Lavoro penitenziario. Le nuove disposizioni varate dal Governo

Veronica Manca
05 Novembre 2018

Con il 26 ottobre 2018 – data di pubblicazione in Gazzetta ufficiale – si chiude definitivamente la partita della riforma penitenziaria. Il 10 novembre prossimo infatti entreranno in vigore le modiche contenute nel decreto legislativo del 2 ottobre 2018, n. 124. le modifiche più importanti sono ...
Abstract

Con il 26 ottobre 2018 – data di pubblicazione in Gazzetta ufficiale – si chiude definitivamente la partita della riforma penitenziaria.

Il 10 novembre prossimo infatti entreranno in vigore le modiche contenute nel decreto legislativo del 2 ottobre 2018, n. 124, intitolato precisamente Riforma dell'ordinamento penitenziario in materia di vita detentiva e lavoro penitenziario, in attuazione della delega di cui all'articolo 1, commi 82, 83 e 85, lettere g), h) e r) della legge delega, del 23 giugno 2017, n. 103.

L'iter parlamentare del d.lgs. 2 ottobre 2018, n. 124

L'attuazione del decreto legislativo rientra all'interno di un disegno più ampio del Governo: il 26 ottobre sono stati emanati e pubblicati contestualmente altri quattro decreti legislativi, rispettivamente il n. 120 in materia di intercettazioni e spese di giustizia; il n. 121 in relazione all'esecuzione penale dei minorenni; il n. 122 in fatto di casellario giudiziale e il n. 123, a chiusura, avente ad oggetto le modifiche in tema di assistenza sanitaria, semplificazione delle procedure e vita penitenziaria. Con riguardo alla riforma penitenziaria, il Governo, a seguito del Consiglio dei Ministri del 27 settembre 2018, ha deciso, quindi, di emanare due decreti legislativi separati e distinti (anche se di fatto contenenti disposizioni per entrambi concernenti la vita penitenziaria), uno, il n. 123 in attuazione della legge delega per la parte di assistenza sanitaria (art. 11 ord. pen.), semplificazione delle procedure del rito di sorveglianza (art. 678 c.p.p. e art. 656, comma 1-bis c.p.p.), sospensione e revoca di misure alternative in corso in caso di sopravvenienza di titoli esecutivi (artt. 51-bise 51-ter ord. pen.), riorganizzazione del personale degli Uepe, diritto al colloquio con i garanti territoriali (art. 18 ord. pen.), trattamento e contenuto dell'osservazione scientifica (artt. 13 e 15 ord. pen.), diritto di pari accesso alle progettualità da parte delle donne (art. 19 ord. pen.), senza essere discriminate per l'inferiorità numerica, diritto alle dimissioni con documenti d'identità validi (art. 43 ord. pen.) e diritto alla residenza anagrafica presso il Comune in cui è sito il carcere (art. 45 ord. pen.).

Un vero e proprio capovolgimento di prospettive, se si pensa che nel gennaio scorso, il Governo dell'allora Presidente Gentiloni aveva approvato un unico schema di decreto legislativo, contenente modifiche in materia di misure alternative (art. 47-septiesord. pen., affidamento in prova al servizio sociale per infermità psichica), eliminazione delle preclusioni di cui al 4-bis ord. pen., assistenza sanitaria e “vivibilità” detentiva, oltre che in materia di reclamo e semplificazione delle procedure di rito. Si era scelto – non senza critiche – di non esercitare la delega in relazione al tema della giustizia riparativa (ripescata solo in estate per poi riarchiviarla definitivamente dopo il parere negativo delle Camere neoelette) e al tema del lavoro penitenziario, a oggi invece legge (per l'esattezza, tale decreto legislativo ricompare sulla scena solo in limine con l'approvazione del CdM del 27 settembre 2018, dato che nelle versioni precedenti era stato completamente disatteso, se non solo nei limiti dell'intestazione). Non senza un profondo sentimento di amarezza, per tutto il lavoro svolto dagli Stati generali dell'esecuzione penale, dalla Commissione Giostra, dal precedente Ministro della Giustizia, che aveva inaugurato un movimento di ripensamento – strutturale e organico – dell'ordinamento penitenziario, si saluta positivamente l'entrata in vigore dei decreti legislativi in esame e, in particolare, del d.lgs. 124/2018, dato che con esso si pongono le basi per un ripensamento del valore e della portata del lavoro penitenziario, chiave di volta del percorso rieducativo.

Il d.lgs. 124/2018 contiene poche disposizioni, ma non per questo di poco peso: 4 articoli per 2 Capi. Al primo Capo, sono previste modifiche alla disciplina del pernottamento e della collocazione dei detenuti nelle celle e nelle aree comuni. Si apprezza la scelta di tenere ferme tali disposizioni ma non si può tuttavia constatare come, per una loro piena attuazione, sarà necessaria una preliminare – seria e significativa – presa di coscienza dell'attuale assetto architettonico ed edilizio delle strutture attualmente esistenti (tanto che lo stesso Legislatore ha stabilito all'art. 3, che le modifiche in esame non saranno attuabili non prima del 31 dicembre 2021, con un aumento di spesa quantificato in euro 2.000.000 per il 2019 e 2020).

Non meno preoccupante la previsione di cui all'art. 4 per cui si prevede che le modifiche apportate non dovranno comportare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

Dai lavori conclusivi degli Stati generali dell'esecuzione penale alla commissione Giostra

Dato il quadro, risulta quanto mai importante riprendere quel movimento culturale e giuridico che ha portato all'esigenza (unanime) di revisione complessiva dell'ordinamento penitenziario. Con l'istituzione degli Stati generali dell'esecuzione penale, a opera del Ministro della Giustizia, On. Andrea Orlando, gli esperti del settore avevano inaugurato un momento felice di discussione sulle sorti dell'esecuzione della pena detentiva.

In particolare, con riguardo alla “vivibilità” detentiva, il Tavolo 1 (presieduto dall'architetto Luca Zevi), a conclusione dei lavori, aveva stilato un preciso programma che avrebbe dovuto guidare il Legislatore nel prevedere e progettare opere di ristrutturazione degli edifici esistenti (con lo scopo di includere tutte le diverse tipologie di intervento e consentendo la definizione di percorsi, locali, spazi aperti e servizi in linea con i criteri distributivi e funzionali al nuovo modello detentivo improntato alla “custodia aperta” e “dinamica”).

Con riguardo alla stanza di pernottamento, il gruppo indicava la stanza individuale come soluzione ottimale; si chiedeva che nella sezione e nel padiglione detentivo venissero individuati locali da utilizzare come mensa comune (nei casi di sezioni provviste di ampi corridoi, quest'ultimi avrebbero potuto essere allestiti in modo da venire utilizzati durante il giorno come spazi di socialità e tempo libero; si suggeriva poi di definire modalità di utilizzo dei locali destinati allo studio e al lavoro e ricercare soluzioni per attrezzare le aree esterne riservate al “passeggio” come spazi di socialità e per lo sport). Si proponeva di ricercare una maggiore articolazione funzionale sia per le sale sia per le aree esterne, attraverso appositi allestimenti, per consentire incontri riservati con i familiari nel rispetto dei criteri di controllo e di verificare, inoltre, la possibilità di adattare locali esistenti o realizzare nuovi corpi da destinare a rapporti prolungati dei detenuti con i familiari. Al fine di mitigare e rendere meno afflittivo il senso di chiusura degli ambienti, appariva utile verificare le modalità per fornire maggiori e più ampie prospettive di veduta. Risultava evidente che per realizzare tali modifiche, data l'eterogeneità delle strutture penitenziarie, alcune delle quali ormai vetuste, sarebbe stato necessario predisporre un piano di lavoro: tra le soluzioni operative, si individuava l'esigenza di costituire una task force (a livello nazionale in sinergia con i tecnici del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria) di figure professionali in grado di promuovere attività partecipata e di organizzare percorsi di formazione lavoro per le persone detenute sia con riguardo agli istituti di nuova costruzione sia con riferimento a quelli esistenti, che avrebbero dovuto necessariamente essere ristrutturati; si indicava la possibilità di promuovere accordi locali con le Università (dipartimenti di architettura e ingegneria), Fondazioni e Associazioni per realizzare iniziative di progettazione partecipata e per promuovere concorsi rivolti ad architetti e ingegneri under 40 per la realizzazione di progetti preliminari.

Con riferimento poi al profilo lavorativo (e alla formazione), il Tavolo 8 (presieduto da Stefano Visonà, Capo dell'Ufficio legislativo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali) delineava i princìpi cardine a cui avrebbe dovuto ispirarsi il nuovo modello di lavoro penitenziario. Le regole fondamentali della disciplina dovrebbero infatti ruotare attorno al concetto di volontarietà (sostituendo il concetto di obbligo), nonché al superamento del termine mercede, sostituito con retribuzione (dato che il lavoro penitenziario dovrebbe rientrare tra quelle forme di lavoro protette dall'art. 35 Cost. che «tutela il lavoro in tutte le sue forme» e, pertanto, ai lavoratori-detenuti dovrebbero applicarsi le garanzie costituzionali previste dall'art. 36 Cost. che riconosce il diritto ad una retribuzione proporzionata e sufficiente, il diritto al riposo e alle ferie retribuite; così, v. Corte cost. n. 158 del 2001). Si auspicava inoltre che l'organizzazione e i metodi del lavoro penitenziario si uniformassero il più possibile al modello esistente nel mondo esterno (anche, ai sensi dell'art. 99 delle Mandela Rules e dell'art. 26.7 delle Regole penitenziarie europee). Si puntava altresì alla parificazione del lavoro penitenziario alle dipendenze dell'Amministrazione penitenziaria al lavoro “libero” sotto l'aspetto previdenziale e sotto il profilo economico-retributivo (salvo il fatto che, a parità di mansioni, la retribuzione dei primi può essere ridotta fino ad un terzo rispetto al minimo previsto dal contratto collettivo; così, v. Corte cost. n. 1087 del 1988, al contrario delle Regole penitenziarie, art. 26.10, che prescrivono la piena equiparazione). Si chiedeva poi una profonda rivisitazione dei criteri per l'assegnazione dei detenuti alle attività lavorative e si insisteva per un ripensamento del quadro dell'offerta lavorativa (poco professionalizzante), considerando che nel 2014 i detenuti lavoranti erano solamente 14.450 unità (il 27,13% del totale), di cui l'85% al servizio dell'Amministrazione penitenziaria (con attività essenzialmente di manutenzione alla struttura), mentre solo 2.323 unità erano impiegate alle dipendenze di privati; di quest'ultimi, il 45,8% è rimasto in carcere, mentre solo il 27,1% in lavoro all'esterno (art. 21 ord. pen.) e il 25,1%, in regime di semilibertà. Allo scopo si proponeva di affidare la promozione e lo sviluppo del lavoro nelle carceri a un apposito organismo/ente, dotato delle necessarie competenze in materia di marketing, organizzazione produttiva, gestione del personale, ecc. (veniva così individuato nel CIRE, Centre d'Iniciatives per a la Reinserciò, attivo in Catalogna un possibile modello di riferimento).

Percorso di cambiamento, sin qui delineato, ripreso dai lavori della c.d. commissione Giostra (istituita dall'allora Ministro della Giustizia, il 19 luglio 2017 e presieduta dal Professore Glauco Giostra), che aveva rassegnato le proprie conclusioni nel dicembre 2017 e da cui il Governo Gentiloni aveva tratto spunto per l'emanazione del primo schema di decreto legislativo del 15 gennaio 2018 (decidendo, peraltro, di non esercitare la parte di delega sul lavoro penitenziario, come, quella sulla giustizia riparativa e sull'esecuzione della pena dei minorenni).

Per quanto d'interesse, nei lavori conclusivi della Commissione, si delineava il nuovo art. 5 ord. pen., che avrebbe dovuto così recitare: «Gli istituti penitenziari devono essere realizzati in modo tale da accogliere un numero non elevato di detenuti o internati. Gli edifici penitenziari devono essere dotati di locali per le esigenze di vita individuale e di locali per lo svolgimento di attività lavorative, formative, artigianali, sportive, di culto e di socializzazione. Negli istituti penitenziari devono essere realizzate aree esterne e locali idonei a consentire ai detenuti e agli internati di intrattenere relazioni affettive». L'art. 6 ord. pen. avrebbe invece dovuto prescrivere che: «I locali nei quali si svolge la vita dei detenuti e degli internati devono essere di ampiezza sufficiente, illuminati con luce naturale e artificiale in modo da permettere il lavoro e la lettura; areati, riscaldati per il tempo in cui le condizioni climatiche lo esigono, e dotati di servizi igienici riservati, decenti e di tipo razionale. I locali devono essere tenuti in buono stato di conservazione e di pulizia. Le aree residenziali devono essere dotate di spazi comuni attrezzati al fine di consentire ai detenuti e agli internati una gestione cooperativa della vita quotidiana nella sfera domestica. I locali destinati al pernottamento consistono in camere dotate di uno o più posti. Particolare cura è impiegata nella scelta di quei soggetti che sono collocati in camere a più posti. Le camere a più posti devono garantire uno spazio individuale minimo di tre metri quadrati al netto degli arredi, mobili e fissi, nonché dei servizi igienici. Non sono ammesse deroghe se non per esigenze eccezionali e per un tempo non superiore a dieci giorni».

E ancora: «Fatta salva contraria prescrizione del sanitario, al condannato alla pena dell'ergastolo è garantito il pernottamento in camere ad un posto a meno che egli richieda di essere assegnato a camere a più posti. Alle stesse condizioni del comma precedente, agli imputati è garantito il pernottamento in camera ad un posto a meno che la situazione particolare dell'istituto non lo consenta. Ciascun detenuto e internato dispone di adeguato corredo per il proprio letto».

Con riguardo poi alle modifiche suggerite per il miglioramento degli standard igienico-sanitari, l'art. 8 ord. pen. avrebbe dovuto essere interpolato nel modo seguente: «È assicurato ai detenuti e agli internati l'uso adeguato e sufficiente di servizi igienici e docce fornite di acqua calda, nonché di altri oggetti necessari alla cura e alla pulizia della persona. Nelle camere di pernottamento i servigi igienici, adeguatamente areati, sono collocati in uno spazio separato, per garantire la riservatezza».

Significative, inoltre, le proposte di riforma elaborate per la disciplina del lavoro penitenziario: con l'art. 20 ord. pen. si apriva la possibilità che anche gli internati nelle Rems accedessero al lavoro e ai corsi di formazione; si chiariva inoltre che l'Amministrazione penitenziaria potesse organizzare e gestire sia all'interno sia all'esterno dell'istituto attività di produzione di bene o servizi; veniva meno il carattere obbligatorio del lavoro penitenziario; si riorganizzava la commissione istituita presso ciascun istituto penitenziario (composta dal direttore o altro dirigente penitenziario delegato, dai responsabili dell'area sicurezza e dall'area giuridico-pedagogica, dal dirigente sanitario, da un funzionario dell'Uepe, dal direttore del centro per l'impiego o da un suo delegato, da un rappresentante delle organizzazioni sindacali, con la nomina per ciascuno dei membri di un supplente e si prevede la partecipazione, senza diritto di voto, di detenuti o internati; la commissione decide a maggioranza dei presenti) e se ne ridefinivano i compiti (e con essi i criteri di assegnazione dei detenuti lavoranti, classificati secondo due elenchi, uno generico e uno specifico); si riconosceva l'opportunità per i detenuti (e internati) di svolgere attività di produzione di beni da destinare all'autoconsumo; si potenziavano le tutele assicurative, previdenziali del lavorante detenuto parificato al lavoratore “libero”.

La vera novità, tuttavia, consisteva nell'introduzione dei lavori di pubblica utilità (i c.d. L.P.U.) anche per i detenuti, ai sensi dell'art. 20-ter ord. pen.: nella relazione introduttiva si spiegava la rilevanza di tale innovazione, consistita nell'ampliare l'offerta lavorativa, con opportunità diverse e ulteriori rispetto alle attività lavorative in senso tecnico (si intendeva così garantire al più ampio numero di detenuti la partecipazione ad attività ad alto contenuto risocializzante). Centrale l'inserimento di tale attività nel panorama complessivo del lavoro penitenziario: si pensi alla possibilità di organizzare, anche intra moenia, attività di servizio di enti o istituzioni pubbliche o di soggetti privati che svolgono servizi di pubblica utilità o di pubblico interesse (assistenza a disabili o a soggetti deboli, centri antiviolenza, case famiglia, organizzazioni del c.d. quarto settore), attività di call center, di archiviazione digitale di dati, di digitalizzazione e dematerializzazione di documentazioni ed atti amministrativi. Come non pensare al coinvolgimento dei detenuti ad attività vicine al mondo della giustizia riparativa, a favore di vittime del reato e soggetti fragili. Per non parlare poi dei benefici che tale tipologia di offerta trattamentale può vantare a livello di costi organizzativi (complessivamente più bassi rispetto al lavoro inteso in senso tecnico; i costi assicurativi, inoltre, sono in generale accollati dallo Stato e non prevedono esborsi da parte datoriale).

Se l'inserimento di tale tipologia lavorativa era stata salutata positivamente dalla Commissione Giostra, più discussa invece la previsione delle ricadute di tale progettualità a livello trattamentale: l'esito positivo dei L.P.U. avrebbe comportato – nell'impostazione originaria ripresa anche dallo schema di decreto legislativo approvato dal CdM del 27 settembre 2018 – uno scomputo della pena, a titolo di liberazione anticipata, aumentato fino a 15 giorni per ogni semestre (per un massimo di 60 giorni, anziché 45, per ogni semestre di pena espiato).

Tale previsione – fortemente discussa già in seno alla Commissione Giostra – ormai è storia, archiviata in limine dal Governo, in vista della pubblicazione in Gazzetta ufficiale del 26 ottobre 2018. Scompare, quindi, quel valore di “ricompensa” sulla pena per il lavoro prestato alla collettività e quell'effetto deflativo che avrebbe dovuto favorire l'uscita dal carcere di detenuti con alto livello di adesione e partecipazione ai valori della collettività di riferimento: a oggi, lo svolgimento dei L.P.U avrà "solo" un valore e un peso ai fini della valutazione più ampia e complessiva del percorso trattamentale del detenuto, dato che gli stessi vengono indicati come parte integrante del trattamento, ai sensi dell'art. 15 ord. pen. (v. infra).

La Commissione Giostra, tra le altre cose, proponeva altresì delle modifiche all'art. 12 ord. pen., in tema di istruzione e all'art. 26 ord. pen., in fatto di libertà di culto: si mirava, con l'interpolazione dell'art. 12 ord. pen. a potenziare l'importanza di una corretta gestione della biblioteca, un supporto fondamentale per l'apprendimento e l'approfondimento per i detenuti, con la previsione che essa fosse dotata di libri e riviste, anche su supporto multimediale, che potessero rispecchiare anche la composizione multiculturale della popolazione carceraria.

Con l'art. 26 ord. pen. si intendeva inoltre ampliare le occasioni di esercizio libero dei culti religiosi, con l'accesso dei ministri di culto, dei rappresentanti accreditati e delle guide di culto delle altre confessioni diverse da quella cattolica (di una profonda sensibilità culturale la previsione che i ministri di culti fossero onerati del compito di agevolare il dialogo interreligioso).

Tali modifiche confluiscono in parte nello schema di decreto legislativo del 27 settembre ma poi definitivamente soppresse nella versione finale.

Anche in questo caso, le potenzialità insite in tali disposizioni si disperdono nelle logiche della politica e rimangono, per ora e fino alla prossima riforma, archiviate.

Le norme attuate. Le disposizioni in materia di pernottamento e “vivibilità”

Con il d.lgs. 124/2018, ai sensi dell'art. 1, vengono, quindi, modificati gli artt. 5, 6 e 8 ord. pen., in materia di pernottamento, collocazione dei detenuti nella cella, nelle aree comuni e in relazione all'igiene personale.

Con riguardo all'art. 5 ord. pen., il nuovo testo, al secondo comma, recita così: «Gli edifici penitenziari devono essere dotati di locali per le esigenze di vita individuale e di locali per lo svolgimento di attività lavorative, formative e, ove possibile, culturali, sportive e religiose», andando così a puntualizzare la precedente espressione per lo svolgimento di attività in comune. Immutato il resto dell'articolo: si perde, purtroppo, l'ulteriore riferimento – voluto dalla Commissione Giostra – alla socializzazione e all'agevolazione dei contatti con la famiglia e i propri cari (v., «Negli istituti penitenziari devono essere realizzate aree esterne e locali idonei a consentire ai detenuti e agli internati di intrattenere relazioni affettive»).

Ulteriore modifica riguarda, come anticipato, l'art. 6 ord. pen., la cui formulazione attuale sarà la seguente: «1. I locali nei quali si svolge la vita dei detenuti e degli internati devono essere di ampiezza sufficiente, illuminati con luce naturale e artificiale in modo da permettere il lavoro e la lettura; areati, riscaldati per il tempo in cui le condizioni climatiche lo esigono, e dotati di servizi igienici riservati, decenti e di tipo razionale. I locali devono essere tenuti in buono stato di conservazione e di pulizia. 2. Le aree residenziali devono essere dotate di spazi comuni attrezzati al fine di consentire ai detenuti e agli internati una gestione cooperativa della vita quotidiana nella sfera domestica. 3. I locali destinati al pernottamento consistono in camere dotate di uno o più posti. 4. Particolare cura è impiegata nella scelta di quei soggetti che sono collocati in camere a più posti. 5. Fatta salva contraria prescrizione del sanitario e salvo che particolari situazioni dell'istituto non lo consentano, è preferibilmente consentito al condannato alla pena dell'ergastolo il pernottamento in camere ad un posto, ove non richieda di essere assegnato a camere a più posti. 6. Alle stesse condizioni del comma 5, agli imputati è garantito il pernottamento in camera ad un posto a meno che particolari situazioni dell'istituto non lo consentano. 7. Ciascun detenuto e internato dispone di adeguato corredo per il proprio letto». Sparisce l'inciso sia dallo schema che dal testo definitivo, circa il rispetto dello spazio individuale, nel caso di camere a più posti (v. «Le camere a più posti devono garantire uno spazio individuale minimo di tre metri quadrati al netto degli arredi, mobili e fissi, nonché dei servizi igienici. Non sono ammesse deroghe se non per esigenze eccezionali e per un tempo non superiore a dieci giorni»).

Sottile, ma significativo, il mutamento del testo, al comma 5, per cui si prescrive che sia preferibilmente consentito e non garantito al condannato alla pena dell'ergastolo la possibilità di pernottare in una cella singola e sempre che le prescrizioni del sanitario, e – interpolazione che lascia ampi margini di discrezionalità – le esigenze dell'istituto (nella generalità dei casi, considerato l'aumento esponenziale del tasso di sovraffollamento negli ultimi anni) impongano una scelta diversa.

Chiude il Capo I con l'interpolazione all'art. 8 ord. pen., per cui il comma 1 sancisce che: «È assicurato ai detenuti e agli internati l'uso adeguato e sufficiente dei servizi igienici e docce fornite di acqua calda, nonché di altri oggetti necessari alla cura e alla pulizia della persona. Nelle camere di pernottamento i servizi igienici, adeguatamente areati, sono collocati in uno spazio separato per garantire la riservatezza».

Su questo punto, pare che il Governo sia in fase di schema che di testo definitivamente approvato abbia seguito le indicazioni della Commissione Giostra.

Le disposizioni in materia di lavoro penitenziario

Venendo ora alla riforma in materia di lavoro penitenziario, le modifiche più importanti sono state apportate agli artt. 20, 20-ter, 21, 22, 25-bis, 25-ter e 46 ord. pen. Come già, si è anticipato, il Governo ha ripreso i lavori conclusivi della Commissione Giostra, che – a sua volta – ha potuto trarre importanti riflessioni dalle conclusioni raggiunte dagli Stati generali dell'esecuzione penale, per poter finalmente sancire la volontarietà del lavoro penitenziario, quale principio cardine della partecipazione del detenuto alle attività lavorative (viene meno, quindi, il carattere obbligatorio dello stesso).

Si assiste a una “piena” equiparazione del lavoro prestato dal detenuto al lavoro svolto all'esterno, dato che, ai sensi del comma 3 dell'art. 20 ord. pen. si stabilisce che: «L'organizzazione e i metodi di lavoro penitenziario devono riflettere quelli del lavoro nella società libera al fine di far acquisire ai soggetti una preparazione professionale adeguata alle normali condizioni lavorative per agevolarne il reinserimento sociale».

Si seguono poi le indicazioni degli esperti, nel momento in cui si tiene ferma la possibilità che anche i soggetti internati possano accedere al lavoro penitenziario (comma 1 dell'art. 20 ord. pen.); così come si prevede che l'Amministrazione penitenziaria possa gestire e organizzare lavorazioni e servizi sia all'interno che all'esterno del carcere e si riconosce la possibilità che tali attività vengano gestite direttamente da enti pubblici e privati (così come per il lavoro anche per la formazione; comma 1 dell'art. 20 ord. pen.).

Si riorganizza la composizione della commissione competente in materia (composta da direttore o altro dirigente da lui delegato, responsabili dell'area sicurezza e dell'area giuridico-pedagogica, dirigente sanitario, funzionario dell'Uepe, rappresentante sindacale), alla quale vengono affidati precisi compiti: con adeguata pubblicità, i membri dovranno formare due elenchi di detenuti lavoranti, uno generico e uno specifico, tenuto conto dell'anzianità di disoccupazione, dei carichi familiari, delle abilità lavorative; dovranno poi individuare le attività lavorative o i posti di lavoro ai quali, per motivi di sicurezza, sono assegnati i detenuti o internati in deroga alle liste formate; dovranno infine stabilire dei criteri per l'avvicendamento dei posti di lavoro alle dipendenze dell'amministrazione penitenziaria, nel rispetto delle direttive generali (commi 4, 5, 6 dell'art. 20 ord. pen.; al comma 7 rimane ferma la competenza del direttore a stabilire deroghe ai criteri sopra citati per esigenze di sicurezza).

Si prevede, inoltre, in linea con le proposte della Commissione Giostra, che gli organi centrali e territoriali dell'Amministrazione penitenziaria stipulino apposite convenzioni di inserimento lavorativo con soggetti pubblici o privati o cooperative sociali interessati a fornire opportunità di lavoro a detenuti o internati, apportando una precisazione lessicale in relazione all'articolazione, centrale e periferica, dell'Amministrazione penitenziaria (comma 8 dell'art. 20 ord. pen.). Novità invece è data dalle modalità di pubblicazione di tali convenzioni: si prevede infatti che il Dipartimento abbia l'onere di pubblicare sul proprio sito istituzionale i progetti di intervento unitamente al curriculum dell'ente proponente; della convenzione stipulata – si specifica – viene data adeguata pubblicità. Al comma 9 dell'art. 20 ord. pen. poi viene ripensata la formulazione del testo in modo che le direzioni degli istituti penitenziari siano autorizzate dal Ministero della Giustizia a vendere prodotti (le c.d. produzioni sottocosto) delle lavorazioni penitenziarie «o rendere servizi attraverso l'impiego di prestazioni lavorative dei detenuti e degli internati» a prezzo pari o anche inferiore al loro costo, tenuto conto, per quanto possibile, dei prezzi praticati per prodotti o servizi corrispondenti «nella zona in cui è situato l'istituto»; al comma 10 si prevede altresì che gli introiti delle lavorazioni penitenziarie vengano versati in apposito capitolo del Ministero della Giustizia, anziché confluire indistintamente nelle Casse dell'Erario. Ancora: al comma 11 si ammette che i detenuti possano esercitare per conto proprio attività artigianali, artistiche o intellettuali e che quest'ultime confluiscano nel programma di trattamento; al comma 12 si mira alla valorizzazione dell'attività lavorativa orientata all'autoconsumo (anche in alternativa alle normali offerte lavorative). Chiude il comma 13 con cui si sancisce la parificazione del lavoro penitenziario a quello “normale” in termini di copertura assicurativa e tutela previdenziale.

Della vera e propria novità della riforma del lavoro penitenziario si è già detto: all'art. 20-ter ord. pen. vengono introdotti i c.d. L.P.U (v. supra), la cui tenuta dovrà verificarsi necessariamente nella prassi (sul punto, si condivide la perplessità manifestata in seno alla Commissione Giostra per cui si paventava una possibile applicabilità “discriminata” a seconda della realtà territoriale).

Significative anche le modifiche all'art. 22 ord. pen. in fatto di remunerazione: seguendo le indicazioni della Commissione Giostra si stabilisce il criterio in forza del quale ancorare la remunerazione del lavoro penitenziario, che dovrà essere pari ai 2/3 del trattamento economico stabilito dai contratti collettivi.

Ancora più rilevante, l'articolo inserito appositamente in materia di assistenza assicurativa e assistenziale, ai sensi dell'art. 25-ter ord. pen., per cui si onera l'Amministrazione penitenziaria di agevolare la disponibilità a favore dei detenuti, anche attraverso apposite convenzioni non onerose con enti pubblici e privati, di servizi per l'assistenza all'espletamento delle pratiche per il conseguimento di prestazioni assistenziali e previdenziali e per l'erogazione di servizi e misure di politica attiva del lavoro.

Non da meno la previsione, con cui si chiude la riforma del lavoro penitenziario, dell'art. 46 ord. pen., per cui i soggetti che hanno terminato l'espiazione della pena detentiva o della misura di sicurezza detentiva e che versino in uno stato di disoccupazione possono accedere all'assegno di ricollocazione, sempre che abbiano fatto domanda almeno sei mesi prima dalla data prevista per le dimissioni.

In conclusione

In conclusione, come già si è anticipato, si valuta positivamente il d.lgs. 124/2018, con cui il Legislatore ha inteso finalmente rivedere la disciplina del lavoro penitenziario, modificandone i princìpi cardine (come, ad es., il concetto di volontarietà, che si sostituisce all'opposto di obbligatorietà o il riconoscimento di un'estensione della sua applicazione anche a favore dei soggetti internati in Rems) e aprendo l'orizzonte a nuove opportunità sia per l'Amministrazione penitenziaria (v., comma 1 dell'art. 20 ord. pen.), sia per il territorio sia per il detenuto: l'inserimento della previsione dei L.P.U è infatti una novità davvero centrale nelle prospettive di valorizzazione del percorso rieducativo del condannato, dato che, tramite i L.P.U., si aumentano le possibilità di riempire di contenuto risocializzante il trattamento, verso una dimensione di partecipazione attiva e consapevole (non meramente passiva, ma come artefice e compartecipe) del detenuto nella realizzazione di un progetto di reinserimento sociale (orientato definitivamente verso l'esterno e il territorio di riferimento). Potenzialità significative, quindi, la cui fattibilità ed attuabilità dipenderanno molto dalla prassi e dall'impegno che le singole direzioni penitenziarie investiranno per la realizzazione di tali progettualità (e, soprattutto, per la piena partecipazione di più detenuti possibili). Il lavoro (sia inteso in senso tecnico che come L.P.U.) diviene la chiave di volta del processo di risocializzazione: la sfida degli operatori è far sì che tale innovazione non rimanga ineffettiva; una sfida difficile, tenuto conto delle scarse risorse economiche e di organico di cui dispone ad oggi l'Amministrazione penitenziaria, ma non impossibile, considerando che chiamati in causa – in prima linea – non saranno solo le direzioni e le aree educative, ma anche gli assistenti sociali degli Uepe, le cooperative, le associazioni private, gli enti pubblici, il territorio e la collettività nel suo insieme. Il Legislatore, con tale decreto, ricorda che l'esecuzione della pena detentiva è una responsabilità collettiva e come tale – nei limiti delle proprie competenze e dei rispettivi ruoli – dovrà essere gestita ed attuata, tenendo sempre in mente il fine ultimo, la risocializzazione delle persone che transitano dal carcere per ritornare come persone formate e inserite nella propria (e, quindi, nostra) comunità di ferimento.

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