Il rapporto tra le spese future e la restituzione del compenso nella RC medica

Filippo Rosada
16 Ottobre 2018

L'Autore cerca di portare chiarezza sulla differenza ontologica che intercorre tra la restituzione del compenso del professionista inadempiente e le spese future conseguenti alla malpractice, con le conseguenze pratiche che ne derivano anche sotto il profilo assicurativo.
Il fatto illecito/inadempimento quale fonte dell'obbligazione risarcitoria

Al fine di affrontare con cognizione di causa la problematica oggetto del presente lavoro, è utile evidenziare sin da subito come le fonti delle obbligazioni in generale e quindi, anche di quella risarcitoria, siano elencate nell'art. 1173 del c.c.: «Le obbligazioni derivano dalla legge, da contratto, da fatto illecito o da ogni altro fatto idoneo a produrle in conformità all'ordinamento giuridico».

La nozione generale di fatto illecito, si evince dal contenuto dell'art 2043 c.c., che postula che «Qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno».

La norma, come si può notare, dispone anche su quella che viene definita la reazione dell'ordinamento giuridico alla commissione del fatto illecito, la cd. sanzione (che la responsabilità civile svolga anche una funzione sanzionatoria è stato conclamato da Cass. civ., Sez. Un., 5 luglio 2017 n. 16601)».

La reazione “ideale” per il nostro ordinamento è quella che tende a vanificare l'atto compiuto in violazione alla legge e quindi è volta a porre il danneggiato nella stessa situazione in cui si troverebbe se non fosse stato vittima dell'illecito (cd. restitutio in integrum).

La norma che disciplina l'azione riparatoria è l'art. 2058 c.c., ove si legge che «Il danneggiato può chiedere la reintegrazione in forma specifica, qualora sia in tutto od in parte possibile. Tuttavia il giudice può disporre che il risarcimento avvenga solo per equivalente, se la reintegrazione in forma specifica risulta troppo gravosa per il debitore».

Nel caso di inadempimento – e quindi in caso di mancato rispetto delle pattuizioni contrattuali – le norme di riferimento sono l'art. 1218 c.c.Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l'inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile) e l'art. 1453 c.c.Nei contratti con prestazioni corrispettive, quando uno dei contraenti non adempie le sue obbligazioni, l'altro può a sua scelta chiedere l'adempimento o la risoluzione del contratto, salvo, in ogni caso, il risarcimento del danno»).

Come si può osservare, sia nel caso in cui l'obbligazione discenda da un fatto illecito, così come se abbia origine da un inadempimento, è prevista dall'ordinamento la reazione del risarcimento del danno come sopra inteso (restitutio in integrum).

I criteri per individuare la determinazione dell'entità della somma risarcitoria

I criteri per individuare la determinazione dell'entità della somma, si rinvengono negli artt. 1223 c.c. (risarcimento del danno), 1226 c.c. (valutazione equitativa del danno), 1227 c.c. (concorso del fatto colposo del creditore) che fanno parte del capo III, titolo I, del libro IV, intitolato dell'adempimento delle obbligazioni (ci troviamo, pertanto, nell'ambito della responsabilità da contratto).

I predetti criteri, però, si estendono anche alla materia della responsabilità da fatto illecito a mezzo del rinvio fatto dall'art. 2056 c.c., norma posta fra le ultime del titolo IX, del libro IV, intitolato dei fatti illeciti, il cui comma 1 così stabilisce: «Il risarcimento dovuto dal danneggiato si deve determinare secondo le disposizioni degli artt. 1223, 1226, 1227 c.c.».

In sintesi, i criteri risarcitori previsti dal nostro ordinamento sono i medesimi sia in ambito contrattuale che extracontrattuale (con la sola eccezione della disciplina di cui all'art. 1225 c.c., norma non richiamata dal citato art. 2056 c.c. e, quindi, inapplicabile nella responsabilità aquiliana).

Importante osservare come nell'ambito della responsabilità extracontrattuale, il danno sia elemento costitutivo ed essenziale del fatto illecito, nel senso che se vi è una condotta antigiuridica, ma non vi è danno, l'ordinamento non prevede la reazione sanzionatoria.

Nell'ambito della responsabilità contrattuale, invece, in caso di inadempimento di una parte, in mancanza di danno, l'altra parte (il paziente) può chiedere comunque o la prestazione o la risoluzione del contratto, alla quale consegue – se corrisposto – la restituzione del compenso.

Si noti che la restituzione del compenso è la conseguenza giuridica della risoluzione del contratto con efficacia retroattiva (nel senso che le parti vengono poste nella situazione giuridica anteriore alla stipulazione dell'accordo e pertanto, in assenza di un impegno del medico a compiere una prestazione, se sono stati corrisposti dei compensi professionali con quella finalità, questi, con ogni evidenza, devono essere restituiti per assenza di causa della dazione).

In merito all'individuazione del danno (quantum debeatur), ovverossia della somma risarcitoria, si deve intendere l'accertamento della reale entità del pregiudizio subito da danneggiato, conseguente al fatto illecito/inadempimento computo dal professionista o dalla struttura ospedaliera.

L'art. 1223 c.c. non fornisce una nozione concettuale di danno, ma si limita ad indicare l'oggetto dell'obbligazione risarcitoria, precisando gli elementi sui quali si deve basare l'indagine per l'individuazione della somma di denaro in cui la predetta prestazione deve realizzarsi: «Il risarcimento del danno per l'inadempimento o per il ritardo deve comprendere la perdita subita dal creditore, come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta».

  • Per perdita (anche qualificata danno emergente) deve intendersi quel tipo di peggioramento della situazione del soggetto colpito, che si traduce in una diminuzione del suo patrimonio (tutte le uscite collegate all'inadempimento o al fatto illecito, anche future);
  • per mancato guadagno (anche qualificato lucro cessante), si deve intendere quello che si traduce in un mancato accrescimento del patrimonio.

Le spese mediche

Per quanto riguarda le spese mediche che il danneggiato dovrà affrontare successivamente all'inadempimento del professionista, si deve tenere presente che il principio base che ci consente di non compiere errori di valutazione in ordine alla effettiva debenza, è quello in precedenza individuato del diritto del danneggiato alla restitutio in integrum che, trasferito sul piano del danno a persona, significa ritorno alla validità fisica quo ante.

Sono, pertanto, da ritenersi giustificate tutte le spese che sono funzionali al tentativo di restituire al danneggiato/paziente la validità psicofisica di cui era dotato prima delle prestazioni mediche non andate a buon fine.

L'indagine, quindi, sarà rivolta ad una valutazione postuma sulla efficacia causale in ordine alla finalità di ripristino della validità psico-fisica del paziente nella situazione antecedente l'errore o l'omissione dell'esercente la professione sanitaria.

Ma nell'ambito medico, può non esservi solo il costo da sostenersi per il ripristino allo stato ante errore, potendo sussistere anche il costo da sostenersi per ripetere la prestazione non eseguita o mal eseguita.

Per fare un esempio in campo odontoiatrico, oltre al costo per il ripristino del danno biologico causato da una protesi mal riuscita, vi sarà anche il costo per il rifacimento della protesi stessa.

Ciò precisato, la reazione dell'ordinamento all'inadempimento (prestazione mal eseguita o non eseguita) non può che essere collegata alla spesa affrontata dal paziente senza ottenere la richiesta controprestazione, con conseguente diritto ad ottenere la restituzione del compenso erogato. Siamo in presenza, pertanto, non ad un risarcimento conseguente ad azione o omissione, ma ad una restituzione al fine di evitare l'arricchimento indebito del medico.

La cassazione, nel 2015, in un caso inerente la responsabilità professionale dell'avvocato, ha avuto modo di osservare come la restituzione del compenso percepito dall'avvocato inadempiente sia altro rispetto al danno conseguente, ed è per detta ragione che la spesa non può essere oggetto di copertura della polizza RC del professionista.

Cass. civ., sez. I, 31 agosto 2015, n. 17346: «Il rischio assicurato deve essere inteso come il danno che il professionista può cagionare a terzi o al proprio cliente per fatti colposi commessi nell'esercizio dell'attività forense, o ad essa connessi; pertanto, l'obbligazione di restituzione del compenso percepito - conseguente all'accertamento del danno arrecato ai creditori concorsuali e della responsabilità per questo danno - non può ritenersi coperta dall'assicurazione professionale dell'avvocato».

In altra occasione, la Cassazione a Sezioni Unite (Cass. civ., Sez. Un., 4 dicembre 1992, n. 12942) aveva stabilito che l'obbligo restitutorio scaturente dalla risoluzione del contratto ha natura di obbligazione di valuta e non di valore e ciò in quanto non si è in presenza di una obbligazione risarcitoria.

La predetta impostazione è stata di recente confermata da Cass. civ., sent. 4 giugno 2018, n. 14289, ove si legge che «In caso di risoluzione per inadempimento di un contratto, le restituzioni a favore della parte adempiente non ineriscono ad un'obbligazione risarcitoria, derivando dal venir meno, per effetto della pronuncia costitutiva di risoluzione, della causa delle reciproche obbligazioni, e, quando attengono a somme di danaro, danno luogo a debiti non di valore, ma di valuta, non soggetti a rivalutazione monetaria, se non nei termini del maggior danno rispetto a quello ristorato con gli interessi legali di cui all'art. 1224 c.c. che va, peraltro, provato dal richiedente» (in Giustizia Civile Massimario, 2018) (contra, App. Milano, 9 febbraio 2015, in Ridare.it, 24 agosto 2015).

I costi futuri che il paziente dovrà affrontare per ottenere quella prestazione non correttamente compiuta dall'esercente la professione sanitaria (nel caso esemplificativo, la protesi), non rappresentano un danno in quanto corrispondono alla spesa che il paziente avrebbe dovuto comunque affrontare a causa dello stato pregresso all'intervento del medico.

In relazione ai costi da sostenersi per la prestazione non adempiuta o male adempiuta (che saranno oggetto della domanda restitutoria in ipotesi di avvenuto pagamento del compenso professionale) sarà da considerarsi “danno” da lucro cessante l'eventuale maggior costo collegato causalmente alla mal practice contestata (per esemplificare, se la protesi è stata pagata 1.000 in quanto prezzo di favore e la nuova identica costa 1.500 è evidente che 1.000 sarà oggetto di domanda di restituzione e 500 dovrà essere inserito tra le poste di danno).

La peculiarità dell'impostazione giuridica rappresentata, la si rinviene nella più parte delle polizze che coprono la RC professionale, ove si stabilisce che l'assicurazione non garantisce il compenso relativo alle prestazioni professionali che hanno dato luogo al sinistro.

La polizza RC professionale, del resto, non copre le restituzioni, bensì garantisce unicamente i danni causati al paziente o a terzi in conseguenza dell'errore medico.

Se il paziente deve compiere nuovamente le prestazioni male eseguite o non eseguite dal medico inadempiente, i conseguenti costi corrisponderanno ai compensi per le medesime prestazioni che hanno dato luogo al sinistro; non si tratta di danno, in quanto quelle spese il paziente le avrebbe dovute affrontare a prescindere dall'errore medico ed ecco la ragione per cui non potranno rientrare nella copertura assicurativa della polizza RC professionale.

Ove non si ravvisi la necessità di affrontare spese future maggiori rispetto a quelle preventivate/pagate prima dell'errore medico, nessun'altra somma ulteriore alla restituzione del compenso il danneggiato avrà diritto di richiedere all'inadempiente e ciò per evitare che il paziente si trovi in una situazione patrimoniale addirittura migliore rispetto alla status quo ante.

Il concetto è ben sviluppato in una massima di una non recente sentenza del Tribunale di Milano del 1995 (Trib. Milano, Sez. I civ., 27 maggio 1995 n. 5556 - est. Bichi): « Il dentista che cementa una protesi che non consente la chiusura fisiologica della bocca, fornendo una prestazione inadeguata sotto il profilo della negligenza ed imperizia a fronte di un'assoluta non problematicità dell'intervento, è tenuto alla restituzione di quanto percepito per il lavoro male eseguito, nonché alla corresponsione di una somma equitativamente stabilita a fronte della compromissione ancorché lieve del bene salute tenuto conto del protrarsi del periodo di malattia e di altra a lenimento del danno morale per le sofferenze correlate alla reiterazione delle cure e degli interventi, ma non anche al risarcimento del costo della protesi quando la situazione alla quale essa protesi deve ovviare sia anteriore ed indipendente dall'intervento del sanitario».

Nel caso in cui il compenso non fosse stato pagato, il paziente potrebbe legittimamente rifiutare di corrisponderlo in ossequio al disposto dell'art. 1460 c.c., eccependo l'inadempimento da parte del professionista della sua prestazione.

In fine, si osserva come la migliore dottrina si sia sempre opposta a quella passata tendenza giurisprudenziale di inquadrare la restituzione del compenso nella natura risarcitoria anziché nelle regole speciali che disciplinano le restituzioni conseguenti allo scioglimento del contratto (.R. SACCO, Concordanze e contraddizioni in tema di inadempimento contrattuale, in Eur.dir.priv., 2001; A. DI MAJO, La tutela civile dei diritti, III ed., Milano, 2001, pag. 328; P. Gallo, Arricchimento senza causa e quasi contratti (i rimedi restitutori), in Trattato Sacco, Torino, 1996, pagg. 151 ss. ).

L'indipendenza o meno delle obbligazioni restitutorie

Stabilito che sia per la dottrina che per la più accreditata giurisprudenza la restituzione del compenso non ha natura risarcitoria, vi è da segnalare una disputa sulla indipendenza o meno delle obbligazioni restitutorie.

Quid iuris, nel caso in cui la parte che ha male adempiuto sia impossibilitata a ricevere in restituzione dal soggetto adempiente la prestazione eseguita?

Sul punto è intervenuta una giurisprudenza del Tribunale di Roma (Trib. Roma, sez. XII, 10 giugno 2004, in Redazione Giuffrè 2005; Trib. Roma, 30 giugno 2004, in Giurisprudenza romana, 2004; contra, Trib. Roma, 1 luglio 2004, in Danno e responsabilità, 2005 e Trib. Roma, sez. XIII, 5 giugno 2006, in Redazione Giuffrè 2009) che sostiene come il medico, in caso di inadempimento, sia tenuto al risarcimento del danno, ma non alla restituzione del compenso. Quest'ultimo, infatti, in conseguenza di un nesso di corrispettività fra le obbligazioni restitutorie che conseguono allo scioglimento del contratto, non può essere richiesto al medico che è impossibilitato alla restituzione in natura della prestazione professionale.

Secondo questa teoria, certamente minoritaria (da ultimo, in senso difforme, si veda Cass. civ., sez. II, 31 maggio 2018, n. 13880, in Guida al diritto, 2018; in dottrina: DI MAJO A., La tutela civile, pag. 309; BRECCIA U., voce Indebito (Ripetizione dell'), in Enciclopedia Giuridica Treccani, s.d., ma Roma, 1989, pag. 4; MOSCATI, in Commentario del codice civile a cura di A. Scialoja e G. Branca, Bologna – Roma, 1981, pag. 88), in conseguenza della interdipendenza delle obbligazioni restitutorie, ciascuna parte non sarebbe tenuta a restituire la prestazione ricevuta se non nella misura in cui anche l'altra parte sia nella condizione di fare altrettanto.

Sulla base di detta impostazione, il Tribunale di Roma ha rigettato la domanda di ripetizione del compenso del medico in considerazione della impossibilità del paziente a restituire in natura la prestazione ricevuta dal medico.

A confutazione della predetta impostazione giuridico-sistematica, a prescindere dalla correttezza stessa, si è osservato come il problema non sussista a monte, in quanto una controprestazione che non può essere restituita in natura, può sempre essere eseguita per equivalente (MAFFEIS D., Responsabilità medica e restituzione del compenso: precisazioni in tema di restituzioni contrattuali, IL CASO, 2005).

In realtà, nell'ambito della responsabilità medica, la questione appare più teorica che pratica.

Nell'ipotesi in cui vi sia stata la non corretta prestazione con conseguente diritto del paziente a chiedere la risoluzione del contratto e quindi la restituzione del compenso oltre al risarcimento del danno, non sussiste certo il diritto del medico alla restituzione della prestazione al fine di evitare un indebito arricchimento del danneggiato. Viceversa, se l'operato del medico è andato a buon fine, non vi può essere la pretesa del paziente a vedersi riconosciuto il diritto a ripetere l'onorario versato al professionista.

Nella pratica, nella più parte dei casi il contratto stipulato con il professionista medico comprende più prestazioni. Per proseguire con l'esemplificazione in campo odontoiatrico, il medico può impegnarsi a compiere delle estrazioni, degli impianti, del posizionamento di corone ecc.

In queste ipotesi, nel caso in cui solo alcune prestazioni non vadano a buon fine, sebbene sia dichiarata la risoluzione del contratto, dovrà essere restituito il solo compenso di quelle operazioni di cui si accerti l'inadempimento.

Da un punto di vista giuridico, si potrebbe ritenere che l'accordo “quadro” stipulato con il professionista comprenda l'esecuzione di diverse autonome prestazioni, ognuna con una autonomia economico-funzionale, cosicché, in caso di inadempimento, verrà sciolto il rapporto unicamente per quelle attività male adempiute (si veda, sulla risoluzione parziale del contratto ex art. 1458 c.c., Cass. civ., sent. n. 16556/2013, in Diritto e Giustizia online 2013, 3 luglio). Da questa impostazione consegue il diritto del medico a trattene l'onorario corrispondente alla prestazione ben eseguita e a restituire l'importo equivalente alle attività non andate a buon fine.

Se, in ipotesi, una unica prestazione medica mal eseguita abbia conseguito anche un risultato parzialmente positivo, a questo punto, il Giudice dovrà valutare se la gravità dell'eccepito inadempimento sia di tale importanza da far conseguire la risoluzione del contratto o meno, con specifiche ricadute anche in tema di restituzione del compenso e diritto del paziente di chiedere la diminuzione della controprestazione.

L'autonomia della domanda di restituzione e di quella risarcitoria

In fine, sotto un profilo pratico, al fine di chiedere la restituzione del compenso è necessario chiedere in causa la risoluzione del contratto professionale.

Il paziente che eccepisce l'inadempimento per ottenere il risarcimento del danno, in assenza di specifica domanda, non può ottenere la restituzione del compenso versato al professionista.

Secondo dottrina e giurisprudenza prevalenti, infatti, è pacifico che la domanda di restituzione e quella di risarcimento siano autonome le une dalle altre ed indipendenti. Se, da un lato, la domanda di restituzione include implicitamente quella di risoluzione del contratto, non altrettanto accade con la domanda risarcitoria (Cass. civ., sent. n. 21230/2009, in Giust. civ. Mass., 2009, 10, 1411; Cass. civ., sez. I, 27 ottobre 2006, n. 23273, in Il civilista, 2008, 12, 34, con nota di BUFFONE G. in Obbligazioni e contratti, 2007, 4, 368; Cass. civ., sez. III, 9 marzo 2006, n. 5100, in Dir. e giust. 2006, 22, 60).

Per quanto concerne la necessità della domanda di risoluzione del contratto – salva la possibilità del Giudice di pronunciare d'ufficio la nullità del patto – al fine di ottenere la ripetizione di quanto pagato indebitamente, si richiama Cass. civ., 20 marzo 2018 n. 6911: «Ai sensi dell'art. 1458 c.c., alla risoluzione del contratto consegue sia un effetto liberatorio, per le obbligazioni che ancora debbono essere eseguite, sia un effetto restitutorio, per quelle che siano, invece, già state oggetto di esecuzione ed in relazione alle quali sorge, per l'"accipiens", il dovere di restituzione, anche se le prestazioni risultino ricevute dal contraente non inadempiente. Se tale obbligo restitutorio ha per oggetto somme di denaro, il ricevente è tenuto a restituirle maggiorate degli interessi calcolati dal giorno della domanda di risoluzione e non da quello in cui la prestazione pecuniaria venne eseguita dall'altro contraente» (in Giustizia Civile Massimario, 2018) (conf., Cass. civ., 14 settembre 2004, n. 18518; idem, 26 luglio 2016 n. 15461, in Diritto & Giustizia 2016, 27 luglio; Cass. civ., sez. III, 7 febbraio 2011, n. 2956, in Guida al dir., 2011, 18, 43; Cass. civ., sez. III, 15 aprile 2010, n. 9052, in Il civilista, 2012, 2, 24, con nota di PULICE M.).

In conclusione

Da quanto sopra esposto ed argomentato, possiamo così sintetizzare la questione.

La restituzione del compenso - a differenza delle spese future per emendare le conseguenze dell'inadempimento - per le prestazioni non adempiute o male adempiute dal medico non è una posta di danno, in quanto non mira a porre il danneggiato nella stessa situazione in cui si sarebbe trovato se non fosse stato vittima dell'inadempimento, ma ha la finalità di evitare che il medico si arricchisca indebitamente.

I costi futuri per il rifacimento delle prestazioni non adempiute, sono l'altra faccia della stessa medaglia del compenso pagato senza ottenere la controprestazione.

Se è stato pagato il compenso indebitamente, il medico lo deve rifondere o sotto forma di restituzione ovvero sotto forma di pagamento delle prestazioni nuove che corrispondono a quelle non adempiute o male adempiute dal medico.

La pretesa restituzione del compenso dovrà essere preceduta dalla domanda di risoluzione del contratto.

Non trattandosi di posta di danno, il predetto esborso – salvo inclusione specifica prevista dai patti di polizza – non potrà rientrare nella garanzia della RC professionale.

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