La truffa contrattuale di acquisto mediante assegni scoperti o postdatati

Gianluca Bergamaschi
10 Ottobre 2018

La questione verte sull'individuazione delle condizioni, teoriche e pratiche, a fronte delle quali possa essere considerata idonea a integrare gli artifici o i raggiri della truffa contrattuale d'acquisto, la dazione di un assegno scoperto, ossia clandestinamente non dotato di provvista sul conto corrente bancario di traenza, ovvero di un assegno postdatato, ossia palesemente non dotato di provvista attuale ma ancora onorabile entro il termine di scadenza apposto sul titolo di credito e, tuttavia, mai onorato.
Abstract

La questione verte sull'individuazione delle condizioni, teoriche e pratiche, a fronte delle quali possa essere considerata idonea a integrare gli artifici o i raggiri della truffa contrattuale d'acquisto, la dazione di un assegno scoperto, ossia clandestinamente non dotato di provvista sul conto corrente bancario di traenza, ovvero di un assegno postdatato, ossia palesemente non dotato di provvista attuale ma ancora onorabile entro il termine di scadenza apposto sul titolo di credito e, tuttavia, mai onorato.

Il pagamento con assegno scoperto

Quanto al pagamento con assegno scoperto la giurisprudenza è da sempre sulla linea della necessità di un quid pluris comportamentale, rispetto alla semplice dazione di un assegno a vuoto (Cass. pen., Sez. Sez. II, 6 luglio 1972 e Cass. pen., Sez. II, n. 8178/1984).

La Corte, nel tempo, è venuta, però, precisando questa impostazione in modo tale da renderla, di fatto, sempre meno garantista.

Si veda, ad esempio in Cass. pen.,Sez. II, n. 46890/2011, la quale affermò che: «[…] il semplice pagamento di merce acquistata mediante assegni di conto corrente privi di copertura, non è sufficiente, da solo, a costituire, di regola, raggiro idoneo a trarre in inganno il soggetto passivo e a indurre alla conclusione del contratto, ma concorre a realizzare la materialità del delitto di truffa quando sia accompagnato da un quid pluris, da un malizioso comportamento dell'agente, da fatti e circostanze idonei a determinare nella vittima un ragionevole affidamento sull'apparente onestà delle intenzioni del soggetto attivo e sul pagamento degli assegni»; riconoscendo gli estremi del malizioso comportamento in un contesto fattuale piuttosto articolato ed elaborato, costituito: «dall'utilizzo, quale mezzo di pagamento, di assegni (poi protestati per mancanza di fondi) di cui aveva la disponibilità non nella sua qualità di privato imprenditore ma di presidente del Consorzio di difesa dei Prodotti Agricoli, ente estraneo al rapporto di cessione delle quote societarie del Ma. a favore del M.. Gli altri elementi (fama di ricco e affermato imprenditore; esibizione di consistente patrimonialità) … si ponevano quindi come dati contorno […]»; cosicché: «L'avere il soggetto agente maliziosamente taciuto la rilevante circostanza che gli assegni erano emessi su conto corrente non solo privo di copertura, ma di soggetto estraneo, costituisce condotta idonea ad incidere sul processo volitivo del contraente e rivela la natura ingannatoria della messa in scena posta in essere dal decipiens».

Successivamente Cass. pen.,Sez. II, n. 20966/2012 sostenne che: «la semplice emissione e consegna, in pagamento, nella specie, della rata semestrale del premio dovuto per l'assicurazione R.C.A. della propria autovettura, di un assegno postale privo di copertura non può costituire da sola idoneo raggiro ai fini del delitto di truffa, specialmente quando il titolo di credito, emesso da altri, sia trasmesso per girata da uno dei vari trattari del titolo, poiché in tal caso colui che riceve il titolo, non conoscendo l'originario traente, accetta, secondo un rischio calcolato, l'evidente dose di alea insita nell'operazione. Detta trasmissione, però, può concorrere ad integrare la materialità del delitto di truffa, qualora l'agente aggiunga un ulteriore comportamento penalmente rilevante, anche con semplici assicurazioni, mediante il quale induca il soggetto passivo in errore sulla sua intenzione di pagare che valga a vincere la resistenza del venditore ed a convincerlo ad accettare il titolo di credito in luogo del danaro contante»; la sentenza si segnala perché, quale malizioso comportamento idoneo a costituire artificio o raggiro, considera sufficiente una generica assicurazione della volontà di pagare e della solvibilità del titolo, da parte del compratore, come pure per l'introduzione del concetto della assunzione di rischio, in questo caso per chi accetti un assegno girato più volte.

Nella stessa scia si collocano la quasi totalità delle sentenze della Cassazione, variando solo l'aspetto fattuale della condotta di accompagnamento alla dazione dell'assegno cabriolet, ritenuta sufficiente e idonea a costituire artificio o raggiro e, dunque, a configurare una truffa.

Ad esempio, in Cass. pen.,Sez. II, 32341/2013, venne ritenuto truffaldino, l'acquisto di un veicolo dando documenti falsi per l'intestazione dello stesso e pagandolo in parte in contanti ed in parte con un assegno scoperto ed intestato ad un terzo, per poi ritirare il bene e fare perdere le tracce; lo stesso in Cass. pen.,Sez. II, n. 10850/2014, con una situazione di fatto in cui in pagamento venne dato un assegno falso, oltre che scoperto, fatto compilare dall'acquirente con la scusa, addotta dal compratore, di non avere con sé gli occhiali; ancora in Cass. pen.,Sez. II, n. 33441/2015, con una situazione di fatto in cui in pagamento vennero dati assegni postdatati e privi di provvista e previa rappresentazione del compratore di essere un contraente degno di credito e sottacendo le reali condizioni economiche in cui versava la propria ditta, che fallì dopo circa un anno, senza che gli assegni fossero mai onorati. (Si noti che, in questo ultimo caso la Corte annullò una sentenza di appello che aveva avvallato un giudizio assolutorio di primo grado).

La dazione dell'assegno postdatato

Quest'ultimo arresto anticipa e introduce il tema della dazione dell'assegno postdatato, che la giurisprudenza più risalente considera ancora meno idoneo dell'assegno semplicemente scoperto a costituire un artificio della truffa, laddove, ad esempio, Cass. pen., Sez. II, del 10 dicembre 1986 affermò che: «nel reato di truffa il pagamento con assegno postdatato non è elemento sufficiente a trarre in inganno, poiché la postdatazione è già di per sé indice di mancanza di copertura»; da cui, ovviamente, consegue la piena consapevolezza, in capo al prenditore, della mancanza attuale di provvista, con la deliberata assunzione del rischio che tale mancanza possa sussistere anche alla scadenza; cosicché la conclusione del negozio avviene non per effetto di un inesistente inganno del compratore che induca in un plausibile errore il venditore ma per una consapevole assunzione di rischio da parte di costui.

Diversamente, però, la giurisprudenza, specie in tempi più recenti, ha adottato una linea interpretativa che appare addirittura più penalizzante per chi emetta un assegno postdatato, rispetto a chi lo emetta semplicemente scoperto, giacché, anziché esigere un malizioso comportamento, spesso si accontenta di una semplice rassicurazione, circa la copertura futura dello stesso, per considerare realizzato un raggiro idoneo a configurare la truffa, unitamente all'artificio della dazione dell'assegno.

Si veda, ad esempio, la Cass. pen.,Sez. II, n. 28752/2010, la quale – in un contesto fattuale in cui l'acquirente pagò con assegno postdatato, al contempo, informando il venditore che lo stesso era momentaneamente scoperto ma rassicurandolo che successivamente sarebbe stato reso solvibile, cosa che non fece per asserite difficoltà finanziarie – affermò che: «l'idoneità dell'artificio e del raggiro deve essere valutata in concreto, ossia con riferimento diretto alla particolare situazione in cui è avvenuto il fatto ed alle modalità esecutive dello stesso … e che l'emissione di un assegno a vuoto in pagamento di merce costituisce raggiro idoneo ai fini della truffa allorché la consegna in pagamento dell'assegno sia fatta assicurandone esplicitamente la copertura»; ciò in quanto: «È costante principio di legittimità che qualora sia stato accertato il nesso di causalità tra l'artificio e il raggiro e l'altrui induzione in errore non è necessario verificare l'idoneità in astratto dei mezzi usati quando in concreto questi si sono rivelati idonei a trarre in errore».

Qui, con ogni evidenza, la giurisprudenza interpreta l'eliminazione del riferimento alla attitudine ad ingannare o sorprendere l'altrui buona fede, contenuta nel codice previgente, come un'assoluta licenza di applicare meccanicamente e assiomaticamente il principio post hoc propter hoc, con cui, partendo dall'esigenza di analizzare la condotta in concreto, rinuncia a qualsiasi astratto parametro di riferimento, quale potrebbe essere l'avvedutezza dell'uomo medio o del buon padre di famiglia, finendo così per considerare idoneo artificio o raggiro qualsiasi comportamento dell'emittente – anche di mera, generica e ovvia rassicurazione –, trascurando del tutto la postura del prenditore e la “concreta” possibilità che egli abbia ben compreso la situazione e, lungi dall'essere stato ingannato e caduto in errore, abbia semplicemente inteso correre un rischio pur di concludere l'affare.

Una logica non troppo differente si ravvisa anche nella Cass. pen.,Sez. II, n. 42941/2014, ove la Corte – in un contesto fattuale nel quale l'acquirente pagò con assegno postdatato, al contempo, informando il venditore che lo stesso era momentaneamente scoperto, a motivo del fatto che gli sponsor che avevano partecipato al convegno non avevano ancora a loro volta corrisposto quanto dovuto, ma che, poi, mai venne onorato, giacché il venditore non provvide alla copertura dell'assegno e al pagamento del debito neppure dopo il protesto – ribadisce i concetti visti supra e ribadisce pure che: «non ha rilievo la asserita mancanza di diligenza, di controllo e di verifica da parte della persona offesa. Detta circostanza infatti non esclude l'idoneità del mezzo in quanto si risolve in una mera deficienza di attenzione che il più delle volte è determinata dalla fiducia che, con artifici e raggiri, sa suscitare il truffatore nella parte lesa». (Si noti che la Corte cassa una sentenza assolutoria in appello, a propria volta emessa in riforma della sentenza di condanna di primo grado).

Appena più coerente con l'esigenza di una condotta effettivamente maliziosa, appare, invece, Cass. pen.,Sez. II, n. 52021/2014, in cui si riafferma quanto sopra, in un contesto fattuale molto più articolato, ossia quello di un compratore che non si limitò a rassicurare il venditore sulla futura copertura degli assegni postdatati ma, per meglio carpire la fiducia del primo, accompagnò le generiche rassicurazioni con l'affermazione che il di lui figlio era un finanziere, nonché consegnando come primi assegni quelli di pertinenza di una ditta, che – essendo di nuova costituzione – non aveva assegni protestati, con ciò inducendola ad accettare ulteriori assegni di altra ditta, tutti, comunque tratti sul conto bancario della di lui cognata; nonché Cass. pen.,Sez. II, n. 33441/2015, sebbene in una situazione di fatto più ambigua, nella quale in pagamento vennero dati assegni postdatati e privi di provvista e previa rappresentazione del compratore di essere un contraente degno di credito e sottacendo le reali condizioni economiche in cui versava la propria ditta, che fallì dopo circa un anno, senza che gli assegni fossero mai onorati. (Si noti che la Corte annulla una sentenza di appello che aveva avvallato un giudizio assolutorio di primo grado).

In qualche misura, infine, risulta distonica la Cass. pen.,Sez. II, n. 32056/2017 (emessa, tuttavia, nell'ambito di una truffa non incentrata esclusivamente sugli assegni), la quale – in un contesto fattuale in cui si era instaurato un rapporto commerciale che fu caratterizzato, all'inizio, da regolare adempimento e, poi, da pagamenti tramite titoli di credito privi di fondi ma con la persona offesa che continuò a dare corso agli ordinativi; infatti, nonostante il compratore avesse in sospeso dei pagamenti per circa settemila euro e gli assegni consegnati in pagamento fossero stati protestati, quest'ultimo si presentò nuovamente nei magazzini della società chiedendo di pagare l'arretrato (cosa che fece saldando in contanti) e di acquistare altra merce a debito che, però, in seguito non pagò, offrendosi di restituire la stessa – afferma, quale principio di diritto, che: «non costituisce raggiro o artifizio – bensì mero inadempimento civilistico – la condotta dell'agente che, dopo avere intrattenuto con il venditore molteplici rapporti contrattuali caratterizzati anche da pagamenti in ritardo, insoluti e titoli di credito protestati, effettui un ulteriore ordinativo di merce al quale il venditore dà corso pur essendo consapevole dello stato di precarietà economica in cui versa l'acquirente»; conseguentemente annullò la sentenza di condanna senza rinvio e assolse perché il fatto non sussiste, ritenendo, evidentemente, incofigurabili gli artifici o raggiri, a fronte della consapevolezza, da parte del venditore, del rischio di insolvenza del compratore.

Considerazioni critiche

La giurisprudenza analizzata costituisce un campione abbastanza rappresentativo dello stato dell'arte giurisprudenziale di legittimità sull'argomento ed è già ben indicativa della rischiosa indeterminatezza che circonda la condotta della truffa mediante assegni.

La Cassazione, invero, oscilla tra l'esigenza di un malizioso comportamento e la presenza di semplici rassicurazioni, passando per il semplice tacere delle condizioni economiche effettive e attuali, da parte del compratore che emetta l'assegno scoperto e/o postdatato, lasciando, sostanzialmente, nell'area del “non cale”, la condotta e la postura psicologica del venditore e prenditore dell'assegno.

Salvo il caso della Cass. pen.,Sez. II, n. 32056/2017, infatti, la giurisprudenza analizzata mostra di ritenere irrilevante la condotta del soggetto passivo, essenzialmente per sottrarsi alla necessità di una valutazione astratta, prima che in concreto, dell'idoneità dell'azione suppostamente ingannatoria e finendo per rifugiarsi nell'assiomatismo tautologico secondo il quale, se il venditore e prenditore dell'assegno scoperto acconsentì a un atto rivelatosi per lui dannoso, lo deve aver fatto per forza in quanto ingannato.

In realtà l'inganno è un concetto di relazione che si ricollega necessariamente all'effettiva produzione di un errore, in capo al soggetto passivo; cosicché, a scanso di indebiti automatismi, presuppone un raffronto costante dei due poli interessati, operato attraverso un'analisi che, prima di essere fatta in concreto, deve elaborare un paradigma di idoneità astratta che tenga conto della corretta postura di tutti i soggetti coinvolti e che, quanto al venditore e prenditore dell'assegno, potrebbe richiamarsi a concetti come l'avvedutezza dell'uomo medio o del buon padre di famiglia, alla stregua dei quali valutare l'effettiva ricorrenza dell'errore.

Infatti, se per aversi l'artificio o il raggiro, l'assegno scoperto dato in pagamento deve essere «accompagnato da un malizioso comportamento dell'agente nonché da fatti e circostanze idonei a determinare nella vittima un ragionevole affidamento sul regolare pagamento dei titoli» e salvo non si voglia dare a tale assunto un significato talmente minimalista da nullificarlo del tutto e, di fatto, finire per considerare idonea qualunque emissione di assegni a vuoto accompagnata da ovvie e generiche rassicurazioni, occorre esigere che tale condotta maliziosa sia ben circostanziata e univoca nel suo significato fraudolento, di talché si possa dire, al di là di ogni ragionevole dubbio, che l'affidamento del venditore e prenditore dell'assegno sia effettivamente dovuto ad un errore frutto di un inganno e non di una sua superficialità o della sua volontà di assumersi un rischio calcolato pur di effettuare una vendita.

Ciò vale ancora di più in caso di assegno scoperto e postdatato nonché, successivamente, non dotato di provvista alla scadenza, giacché la postdatazione rivela apertamente l'attuale scopertura dell'assegno, di cui, quindi, il prenditore è perfettamente consapevole, cosicché – salvo non sia intervenuta, da parte dell'emittente e compratore, un'attività di raggiro particolarmente efficace e significativa per dovizia ed articolazione di rassicurazioni menzognere – l'accettazione di tale forma di pagamento deve essere intesa non come un errore, ma come il frutto della volontà di correre un rischio calcolato da parte del venditore e, ove il titolo non sia poi onorato, ciò dovrà essere considerato come un mero inadempimento civilistico del compratore, salvo che egli non abbia deliberatamente inteso svuotare o non rifornire di provvista il conto su cui l'assegno venne tratto; tutte circostanze, però, che devono essere rigorosamente provate dall'accusa o, quanto meno, emergere chiaramente dal quadro istruttorio.

Ne consegue, in pratica, che – ove il presunto raggiro che accompagni il supposto artificio della dazione di un assegno scoperto (ma non postdatato), sia consistito in generiche rassicurazioni circa la solvibilità, rivelatasi, poi, insussistente – saremo al massimo al cospetto di una insolvenza fraudolenta, ex art. 641 c.p., valendo tale condotta, al più, come dissimulazione, ossia nascondimento, dello stato d'insolvenza e sempre che ciò, in realtà non sia noto o notabile dal prenditore con l'ordinaria diligenza, dovendosi, diversamente ritenere che, a fronte di un certo grado di consapevolezza del rischio, avuta o avenda, da parte di costui, egli abbia deliberatamente inteso correrlo, alla stregua di una sorta di particolare forma di rischio di impresa.

In conclusione

Come già ricordato supra, l'eliminazione del riferimento previgente alla attitudine ad ingannare o sorprendere l'altrui buona fede degli artifici o raggiri, ha determinato un atteggiamento monoscopico della giurisprudenza, tutto teso a guardare cosa fa e cosa vuole il soggetto agente, senza mai metterlo in relazione dialettica con quello che fa e vuole il soggetto passivo; dimenticando completamente che l'inganno è un concetto di relazione che non può prescindere dall'errore che produce e, dunque, da un'osservazione congiunta e coordinata, volta almeno ad accertare l'idoneità minima dell'azione a produrre un nesso eziologico effettivo, senza il quale neppure si può cominciare a parlare di condotta tipica e di ricorrenza dell'elemento psicologico, che non può mai essere dato per scontato.

Se, poi, si osserva che, da un determinato numero di anni, assistiamo ad una certa recrudescenza della tendenza a valorizzare gli assegni scoperti quali artifici della truffa, non possiamo non mettere ciò in relazione con il fatto che nel 1999 venne depenalizzato il reato di emissione di assegno senza provvista e che forse, dopo di allora, non si disdegna di recuperare la sanzionabilità di tale comportamento attraverso la fattispecie dell'art. 640 c.p.

Tuttavia, non dovrebbe essere necessario entrare nell'ordine di idee che «lo Stato non deve farsi paladino degli imbecilli», come pure qualcuno ha autorevolmente sostenuto, per aversi una giurisprudenza la quale tenga sempre ben a mente che non omne quod licet honestum est; per cui se il Legislatore, una ventina di anni or sono, decise di depenalizzare l'emissione dei assegni a vuoto, occorre farsene una ragione ed evitare di ritrascinare surrettiziamente nell'area del penalmente rilevante ciò che da essa è stato espressamente e sovranamente espunto, ad esempio sfruttando l'indeterminatezza di alcune fattispecie e forzando l'ermeneusi degli elementi costitutivi del reato, per trasformare un illecito penale di minore gravità, in un altro più grave ovvero per sanzionare penalmente un semplice illecito civile, che, pertanto, in tale sede dovrà essere lamentato.

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