Licenziamento: il termine di decadenza decorre dalla trasmissione dell’atto di impugnazione e non dalla sua ricezione da parte del datore di lavoro
24 Settembre 2018
Il caso. Il tribunale di Torre Annunziata aveva dichiarato inammissibile, per intervenuta decadenza, le domande di due lavoratrici dirette ad ottenere l'annullamento e la declaratoria di illegittimità del licenziamento collettivo seguito a una procedura di mobilità che assumevano illegittima sotto il profilo formale e sostanziale. Con successiva sentenza lo stesso Tribunale aveva respinto l'opposizione confermando l'ordinanza. La Corte di appello di Napoli aveva poi a sua volta rigettato il reclamo presentato dalle lavoratrici.
Il doppio termine di decadenza dell'impugnazione del licenziamento. I giudici della Corte di cassazione confermano il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 5717 del 2015; Cass. n. 16899 del 2016), secondo cui il termine di decadenza previsto dall'art. 6 comma 2, l. n. 604 del 1966, decorre dalla trasmissione dell'atto scritto di impugnazione del licenziamento stabilito dal primo comma dell'articolo citato e non dal perfezionamento dell'impugnazione stessa per effetto della sua ricezione da parte del datore di lavoro (cfr. Cass. n. 20068 del 2015).
L'impugnazione del licenziamento, così come legislativamente strutturata a seguito dell'ultimo intervento di riforma, costituisce una fattispecie a formazione progressiva, soggetta a due distinti e successivi termini decadenziali, rispetto alla quale risulta indifferente il momento perfezionativo dell'atto di impugnativa vero e proprio. La norma non prevede, infatti, la perdita di efficacia di una impugnazione già perfezionatasi (dunque già pervenuta al destinatario) per effetto della successiva intempestiva attivazione dell'impugnante in sede contenziosa, ma impone un doppio termine di decadenza affinché l'impugnazione stessa sia in sé efficace.
In giurisprudenza, la locuzione "L'impugnazione è inefficace se..." sta ad indicare che, indipendentemente dal suo perfezionarsi (e quindi dai tempi in cui lo stesso si realizzi con la ricezione dell'atto da parte del destinatario), il lavoratore deve attivarsi, nel termine indicato, per promuovere il giudizio. Il primo termine si avrà per rispettato ove l'impugnazione sia trasmessa entro sessanta giorni dalla ricezione degli atti indicati da parte del lavoratore, il quale, quindi, da tale momento, avendo assolto alla prima delle incombenze di cui è onerato, è assoggettato a quella ulteriore, sempre imposta a pena di decadenza, di attivare la fase giudiziaria entro il termine prefissato (Cass. n. 21410 del 2015). Sicché l'impugnazione, per essere in sé efficace e potere raggiungere il proprio scopo tipico (ferma ovviamente la sua ricezione da parte del datore di lavoro), richiede il rispetto di un doppio termine di decadenza, interamente rimesso al controllo dello stesso impugnante.
Tale soluzione, concludono i Giudici di legittimità, oltre che con la lettera del testo normativo, è altresì coerente con la finalità acceleratoria che ha improntato la novella legislativa n. 92 del 2012 e non lede in alcun modo il diritto di difesa del lavoratore, che è anzi perfettamente in grado di conoscere il dies a quo per l'instaurazione della fase giudiziaria (egli essendo il soggetto che impugna giudizialmente il licenziamento, dopo averne fatto comunicazione di impugnazione stragiudiziale).
La Corte di cassazione rigetta pertanto il ricorso. |