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Riforma dell’ordinamento penitenziario: la nuova disciplina dell’esecuzione nei confronti di condannati minorenni

Veronica Cesari
06 Novembre 2018

Il nuovo d.lgs. 2 ottobre 2018, n. 121, emanato in attuazione dell'ampia delega per la riforma dell'ordinamento penitenziario contenuta nella l. n. 103/2017, attua una svolta epocale che va a colmare, di fatto, un vuoto legislativo quarantennale. L'Autore, attraverso una prima analisi della nuova normativa, esamina le principali novità introdotte in materia di esecuzione penitenziaria minorile, alla luce delle peculiarità della condizione dei condannati minori d'età e delle fondamenta create dagli interventi di censura operati negli anni dalla Corte costituzionale in assenza di un concreto riscontro normativo.
Il previgente quadro normativo

Come noto, nel previgente sistema l'esecuzione penale nei confronti del condannato minorenne ha trovato, come norma di riferimento, l'art. 79 l. n. 354/1975 ove si prevede che «Le norme della presente legge si applicano anche nei confronti dei minori degli anni diciotto sottoposti a misure penali, fino a quando non sarà provveduto con apposita legge».

Nelle intenzioni del Legislatore la disciplina prevista per gli adulti avrebbe dovuto essere applicata ai minorenni per un tempo limitato, in vista di un successivo intervento precipuamente modulato sulle specifiche esigenze di soggetti in età evolutiva. Tuttavia, nelle more di un intervento normativo ad hoc, nei confronti dei condannati minorenni hanno continuato a trovare applicazione le medesime previsioni normative pensate per gli adulti, salvo alcune specifiche eccezioni: all'interno della stessa legge sull'ordinamento penitenziario si possono rintracciare, in particolare a seguito della riforma del 1986 (l. n. 663/1986, c.d. Legge Gozzini), specifiche previsioni relative ai soli detenuti minorenni. Si segnala, a titolo esemplificativo, l'art. 30-ter ord. pen. il quale, al comma 2, prevede una diversa regolamentazione della durata dei permessi premio, concedibili fino a un massimo di sessanta giorni l'anno (quarantacinque per gli adulti) e per un lasso di tempo ogni volta non superiore a venti giorni (quindici per gli adulti), nonché l'art. 47-ter ord. pen., il quale estende la detenzione domiciliare anche alla persona minore degli anni 21 per comprovate esigenze di salute, studio, lavoro e famiglia.

L'assenza di un ordinamento penitenziario ad hoc

Invero, già all'indomani del varo della riforma del 1975, l'assenza di una specifica legislazione penitenziaria minorile aveva generato non poche perplessità, in ragione delle particolari esigenze educative proprie di soggetti in fase di crescita quali sono, per definizione, i minorenni. Proprio l'intervento della Corte costituzionale ha permesso di dare riconoscimento a talune opportune differenziazioni tra la posizione del condannato minore d'età e l'adulto.

Il Giudice delle Leggi, nella sua continua attività di adeguamento della normativa in questione alle esigenze dettate dalla peculiarità della condizione minorile, ha costantemente denunciato l'inerzia del Legislatore, evidenziando come un'assoluta parificazione di trattamento in materia di esecuzione delle pene nei confronti dei minori avrebbe potuto confliggere con le esigenze di specifica individualizzazione e di flessibilità del trattamento del detenuto minorenne (Cfr. ex multis Corte cost., sent. n. 403/1997).

Ragioni di economia del presente intervento impediscono di dare conto in maniera più approfondita delle singole pronunce della Corte, sebbene l'analisi della giurisprudenza costituzionale possa fornire un quadro più completo in ordine alla ratio sottesa all'odierna riforma. Basti in questa sede evidenziare la positio princeps offerta ai principi della tutela del minore e della finalità rieducativa della pena la quale, reinterpretata alla luce del dovere costituzionalmente sancito a carico della collettività adulta di educare i minori e proteggere la loro crescita, assume, come si vedrà, nuovo vigore nella materia che qui ci occupa.

Alla luce delle diverse pronunce di illegittimità costituzionale e dell'ampia attenzione dedicata al minore in campo internazionale, stante la perdurante inerzia del Legislatore in materia, sono stati posti in essere una serie di interventi che hanno determinato una forte riduzione del ricorso alla fase esecutiva penale nel settore minorile (si pensi, a titolo esemplificativo, all'introduzione con il d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 di un codice di rito specificamente applicabile ai minorenni o all'introduzione e affermazione dell'istituto della mediazione penale).

In buona sostanza, la costante evoluzione giurisprudenziale e normativa nell'ambito del processo penale minorile ha reso sempre più attuale la problematica inerente l'inesistenza nel settore di uno specifico ordinamento penitenziario, evocato implicitamente dall'art. 79 ord. pen. ma rimasto privo, fino ad oggi, di concreti seguiti normativi.

Il nuovo d.lgs. 2 ottobre 2018, n. 121

Quanto appena esposto, pur non avendo la presunzione di descrivere in maniera esaustiva le problematiche sottese alla lacuna normativa di un ordinamento penitenziario pensato ad hoc per i condannati minorenni, ha inteso fornire il contesto entro il quale si inserisce la riforma in esame, fornendo al lettore una quanto più adeguata chiave di lettura dell'odierno intervento legislativo che, ponendosi nel solco delle statuizioni del Giudice delle Leggi, intende conferire la necessaria autonomia, specificità e coerenza al sistema esecutivo minorile.

Nel merito, il provvedimento si compone di 26 articoli suddivisi in 4 Capi e dà espressa attuazione ai principi di delega di cui alla lett. p) del comma 85 dell'articolo unico della legge n. 103/2017. Il decreto risulta così composto:

  • Capo I, costituito dal solo art. 1 e recante le disposizioni generali;
  • Capo II (artt. 2-8), il quale interviene in materia di esecuzione esterna e misure penali di comunità;
  • Capo III (artt. 9-13) che ha ad oggetto la disciplina dell'esecuzione;
  • Capo IV (artt. 14-26) che reca disposizioni in tema di intervento educativo e in materia di organizzazione degli istituti penitenziari per minorenni.
Le principali novità: a) regole e finalità dell'esecuzione

Con riguardo ai procedimenti per l'esecuzione delle pene detentive e per l'applicazione delle misure penali di comunità a carico di minorenni, l'art. 1 d.lgs. n. 121/2018 rinvia alle disposizioni del codice di procedura penale, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (recante norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà, cd. ordinamento penitenziario), nonché del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 (recante norme sul processo penale a carico di imputati minorenni) e le relative norme di attuazione, di coordinamento e transitorie approvate con d.lgs. 28 luglio 1989, n. 272, da applicarsi in via sussidiaria, in presenza di specifiche lacune normative.

Per evitare un indiscriminato ricorso alla disciplina ordinaria richiamata, il comma 2, adeguando il nuovo quadro normativo alle numerose pronunce della Corte costituzionale e agli impegni assunti dall'Italia con la sottoscrizione di diversi atti internazionali ed europei, impone all'interprete di applicare la disciplina in esame tenendo conto delle esigenze educative e di corretto sviluppo psicofisico del minore: seguendo le orme delle decisioni della Consulta, si assiste ad una vera e propria trasposizione di quanto affermato nell'art. 27 Cost. all'interno dell'art. 30 Cost., dovendo quest'ultima norma assicurare l'attuazione del diritto all'educazione del minore.

La tradizionale finalità rieducativa della pena, infatti, assume in ambito minorile una particolare colorazione, atteso che le esigenze di tutela sottese al dovere costituzionalmente sancito a carico della collettività adulta di educare i minori e proteggere la loro crescita, non possono retrocedere dinanzi alle diverse esigenze di sicurezza sociale e neutralizzazione del crimine perseguite dal diritto penale.

Nella giustizia penale minorile, pertanto, la finalità sanzionatoria resterà sempre subordinata a quella di natura educativa, volta al recupero sociale del minore mediante la limitazione degli effetti negativi che, sotto il profilo pedagogico, potrebbero derivargli da un processo penale a suo carico. Tale finalità, in piena sintonia con la cultura della mediazione, mira alla risoluzione del conflitto e alla piena responsabilizzazione del reo attraverso il minor coinvolgimento possibile dello stesso nel circuito penale.

Il nuovo assetto normativo, dunque, risponde all'urgente bisogno di attribuire al sistema penale (anche nella fase esecutiva) l'arduo compito di non arrestare la propria funzione al mero momento retributivo ma di agire quale garante del diritto di qualsiasi minore ad essere educato. In buona sostanza, anche la risposta agli agiti delinquenziali degli imputati minorenni deve rappresentare un momento di proseguimento (o inizio) di un intervento educativo.

Segue: b) esecuzione esterna e misure penali di comunità

Nella piena applicazione di quanto statuito nell'art. 1, il decreto legislativo propone una diversificazione in melius tra la condizione del minore sottoposto ad esecuzione penale e quella degli imputati di maggiore età, prevedendo un catalogo di misure alternative, le cd. misure penali di comunità, che si differenziano da quelle previste per gli adulti sia per i requisiti temporali di accesso sia per la loro disciplina, concepita per essere specificamente destinata ai condannati minorenni e giovani adulti (si tratta, in particolare, di affidamento in prova al Servizio Sociale, affidamento in prova con detenzione domiciliare, detenzione domiciliare, semilibertà e affidamento in prova terapeutico).

Il principio alla base delle misure introdotte nel Capo II ivi esaminato, si ispira al criterio della carcerazione come extrema ratio che pure emerge con evidenza non solo nel diritto internazionale ma anche nel nostro sistema penale minorile. A tal proposito si ritiene opportuno evidenziare come il noto d.P.R. n. 448/1988 risulti improntato proprio al criterio della carcerazione come vera e propria last call, in considerazione delle preminenti esigenze educative dell'imputato minorenne e della necessità di consentire, o, addirittura, incentivare una rapida estromissione del minore dal circuito penale al fine di proteggerne la personalità ancora in fieri e di meglio gestirne le possibilità di recupero sul piano personale e sociale (si pensi, a titolo esemplificativo all'istituto di cui all'art. 27 d.P.R. 448/1988, ove è prevista la possibilità di pronunciare sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto quando l'ulteriore corso del procedimento possa pregiudicare le esigenze educative del minore).

Sulla base dei rilievi sin qui esposti, è chiaro come negli intenti del Legislatore vi sia stata la volontà di positivizzare, anche sul piano dell'esecuzione della pena, i principi che già ispiravano la fase processuale, prevedendo la possibilità di rinunciare alla punizione intramuraria ove si valuti che la sottoposizione del giovane ad un programma di intervento educativo, con il sostegno e la supervisione dei servizi sociali, possa proficuamente portare ad una evoluzione della sua personalità ed impedire che torni nuovamente a delinquere.

Le modalità esecutive delle misure penali di comunità devono, in ogni caso, tenere conto dei percorsi di istruzione e formazione professionale, delle esigenze di studio, di lavoro, di famiglia e di salute del minorenne e non devono mai compromettere i percorsi educativi in atto (Cfr. art. 3).

La competenza a decidere sulla adozione, sostituzione e revoca delle misure penali di comunità spetta al tribunale di sorveglianza per i minorenni, organo specializzato e dotato di quella particolare preparazione e sensibilità richieste nel settore minorile. Elemento di dirompente novità da un punto di vista procedurale, è rappresentato inoltre dall'eliminazione di ogni automatismo che comporti modifiche nel regime esecutivo della pena sottratte alla valutazione discrezionale dell'organo giurisdizionale. Proprio a tale logica risponde la previsione per la quale in caso di revoca, il Tribunale di sorveglianza può decidere, eventualmente, di sostituire la misura in atto con un'altra che appaia maggiormente adeguata a soddisfare le esigenze del caso concreto.

Segue: c) disciplina dell'esecuzione

Il Capo III reca la disciplina dell'esecuzione delle pene detentive e delle misure penali di comunità, nonché delle misure alternative alla detenzione.

Il particolare atteggiarsi degli istituti penitenziari nei confronti dei minorenni e la ratio sottesa alla loro applicazione, hanno portato all'introduzione di una disciplina di favore nei confronti di coloro che nel corso dell'esecuzione compiano la maggiore età, subiscano una condanna per reati commessi da maggiorenni ovvero si trovino a dover scontare una pena per reati commessi da minorenni, quando ormai abbiano compiuto diciotto anni ma non ancora i venticinque anni.

Ancora una volta, la pretesa punitiva statuale dovrà cedere il passo alle esigenze rieducative di coloro che accedono agli istituti ispirati al favor minoris, sempre che, si badi bene, tale modus operandi sia compatibile con le esigenze del caso concreto.

Più nel dettaglio, l'art. 9, modificando l'art. 24, comma 1, I periodo, d.lgs. n. 272/1989, prevede che le misure penali di comunità, al pari delle altre misure alternative, delle misure cautelari, delle sanzioni sostitutive, delle pene detentive e delle misure di sicurezza, possano essere eseguite secondo le norme e le modalità previste per i minorenni anche nei confronti di coloro che, nel corso dell'esecuzione, abbiano compiuto il diciottesimo ma non il venticinquesimo anno d'età, «sempre che non ricorrano particolari ragioni di sicurezza» e «tenuto conto altresì delle finalità rieducative, ovvero quando le predette finalità non risultano in alcun modo perseguibili a causa della mancata adesione al trattamento in atto».

Assoluta novità è prevista altresì dall'art. 10 d.lgs. n. 121/2018 il quale regola l'ipotesi in cui siano in esecuzione pene concorrenti per fatti commessi da minorenne e da adulto, ipotesi che fino ad ora, in assenza di una specifica disciplina, trovava riferimento normativo nella regola generale di cui all'art. 665, comma 4, c.p.p..

Orbene, il nuovo decreto legislativo prevede la possibilità per il magistrato di sorveglianza di far proseguire l'esecuzione secondo le modalità previste per i minori d'età quando, nel corso dell'esecuzione di una condanna per reati commessi da minorenne, sopravviene un titolo di esecuzione di altra pena detentiva per reati commessi da maggiorenne. In tale circostanza l'autorità giudiziaria dovrà tenere conto della gravità dei fatti oggetto di cumulo, del percorso in atto nonché, se il condannato ha compiuto ventuno anni, delle ragioni di sicurezza di cui all'art. 24 d.lgs. n. 272/1989.

L'esecuzione della pena nei confronti di chi ha commesso il fatto da minorenne resta inoltre affidata al personale dei servizi minorili dell'amministrazione della giustizia.

Segue: d) intervento educativo e organizzazione degli istituti penali per minorenni

La volontà di adempiere al dettato costituzionale, il quale impone alla collettività adulta di soddisfare il diritto del minore alla propria tutela e alla propria educazione in ogni momento – anche se responsabile di agiti delinquenziali – ha portato alla positivizzazione di un corpus di regole volte non solo a disciplinare la cd. area penale esterna, ma anche il trattamento rieducativo intramurario.

A tal proposito non può essere dimenticato il radicale cambiamento che, nel corso degli anni, ha investito la popolazione carceraria, rectius la tipologia di quei soggetti che, agendo contra legem, entrano nel circuito penale.

I destinatari del sistema sanzionatorio, anche nel settore minorile, un tempo principalmente soggetti emarginati, sono oggi rappresentati da ragazzi appartenenti a tutte le classi sociali, spesso manifestanti forme di disagio soprattutto di natura psichica (collegate, in molti casi, all'uso di sostanze stupefacenti) e, talvolta, da giovani inseriti nel contesto della criminalità organizzata.

Pertanto la riforma si preoccupa di dettare regole, anche con riferimento agli istituti di pena e al trattamento intra moenia, volte a garantire la continuità del processo educativo del minore affinché tale esperienza non rappresenti una battuta d'arresto per il suo corretto sviluppo psicofisico.

Per tali motivi la permanenza all'interno degli istituti penali per i minorenni deve svolgersi in conformità ad un progetto educativo predisposto entro tre mesi dall'inizio dell'esecuzione (elaborato, si badi bene, secondo i «principi della personalizzazione delle prescrizioni e la flessibilità esecutiva», tenendo conto delle attitudini e delle caratteristiche della personalità del condannato). Parallelamente si propone a favore del minore un supporto psicologico da parte di personale specializzato, utile per la predisposizione del progetto educativo e per la prevenzione del rischio di atti di autolesionismo e di suicidio (cfr. art. 4 d.lgs. n. 121/2018).

I minori dovranno essere collocati in strutture ad hoc nelle quali si richiede altresì la presenza di sezioni differenziate in ragione delle regole di trattamento applicabili: a tal proposito, l'art. 21 d.lgs. n. 121/2018 prevede la possibilità di organizzare sezioni a custodia attenuata volte ad ospitare «detenuti che non presentano rilevanti profili di pericolosità o che sono prossimi alle dimissioni e ammessi allo svolgimento di attività all'esterno». Quanto all'assegnazione dei detenuti, l'art. 15 d.lgs. n. 121/2018 prevede che sia assicurata la separazione dei minorenni dai giovani adulti, degli imputati dai condannati e degli uomini dalle donne.

Simili scelte risultano coerenti con la dichiarata volontà di promuovere l'educazione del minore e di evitare, per quanto possibile, di inficiare l'iter educativo promosso nel carcere tramite il contatto con ulteriori influenze negative. Non può di certo trascurarsi, infatti, come spesso, nella prassi, l'esperienza carceraria sia occasione di “cattive frequentazioni” idonee a deresponsabilizzare il minore e ad incentivare frequenti ricadute in condotte devianti.

Giova in questa sede rammentare come, pur essendo già prevista l'esistenza di carceri specificamente deputate alla collocazione di detenuti minorenni, le norme contenute nel Capo IV si propongono di migliorare le condizioni di vivibilità all'interno degli IPM e di creare ambienti in cui l'ottica meramente carceraria deve cedere il posto all'esigenza di soddisfare i bisogni (ri)educativi così come enunciati nell'art. 1 d.lgs. n. 121/2018.

Al minore in vinculis, oltre che un adeguato progetto rieducativo volto al reinserimento nella società, deve essere garantita la possibilità di accedere a corsi di formazione professionale così da ricevere un'adeguata preparazione per l'accesso al mondo lavorativo.

Particolare importanza nella normativa de qua assume inoltre la tutela dell'affettività dei minori reclusi: questi hanno diritto a otto colloqui mensili con i propri congiunti e con coloro con cui sussiste un significativo legame affettivo (art. 19, comma 1, d.lgs. n. 121/2018); sono favoriti altresì i colloqui con volontari autorizzati ad operare negli istituti penali per minorenni ed è assicurato un costante supporto psicologico per i detenuti privi di riferimenti socio-familiari (art. 19, comma 2).

In conclusione

La normativa penitenziaria, tradizionalmente considerata come apparato servente del sistema penale – destinata, per ciò solo, alla meccanica attuazione delle opzioni di politica criminale contenuta nei codici – ha subito negli anni una drastica evoluzione anche in ragione dell'adesione ad un registro ideologico correzionalistico in virtù del quale la pena, nella sua fase esecutiva, deve essere orientata alla risocializzazione del reo.

Il nuovo d.lgs. n. 121/2018 attua anche nel settore minorile tale principio, prevedendo una disciplina precipuamente pensata per soggetti in età evolutiva: a fronte di un vuoto normativo di circa quarant'anni, dunque, anche l'esecuzione penitenziaria minorile può dirsi espressamente disciplinata all'interno di un corpus normativo che, coerentemente con le esigenze educative di soggetti minorenni, si trova perfettamente in linea con i principi del favor minoris e dell'extrema ratio della misura carceraria già enunciati ed applicati nella fase processuale. Il nuovo decreto, in buona sostanza, positivizza le fondamenta del diritto processuale minorile che oggi, finalmente, trovano riscontro anche nella fase esecutiva.

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