulazione anteriore alle modifiche apportate dall'art. 7, D.lgs. 24 settembre 2015, n. 158, la dichiarazione “modello 770” proveniente dal sostituto di imposta non può essere ritenuta di per sé sola sufficiente ad integrare la prova dell'avvenuta consegna al sostituito della certificazione fiscale.

Il caso

La Corte di Appello, confermando la pronuncia del Giudice di Prime Cure, condannava il legale rappresentante di una società a responsabilità limitata per il reato di cui all'art. 10-bis D.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 (nel testo anteriore all'entrata in vigore dell'art. 7 comma 1 lett. b) D.lgs. 24 settembre 2015, n. 158), per avere omesso di versare, nei termini previsti per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto d'imposta, le ritenute relative agli emolumenti erogati nell'anno di imposta 2010 per un ammontare complessivo eccedente il limite quantitativo normativamente indicato.

Tanto nel giudizio di primo grado, quanto nel giudizio di appello, l'avvenuto rilascio della certificazione attestante le ritenute operate dal sostituto di imposta era desunto unicamente dalla dichiarazione “modello 770”, ovverosia dalla dichiarazione (annuale) alla cui presentazione è tenuto il sostituto di imposta e dalla quale risultano tutte le somme pagate e le ritenute operate nell'anno precedente

La questione

Come noto, almeno fino all'entrata in vigore dell'art. 7, comma 1, lett. b) D.lgs. n. 158/2015, il reato di cui all'art. 10-bis D.lgs. n. 74/2000 sanzionava il mancato versamento (entro il termine di presentazione della dichiarazione del sostituto di imposta) delle ritenute di cui era stata rilasciata, in favore del sostituito, la prevista certificazione: affinché l'omissione fosse penalmente rilevante, era quindi necessario che il sostituto avesse certificato al sostituito l'avvenuta effettuazione della ritenuta.

In particolare, vigente l'art. 10-bis per come formulato anteriormente alla citata novella normativa, era indubbio:

(a) che solo le ritenute attestate dalle certificazioni rilasciate dal sostituto di imposta erano idonee ad attingere il grado di disvalore normativamente previsto;

(b) che, ai fini della prova del predetto rilascio, non era necessaria l'acquisizione materiale delle certificazioni stesse, potendo all'uopo supplire prove documentali anche di altro genere o prove orali (tra cui, ovviamente, le dichiarazioni rese dal sostituito);

(c) che l'onere di provare l'avvenuto rilascio delle certificazioni incombeva sulla Pubblica Accusa, ordinariamente tenuta a dimostrare i fatti costitutivi dell'addebito contestato (tra cui, per quanto qui interessa, il rilascio delle certificazioni).

Diversamente, era oggetto di contrasto interpretativo la rilevanza probatoria della dichiarazione “modello 770”: dibattuta, in altri termini, era la necessità della Pubblica Accusa – onerata, come detto, di provare l'avvenuto rilascio delle certificazioni – di acquisire elementi ulteriori e diversi dal predetto “modello 770”.

Le soluzioni giuridiche

Secondo una prima ricostruzione interpretativa, ai fini della prova dell'avvenuto rilascio delle certificazioni attestanti le ritenute operate dal datore di lavoro (quale sostituto d'imposta), sulle retribuzioni effettivamente corrisposte ai lavoratori dipendenti (quali sostituiti), era sufficiente la allegazione del “modello 770” rilasciato dal medesimo datore di lavoro.

Si evidenziava, al riguardo, che se il riferimento normativo alle “certificazioni rilasciate ai sostituiti” – in luogo della più generica formula impiegata nell'art. 2 L. n. 516/1982 (che menzionava le “ritenute effettivamente operate, a titolo di acconto o di imposta, sulle somme pagate”) – consente di delimitare l'ambito della condotta penalmente rilevante, circoscritta alle sole ritenute effettivamente operate sulle retribuzioni corrisposte ai dipendenti, non v'è ragione “per ritenere che la prova del rilascio quale elemento costitutivo del reato debba ricavarsi solo dalle "certificazioni" senza possibilità di ricorrere ad "equipollenti" potendo l'onere probatorio essere assolto dal pubblico ministero "mediante il ricorso a prove documentali o testimoniali oppure attraverso la prova indiziaria” [Cass. pen., Sez. III, 15 novembre 2012, n. 1443].

Palese, dunque, la rilevanza della dichiarazione “modello 770”, giacché atto funzionale a comunicare “all'Agenzia delle Entrate i dati fiscali relativi alle ritenute operate nell'anno precedente nonché gli altri dati contributivi ed assicurativi richiesti, tra cui i dati relativi alle certificazioni rilasciate ai soggetti cui sono stati corrisposti in tale anno redditi di lavoro dipendente, equiparati ed assimilati o indennità di fine rapporto” [Cass. pen., sez. III, 6 marzo 2014, n. 20778] e comprovante le ritenute operate, le quali “devono ritenersi per ciò stesso certificate, dal momento che non avrebbe senso dichiarare quello che non è stato corrisposto e, perciò stesso, certificato” [Cass. pen., sez. III, 15 novembre 2012, n. 1443].

L'opposta affermazione della inidoneità del “modello 770” a comprovare, di per sé, l'avvenuto rilascio delle certificazioni attestanti le ritenute operate dal sostituto di imposta era argomentata muovendo, avanti tutto, dalla precisazione per cui, dovendosi ravvisare nel predetto rilascio della certificazione al sostituito ciò che segna la rilevanza delittuosa della fattispecie, la norma penale non può trovare applicazione, oltre che nei casi in cui il sostituto non ha operato le ritenute, anche nei casi in cui il medesimo non ha tempestivamente rilasciato la prescritta certificazione.

Dando seguito a tale premessa, si era quindi affermato che “gli elementi (…) necessari per attribuire rilevanza penale alla fattispecie sono costituiti dalle parti di condotta attiva comprendenti sia l'effettuazione della ritenuta e sia la successiva emissione della certificazione” [Cass. pen., sez. III, 8 aprile 2014, n. 40256] e che “trattandosi (...) di elementi costitutivi del reato (ma le conseguenze non cambierebbero anche se si volesse parlare di presupposti del reato) per ritenere sussistente il delitto è necessario che l'accusa fornisca la prova di tali elementi e, in particolare (...), che il sostituto abbia rilasciato ai sostituiti la certificazione (o le certificazioni) da cui risultino le ritenute il cui versamento è stato poi omesso” [Cass. pen., sez. III, 8 aprile 2014, n. 40256].

Quanto, poi, alle corrette modalità di espletamento di detto onere probatorio, l'orientamento esegetico in rassegna – pur confermando la possibilità che detta prova potesse essere fornita anche mediante documentazione differente dalle prescritte certificazioni ed anche mediante le risultanze della prova orale – concludeva nel senso della inidoneità della dichiarazione “modello 770” a dimostrare, di per sé sola, l'avvenuto rilascio delle certificazioni attestanti le ritenute operate e non versate.

Decisive, al riguardo, le differenze intercorrenti tra l'evocata certificazione e la dichiarazione “modello 770”, differenze tali da segnare la reciproca indipendenza dei predetti atti: (a) da un lato, il “modello 770” non contiene la dichiarazione di avere tempestivamente emesso le certificazioni, attestando unicamente di avere erogato le retribuzioni ed effettuato le ritenute; (b) dall'altro, il “modello 770” e la certificazione rilasciata ai sostituiti sono disciplinati da fonti distinte, rispondono a finalità non coincidenti e non devono essere consegnati o presentati contestualmente.

A composizione dell'illustrato contrasto interpretativo, il Giudice di Legittimità ha affermato che “con riferimento all'art. 10-bis nella formulazione anteriore alle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 158/2015, la dichiarazione modello 770 proveniente dal sostituto di imposta non può essere ritenuta di per sè sola sufficiente ad integrare la prova della avvenuta consegna al sostituito della certificazione fiscale”.

Plurime le argomentazioni fondanti l'evocato principio di diritto.

Avanti tutto, sulla premessa per cui ad essere penalmente rilevante non è il mero omesso versamento di ritenute operate, bensì l'omesso versamento di ritenute operate e per le quali il sostituto di imposta ha rilasciato al sostituito la prescritta certificazione, il Supremo Consesso ha sottolineato che a conclusione diverse non potrebbe giungersi nemmeno invocando “pur plausibili considerazioni di carattere sistematico”: la “irrazionalità della scelta di assoggettare a sanzione penale, diversamente dalla originaria impostazione della L. n. 516/1982, il mancato versamento delle ritenute solo se accompagnato dal rilascio delle relative certificazioni (…)” non può “certo offuscare il chiaro significato della norma, insuscettibile, per il rispetto dovuto al principio di legalità, di interpretazioni in definitiva abrogatrici della locuzione qui in esame.

Non solo.

Ma il Giudice di Legittimità ha altresì precisato che “(…) anche restando sul piano di una interpretazione di ordine logico-critico, non potrebbe sottacersi il significato di un elemento (quello, appunto, del rilascio delle certificazioni) che (…) appare svolgere in realtà la funzione di differenziare l'illecito penale dal mero illecito amministrativo: una funzione, dunque, di carattere selettivo, che, sia pure comportando il sacrificio della realtà materiale al fine di privilegiare solo quella "contabilizzata" o "certificata", appare tutt'altro che incomprensibile, ove si rifletta sulla necessità, alla luce del principio del ne bis in idem e della sua portata sempre più cogente, di una precisa demarcazione, a partire soprattutto dal momento della legiferazione, tra il "fatto" intrinsecamente penale (a prescindere dalle denominazioni coniate dal legislatore) e quello solo amministrativo”.

Ribadito quindi che “ai fini della consumazione del reato in oggetto, occorre il rilascio delle certificazioni” [sia che detto rilascio venga “configurato come elemento costitutivo del reato (…), sia che lo stesso venga configurato quale presupposto di esso (come una parte minoritaria della giurisprudenza mostra di ritenere], il Giudice di Legittimità, quanto alla relativa prova, ha affermato l'irrilevanza del solo “modello 770”, evidenziando come il medesimo “non appare (…) recare alcuna specifica indicazione in ordine al rilascio delle certificazioni avendo invece ad oggetto (…) unicamente i dati dell'importo versato e delle ritenute operate”.

Non solo.

Ma “alcun valore probatorio potrebbe evidentemente connettersi alle istruzioni per la compilazione del modello 770 semplificato là dove si prescrive che "detto modello contiene i dati relativi alle certificazioni rilasciate ai soggetti cui sono stati corrisposti (...) i redditi di lavoro dipendente" (dizione questa, testualmente ripresa da Sez. 3, n. 20778 del 2014, Leucci), essendo chiara in tale dizione la volontà di riferirsi non già al fatto del rilascio, ma a quello della necessità di indicazione, in dichiarazione, delle medesime ritenute di cui alla certificazione unica, ove rilasciata”.

Ne, in senso contrario, avrebbe rilievo affermare che la prova del rilascio della certificazione ben può essere ricavata dal solo “modello 770” da considerarsi “dato non equivoco in quanto proveniente dallo stesso sostituto d'imposta obbligato” [Cass. pen., sez. III, 15 novembre 2012, n. 1443], dal quale le ritenute “devono ritenersi per ciò stesso certificate, dal momento che non avrebbe senso dichiarare quello che non è stato corrisposto e, perciò stesso, certificato” [Cass. pen., sez. III, 15 novembre 2012, n. 1443]. Invero, come puntualmente affermato dal Giudice di Legittimità, “intesa tale affermazione come volta ad affermare che, secondo l'id quod plerumque accidit, ciò che si dichiarerebbe nel mod. 770 sarebbe allo stesso tempo anche ciò che si certifica (il riferimento alla "corresponsione" deve ritenersi improprio perché ciò di cui si tratta non sono gli emolumenti ma le ritenute, che non si corrispondono ma si effettuano), ed equiparati dunque l'indicazione nel modello 770 alla attestazione nelle certificazioni, resta tuttavia, anche in tale assioma, ancora una volta "scoperto", e non colmabile dal punto di vista logico, il dato del rilascio”. Talché, “se davvero la presentazione della dichiarazione di sostituto presupponesse, secondo il criterio dell'id quod plerumque accidit, sempre e comunque la formazione e consegna dei certificati ai sostituiti, il legislatore ne avrebbe certamente tenuto conto ed avrebbe, con notevole semplificazione probatoria, punito unicamente il mancato versamento delle ritenute riportate nella dichiarazione modello 770. Se ciò non ha fatto, ed ha anzi modificato la precedente normativa (che richiedeva soltanto l'omesso versamento delle ritenute), è proprio perché il legislatore era ben consapevole delle differenze strutturali e della radicale autonomia dei due distinti documenti, sicché non era possibile desumere automaticamente dall'esistenza dell'uno la sussistenza dell'altro”.

Da ultimo, il Giudice di Legittimità ha osservato come l'impossibilità di annoverare la dichiarazione “modello 770” tra gli elementi indicativi dell'avvenuto rilascio della prescritta certificazione, è conclusione non contraddetta dalle “(…) modifiche operate, sul corpus dell'art. 10-bis, dal D.Lgs. n. 158/2015, art. 7, da individuarsi, come traspare dalla attuale formulazione letterale dell'art. 10-bis, nella integrazione della rubrica dell'articolo (non più “omesso versamento di ritenute certificate”, bensì “omesso versamento di ritenute dovute o certificate”) e nella aggiunta, accanto all'inciso “risultanti dalla certificazione rilasciata”, del periodo “dovute sulla base della stessa dichiarazione”.

E, a detta del Giudice di Legittimità, dette modifiche trovano spiegazione in “quanto esternato dallo stesso legislatore nella relazione illustrativa allo schema del D.Lgs. n. 158 cit. ove si è scritto essere stata "chiarita, con l'art. 7, la portata dell'omesso versamento di ritenute dovute sulla base della dichiarazione o risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti di cui all'art. 10-bis (mediante l'aggiunta del riferimento alle ritenute dovute sulla base della dichiarazione)". Ora, una tale necessità di chiarimento del significato della norma non può che essere rapportata, logicamente, all'incertezza determinata dal dibattito giurisprudenziale avutosi appunto con riguardo alle modalità probatorie del fatto del rilascio della certificazione unica essendo la disposizione stata ricostruita quanto al momento “attestativo” delle ritenute, non più confinato solo a quanto risultante dalla certificazione ma esteso anche a quanto dovuto sulla base del contenuto della dichiarazione modello 770 (che riporta l'indicazione delle ritenute operate): in tal modo si è reso dunque non più indispensabile provare il previo rilascio della certificazione unica potendo guardarsi, per l'individuazione delle ritenute il cui omesso versamento deve essere sanzionato, anche al solo modello 770”.

Peraltro, come precisato dal Giudice di Legittimità, se “il chiarimento si è tradotto (…) nella individuazione di un oggetto dell'omesso versamento alternativo a quello in origine contenuto nella norma e in precedenza in alcun modo ricavabile dal testo”, all'art. 7 D.lgs. 158/2015 non può essere riconosciuta natura di norma di interpretazione autentica, la cui essenza, secondo la giurisprudenza costituzionale, è assisa nell'imposizione, per legge, di una scelta interpretativa fra opzioni esegetiche che rientrino “tra le possibili varianti di senso del testo originario, con ciò vincolando un significato ascrivibile alla norma anteriore” [Corte Cost., n. 525/2000].

Se, infatti, la certificazione delle ritenute (disciplinata, per quanto qui rileva, dall'art. 4, comma 6, d.P.R. n. 322/1998) è funzionale all'attestazione dell'importo delle somme corrisposte dal sostituto di imposta e delle ritenute da lui operate e se la dichiarazione “modello 770” (disciplinata dall'art. 4 comma 1 d.P.R. n. 322/1988) è strumentale ad informare l'Amministrazione Finanziaria delle somme corrisposte ai sostituiti, delle ritenute operate sulle stesse e del loro versamento all'Erario, appare evidente come “la diversità strutturale e funzionale dei due documenti impedisce che, nel testo anteriore della norma, potesse rinvenirsi il significato oggetto del "chiarimento" attuato con la nuova formulazione”.

Osservazioni

Piuttosto evidenti le conseguenze che il principio di diritto sancito da Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 22 marzo 2018 – 1 giugno 2018, n. 24782 è destinato a produrre nei giudizi oggi pendenti e riferiti all'art. 10-bis per come formulato fino alle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 158/2015

Se, infatti, “la dichiarazione modello 770 proveniente dal sostituto di imposta non può essere ritenuta di per sé sola sufficiente ad integrare la prova della avvenuta consegna al sostituito della certificazione fiscale”, o detta certificazione è anche altrimenti dimostrata, o la responsabilità penale non può essere aff ermata.

Non solo.

Ma è da escludersi che, con riguardo ad omissioni poste in essere in data anteriore al 22 ottobre 2015, l'affermazione della responsabilità penale possa essere fondata, non già sull'omesso versamento di ritenute certificate, bensì sull'omesso versamento delle ritenute dovute sulla base della dichiarazione del sostituto.

Se è vero infatti che, in ragione della vigente formulazione dell'art. 10-bis, al pari dell'omesso versamento di ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, è penalmente rilevante anche l'omesso versamento di ritenute dovute in base alla dichiarazione del sostituto di imposta, non è meno vero che l'innovazione normativa, risolvendosi nell'estensione di ciò che è da ritenersi penalmente sanzionato, “deve ritenersi innovativa della fattispecie legale, con un ampliamento della tipicità che, necessariamente, non può avere efficacia retroattiva” (Cass. pen., sez. III, 11 marzo 2016, n. 10104).