Capacità (a delinquere; criminale; d’intendere e di volere)Fonte: Cod. Pen Articolo 85
02 Ottobre 2018
Inquadramento
Nel codice penale sono previste varie forme di capacità e di incapacità; tra queste le più importanti sono costituite dalla capacità di intendere e di volere e dalla capacità a delinquere. Mentre l'imputabilità è il presupposto della responsabilità e quindi della colpevolezza, la capacità a delinquere serve a graduare, ad individualizzare la responsabilità e di conseguenza ad individuare la pena da applicare al soggetto per il reato che ha commesso. Gli elementi da cui si desume la capacità a delinquere non presuppongono necessariamente che il soggetto sia in possesso della capacità di intendere e di volere e quindi che sia imputabile, come si desume dal disposto dell'art. 203 c.p. La capacità di intendere e di volere deve essere intesa come l'attitudine del soggetto a rendersi conto del valore sociale dell'atto che compie e a discernerne e valutarne le conseguenze e ad autodeterminarsi nella selezione dei molteplici motivi che esercitano nella sua coscienza una particolare attrattiva. Nello specifico, la capacità di intendere si identifica nell'idoneità del soggetto a valutare il significato e gli effetti della propria condotta, mentre quella di volere nell'attitudine dello stesso ad autodeterminarsi in relazione ai normali impulsi che motivano l'azione. Nell'art. 85 c.p. secondo il quale è imputabile chi ha la suddetta capacità al momento del fatto (comma 2), trova fondamento il concetto di imputabilità che comprende entrambe le capacità; qualora ne manchi una, l'imputabilità viene meno e in questo caso il soggetto non può essere punito per aver commesso un fatto previsto dalla legge come reato (comma 1).
La capacità di intendere e di volere coincide con l'imputabilitàe deve essere distinta dalla coscienza e volontà dell'azione od omissione (c.d. suitas) prevista dall'art. 42 c.p. in quanto la prima, cioè l'imputabilità, attiene alle condizioni psichiche del soggetto e costituisce uno status estraneo al fatto-reato essendo rilevante solo ai fini della capacità giuridica penale; la seconda, invece, che presuppone l'imputabilità, attiene al criterio normativo in base al quale al soggetto imputabile può essere attribuita in concreto la causalità psichica di una determinata condotta penalmente rilevante ed è inerente al concetto di reato di cui costituisce l'aspetto soggettivo secondo la fondamentale duplice qualificazione del dolo e della colpa; la suitas, consiste, quindi, nel dominio anche solo potenziale dell'azione o omissione, che può essere impedita con uno sforzo del volere ed è quindi attribuibile alla volontà del soggetto (Cass. pen.,Sez. I, n. 29968/2008). Nel caso di soggetti che abbiano raggiunto la maggiore età, la capacità di intendere e di volere, poiché connaturale, secondo l'id quod plerumque accidit, a ciascun essere umano, è da considerare presunta, salvo che sussistano specifici e concreti elementi atti a far ragionevolmente ritenere che, nella singola fattispecie, detta presunzione possa essere superata da risultanze di segno contrario (Cass. pen., Sez. I, n. 5347/1993).
Alcune cause di incapacità sono espressamente previste dal codice penale. L'art. 88 c.p. dispone che non è imputabile colui che, al momento della commissione del fatto si trova in uno stato di mente tale da escludere la capacità di intendere e di volere; se, però, lo stato di mente fa scemare la capacità di intendere e di volere senza escluderla, il soggetto è imputabile ma la pena è diminuita (art. 89 c.p.). Il vizio di mente deve sempre dipendere da un'infermità, e cioè da uno stato patologico che alteri i processi intellettivi o quelli della volontà, annientando o scemando grandemente la capacita d'intendere o di volere. Le condizioni di mente dell'imputato ai fini della imputabilità devono essere accertate in relazione al tempo in cui è stato commesso il reato da giudicare, perché può accadere che il vizio di mente, riscontrato in relazione ad un determinato reato, venga successivamente escluso in relazione ad altro reato (Cass. pen.,Sez. VI, n. 3164/1996). Inoltre, non è imputabile colui che, al momento del fatto non ha la capacità di intendere e di volere a causa di uno stato di piena ubriachezza nel quale si trova per caso fortuito o forza maggiore (art. 91, comma 1, c.p.); se l'ubriachezza non è piena ma scema grandemente la suddetta capacità senza escluderla, il soggetto è imputabile ma la pena è diminuita (art. 91, comma 2 c.p.). Gli stessi principi si applicano nel caso in cui il fatto viene commesso sotto l'azione di sostanze stupefacenti (art. 93 c.p.). Se i fatti sono commessi in stato di cronica intossicazione prodotta da alcool o da sostanze stupefacenti, il soggetto non è imputabile se la capacità di intendere e di volere è esclusa; se è scemata grandemente, il soggetto è imputabile ma la pena è ridotta alla metà (art. 95 c.p.). Affinché si possa ritenere esclusa o diminuita la imputabilità dell'agente, l'intossicazione da sostanze stupefacenti deve essere caratterizzata dalla permanenza e dall'irreversibilità e, cioè, da condizioni psichiche che permangono indipendentemente dal rinnovarsi dell'assunzione o meno di sostanze stupefacenti, condizioni che, in ogni caso, devono essere valutate con riferimento al momento in cui il fatto-reato è stato commesso (Cass. pen., Sez. II, n. 44337/2013). Non è imputabile il sordomuto, se al momento del fatto la capacità di intendere e di volere è esclusa a causa della sua infermità (art. 96, comma 1 c.p.); se, invece, la suddetta è grandemente scemata, il soggetto è imputabile ma la pena è diminuita (art. 96, comma 2, c.p.). L'imputabilità è esclusa dall'art. 97 c.p. per il soggetto che, nel momento in cui ha commesso il fatto, non ha compiuto 14 anni. Colui che, al momento del fatto, ha compiuto 14 anni ma non ancora 18 può, invece, essere ritenuto imputabile ai sensi dell'art. 98 c.p. quando risulti essere in possesso della capacità di intendere e di volere. La dichiarazione di non imputabilità presuppone il riconoscimento di una immaturità psichica tale da porre i minori nella condizione di non capire l'illiceità dei fatti delittuosi. Quindi, perché un minore di età sia riconosciuto incapace di intendere e di volere al momento della commissione del reato, è necessario l'accertamento di un'infermità di natura ed intensità tali da compromettere, in tutto od in parte, i processi conoscitivi, valutativi e volitivi del soggetto, eliminando od attenuando grandemente la capacità di percepire il disvalore sociale del fatto e di autodeterminarsi autonomamente.
L'imputabilità, invece, non è esclusa:
L'art. 94 c.p. prevede un aumento di pena se il reato viene commesso in stato di ubriachezza abituale o abituale uso di sostante stupefacenti; per abitualità deve intendersi l'uso regolare di bevande alcoliche o di sostanze stupefacenti e lo stato usuale di ubriachezza o alterazione dovuta a sostanze stupefacenti. L'art. 86 c.p. dispone che, quando un soggetto induce un altro nello stato di incapacità di intendere o di volere al fine di fargli commettere un reato, il primo risponde del reato commesso dal secondo. La capacità di intendere e di volere è richiamata anche dal codice civile, al Titolo IX dedicato ai fatti illeciti, all'art. 2046 c.c. (imputabilità del fatto dannoso) secondo il quale «non risponde delle conseguenze del fatto dannoso chi non aveva la capacità d'intendere o di volere al momento in cui lo ha commesso, a meno che lo stato d'incapacità derivi da sua colpa». In questo caso, però, opera un sistema autonomo rispetto a quello previsto da Legislatore in tema di imputabilità del reato, in quanto in campo penale è la legge stessa che fissa le cause che escludono l'imputabilità, mentre, in campo civile compete sempre al giudice accertare se, in base al vizio di mente, all'età immatura o altra causa, esuli in concreto la capacita di intendere e di volere (Cass. civ., Sez. III, n. 11163/1990) Imputabilità e colpevolezza sono istituti ben distinti del diritto penale, la prima attiene ad una condizione psichica del soggetto, estrinseca al reato, che rileva ai fini della capacità giuridica penale, la seconda, che presuppone la prima, fa riferimento al criterio normativo in base al quale è attribuibile in concreto al soggetto la causalità psichica di una determinata condotta ed inerisce al concetto di reato di cui costituisce l'aspetto soggettivo secondo la fondamentale duplice qualificazione del dolo o della colpa. L'indagine sulla colpevolezza di un soggetto ad imputabilità diminuita va, di norma, autonomamente operata con gli stessi criteri adottabili nei riguardi del soggetto pienamente capace. L'imputabilità costituisce il presupposto non soltanto logico-giuridico ma altresì naturalistico della colpevolezza, in quanto soltanto chi è capace di intendere e di volere può in concreto determinarsi in modo penalmente rilevante nella coscienza e volontà della condotta, cioè può essere giudicato colpevole. L'indagine sul dolo non è preclusa dalla incapacità di intendere o di volere del soggetto, poiché l'imputabilità non è un presupposto della colpevolezza. Questa, infatti, concerne il reato e non il reo. Sentenze emesse per fatti commessi in tempi diversi.Non esiste incompatibilità logico-giuridica tra due sentenze, emesse nei confronti dello stesso imputato per fatti diversi commessi in tempi diversi, delle quali una lo ritenga incapace e l'altra, viceversa, capace di intendere e di volere (ovvero di capacità grandemente scemata), e ciò in quanto l'infermità mentale può non costituire uno stato permanente dell'individuo e l'accertamento delle condizioni mentali, ai fini dell'imputabilità, deve essere effettuato in relazione al momento in cui viene commesso il reato (Cass. pen.,Sez. II, n. 8038/1997).
Sentenza di non luogo a procedere. Il giudice può pronunciare sentenza di non luogo a procedere per difetto di imputabilità, a norma dell'art. 425 c.p.p., solo dopo aver accertato la configurabilità, in termini materiali e di colpevolezza, del reato attribuito all'imputato stesso (Cass. pen.,Sez. VI, n. 38579/2008)
Arresto in flagranza. L'arresto in flagranza di un soggetto che versi in stato di incapacità di intendere e di volere è illegittimo, perché operato in violazione del divieto posto dall'art. 385 c.p.p., sempre che tale stato "appaia", cioè si manifesti chiaramente, all'agente operante al momento dell'intervento; nell'ipotesi in cui, in carenza di tale condizione manifesta, la non imputabilità si palesi solo in sede di convalida dell'arresto, sulla base della documentazione sanitaria acquisita agli atti e/o dell'interrogatorio svolto, non è consentito al giudice della convalida inserire nello schema valutativo del controllo dell'attività di polizia giudiziaria, conoscenze acquisite aliunde o comunque diverse da quelle poste a base dell'arresto e del fermo (Cass. pen.,Sez. II, n. 39894/2004). Spetta al giudice per le indagini preliminari verificare, in sede di convalida dell'arresto, sulla base della documentazione sanitaria in atti e del contenuto dell'interrogatorio svolto, se l'arrestato fosse capace di intendere e di volere al momento della commissione del fatto (Cass. pen., Sez. V, n. 2584/1993); questi deve operare un controllo di mera ragionevolezza, ponendosi nella stessa situazione di chi ha operato l'arresto sulla base degli elementi al momento conosciuti (Cass. pen.,Sez. VI, n. 7470/2017).
Riti alternativi. In tema di patteggiamento, il giudice è tenuto ad accertare d'ufficio la capacità di intendere e di volere dell'imputato e la sua capacità di stare in giudizio di talché è invalido l'accordo negoziale qualora emerga, anche successivamente all'emissione della sentenza, che l'imputato non aveva tali capacità al momento in cui ha espresso la sua volontà (Cass. pen.,Sez. VI, n. 38454/2017). La definizione del giudizio nelle forme del rito abbreviato non esime il giudice dalla verifica della capacità di intendere e di volere dell'imputato al momento del fatto, qualora le parti alleghino su tale aspetto elementi concreti e non manifestamente inconferenti ovvero questi emergano ictu oculi dagli atti (Cass. pen.,Sez. I, n. 8965/2016). Ai fini della determinazione della pena da applicare, il giudice deve procedere ad una valutazione complessiva del fatto e della personalità dell'autore, categorie di elementi che, se pure sono indicate in due parti separate della stessa disposizione, molto spesso si integrano. Tali parametri sono previsti dall'art. 133 c.p. e attengono, rispettivamente, alla gravità del reato (comma 1) e alla capacità a delinquere del colpevole (comma 2). La capacità a delinquere o capacità criminale deve essere intesa quale attitudine del soggetto a commettere reati. La norma indica vari parametri tramite i quali può essere valutata tale capacità:
Anche il comportamento processuale tenuto dall'imputato può essere valutato dal giudice, che può trarre da esso il convincimento di una personalità negativa. Questo è un concetto complesso che racchiude le più svariate manifestazioni della condotta del reo nel procedimento, in ogni caso, però, l'esercizio di un diritto processuale (ad esempio non consentire all'esame o non rilasciare dichiarazioni contro sé stesso) non può legittimamente considerarsi come comportamento processuale negativo e non può essere assunto come elemento in base al quale dedurre una futura capacità a delinquere (Cass. pen., Sez. III, n. 3396/2016).
Da tali aspetti sono escluse le capacità economiche del soggetto che vengono, invece, prese in considerazione ai fini della valutazione della pena pecuniaria ai sensi dell'art. 133-bis c.p. (Cass. pen., Sez. III, n. 17103/2016). Per ottenere la riduzione è necessario che l'imputato alleghi l'indispensabile documentazione atta a chiarire la sua posizione economica.
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