Collegi arbitrali “misti”: sì alla liquidazione equitativa del compenso

Redazione scientifica
09 Novembre 2018

Con riguardo ai collegi arbitrali a composizione mista, nei quali gli avvocati non rappresentino la totalità del collegio, è applicabile il disposto dell'art. 814, comma 2, c.p.c. in base al quale il Presidente del tribunale è libero di scegliere, secondo il suo prudente apprezzamento, i criteri equitativi di valutazione che ritenga più adeguati all'oggetto ed al valore della controversia, nonché alla natura ed all'importanza dei compiti attribuiti agli arbitri, anche attraverso il ricorso, ma solo come utile parametro di riferimento, alle tariffe di alcune categorie professionali.

Il caso. Il Presidente del tribunale di Roma determinava in euro 80.000,00 oltre accessori il compenso complessivamente spettante a due avvocati e ad un dottore commercialista quali componenti di un collegio arbitrale chiamato a dirimere una controversia insorta tra due società, definita con l'emissione del relativo lodo. La Corte d'appello respingeva l'impugnazione proposta dagli arbitri in quanto, la somma liquidata dal Presidente del tribunale appariva rispondente ai criteri di equità e conforme alla dignità delle professioni svolte dagli arbitri, oltre al fatto che, non applicandosi le tariffe forensi, non potevano esser riconosciute le cd. spese generali.

Gli arbitri soccombenti hanno proposto ricorso per cassazione, contestando la presunta errata declaratoria di inapplicabilità delle tabelle di cui al d.m. n. 127/2004, trattandosi di collegio arbitrale “misto” e nel ritenere, al contrario, applicabile il criterio equitativo.

Il compenso dei collegi arbitrali “misti”. Il Collegio ha richiamato il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., n. 53/2003) alla luce del quale «in tema di arbitrato, a partire dal 1° aprile 1995, l'onorario spettante agli arbitri, che siano anche avvocati, deve essere liquidato in base alla tariffa professionale, senza possibilità per il Presidente del tribunale, che procede alla sua liquidazione, di fare ricorso a criteri equitativi, atteso che il d.m. n. 585/1994 – con il quale è stata approvata la delibera del Consiglio Nazionale Forense in data 12 giugno 1993, che stabilisce i criteri per la determinazione degli onorari, dei diritti e delle indennità spettanti agli avvocati, a partire dal 1° aprile 1995, per le prestazioni giudiziali, in materia civile e penale, e stragiudiziali – prevede al punto 9) della tabella relativa alla attività stragiudiziale gli onorari spettanti al collegio composto da avvocati, indicandone il minimo e il massimo secondo il valore della controversia. Tuttavia, tale disposizione, contenuta nella disciplina dei compensi per l'attività forense anche stragiudiziale e pertinente, quindi, ai soli soggetti iscritti al relativo albo e solo nei loro confronti vincolante, non può trovare applicazione con riguardo ai collegi arbitrali a composizione mista, nei quali gli Avvocati non rappresentino la totalità del collegio, rimanendo, in siffatta ipotesi, applicabile il disposto dell'art. 814, comma 2, c.p.c. in base al quale il Presidente del tribunale, non vincolato ad alcun parametro normativo nell'esercizio dei suoi poteri discrezionali in subjecta materia, è libero di scegliere, secondo il suo prudente apprezzamento, i criteri equitativi di valutazione che ritenga più adeguati all'oggetto ed al valore della controversia, nonché alla natura ed all'importanza dei compiti attribuiti agli arbitri, anche attraverso il ricorso, ma solo come utile parametro di riferimento, alle tariffe di alcune categorie professionali.

Pertanto, correttamente la Corte d'appello ha ritenuto di applicare il criterio equitativo ed è per tale ragione che la Suprema Corte ha rigettato il ricorso.