Arbitro e sua responsabilità

12 Maggio 2014

La nozione di responsabilità degli arbitri si ricava dall'art.813-ter c.p.c. introdotto per il tramite del d.lgs. n. 40/2006 al fine di tipizzare le ipotesi di responsabilità degli arbitri fino ad allora disciplinate al II comma dell'art. 813 c.p.c. Ai sensi della predetta norma, l'arbitro risponde dei danni cagionati alle parti nel caso in cui con dolo o colpa grave (i) abbia omesso o ritardato atti dovuti, essendone per tale motivo dichiarato decaduto; (ii) abbia rinunciato all'incarico senza giustificato motivo oppure (iii) abbia impedito la pronuncia del lodo entro il termine fissato a norma dell'articolo 820 c.p.c. ovvero dell'articolo 826 c.p.c. in caso di correzione del lodo.

Nozione

La nozione di responsabilità degli arbitri si ricava dall'art.813-ter c.p.c. introdotto per il tramite del d.lgs. n. 40/2006 al fine di tipizzare le ipotesi di responsabilità degli arbitri fino ad allora disciplinate al comma 2 dell'art. 813 c.p.c. Ai sensi della predetta norma, l'arbitro risponde dei danni cagionati alle parti nel caso in cui con dolo o colpa grave:

  • abbia omesso o ritardato atti dovuti, essendone per tale motivo dichiarato decaduto;
  • abbia rinunciato all'incarico senza giustificato motivo,
  • oppure abbia impedito la pronuncia del lodo entro il termine fissato a norma dell'articolo 820 c.p.c. ovvero dell'articolo 826 c.p.c. in caso di correzione del lodo.

Oltre ai predetti casi, l'arbitro risponde, sempre in presenza di dolo o colpa grave, nei casi ed entro i limiti previsti dall'art. 2, commi 2 e 3 l. n. 117/1988. Detta disposizione normativa – riguardante il caso del risarcimento del danno cagionato dai magistrati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie – specificatamente identifica quali casi di colpa grave generante obbligazione risarcitoria a carico dell'arbitro:

  • la grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile;
  • l'affermazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento arbitrale;
  • la negazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento arbitrale stesso.

L'azione di responsabilità – fatto salvo il caso dell'azione da proporsi nei confronti dell'arbitro decaduto ovvero ingiustificatamente rinunciatario, la quale potrà essere promossa anche in pendenza del giudizio arbitrale – potrà essere proposta solo per i motivi dedotti nel giudizio di impugnazione del lodo previo accoglimento dell'impugnazione con sentenza passata in giudicato.

Relativamente alla determinazione del quantum risarcibile alla parte danneggiata, nel caso di responsabilità non dipendente da dolo, la norma in parola prevede che il risarcimento non potrà superare una somma pari al triplo del compenso dovuto all'arbitro ovvero – in caso di mancanza di accordo convenzionale sul compenso – pari al triplo del compenso previsto dalla tariffa applicabile.

Ancora, la norma in argomento prevede che in caso di responsabilità accertata dell'arbitro, non siano dovuti a quest'ultimo né il corrispettivo né il rimborso delle spese sostenute. In caso, invece, di nullità parziale del lodo, le predette voci saranno unicamente soggette a riduzione.

Ai sensi dell'art. 813-ter c.p.c., infine, ciascun arbitro risponde solo del fatto proprio.

Elemento oggettivo

L'elemento oggettivo va identificato nel comportamento ingiusto posto in essere dall'arbitro nel corso del procedimento arbitrale. Mentre nei casi previsti dal comma 1 dell'art. 813-ter c.p.c. il comportamento ingiusto dell'arbitro è chiaramente tipizzato senza lasciare adito a dubbi interpretativi (decadenza dell'arbitro a seguito di omissione o ritardo di atti afferenti al proprio ufficio ovvero rinuncia ingiustificata all'incarico ovvero mancato rispetto dei termini previsti per la pronuncia della decisione), nei casi di cui al comma 2 dell'articolo in parola il comportamento ingiusto deve essere sussunto in una previsione normativa più ampia destinata, in origine, a disciplinare i casi di responsabilità dei magistrati.

Elemento soggettivo

L'elemento soggettivo richiede espressamente la ricorrenza del dolo ovvero della colpa grave, escludendo qualsiasi ipotesi di responsabilità in caso di colpa lieve.

Nesso di causalità

I danni patiti devono essere causalmente connessi con il comportamento ingiusto posto in essere dall'arbitro con dolo o colpa grave. Deve sussistere, quindi, un nesso causale tra la violazione dell'obbligo incombente all'arbitro ed il danno patito dalla parte.

Onere della prova

La parte che procede con l'azione di responsabilità nei confronti dell'arbitro sarà tenuto a provarne l'intercorso rapporto, l'operato negligente ed i conseguenti pregiudizi patiti, mentre graverà sull'arbitro l'onere di provare la sussistenza di cause giustificative del proprio inadempimento, ovvero di elementi idonei ad interrompere il nesso causale tra negligenza e danno, ovvero che l'inadempimento è stato determinato da causa a lui non imputabile.

Criteri di liquidazione

Il comma 6 dell'art. 813-terc.p.c. prevede, quale prima, automatica, forma di risarcimento a favore della parte la negazione del diritto al compenso ed al rimborso delle spese dovute all'arbitro, alla quale andrà poi a sommarsi, nel caso di responsabilità non dipendente da dolo, quella di cui al comma 5 della medesima norma, che quantifica il limite massimo dell'ulteriore risarcimento al triplo del compenso convenuto o, in mancanza di determinazione convenzionale, al triplo del compenso previsto dalla tariffa applicabile.

Una siffatta limitazione del quantum viene valutata come opportuna al fine di garantire l'autonomia e la libertà di giudizio degli arbitri i quali, a differenza dei magistrati – la cui azione per responsabilità viene promossa nei confronti dello Stato, che poi, solo eventualmente, potrebbe agire successivamente in rivalsa nei confronti del singolo magistrato – rispondono direttamente nei confronti del danneggiato.

Nessuna limitazione della misura dei danni richiesti agli arbitri è, invece, prevista per il caso di responsabilità dipendente da dolo.

Aspetti processuali: le parti e il Giudice

In forza delle disposizioni di cui all'art. 813-ter c.p.c., la parte dovrà richiedere al Giudicante, quale domanda principale, l'accertamento della responsabilità dell'arbitro e, per l'effetto, la condanna al risarcimento di tutti i danni patiti e patendi in conseguenza del comportamento illecito tenuto dal convenuto.

Si badi che il quarto comma dell'art. 813-ter c.p.c. dispone che l'azione di responsabilità possa essere promossa soltanto dopo l'accoglimento dell'impugnazione con sentenza passata in giudicato e per i motivi per cui l'impugnazione è stata accolta.

La disposizione testè richiamata pretende, quindi, di vincolare imprescindibilmente le sorti dell'azione di responsabilità dell'arbitro all'accoglimento dell'impugnazione del lodo, e per di più a quegli stessi motivi grazie ai quali l'impugnazione è stata accolta.

La parte, pertanto, dovrà fare attenzione a far coincidere le ragioni di responsabilità con i motivi di impugnazione.

Non sempre, tuttavia, vi sarà coincidenza tra la legittimazione ad agire e l'interesse all'esercizio dell'azione di responsabilità. Mentre, infatti, il presupposto della legittimazione scaturisce automaticamente dal solo fatto che il lodo sia stato caducato per quegli stessi motivi che la parte intende far valere nell'azione ex art. 813-ter c.p.c., l'interesse all'azione di responsabilità potrebbe anche venir meno proprio a seguito della caducazione del lodo.

Vi saranno, infatti, ipotesi in cui i danni patiti dal soggetto in conseguenza del comportamento doloso o gravemente colposo di chi ha pronunciato il lodo verranno necessariamente meno con l'accoglimento dell'impugnazione e di conseguenza la parte – pur essendone legittimata – non avrà più un concreto interesse all'esercizio dell'azione di responsabilità; altri casi, invece, in cui quegli eventuali danni sopravvivranno all'impugnazione stessa per essersi ormai definitivamente prodotti, tanto da giustificare il ricorso all'azione di responsabilità.

Tuttavia, se pacifica risulta essere la legittimazione in capo alla parte soccombente in arbitrato che si vede accolta con sentenza passata in giudicato l'impugnazione del lodo, ci si può chiedere se uguale legittimazione spetti a chi al contrario sia risultato vincitore in arbitrato e tuttavia si veda annullare il lodo con conseguente pronuncia rescindente della Corte d'Appello, da cui sia data desumere la negligenza inescusabile con la quale gli arbitri avevano deciso la controversia ad essa devoluta. In tale caso, infatti, non vi sarebbe coincidenza soggettiva tra chi vanta un (sopraggiunto) interesse all'esercizio dell'azione di responsabilità e chi ha impugnato il lodo, deducendo quest'ultimo proprio quei motivi ai quali il primo (colui che ha ora interesse all'esercizio dell'azione di responsabilità) aveva resistito nel giudizio di impugnazione e che dovrà invece sostenere nell'azione di responsabilità che andrà ad incardinare. Ebbene, si ritiene possa concludersi nel senso che anche il soggetto risultato vittorioso nella procedura arbitrale e per il quale l'interesse all'esercizio dell'azione per il risarcimento del danno contro gli arbitri sia quindi sopraggiunto a seguito della riforma del lodo con sentenza passata in giudicato, possa esperire l'azione di responsabilità. Il quarto comma dell'art. 813-ter c.p.c. richiede infatti soltanto che i motivi dedotti e accolti con l'impugnazione del lodo siano gli stessi di cui all'azione di responsabilità, senza dare rilevanza dunque al profilo soggettivo di chi abbia poi concretamente introdotto quelle doglianze all'interno del processo di impugnazione. Quel che rileva, in conclusione, è che quei motivi che saranno poi posti a fondamento dell'azione di responsabilità siano stati comunque sottoposti al preventivo vaglio della Corte d'Appello, e siano stati da quest'ultima ritenuti meritevoli di accoglimento (R. Vaccarella, Rivista dell'Arbitrato, fasc. 3, 2008, pag. 362).

Casistica

  • Il procedimento di liquidazione dell'onorario dell'arbitro può essere sospeso per pregiudizialità del giudizio di impugnazione per nullità del lodo. Infatti, considerato che l'art. 813-ter, comma 6 c.p.c., prevede espressamente che nei casi di responsabilità dell'arbitro il corrispettivo e il rimborso delle spese non gli sono dovuti, o nel caso di nullità parziale del lodo sono soggette a riduzione, può ritenersi che la decisione della causa di cui è investito il Presidente del Tribunale ai sensi dell'art. 814 comma 2 c.p.c. per la liquidazione del corrispettivo e del rimborso delle spese spettanti agli arbitri "dipende" dalla definizione della controversia di cui è investita la corte di appello in sede di impugnazione per nullità del lodo, per cui il procedimento per la liquidazione del corrispettivo e del rimborso delle spese degli arbitri deve essere sospeso ex art. 295 c.p.c. in pendenza del giudizio di impugnazione del lodo (Trib. Sondrio, 06 ottobre 2006).
  • A questo punto, rimane da indagare un'ultima questione, vale a dire se la pendenza del giudizio promosso dalle parti per far valere la responsabilità degli arbitri sia causa di sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c. del giudizio promosso dagli arbitri per ottenere il pagamento del corrispettivo per l'opera prestata. In proposito, si deve osservare che, pur volendo ammettere che la disposizione di cui al comma 6 dell'art. 813-ter c.p.c. abbia delineato un vero e proprio rapporto di pregiudizialità-dipendenza tra il diritto degli arbitri al corrispettivo e la loro responsabilità, questo non significa ammettere automaticamente e in ogni caso l'applicabilità dell'art. 295 c.p.c. nel caso in cui le due distinte situazioni giuridiche soggettive siano azionate in due distinti giudizi contemporaneamente pendenti. La soluzione, infatti, è più articolata, dal momento che bisogna distinguere il caso in cui gli arbitri abbiano fatto valere il proprio diritto all'onorario attraverso un ordinario giudizio di cognizione (evenienza, come visto in precedenza, perfettamente ammissibile, anche se poco diffusa nella prassi), dal caso in cui si siano avvalsi del procedimento sommario ex art. 814, comma 2, c.p.c. (evenienza, questa, più diffusa nella prassi, non foss'altro per la maggiore semplicità e celerità del rito). Nel primo caso, qualora si ritenesse esistente un nesso di pregiudizialità-dipendenza tra gli oggetti dei due giudizi, si potrebbe allora concludere che la pendenza del giudizio di responsabilità degli arbitri è causa di sospensione ex art. 295 c.p.c. del giudizio ordinario promosso dagli arbitri per l'accertamento del proprio diritto al corrispettivo e al rimborso delle spese. Nell'ipotesi in cui gli arbitri si siano avvalsi del procedimento sommario di cui all'art. 814 c.p.c., invece, l'applicabilità o meno dell'art. 295c.p.c. dipenderà dall'estensione che si intende riconoscere all'ambito della cognizione del Presidente del Tribunale. Infatti, coloro i quali limitano l'ambito della cognizione del giudice alla sola determinazione del quantum della pretesa avanzata dagli arbitri dovranno necessariamente escludere, alla luce delle considerazioni fatte nel paragrafo precedente, l'esistenza di un rapporto di dipendenza in senso tecnico rispetto all'oggetto del giudizio di responsabilità degli arbitri e, conseguentemente, l'applicabilità della sospensione ex art. 295 c.p.c.. Al contrario, coloro i quali estendono la cognizione del giudice anche all'an della pretesa (il quale, pertanto, potrà conoscere, sia pure incidenter tantum, della responsabilità degli arbitri per dolo o colpa grave e del danno provocato alle parti), non avranno difficoltà ad ammettere la possibilità di sospendere ex art. 295 c.p.c. il procedimento sommario di cui all'art. 814 c.p.c. in pendenza del giudizio di responsabilità degli arbitri (G. Santagada, nota a: Trib. Sondrio, 06 ottobre 2006, in Rivista dell'Arbitrato, fasc. 4, 2007, pag. 614).
  • La nullità del lodo tardivamente depositato, che costituisce presupposto dell'autonoma azione di responsabilità nei confronti degli arbitri promossa dalla parte danneggiata dall'esito del giudizio di impugnazione per nullità si pone come mero fatto storico, privo degli effetti del giudicato rispetto alla pretesa risarcitoria avanzata nei confronti del terzo, e non comporta perciò alcun pregiudizio dell'esercizio del diritto di difesa (Cass. civ., sent. n. 7702/2005).
  • Qualunque sia la natura – pubblicistica o privatistica – dell'arbitrato rituale, certo è che fra i contendenti e gli arbitri si perfeziona, con l'accettazione da parte di questi ultimi dell'incarico, un contratto di diritto privato, dal quale deriva, da un lato, l'obbligazione degli arbitri di decidere la controversia ad essa devoluta compiendo tutte le attività necessarie strumentali o conseguenziali e, dall'altro, a carico solidale dei committenti l'obbligo di corrispondere agli arbitri il compenso per l'opera prestata e di rimborsare ai medesimi le spese anticipate per il giudizio (art. 814, comma 1, c.p.c.). Si tratta di un negozio riconducibile nello schema del contratto di opera intellettuale (art. 2230 c.c.) (Cass., n. 21/1982 e Cass., n. 6293/1984), alla cui regolamentazione occorre, perciò, far ricorso quanto ai profili non specificamente disciplinati tenendo, però, presente il carattere normalmente episodico (e non professionale) dell'attività degli arbitri e la natura sostanzialmente giudiziale della medesima. Dalla prima delle due peculiarità discende che gli arbitri sono tenuti ad impiegare nell'attuazione della loro obbligazione la diligenza del “buon padre di famiglia”, prevista nel primo comma dell'art. 1176 c.c., e non quella, più rigorosa, del buon professionista, contemplata nel secondo comma dello stesso articolo. Essi, pertanto, rispondono, nei confronti delle parti, dei danni che potevano essere evitati usando l'ordinaria diligenza. Non rispondono, invece, in base all'art. 2236 c.c., se non in caso di dolo o colpa grave, per i danni che conseguono alla loro attività propriamente giustiziale (applicazione di norme giuridiche, individuazione ed attuazione del principio di equità, valutazione dei fatti e delle prove, qualificazione e verificazione della validità della clausola compromissoria, interpretazione delle domande e delle eccezioni, congrua motivazione della decisione), dal momento che la esatta realizzazione di detta attività comporta di per sé difficoltà di rilevante entità sul piano tecnico-giuridico ed intellettivo (Cass. civ., sent. n. 2800/1990).
  • Di conseguenza gli arbitri non perdono (in base al rimedio “dell'exceptio inadimpleti contractus”) il diritto al compenso e al rimborso delle spese solo perché il lodo riveli un vizio di nullità, ma occorre che esso sia stato effettivamente annullato nell'ordinaria sede contenziosa (in modo definitivo) e per un motivo in ordine al quale, nella stessa sede, sia stata accertata la responsabilità giuridica degli arbitri, idonea (secondo quanto sopra si è precisato) a fondare la loro condanna la risarcimento dei danni dalle parti subiti (Cass. civ., sent. n. 2800/1990).
Sommario