Incendio delle parti comuni dell’edificio e inerzia colpevole dell’amministratore

25 Settembre 2018

L'amministratore di condominio ha l'obbligo di intervenire a tutela delle parti comuni dell'edificio a prescindere dalla provenienza del pericolo; deve pertanto ritenersi che il dovere per costui di attivarsi sussista anche quando il pericolo per le parti comuni provenga da un bene di proprietà esclusiva di uno dei condomini: la posizione di garanzia concerne l'incolumità pubblica e prescinde dal fatto che il pericolo trovi origine in un bene comune...
Abstract

Una recente sentenza del Supremo Collegio penale (Cass. pen., Sez. IV, 30 giugno 2017, n. 43500), riguardante un incendio interessante le parti comuni di un condominio, offre lo spunto per interessanti rilievi in ordine alla responsabilità penale dell'amministratore.

Il caso concerne l'affermazione della responsabilità dell'amministratore di condominio di uno stabile e di un lavoratore autonomo titolare di un'impresa artigiana, per aver causato, con condotte colpose indipendenti, un incendio che aveva interessato parti comuni (cioè il tetto e un vano di sgombero) e alcune parti private dell'edificio (il piano mansardato e i lucernai).

In particolare, l'incendio si era verificato durante i lavori di impermeabilizzazione dei lucernai di proprietà dei singoli condomini. Invero, tali opere, consistenti nella messa in posa di guaina catramata, erano state inizialmente commissionate esclusivamente dal condomino proprietario delle parti private. Nel corso dell'esecuzione di tali lavori, visti i pregressi rapporti di collaborazione intercorsi con l'artigiano lavoratore, l'amministratore del condominio, di propria iniziativa, aveva ritenuto opportuno proseguire le opere di rifacimento e messa in posa della guaina impermeabilizzante anche alle parti comuni, conferendo così all'artigiano un nuovo incarico senza una precedente delibera condominiale di approvazione di lavori di impermeabilizzazione mediante posizionamento della guaina e conseguente uso della fiamma ossidrica.

La sentenza della Sezione IV della Corte di cassazione conferma la responsabilità penale per incendio ex art. 449 c.p. muovendo un rimprovero a titolo di colpa per la mancata adozione di cautele in tema di sicurezza antincendio.

Fonte: condominioelocazione.it

Gli omessi controlli da parte dell'amministratore

In particolare, all'amministratore condominiale-committente delle opere di impermeabilizzazione, era stato addebitato di aver conferito l'incarico senza aver verificato l'idoneità e competenza tecnico-professionale della persona incaricata, in violazione dell'art. 90, comma 9, lett. a) e dell'allegato XVII del d.lgs. 81/2008, e senza aver acquisito la documentazione relativa alla conformità alla normativa antinfortunistica delle attrezzature usate e dei dispositivi di protezione in dotazione, né gli attestati inerenti la formazione dell'appaltatore e neppure il suo documento di regolarità contributiva (Durc).

A tale addebito risponde l'amministratore deducendo che i lavori conferiti all'impresa non prevedevano in alcun modo l'uso di cannello a fiamma libera a G.P.L. Inoltre, in merito al mancato controllo della idoneità tecnico professionale dell'impresa, pur riconoscendo di non avere acquisita l'autocertificazione riguardante il possesso dei requisiti indicati nell'allegato XVII del d.lgs. 81/2008, l'amministratore faceva presente che l'impresa era iscritta alla Camera di Commercio come ditta autorizzata a svolgere attività non specializzata in lavori edili, e che comunque sulla veridicità dell'autocertificazione non avrebbe potuto effettuare alcuna verifica.

Inoltre, l'Amministratore non aveva neppure verificato se il lavoratore e il condominio stesso fosse dotato delle attrezzature antincendio, anche in relazione all'infiammabilità del materiale utilizzato. Si contesta all'Amministratore l'assenza di dotazioni di prevenzione a garanzia della sicurezza e conservazione dei beni comuni. Tale colpevole inerzia avrebbe quindi avuto un ruolo causalmente incidente nella produzione dell'evento, costituito dal prodursi e dal divampare dell'incendio nelle parti comuni dell'edificio.

La Suprema Corte, infatti, evidenzia che, pur in assenza di una precisa individuazione della causa che ha provocato l'incendio, la presenza di estintori e di presidi antincendio avrebbe consentito di controllare la propagazione dell'incendio. Questa circostanza evidenzia un ulteriore profilo di responsabilità in capo all'amministratore che, oltre a non verificare l'idoneità tecnica del lavoratore e delle attrezzature da lui utilizzate, nella sua qualità di committente, non aveva dotato cautelativamente il condominio della disponibilità di presidi anti-incendio. La presenza di tali presidi avrebbe certamente consentito quantomeno di dominare il divampare dell'incendio.

L'imputato, sia come committente di opere per il condominio, sia quale amministratore, avrebbe dovuto verificare le competenze della persona incaricata e le dotazioni di prevenzione da utilizzare durante i lavori, a garanzia della sicurezza e conservazione dei beni comuni.

La configurazione della posizione di garanzia

In particolare, va sottolineato che l'accertamento in concreto della responsabilità dell'amministratore di condominio postula:

a) l'individuazione precisa delle norme che incardinano la c.d. posizione di garanzia (ovvero i doveri di protezione e controllo);

b) l'individuazione del comportamento in concreto esigibile in relazione alla posizione di garanzia (comportamento alternativo lecito);

c) la sussistenza del nesso causale tra omissione ed evento lesivo.

Tali principi di carattere generale hanno trovato applicazione anche in tema di incendio colposo, e in particolare nella sentenza Cass. pen., Sez. IV, 30 giugno 2017, n. 43500.

In merito al punto a), la giurisprudenza di legittimità, in relazione ai danni provocati a terzi o ai condomini in conseguenza della violazione degli obblighi di garanzia e protezione, ha delineato, con pronunce successive e ormai consolidate nel tempo, il contenuto e i limiti dei doveri dell'amministratore di condominio committente di opere.

Nelle vesti di amministratore, il rimprovero mosso dalla Suprema Corte concerne l'omessa dotazione di dispositivi di sicurezza antincendio. Si assume pacificamente che l'amministratore di condominio detenga una posizione di garanzia ope legische discende dal potereattribuitogli dalle norme civilistiche di compiere atti di manutenzione e gestione delle cose comuni e di compiere atti di amministrazione straordinariaanche in assenza di deliberazioni della assemblea ex art. 1130, ultimo comma, c.c. Tale norma incardina a carico dell'Amministratore un obbligo di vigilanza, di controllo e di manutenzione delle cose comuni da cui scaturisce la responsabilità penale per non aver impedito l'evento lesivo ex art. 40, comma 2, c.p.

Si cita, in proposito, giurisprudenza di legittimità secondo cui «l'amministratore del condominio riveste una specifica posizione di garanzia, ex art. 40, comma 2, c.p., in virtù del quale su costui ricade l'obbligo di rimuovere ogni situazione di pericolo che discenda dalla rovina di parti comuni, attraverso atti di manutenzione ordinaria e straordinaria, predisponendo, nei tempi necessari alla loro concreta realizzazione, le cautele più idonee a prevenire la specifica situazione di pericolo» (Cass. pen., sez. IV, 23 ottobre 2015, n. 46385).

L'amministratore è quindi responsabile, anche penalmente, per gli eventi dannosi che sono derivati, secondo la formula normativa della c.d. equivalenza, dalla sua omissione. La responsabilità penale dell'amministratore di condominio ha natura omissiva, traendo origine dalla violazione dell'obbligo di compiere tutti gli atti idonei ad evitare l'evento che la norma giuridica intende prevenire, ovvero la tutela dei diritti inerenti alle parti comuni dell'edificio.

Nelle vesti di committente delle opere, il rimprovero penale concerne la violazione della normativa antiinfortunistica, ovvero l'aver conferito l'incarico senza aver verificato preventivamente l'adeguatezza tecnica e professionale dell'impresa incaricata e delle attrezzature di lavoro utilizzate, in violazione degli artt. 89-90 del d.lgs. 81/2008 (c.d. culpa in eligendo).

Da tali norme norme si desume a contrario il c.d. comportamento alternativo lecito che l'amministratore avrebbe dovuto tenere, in modo da evitare o contenere l'incendio (punto b).

Più delicata è invece la questione dell'accertamento probatorio del nesso causale tra condotta omessa ed evento lesivo verificatosi (punto c).

Al riguardo, occorre riferire che entrambi gli imputati avevano contestato l'esistenza del nesso causale, assumendo che non era stato possibile ricostruire la dinamica che aveva scatenato l'incendio che, probabilmente, si era originato nelle parti private, e solo successivamente si era propagato anche sulle parti comuni.

Il nesso di causalità tra condotta omissiva e incendio

Tuttavia, pur non essendo stato possibile ricostruire esattamente le cause che avevano determinato l'evento, in modo impeccabile, i giudici di legittimità, attraverso un giudizio logico, hanno affermato la sussistenza del nesso causale, precisando che il procedimento logico di ricostruzione del nesso causale, anche a prescindere da una precisa ricostruzione della dinamica dell'incidente, può avvenire ex art. 41, comma 2, c.p., qualora si possa escludere la rilevanza di percorsi causali alternativi.

In proposito, la Suprema Corte, in altre occasioni, ha precisato che «in tema di causalità, la dipendenza di un evento da una determinata condotta deve essere affermata anche quando le prove raccolte non chiariscano ogni passaggio della concatenazione causale e possano essere configurate sequenze alternative di produzione dell'evento, purché ciascuna tra esse sia riconducibile all'agente e possa essere esclusa l'incidenza di meccanismi eziologici indipendenti (Cass. pen., Sez. IV, 11 febbraio 2016, n. 22147: fattispecie relativa al decesso di un lavoratore in conseguenza dell'abbattimento di un albero, in cui - nel dubbio sull'esatta dinamica del sinistro - è stata, comunque, assegnata rilevanza causale alla condotta del datore di lavoro che aveva omesso di fornire ai propri dipendenti le attrezzature necessarie per l'esecuzione in sicurezza dei tagli, di formarli ed informarli sui rischi connessi a quella lavorazione e di vigilare adeguatamente sul cantiere).

Nel caso di specie, si riferisce l'inesistenza di un corto circuito elettrico proveniente dalle parti private; il mancato riscontro di tracce di liquidi infiammabili; si argomenta in base alle dimensioni e alle modalità in cui l'incendio si era sviluppato; i testi avevano dichiarato che il titolare dell'impresa aveva usato la fiamma ossidrica durante la lavorazione.

La documentazione fotografica in atti aveva portato a ritenere, conformemente a quanto evidenziato dal consulente tecnico delle parti civili, che le fiamme si erano sviluppate sulla parte alta dell'edifico, tanto che il più elevato tasso distruttivo aveva riguardato prevalentemente le nervature orizzontali e verticali del locale di sgombero comune, posto nelle vicinanze del vano motore dell'ascensore, e le nervature orizzontali dell'area corrispondente alla mansarda, mentre minore era stato il tasso distruttivo verificatosi nella zona corrispondente alla mansarda posta a fianco, così da escludere che l'incendio si fosse sviluppato da tale alloggio.

Di qui la logica conclusione che le fiamme fossero state causate da un uso maldestro del cannello a fiamma libera, che il titolare dell'impresa stava adoperando sul tetto fin dal mattino, unitamente a materiale infiammabile quali sono le guaine bituminose. Da tali elementi di fatto si era potuto logicamente desumere che la causa scatenante provenisse dal vano di sgombero sito della parte alta dell'edificio e in particolare dalle parti comuni e che le fiamme fossero derivate dall'uso del cannello a fiamma libera da parte del lavoratore, e non da altre cause.

Esclusa, logicamente e tecnicamente, ogni causa alternativa dell'evento, essendo stato accertato che l'impresa non avesse con sé mezzi di spegnimento dell'incendio, i giudici hanno ritenuto che la semplice cautela nella disponibilità di un estintore avrebbe potuto impedire la propagazione del fenomeno distruttivo.

Si afferma inoltre che, a prescindere dalla ricostruzione logica della dinamica del fatto, qualora siano prospettabili diverse ipotesi alternative in ordine alla ricostruzione del decorso causale, non è censurabile la motivazione che affermi la sussistenza della causalità tra azione colposa e l'evento, senza tuttavia precisare quale sia stata l'effettiva concatenazione causale, ovvero nell'innesco di più condotte, quale sia stata la causa scatenante.

In conclusione

Rimane, quindi, irrilevante ricostruire se l'incendio fosso stato innescato dall'uso non cauto del cannello a fiamma libera, oppure per causa accidentale, cioè a causa del surriscaldamento delle tegole, non percepibile immediatamente, che produceva un incendio “covante” (c.d. incubazione), che solo più tardi attaccava le parti lignee dell'edificio, divampando in vere e proprie fiamme.

Il principio consolidato è quindi quello secondo cui, in tema di incendio, la circostanza che il fuoco si sia sviluppato originariamente nelle parti private appartenenti ad un singolo condomino, e poi si sia esteso alle parti comuni, non esclude la responsabilità di chi, colposamente, venendo meno alla sua posizione di garanzia, abbia creato le condizioni per il suo ulteriore propagarsi.

L'amministratore di condominio ha l'obbligo di intervenire a tutela delle parti comuni dell'edificio a prescindere dalla provenienza del pericolo; deve pertanto ritenersi che il dovere per costui di attivarsi sussista anche quando il pericolo per le parti comuni provenga da un bene di proprietà esclusiva di uno dei condomini: la posizione di garanzia concerne l'incolumità pubblica e prescinde dal fatto che il pericolo trovi origine in un bene comune (Cass. pen., Sez. IV, 23 settembre 2009, n. 39959). In ogni caso, l'incendio è riconducibile a sua colpa.

Pur non essendo stato possibile ricostruire esattamente le cause che avevano determinato l'evento, ovvero se tale incendio si fosse sviluppato sulle parti comuni o fosse stato una propagazione di un focolaio sviluppatosi nelle parti private, i giudici di legittimità, attraverso un giudizio logico-probabilistico, hanno affermato la sussistenza del nesso causale, escludendo il verificarsi di fattori eccezionali.

Sussiste dunque il nesso di causalità tra l'omessa adozione di misure atte a rallentare il divampare dell'incendio, allorché risulti accertato, secondo il principio di controfattualità condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza,che la condotta doverosa avrebbe inciso positivamente quantomeno sull'evoluzione dell'evento, nel senso che questo non si sarebbe verificato ovvero si sarebbe verificato con minore intensità lesiva, qualora fossero state adottate le cautele del caso.

Guida all'approfondimento

Blaiotta,Causalità giuridica, Torino, 2010;

Brusco, Il rapporto di causalità, Milano, 2012;

Di Salvo, Causalità e responsabilità penale, Torino, 2007;

Cadoppi - Canestrari - Manna - Papa, Trattato di diritto penale. Diritto penale del lavoro. Legislazione complementare, Torino, 2015;

Castronuovo - Curi - Tordini Cagli - Torre - Valentini, Diritto penale della sicurezza del lavoro, Bononia University Press, 2015.

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