In caso di manufatti confinanti con altre proprietà, l’art. 873 c.c. non può essere interpretato in maniera estensiva

Redazione scientifica
22 Ottobre 2018

Al di fuori dei rapporti condominiali, il richiamo alle distanze di cui al secondo comma all'art. 873 c.c., deve intendersi limitato alla distanza di tre metri indicata nella prima parte della norma e non anche alle eventuali distanze maggiori previste dai regolamenti locali.

Il Tribunale di Messina aveva condannato Tizio alla demolizione di un ascensore e delle annesse balconate poiché realizzate ad una distanza illegale dal confine con la proprietà dei vicini. In pratica, il giudice di primo grado aveva optato per un'interpretazione estensiva del secondo comma dell'art. 3, l. n.13/1989. Invero, a parere del giudicante, per le opere non condominiali, il rinvio alle distanze di cui all'art. 873 c.c. deve essere inteso in senso ampio, includendovi anche le eventuali maggiori distanze previste dai regolamenti locali. Successivamente, in grado di appello, la Corte di territoriale dichiarava il ricorso di Tizio inammissibile per mancanza di ragionevole probabilità di accoglimento.

Avverso tale pronuncia, Tizio ha proposto ricorso in cassazione contestando la falsa applicazione dell'art. 3 legge n. 13/1989 (oggi art. 79 d.P.R. n. 380/2001). Difatti, secondo il ricorrente, contrariamente a quanto affermato dal giudice di primo grado, l'art. 3, l. n. 13/1989 è una disposizione volta a favorire il superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati. Sicché, quest'ultima deroga alle norme sulle distanze contenute nei regolamenti locali, ritenendo invece inderogabili solo le distanze minime di tre metri previste dagli artt. 873 e 907 c.c.

Nel giudizio di legittimità, la Corte non ha condiviso quanto sostenuto dai giudici di merito. Difatti, il richiamo alle distanze di cui all'art. 873 c.c. contenuto al secondo comma dell'art. 3 della l. n. 13/1989 deve intendersi riferito alla sola distanza di tre metri indicato nella prima parte della norma e non anche alle eventuali maggiori distanze previste dai regolamenti locali così come richiamate nella seconda parte della norma medesima. Per meglio dire, a parere della Suprema Corte, il legislatore del 1989 ha avuto una visione statica dell'art. 873 c.c., evitando la disparità di trattamento rispetto alle opere all'interno di edifici condominiali, ove invece, è prevista espressamente la realizzazione «in deroga alle norme sulle distanze previste dai regolamenti edilizi». Di conseguenza, l'interpretazione restrittiva è stata ritenuta più corretta in quanto più aderente al dato normativo. Per le suesposte ragioni, il ricorso è stato accolto e la pronuncia è stata cassata con rinvio.

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