Contestare l'alterazione delle timbrature non equivale a contestare il tentativo di ottenere compensi non dovuti

29 Ottobre 2018

Nel caso in cui la norma collettiva ed il Codice disciplinare aziendale prevedano il licenziamento per alterazione del sistema di timbratura al fine di far risultare una fittizia presenza sul luogo di lavoro, deve ritenersi affetta da genericità la contestazione disciplinare nella quale, pur risultando dettagliata l'indicazione delle date e degli orari alterati, non risulti specificamente indicata la fittizietà e la fraudolenza delle timbrature alterate. Pertanto, ove il lavoratore non sia stato posto in grado di comprendere quali fossero le alterazioni da ricollegare ad un fraudolento occultamento dell'assenza dal luogo di lavoro, deve ritenersi parzialmente generica la relativa contestazione disciplinare...
Massima

Nel caso in cui la norma collettiva ed il Codice disciplinare aziendale prevedano il licenziamento per alterazione del sistema di timbratura al fine di far risultare una fittizia presenza sul luogo di lavoro, deve ritenersi affetta da genericità la contestazione disciplinare nella quale, pur risultando dettagliata l'indicazione delle date e degli orari alterati, non risulti specificamente indicata la fittizietà e la fraudolenza delle timbrature alterate. Pertanto, ove il lavoratore non sia stato posto in grado di comprendere quali fossero le alterazioni da ricollegare ad un fraudolento occultamento dell'assenza dal luogo di lavoro, deve ritenersi parzialmente generica la relativa contestazione disciplinare.

La genericità parziale della contestazione disciplinare non preclude la disamina di quello fra gli addebiti che sia stato correttamente formulato e non costituisce vizio procedurale sanzionabile di cui al comma 6 dell'art. 18, l. n. 300 del 1970 (st. lav.).

Il caso

La Corte di appello di Milano respinge il reclamo proposto da una società avverso la sentenza di primo grado che aveva accertato l'illegittimità del licenziamento intimato alla lavoratrice, così dichiarando la risoluzione del rapporto di lavoro intercorso e la condanna al risarcimento di 14 mensilità della retribuzione globale di fatto di cui al comma 5 dell'art. 18, c.p.c.

Ad avviso della Corte deve ritenersi corretta la statuizione resa dal Tribunale di Milano che, nel ritenere pacifica la contestazione inerente l'alterazione manuale dei dati risultanti dalle timbrature del sistema di rilevazione automatica delle presenza, ha - invece - ritenuto la genericità dell'addebito nella parte in cui si contesta che tali modifiche sarebbero state finalizzate al pagamento di corrispettivo non dovuto negli orari oggetto dell'arbitraria modificazione. In tal modo, la lavoratrice non sarebbe stata messa in condizione di replicare puntualmente a quest'ultimo addebito dal momento che un fatto sarebbe l'alterazione delle timbrature altro, invece, la copertura di assenze dal servizio con tali alterazioni.

Ciò ha esonerato la Corte dall'esaminare la censura con la quale era stata evidenziata l'avvenuta alterazione per ragioni fraudolente, mentre è stata dichiarata l'illegittimità del licenziamento perché sproporzionato in relazione al restante addebito.

Molteplici motivi corredano il ricorso per cassazione presentato dalla società.

Questa si duole, in primis, della violazione del comma 2 dell'art. 7, st. lav., in relazione al comma 1, n. 3, dell'art. 360, c.p.c. dato che, erroneamente la Corte di appello avrebbe ritenuto generica la contestazione sebbene contenesse una dettagliata descrizione degli addebiti rispetto ai quali la lavoratrice si sarebbe esaurientemente difesa.

Col secondo motivo di ricorso viene denunciata, invece, la violazione dell'art. 112, c.p.c., ed anche dell'art. 7 dello Statuto dei lavoratori in relazione al comma 1, n. 3, dell'art. 360, c.p.c., sull'assunto che, in difetto d'eccezione di parte, la Corte non avrebbe potuto statuire su tale profilo.

Il terzo motivo è, inoltre, deputato alla verifica della presunta violazione dell'art. 229 del CCNL commercio del Codice disciplinare aziendale e dei commi 4 e 5 dell'art. 18, st. lav., in base ai quali si sarebbe dovuto dedurre che il fatto contestato era pacificamente punibile con il licenziamento.

Con il quarto ed il quinto motivo si deduce la violazione del comma 6 degli artt. 7 e 18, st. lav., poiché la genericità rinvenuta avrebbe dovuto comportare l'applicazione del regime sanzionatorio della tutela indennitaria 'debole' (nel limite delle 12 mensilità); e perché si sarebbe ritenuta contestata una falsità materiale e non ideologica con conseguente lettura parziale e distorta della lettera disciplinare e dell'addebito inerente la modifica delle timbrature per ottenere compensi non dovuti.

Si contesta, inoltre, con gli ultimi tre motivi: la violazione dell'art. 2697, c.c., l'omessa ammissione delle istanze istruttorie in violazione del comma 7 dell'art. 183, c.p.c. e, in conclusione, l'omessa compensazione delle spese di giudizio “stante il mancato accoglimento della richiesta di reintegrazione nel posto di lavoro”.

Le questioni

La Suprema Corte torna a pronunciarsi sul corretto esercizio del potere disciplinare muovendo dal disposto del comma 2 dell'art. 7, st. lav. che impone, ai fini della legittima irrogazione della sanzione conclusiva, la preventiva contestazione dell'addebito il quale deve contenere l'esposizione dei "dati e degli aspetti" essenziali del fatto materiale e delineare il comportamento ritenuto disciplinarmente rilevante al fine di tracciare l'ambito di esercizio del diritto di difesa del lavoratore; di tal che, per essere specifica, questa deve fornire gli elementi necessari ed essenziali per individuare "nella sua materialità" gli ipotetici fatti costituenti infrazioni disciplinari (Cass., sez. lav., 21 aprile 2017, n. 10154).

Le soluzioni giuridiche

Con la sentenza in commento, la Suprema Corte ha ribadito la portata dell'art. 7, l. n. 300 del 1970, soffermandosi sulla ben nota questione dell'alterazione delle timbrature deputate a permettere la verifica degli orari d'entrata e di uscita ed, in particolare, sull'ipotesi in cui l'addebito concerna anche la volontà di trarre un indebito pagamento di compensi non dovuti.

Nel caso, valutando l'operato dei Giudici del merito, è stata ribadita la correttezza dell'iter motivazionale da questi seguito avendo proceduto la Corte d'appello ad un analitico esame della contestazione disciplinare dalla quale emergeva una articolata descrizione del fatto contestato consistito nell'alterazione manuale dei dati risultanti dalla timbrature del sistema di rilevazione automatica delle presenze.

Dopo aver, peraltro, sottolineato come la norma collettiva invocata (art. 229, CCNL Commercio) ed il Codice disciplinare aziendale prevedessero il licenziamento in caso di alterazione volta a far risultare una fittizia presenza sul luogo di lavoro ha precisato che, pur essendo la contestazione dettagliata in quanto ad orari e date alterati, non lo era altrettanto con riguardo alla fittizietà e fraudolenza di tali timbrature errate.

Di conseguenza, la contestazione complessivamente sollevata è stata ritenuta parzialmente generica nella parte in cui non avrebbe permesso alla lavoratrice di ben comprendere quali fossero le alterazioni da ricollegare ad un occultamento fraudolento dell'assenza dal lavoro; evidenziando, oltretutto, sotto il profilo processuale, come la censura mossa sotto tale aspetto dalla società dovesse ritenersi destituita di fondamento.

Sgombrato il campo dal terzo, quinto, sesto e settimo motivo tutti considerati inammissibili (e, comunque, infondati), la Suprema Corte ha ribadito la correttezza dell'operato della Corte di appello di Milano per aver considerato solo i fatti correttamente contestati, così escludendone la riconducibilità sia alla previsione dell'art. 229, CCNL, sia a quella indicata dal Codice disciplinare aziendale; per poi soffermarsi sulla proporzionalità della sanzione rispetto al fatto contestato.

Vengono, pertanto, riaffermati i principi già enunciati dalla giurisprudenza di legittimità ed, in particolare, che la valutazione della legittimità del licenziamento disciplinare per un comportamento richiamato dalla normativa collettiva, a titolo esemplificativo, per i casi di licenziamento per giusta causa deve sempre passare attraverso un accertamento concreto (nella fase del merito) dell'entità e gravità effettiva del comportamento addebitato al dipendente ed anche della reale proporzionalità tra addebito e sanzione; indipendentemente dal fatto che la condotta corrisponda astrattamente alla fattispecie sanzionata dalla disciplina collettiva.

Il processo logico che deve, dunque, pilotare il Giudice necessita, quindi, non solo della verifica che la condotta sanzionata sia riconducibile alla nozione legale di giusta causa ma anche, invero, della valutazione, in concreto, della gravità del comportamento sotto il profilo soggettivo della colpa e del dolo e di un'ulteriore valutazione (che si richiede “in senso accentuativo”): la non scarsa importanza prevista dall'art. 1455, c.c. (Cass. 5 aprile 2017, n. 8826; Cass. 4 marzo 2013, n. 5280 e Cass. 19 agosto 2004, n. 16260).

Sempre sotto il profilo sostanziale - sposando, però, l'attenzione sul regime sanzionatorio applicabile - la Suprema Corte ritiene non fondata nemmeno la questione inerente l'omessa l'applicazione del comma 6 dell'art. 18, st. lav.: ritiene il Collegio che la statuizione impugnata non sia stata ben compresa dal momento che non s'è in presenza di un mero vizio di procedura, ma di una decisione che, dopo aver rilevato la parziale genericità di una parte dell'addebito, ha limitato lo scrutinio di legittimità della lettera di contestazione a quanto è risultato ritualmente addebitato e, in relazione a questo, ha ravvisato la mancanza di proporzione della sanzione così optando per la tutela indennitaria forte.

Osservazioni

Al di là delle questioni processuali che portano taluni motivi a non essere esaminati dalla Corte, Questa è chiamata nuovamente (sia pur adagiandosi su altre Sue statuizioni che non ne modificano l'orientamento ed anzi lo confermano) a pronunciarsi sulla problematica della genericità della contestazione disciplinare e dei risvolti che ad essa sono inscindibilmente connessi: siamo in presenza di un atto esterno alla fase processuale che, però, ne influenza fortemente gli esiti poiché l'errore originario rischia di travolgere l'intero procedimento disciplinare, il provvedimento che si pone a sua chiusura e, soprattutto, le sorti del processo nel quale - per la prima volta - il controllo di legittimità dell'intera procedura viene operato.

Non si è, nel caso in esame, in presenza di una contestazione completamente generica; ma di un addebito che però lo è parzialmente e ciò può accadere - come, in effetti, è accaduto - qualora con un'unica lettera di addebito si intendano muovere due o più contestazioni avverso la condotta che si ritiene lesiva del vincolo fiduciario (considerato il licenziamento che ne è derivato).

La difficoltà del caso, tuttavia, attiene alla predisposizione della contestazione nella quale verrebbero alla luce due mancanze (affini ma distinte) dell'incolpata: non solamente l'alterazione del sistema di rilevazione delle presenze ma anche, a ben vedere, l'aver fatto ciò al fine di ottenere e far risultare una fittizia presenza sul luogo di lavoro.

La genericità della lettera qui in "contestazione" sembrerebbe evincersi dal fatto che, a fronte dell'indicazione della norma collettiva che permette il licenziamento per giusta causa quando l'alterazione sia volta a far risultare una presenza fittizia sul luogo di lavoro, la comunicazione non avrebbe riportato, però, la menzione dettagliata di date ed orari alterati e l'indicazione specifica di quali tra questi sarebbero serviti ad un uso fittizio e fraudolento.

Ammessa questa volontà alternativa dell'agente (quella di alterare e quella di farlo per simulare la presenza nel posto di lavoro) e sia pure riconoscendo che l'alterazione possa essere stata frutto di un erroneo utilizzo ovvero di una svista appare, forse, particolarmente complesso prospettare che un'operazione del genere possa avere un fine ulteriore rispetto a quello "classico" di far apparire una presenza fittizia al posto di un'assenza.

In ogni caso, la pronuncia di genericità parziale (del capo della lettera di addebito relativa alla simulazione della presenza in servizio) non travolge l'intera contestazione che, come ribadito dalla Corte, mantiene la sua perfetta validità ed efficacia in relazione all'ulteriore addebito costituito dal fatto di essersi adoperati per porre in essere l'alterazione del sistema di timbrature.

Di fondamentale importanza è, dunque, il rilievo - brevemente prospettato ed anche "brusco quanto si vuole, ma incisivo quanto basta" - secondo il quale, la valutazione parziale degli addebiti (che, quindi, fa salvo quello ritualmente contestato) non può configurare un mero vizio di procedura che permetterebbe di accedere alla tutela indennitaria debole del comma 6, dell'art. 18, st. lav.

Ad avviso della Corte, invece, la disamina di legittimità del solo addebito valido porta alla declaratoria di invalidità del licenziamento, poiché assolutamente sproporzionata è stata la sanzione che si è intesa irrogare.

Quindi, riordinando le questioni: la contestazione inerente l'alterazione per ottenere la fittizia presenza sul posto di lavoro (che avrebbe permesso di accedere alla giusta causa di licenziamento) è stata formulata in maniera del tutto generica e, di conseguenza, non potrà ritenersi applicabile la norma collettiva ed il Codice disciplinare aziendale che in tali casi prospettano il recesso ex art. 2119, c.c. Tale vizio, tuttavia, non determina un errore procedurale dal momento che la validità della contestazione permane per la parte restante dei fatti addebitati purché siano stati correttamente contestati.

L'addebito, invece, correttamente contestato merita di essere esaminato ma, essendo stato “punito” con una sanzione ritenuta priva di proporzione rende il licenziamento illegittimo, con conseguente applicazione della tutela indennitaria forte e non del regime reintegratorio (come imposto dalla riforma dell'art. 18 operata dalla Riforma Fornero, l. n. 92 del 2012).

Tutto ha, dunque, fine in base a come ha inizio: si conferma la fondamentale importanza della lettera di addebito la quale costituisce il presupposto di validità dell'intero procedimento disciplinare.

La sua struttura deve sempre rispettare i criteri dettati dall'art. 7 dello Statuto dei lavoratori e, quindi, delineare il perimetro dell'addebito nel quale si muoverà il lavoratore nelle giustificazioni rese a sua discolpa e deve, inoltre, fornire indicazioni necessarie ed essenziali per individuare il fatto costituente l'ipotetica infrazione.

Oltretutto, la sanzione disciplinare - che rappresenta l'ultima espressione del potere “interno” datoriale - deve rispettare il principio di proporzionalità: e ciò non vuol dire limitarsi ad una mera e generica verifica della corrispondenza astratta tra fattispecie vietata dalla norma collettiva o aziendale e fatto contestato. Occorre, invece, un accertamento concreto della reale gravità ed entità del comportamento adottato; chiedendosi sempre che la condotta sanzionata sia riconducibile alla giusta causa anche sotto il profilo soggettivo della colpa o del dolo (con ulteriore valutazione rispetto alla regola della non scarsa importanza).

Corretta enunciazione dell'addebito, proporzionata scelta della sanzione, verifica concreta degli elementi del caso, adesione non meramente letterale al dettato della norma collettiva.

Sono questi i principi ribaditi dalla Suprema Corte, in senso conforme al Suo orientamento, in "senso accentuativo" dei limiti dell'esercizio del potere disciplinare.

Minimi riferimenti bibliografici

- L. Montuschi, sub art. 7, in Statuto dei diritti dei lavoratori, a cura di G. Ghezzi - F. Mancini - L. Montuschi - U. Romagnoli, Comm. SB, 1972, 34 ss.

- F. Pantano, La contestazione degli addebiti, in Il potere disciplinare del datore di lavoro, a cura di S. Mainardi, Utet, 2012, 257 ss.

- G. Centamore, La specificità ex art. 7, St. lav., dalla contestazione disciplinare effettuata per relationem agli atti del processo penale, in Riv. it. dir. lav., 1, 2015, 17

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