Verso il riconoscimento automatico delle sentenze penali straniere. Il sistema Ecris

Marina Ingoglia
19 Settembre 2018

Ecris – European Criminal Records Information System – è il sistema informativo del casellario europeo, che consente l'interconnessione telematica dei casellari giudiziari e rende effettivo lo scambio di informazioni sulle condanne fra gli Stati membri, in uno formato standard comune a tutti. Ecris dà completa attuazione, in ambito comunitario, alla Convenzione europea di mutua assistenza in materia penale...
Abstract

La giurisprudenza della Suprema Corte si è sempre orientata nel senso di ritenere necessario, al fine di dare esecuzione alla pena detentiva, il formale riconoscimento della sentenza su cui si fonda il mandato di arresto europeo secondo quanto previsto dal d.lgs. 7 settembre 2010, n. 161 (contenente disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2008/909/Gai del 27 Aprile 2008, sul principio del reciproco riconoscimento delle sentenze penali che irrogano pene detentive, ai fini della loro esecuzione nell'Unione europea), qualora pure il Paese richiedente abbia dato attuazione alla predetta decisione quadro.

Tuttavia, le scelte interpretative più recenti, dando atto che l'interessato nella deduzione della causa di rifiuto della consegna di cui all'art. 18, comma 1, lett. r), legge 22 aprile 2005, n. 69, manifesta implicitamente il consenso all'esecuzione della sentenza straniera nello Stato in cui ha la cittadinanza, propendono per il superamento della necessità del formale riconoscimento della sentenza su cui si fonda il Mae.

Il quadro normativo di riferimento

Nel nuovo panorama unitario, in cui i rapporti tra i Paesi dell'Unione si sono fatti sempre più stretti e caratterizzati da un alto livello di fiducia, la consegna delle persone ricercate, a fini estradizionali, ha comportato la necessità della creazione di più duttili ed efficienti strumenti di cooperazione, che tengano conto anche della possibilità di estensione dell'applicazione del principio del trasferimento delle persone condannate alle persone residenti negli Stati membri.

Ed è con il trattato di Amsterdam, entrato in vigore il 1° maggio 1999, che compare a chiare lettere, quale obiettivo dell'Unione, la creazione di uno «spazio di libertà, sicurezza e giustizia in cui sia assicurata la prevenzione della criminalità e la lotta contro quest'ultima».

A tale evento segue il Consiglio europeo di Tampere del 15 e 16 ottobre 1999.

In tale sede, il Consiglio europeo ha approvato il principio del reciproco riconoscimento, diventato, poi, il fondamento della cooperazione giudiziaria nell'Unione tanto in materia civile quanto in materia penale e ha iniziato a farsi strada il nuovo concetto di mandato di arresto europeo, che ha poi trovato espressione nella decisione quadro 2002/584/Gai, attuata nel nostro ordinamento con lalegge 69/2005.

Prima di tale iniziativa normativa, il Consiglio, il 29 novembre 2000, ha adottato, conformemente alle conclusioni di Tampere, un programma di misure per l'attuazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni definitive di condanna a pene privative della libertà personale (misura 14) e per l'estensione dell'applicazione del principio del trasferimento delle persone condannate alle persone residenti negli Stati membri (misura 16).

Il mandato d'arresto europeo è il primo strumento giuridico basato sul reciproco riconoscimento delle decisioni prese in materia penale.

Esso sostituisce il sistema multilaterale di estradizione creato sulla base della convenzione europea di estradizione del 13 dicembre 1957.

Il quinto considerandum della decisione quadro 2002/584/Gai spiega che la creazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia impone la soppressione dell'estradizione tra Stati membri e la sua sostituzione con un sistema di consegna tra autorità giudiziarie.

Il decimo considerandum indica che la decisione quadro si fonda su un «elevato grado di fiducia tra gli Stati membri», sul presupposto della omogeneità di sistemi giuridici e sulla garanzia equivalente dei diritti fondamentali.

La disciplina del nuovo sistema semplificato di consegna delle persone condannate o imputate, consente, in breve, di eliminare la complessità e i potenziali ritardi inerenti alla disciplina dell'estradizione.

Tale mandato, da un lato, si pone come strumento di prevenzione e contrasto della criminalità, in quanto usato in modo efficace, effettivo e proporzionato, nel rispetto dei diritti umani delle persone sospettate e condannate.

Dall'altro, il mandato di arresto europeo risponde all'esigenza di accrescere «le opportunità di reinserimento sociale del soggetto ricercato, una volta scontata la pena nel medesimo Stato in cui egli appare aver radicato la propria esistenza dimostrando un sicuro grado di inserimento nella società di detto Stato».

Successivamente, nell'anno 2005, è stato elaborato il programma dell'Aia sul rafforzamento della libertà, della sicurezza e della giustizia nell'Unione europea. Esso prevede che gli Stati membri completino il programma di misure, specie per quanto attiene all'esecuzione delle condanne definitive a una pena detentiva.

In attuazione di tale programma e nel perseguimento del medesimo obiettivo, diretto a consentire una più penetrante ed agile circolazione delle decisioni giudiziarie, l'Unione ha adottato la decisione quadro 2008/909/Gai del Consiglio del 27 novembre 2008, attuata nel nostro ordinamento con il decreto legislativo 7 settembre 2010, n. 161.

Il trattato di Lisbona

Al riguardo, sotto il profilo dei nuovi strumenti normativi dell'Unione europea, in tema di cooperazione giudiziaria, va fatta una breve chiosa sul trattato di Lisbona.

Infatti, con il Trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1° dicembre del 2009 e precedentemente oggetto della legge italiana di adattamento 2 agosto 2008, n. 130 (Ratifica ed esecuzione del Trattato di Lisbona che modifica il Trattato sull'Unione europea e il Trattato che istituisce la Comunità europea e alcuni atti connessi, con atto finale, protocolli e dichiarazioni, firmato a Lisbona il 13 dicembre 2007), la cooperazione giudiziaria in materia penale non è più oggetto di un ambito di competenze esercitate con metodo intergovernativo, ma è disciplinata dal Titolo V del trattato sul funzionamento dell'Unione europea (artt. 82 e segg.), quindi, oggetto di competenze esercitate con l'ordinario e diverso metodo comunitario.

L'atto con il quale si interviene sulla disciplina della materia è la direttiva, adottata secondo la procedura legislativa ordinaria.

L'ambito di applicazione dell'istituto del riconoscimento delle sentenze penale straniere

La decisione quadro 2008/909/Gai ha la finalità di consentire l'esecuzione di una sentenza di condanna pronunciata dall'autorità giudiziaria di uno Stato membro dell'Unione europea nello Stato membro di cittadinanza della persona condannata o in un altro Stato membro che abbia espresso il consenso a riceverla.

E invero, l'art. 4 della decisione quadro 2008/909/Gai prevede tre distinte ipotesi in cui può darsi luogo alla trasmissione all'estero della sentenza penale di condanna ai fini del riconoscimento.

In particolare, è prevista la trasmissione della sentenza, corredata del certificato per il quale il modello standard figura nell'allegato I della decisione quadro, a) «allo Stato membro di cittadinanza della persona condannata in cui quest'ultima vive”; o b) «allo Stato membro di cittadinanza che pur non essendo quello in cui la persona condannata vive, è lo Stato membro verso il quale sarà espulsa, una volta dispensata dall'esecuzione della pena, a motivo di un ordine di espulsione o di allontanamento inserito nella sentenza o in una decisione giudiziaria o amministrativa o in qualsiasi altro provvedimento preso in seguito alla sentenza»; c) o «qualsiasi Stato membro diverso da quello di cui alle lettere a) e b) la cui autorità competente dia il consenso alla trasmissione della sentenza e del certificato a tale Stato membro».

Tale ultimo strumento di cooperazione giudiziaria sostituisce, a decorrere dal 5 dicembre 2011, la Convenzione sul trasferimento delle persone condannate adottata a Strasburgo il 21 marzo 1983 (ratificata in Italia con legge 25 luglio 1988, n. 334) e gli altri accordi e le intese bilaterali o multilaterali vigenti sulla materia nella misura in cui contribuiscano a semplificare o agevolare ulteriormente le procedure di esecuzione delle pene (art. 26 decisione quadro 2008/909/Gai cit.).

Diversamente dalla Convenzione di Strasburgo sul trasferimento dei condannati, il riconoscimento della sentenza non presuppone la condizione di detenzione del soggetto.

L'eventuale trasferimento, a sua volta, non presuppone il consenso della persona condannata, almeno nella maggior parte dei casi (cfr. artt. 5, comma 4, e 10, comma 4, d.lgs. n. 161/2010).

Unico presupposto indefettibile della procedura è quello della presenza del soggetto nello Stato membro di emissione della sentenza o in quello di esecuzione della stessa.

Invece, per quel che attiene al rapporto tra la nuova disciplina normativa e la procedura di consegna basata sul mandato di arresto europeo, va rilevato, innanzitutto, che la disposizione dettata dall'art. 25 della decisione quadro 2008/909/Gai, richiede, ai fini della applicazione delle due procedure, la mera compatibilità (cfr. art. 25 della decisione quadro 2008/909/Gai, secondo cui «fatta salva la decisione quadro 2002/584/Gai, le disposizioni della presente decisione quadro si applicano, mutatis mutandis, nella misura in cui sono compatibili con le disposizioni di tale decisione quadro, all'esecuzione delle pene nel caso in uno Stato membro s'impegni ad eseguire la pena nei casi rientranti nell'articolo 4, paragrafo 6, della detta decisione quadro, o, qualora, in virtù dell'articolo 5, paragrafo 3, della stessa decisione quadro, abbia posto la condizione che la persona sia rinviata per scontare la pena nello Stato membro interessato, in modo da evitare l'impunità della persona in questione»).

Tuttavia, a ben vedere, dovendosi procedere in uno Stato membro dell'Ue all'esecuzione di un provvedimento giudiziario di condanna a pena detentiva emesso da un altro Stato membro, non si tratta di verificare la mera compatibilità tra i due istituti ma, al contrario, di selezionare, in modo alternativo, quale strumento normativo di cooperazione giudiziaria va applicato nella singola situazione in esame.

Nella maggior parte dei casi, si applica il mandato di arresto europeo in executivis nei confronti del cittadino straniero che è destinatario di sentenza penale di condanna a pena detentiva emessa dal proprio Stato di cittadinanza, quando appunto l'interessato non si trovi nel paese di provenienza ma in un altro Stato dell'Unione, a condizione che sussistano tutti i presupposti richiesti dalla procedura passiva di consegna di cui agli artt. 5 e ss. l. 69/2005.

L'istituto del riconoscimento, invece, contempla la differente posizione della persona che viva nello Stato di cittadinanza, nei confronti della quale debba darsi luogo all'esecuzione di pena detentiva o di misura privativa della libertà, sulla base di una sentenza emessa da un altro Stato membro o con la posizione della persona che non viva nello Stato di cittadinanza, ma debba essere espulso verso di esso in base ad un ordine di espulsione o di allontanamento.

L'art. 10 d.lgs. 161/2010, prevede, infatti, tra le condizioni richieste congiuntamente per il riconoscimento della sentenza di condanna emessa in un altro Stato membro dell'Unione europea, ai fini della sua esecuzione in Italia, che la persona condannata abbia la cittadinanza italiana (lett. a) e risieda o abbia dimora o il domicilio nel territorio dello Stato ovvero deve essere espulsa verso l'Italia a motivo di un ordine di espulsione o di allontanamento inserito nella sentenza di condanna o in una decisione giudiziaria o amministrativa o in qualsiasi altro provvedimento adottato in seguito alla sentenza di condanna (lett. b).

Pertanto, in questo panorama giuridico, altra strada percorribile da parte dello Stato di emissione, come soluzione alternativa al mandato di arresto europeo, è quella di attivare la procedura di cui all'art. 4 della decisione quadro 2008/909/Gai per il riconoscimento della sentenza penale divenuta definitiva, chiedendo l'arresto provvisorio ex art. 14 decisione quadro 2008/909/Gai, se la persona condannata si trova nello Stato di esecuzione ed è conosciuta la sua localizzazione.

Appare evidente, quindi, che le due norme, attraverso due percorsi diversi, mirano al perseguimento dello stesso obiettivo, che è quello di consentire al condannato o al soggetto destinatario di una misura privativa della libertà personale di scontare la pena o la predetta misura nello Stato di cittadinanza o di residenza, se cittadino straniero.

L'art. 24 decreto legislativo 161/2010

Il punto di contatto tra i due istituti è certamente rappresentato dall'art. 24 decreto legislativo citato, generato sulla base del considerandum n. 12 della decisione quadro 2008/909/Gai, nella misura in cui si prevede il riconoscimento di sentenza penale straniera di condanna a pena detentiva in sede di esecuzione di pene detentive a seguito di Mae.

Infatti, tale articolo prevede, in seno alla procedura di consegna basata sul mandato di arresto europeo, il nuovo meccanismo procedurale di riconoscimento con riguardo alle ipotesi “affini” di esecuzione della pena o della misura di sicurezza previste dall' art. 18, comma 1, lett. r) legge 22 aprile 2005, n. 69 e della corrispondente ipotesi del mandato d'arresto emesso a soli fini processuali, ossia per l'esercizio dell'azione penale nei confronti di un nostro cittadino o di un residente nel territorio del nostro Stato prevista dall' art. 19, comma 1, lett. c) l. 69/2005.

Nel primo caso, è consentito alla Corte d'appello di rifiutare la consegna purché disponga che la pena o la misura di sicurezza sia eseguita in Italia; nel secondo caso, si prevede la consegna alla condizione che la persona, una volta processata e, eventualmente, condannata, sia rinviata in Italia per l'esecuzione della pena o della misura di sicurezza.

Come è noto, prima ancora dell'entrata in vigore del nuovo strumento normativo del riconoscimento, erano insorti numerosi problemi applicativi, in assenza di un percorso procedimentalizzato per pervenire alla decisione di rifiuto della consegna in vista di una espiazione della pena in Italia.

Pertanto, tenuto conto di tali problematiche interpretative, per una più facile comprensione di tale nuovo strumento di cooperazione giudiziaria, occorre rammentare che l'istituto del riconoscimento è entrato in vigore soltanto a partire dal 5 dicembre 2011 e che, prima di allora, la Suprema Corte si era tradizionalmente orientata nel senso di ritenere che la Corte di appello, in caso di rifiuto di consegna ai sensi dell'art. 18, comma 1, lett. r) l. 69/2005, potesse disporre l'esecuzione in Italia della pena inflitta nei confronti del cittadino italiano, conformemente al suo diritto interno, previo riconoscimento automatico della sentenza pronunciata dall'Autorità giudiziaria dello Stato di emissione.

La Suprema Corte si era espressa nel senso che l' art. 18, comma 1, lett. r) l. 69/2005, ben lungi dall'imporre alla Corte d'appello una decisione di rifiuto della consegna del cittadino italiano sol che vi fosse stata una richiesta di espiare la pena in Italia, aveva attribuito, invece, alla Corte d'appello un ambito di valutazione circa la concreta possibilità di espiazione della pena in Italia.

Il principio della conformità al diritto interno, secondo la Corte di cassazione, imponeva – e impone anche adesso – l'esecuzione dello stesso tipo di pena prevista per il reato in Italia, sicché, in caso di incompatibilità della natura e della durata delle pene previste nei due ordinamenti, si riteneva che la Corte di appello dovesse procedere agli adattamenti necessari.

Tornando al concetto di riconoscimento automatico, la Corte di legittimità, nell'escludere che l'Autorità giudiziaria italiana potesse delibare circa il luogo di espiazione della pena a prescindere dalla volontà o contro la volontà dello Stato richiedente, aveva rilevato che le norme sul Mae avrebbero potuto, di fatto, finire con il collidere con le esigenze di assoluta speditezza imposte dalla sua legge istitutiva (art. 17 l. 69/2005).

Pertanto, si era spinta ad affermare che la sentenza estera non necessitava di essere formalmente “riconosciuta”, discendendo la sua esecutività direttamente dalla legge interna di conformazione alla decisione-quadro.

Al riguardo la Corte di cassazione aveva precisato che la Corte territoriale non è condizionata dall'esistenza di un particolare “accordo internazionale”, che non sia quello, ove possa in tal modo essere qualificato, costituito dalla stessa decisione-quadro.

La Corte aveva richiamato, tra l'altro, ai fini della formazione di un valido titolo esecutivo, l'applicazione “in via analogica” dei criteri fissati dall'art. 735 c.p.p. (cfr. Cass.pen., Sez. VI, 10 dicembre 2007, n. 46845, Pano; in senso conforme Cass. pen., Sez. VI , 12 febbraio 2008, n. 7812, Tavano; Cass. pen.,Sez. VI, 12 febbraio 2008, n. 7813, Finotto ).

Con l'entrata in vigore della nuova procedura in esame si deve segnalare il mutato orientamento della questione poiché la nuova disciplina normativa ex art. 24 d.lgs. 161/2010, si propone di integrare il sistema di consegna del mandato d'arresto europeo, come già si è detto, con specifico riferimento alle evenienze della consegna in executivis e della consegna per finalità processuali dei cittadini e dei residenti in Italia, rispettivamente disciplinate ex artt.18, comma 1, lett. r), e 19, comma 1, lett.c)l. 69/2005.

Osserva in generale la Suprema Corte che «con le forme e i meccanismi procedimentali previsti dal d.lgs. 161/2010, si è colmato, in tal modo, una lacuna normativa foriera di rilevanti problematiche interpretative, atteso che né la legge sul mandato d'arresto europeo, né la correlativa decisione quadro, regolavano esplicitamente la procedura di riconoscimento e adattamento della sentenza straniera nel nostro ordinamento»(cfr. Cass. pen., Sez. VI,14 maggio 2014, n. 20527).

Pertanto, la Corte di cassazione, nell'ambito delle innovative dinamiche del mutuo riconoscimento e con riferimento, in particolare, al nuovo meccanismo procedurale previsto dall'art. 24 del d.lgs. 161/2010, si era espressa in modo compatto nel senso della necessità di attivare la formale procedura di riconoscimento (cfr.inoltre:Cass. pen., Sez. VI, 27 maggio 2014, n. 21912; Cass. pen., Sez. VI, 17 settembre 2014,n. 38557; Cass. pen., Sez. VI, 30 dicembre 2014, n.53), diversamente dalla opposta posizione assunta quando ancora non era stato varato tale nuovo modello procedimentale.

Esaminando, nello specifico, l'ipotesi di cui all'art. 18, comma 1, lett. r) l. 69/2005, esso prevede che la Corte di appello rifiuti la consegna del cittadino italiano o cittadino dell'Unione residente in Italia, richiesta sulla base di un Mae in executivis, proprio al fine di consentire al destinatario della pena o della misura privativa della libertà personale di poterla eseguire in Italia conformemente al suo diritto interno.

A tal proposito, è stato detto che, ai fini degli effetti giuridici del riconoscimento, non sarà sufficiente indicare semplicemente che la sentenza straniera è riconosciuta agli effetti della legge italiana ma occorrerà sempre precisare i reati per i quali il riconoscimento è effettuato.

Ciò, in particolare, in relazione a conseguenze quali, tra le altre, le preclusioni ai benefici penitenziari di cui all'art. 4-bisord. pen.

Pertanto, nell'intervento di adeguamento la durata e la natura della pena o della misura di sicurezza adattate non possono essere inferiori alla pena o alla misura di sicurezza previste dalla legge italiana per reati simili ma neppure più gravi di quelle applicate dallo Stato di emissione con la sentenza di condanna.

La pena detentiva e la misura di sicurezza restrittiva della libertà personale non possono essere, in ogni caso, convertite in pena pecuniaria.

La Corte di cassazione, Sez. VI, con la sentenza n. 20527, depositata in data 19 maggio 2014 ha affermato, nel caso esaminato riguardante il riconoscimento di una sentenza di condanna alla pena di anni 9 di reclusione per una rapina inflitta da un giudice rumeno a un cittadino rumeno, che, se la durata e la natura della pena o della misura di sicurezza applicate con la sentenza di condanna sono incompatibili con quelle previste in Italia per reati simili, la Corte di appello deve procedere al loro adattamento.

La Suprema Corte, muovendo da tali principi, ha annullato la sentenza della Corte di appello di Messina che, da una parte, aveva rifiutato la consegna, chiesta sulla base di un mandato di arresto europeo, all'Autorità giudiziaria rumena e, dall'altro, aveva già proceduto all'applicazione della pena in Italia sulla base dei parametri dei giudici rumeni. Parametri che la stessa Corte di appello aveva, però, riconosciuti come eccessivi rispetto a quanto previsto dal codice penale italiano per la rapina, sanzionato nel massimo con 10 anni.

La sentenza precisa che in 2 casi si applicherà la procedura di riconoscimento della sentenza straniera nel nostro ordinamento con ineludibile adeguamento:

  • se il mandato d'arresto europeo è stato emesso per l'esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza, quando la persona ricercata è cittadino italiano, sempre che la Corte di Appello disponga che tale pena o misura di sicurezza sia eseguita in Italia conformemente al suo diritto interno;
  • se la persona oggetto del mandato d'arresto europeo ai fini di un'azione penale è cittadino o residente dello Stato italiano, la consegna è subordinata alla condizione che la persona, dopo essere stata ascoltata, sia rinviata nello Stato membro di esecuzione per scontarvi la pena o la misura di sicurezza eventualmente pronunciate nei suoi confronti nello Stato membro di emissione.

In questi casi e quando lo Stato di emissione ha recepito anch'esso – ed è il caso della Romania – la decisione quadro sul riconoscimento delle sentenze, la misura inflitta all'estero, ma da scontare in Italia, deve essere oggetto di una procedura di adeguamento che non è circoscritta al requisito della doppia incriminazione e all'equità del processo, come richiesto dalle disposizioni nazionali sul mandato di arresto, sicché va corretta la pena estera eccessiva, se non conforme al diritto interno italiano.

Le due più recenti pronunce della Corte di cassazione sul tema valorizzano, ai fini del riconoscimento in sede di richiesta di consegna basata su mandato di arresto europeo, la manifestazione del consenso dell'interessato all'esecuzione della sentenza straniera nel Paese di cittadinanza, anche qualora non espresso in forma esplicita, ma implicitamente nella deduzione della causa di rifiuto della consegna di cui all'art. 18, comma1 lett. r), legge n. 69/2005 (cfr. Cass. pen., Sez. VI, 9 febbraio 2018, n. 7801; Cass. pen., Sez. VI, 16 febbraio 2018, n. 8439).

In ultimo, la sentenza della Corte di appello di Venezian. 37/2018 Agi Mae, in data 12 Luglio 2018, divenuta irrevocabile il 24 luglio 2018, offre, invece, una interpretazione avanzata e dinamica del riconoscimento in sede di consegna basata sul mandato di arresto europeo.

Essa analizza la questione del contestuale riconoscimento, in sede di mandato di arresto europeo in executivis, della sentenza penale straniera che irroga una pena detentiva al cittadino italiano, risolvendola in senso positivo al riconoscimento, poiché l'obiettivo comune perseguito dal combinato disposto di cui agli artt. 18,comma 1,lett.r) l. 69/2005 e 24 d.lgs. 161/2010 è quello di evitare l'impunità della persona condannata a pena detentiva.

La decisione si apprezza, quindi, per avere stimato possibile la contestualità del riconoscimento in sede di mandato di arresto europeo, al di là della formale richiesta di riconoscimento avanzata dallo Stato di emissione della sentenza penale ai sensi degli artt. 4 e segg. d.lgs. 161/2010.

La scelta interpretativa della Corte territoriale ha reso chiara la funzione di trait d'union dell'art. 24 d.lgs. 161/2010 nel prevedere il riconoscimento in caso di rifiuto di consegna ai sensi dell'art. 18, comma 1, lett. r) l. 69/2005, permettendo così di dare concretezza al principio del reciproco riconoscimento delle sentenze penali che infliggono pene detentive o misure alternative della libertà personale per la loro esecuzione nell'Unione europea.

La novità e i limiti del Sistema informativo del casellario europeo (Ecris)

Ecris – European Criminal Records Information System – è il sistema informativo del casellario europeo, che consente l'interconnessione telematica dei casellari giudiziari e rende effettivo lo scambio di informazioni sulle condanne fra gli Stati membri, in uno formato standard comune a tutti.

Ecris dà completa attuazione, in ambito comunitario, alla Convenzione europea di mutua assistenza in materia penale del 20 aprile 1959, che ha previsto che ciascun Paese aderente, nel condannare un cittadino di altro Stato, informi della condanna il Paese di cittadinanza (art. 22 della Convenzione).

Per la realizzazione del sistema Ecris, il Consiglio dell'Unione europea ha approvato la decisione quadro 2008/675/Gai e le due decisioni quadro 2009/315/Gai e 2009/316/Gai, queste ultime due recepite dai decreti legislativi 74 e 75 del 2016.

La prima decisione quadro 2008/675/Gai, recepita con decreto legislativo 73/2016, rappresenta un salto di qualità nel contesto della cooperazione in materia penale, perché stabilisce l'applicazione del reciproco riconoscimento delle sentenze di condanna tra Stati membri dell'Unione, in occasione di un nuovo procedimento penale.

Ciò posto, pur dovendosi attribuire all'inserimento della sentenza penale di condanna nel casellario europeo il valore di una vera e propria certificazione, non è, tuttavia, previsto che la sentenza riportata in tale casellario possa essere valutata a fini esecutivi, nello Stato di esecuzione, essendo limitati gli effetti del sistema Ecris a quelli indicati all'art. 3 del decreto legislativo 73/2016, che non comprendono l'utilizzo del certificato Ecris ai fini del riconoscimento della sentenza penale straniera a scopo di esecuzione di pena detentiva.

La finalità di reinserimento sociale della persona condannata

La nuova procedura in esame, come quella sul Mae, mira ad aumentare la possibilità di reinserimento sociale delle persone condannate (cfr. decisione quadro 2008/909/Gai: considerandum n. 9: «L'esecuzione della pena nello Stato di esecuzione dovrebbe aumentare la possibilità di reinserimento sociale della persona condannata. Nell'accertarsi che l'esecuzione della pena da parte dello Stato di esecuzione abbia lo scopo di favorire il reinserimento sociale della persona condannata, l'autorità competente dello Stato di emissione dovrebbe tenere conto di elementi quali, per esempio, l'attaccamento della persona allo Stato di esecuzione e il fatto che questa consideri tale Stato il luogo in cui mantiene legami familiari, linguistici, culturali, sociali o economici e di altro tipo»).

D'altra parte, è questo uno degli obiettivi principali («favorire il reinserimento sociale della persona condannata») del sistema di cooperazione giudiziaria in materia penale, fondato sul reciproco riconoscimento enunciato dal Consiglio europeo di Tampere nel 1999, come è anche ribadito all'art. 3 della decisione quadro 909/2008 (cfr. decisione quadro 2008/909/Gai: art. 3 (Finalità e ambito di applicazione): «1. Scopo della presente decisione quadro è stabilire le norme secondo le quali uno Stato membro, al fine di favorire il reinserimento sociale della persona condannata, debba riconoscere una sentenza ed eseguire la pena […]»).

Lo scopo dell'art. 3, punto 1, della citata decisione quadro è coerente con il principio della finalità rieducativa della pena, stabilito dall'art. 27, comma 3, Cost., il quale vieterebbe che siano previste modalità di esecuzione della pena le quali «azzerino sostanzialmente i rapporti, le situazioni e i contesti personali e che, comunque, ne ostacolino irragionevolmente la prosecuzione, compatibilmente con l'esecuzione della pena e nel costante rispetto del principio di proporzione».

Tale strumento legislativo osserva la Suprema Corte – mira, dunque, «[…] ad aumentare la possibilità di reinserimento sociale delle persone condannate (considerandum n. 9 ) e ha, pertanto, la finalità di consentire l'esecuzione di una sentenza di condanna pronunciata dall'autorità giudiziaria di uno Stato membro dell'Unione europea nello Stato membro di cittadinanza della persona condannata o in un altro Stato membro che abbia espresso il consenso a riceverla. In tal senso, infatti, il considerandum n. 17 ha cura di precisare che «laddove nella presente decisione quadro si fa riferimento allo Stato in cui la persona condannata “vive”, si intende il luogo a cui tale persona è legata per il fatto che vi soggiorna abitualmente e per motivi quali quelli familiari, sociali o professionali […]» (cfr. Cass. pen., Sez. VI,19 maggio 2014,n. 20527).

In effetti, il principio di individualizzazione del regime di (futura) esecuzione della pena è preordinato a incrementare le opportunità di inserimento del condannato nel tessuto relazionale, sociale, affettivo, ma anche economico e abitativo, più funzionale allo sviluppo delle potenzialità socializzanti e rieducative della pena inflitta ( oppure infliggendo ) dallo Stato di emissione, ma dalla cui positiva operatività vengono a trarre diretto e immediato beneficio sia lo Stato di esecuzione, in quanto Stato della cittadinanza o della residenza del consegnando, sia gli altri Stati dell'Unione europea.

In conclusione

In conclusione, può affermarsi che l'istituto del riconoscimento, pur perseguendo l'intento di contribuire alla creazione di uno «spazio di libertà, sicurezza e giustizia in cui sia assicurata la prevenzione della criminalità e la lotta contro quest'ultima», accorda, tuttavia, in linea con il considerandum n. 8 e con il considerandum n. 9 decisione quadro 2008/909/Gai, particolare importanza alla possibilità di accrescere le opportunità di reinserimento sociale della persona ricercata una volta scontata la pena cui essa è stata condannata.

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