Il patema d’animo quale voce autonoma di danno

Filippo Rosada
19 Novembre 2018

Il danno non patrimoniale conseguente ad una compromissione del bene salute, per essere risarcito integralmente, necessita di un'autonoma valutazione del danno morale?
Massima

Per poter risarcire integralmente il danno non patrimoniale conseguente a lesione psicofisica, si deve autonomamente valutare anche la componente morale.

Il caso

Un uomo di 28 anni viene sottoposto ad intervento chirurgico di plastica anti reflusso. Seguono postumi post operatori – durati circa due anni - particolarmente pregiudizievoli, con totale occlusione del transito degli alimenti e conseguente impossibilità di ingestione ed espulsione di cibi anche semi solidi. La capacità ad alimentarsi verrà gradualmente recuperata solo attraverso altro intervento chirurgico.

Il paziente conviene in giudizio il chirurgo e la struttura sanitaria presso la quale è stato eseguito l'intervento, al fine di chiedere il riconoscimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali, incluso il danno morale.

La questione

Il danno non patrimoniale conseguente ad una compromissione del bene salute, per essere risarcito integralmente, necessita di un'autonoma valutazione del danno morale?

Le soluzioni giuridiche

L'estensore della sentenza, dopo aver motivato la sussistenza della responsabilità del chirurgo e della struttura sanitaria, da porsi in collegamento causale ad un accertato danno biologico del 5/6%, affronta la quantificazione del danno non patrimoniale da liquidarsi di conseguenza.

In primo luogo il Tribunale osserva la necessità di applicare al caso di specie il d.lgs. n. 209/2005, per effetto della legge n. 24/2017 (c.d. legge Gelli) ancorché i fatti siano antecedenti all'emanazione della novella, in quanto la norma non incide negativamente sul fatto generatore del diritto alla prestazione, ma si limita a fissare nuovi criteri di liquidazione. La conversione in moneta del danno biologico, pertanto, viene eseguita a mezzo del disposto degli artt. 138 e 139 cod. ass.

Il Giudice, quindi, precisa come per poter risarcire integralmente il danno non patrimoniale si debba autonomamente valutare la componente morale, richiamando l'arresto della Corte Cost. n. 235/2014 (punto 10.1) oltre che le sentenze di legittimità Cass. civ. n. 901/2018 e Cass. civ., n. 7513/2018.

Detta valutazione deve essere tenuta distinta da quella volta a valutare i riflessi c.d. esistenziali, da ritenersi già ricompresi nella liquidazione del danno biologico, così come da quella deputata a rilevare l'eventuale scostamento dalle conseguenze ordinarie patite dal danneggiato, rispetto a quelle che soggetti della medesima età e con lo stesso grado di invalidità patiscono.

Si riportano, successivamente, le allegazioni dell'attore non contestate dalle altre parti, sulla particolare sofferenza patita in conseguenza della impossibilità di ingerire cibi anche semisolidi, tale da comportare un logorio della mente.

Alla luce di quanto sopra, il Tribunale riconosce, quale danno morale (danno da sofferenza) il 20% del danno biologico accertato.

A detto importo risarcitorio, liquidato in moneta attuale, quale lucro cessante conseguente al mancato tempestivo godimento della somma, non si è ritenuto di riconoscere gli interessi sulla somma capitale via via rivalutata (Cass. civ., n. 1712/1995), ma un aumento percentuale del 2% per ciascun anno (aumento del 18% in conseguenza di 9 anni di ritardo). La scelta viene giustificata in quanto il criterio equitativo, oltre a ridurre il rischio di far ricadere sul creditore/danneggiato il trascorrere del tempo, induce il debitore/danneggiante … a procedere ad una tempestiva riparazione … senza essere tentato di avvantaggiarsi della non liquidità del debito….

Osservazioni

Il caso in esame, riguarda la vexata quaestio della liquidazione del danno morale (anche detto danno da sofferenza o, per i meno giovani, pecunia doloris).

La disputa mai sopita sorta dopo le note sentenze a Sezioni Unite del novembre 2008 - c.d. di San Martino – concerne la modalità di liquidazione del danno non patrimoniale secondo la sua nuova accezione, con particolare riguardo al danno morale e a quello c.d. esistenziale.

I due contrapposti indirizzi interpretativi possono essere così sinteticamente rappresentati: da un lato vi sono coloro che ritengono che il danno morale e quello esistenziale siano «danni diversi e perciò solo entrambi autonomamente risarcibili (Cass. civ., sent. n. 901/2018; Cass. civ., sent. n. 7513/2018), dall'altra, invece, vi sono coloro che ritengono che si tratti di danni che compongono il più complesso pregiudizio non patrimoniale e in quanto tali debbano essere liquidati unitariamente e non autonomamente (i sostenitori di questa tesi richiamano il contenuto delle sentenze c.d. di San Martino).

A parere di chi scrive, se il faro di ogni ragionamento sul punto è l'integrale risarcimento del danno da un lato (il cui diritto è stato espressamente riconosciuto nella già richiamata Corte Cost. n. 235/2014) e la non duplicazione delle poste risarcitorie dall'altro, con la precipua finalità di evitare un indebito arricchimento del danneggiato (scopo primario delle c.d. sentenze di San Martino), l'applicazione della tesi della liquidazione unitaria anziché quella della liquidazione separata, non dovrebbe portare ad un risultato risarcitorio differente.

Nel senso che, a prescindere dall'indirizzo interpretativo adottato, il Giudice, a parità di fatti allegati e provati e alla loro corretta valorizzazione, dovrebbe riconoscere il medesimo integrale risarcimento del danno non patrimoniale, sia che questo venga liquidato unitariamente che disgiuntamente.

Se il principio sopra esposto è corretto, allora la disputa in atto parrebbe avere una valenza più formale che sostanziale. Ciò che andrebbe valorizzato, nel dibattito, è l'individuazione del criterio liquidativo più intellegibile dagli operatori del diritto; più è chiara la correlazione tra la prova del fatto e la valorizzazione della stessa da parte del giudice attraverso il conseguente riconoscimento del danno e meno vi sarà margine per fomentare il contenzioso.

Ritenere che il danno morale e il danno esistenziale siano delle mere voci descrittive da liquidarsi unitariamente all'interno dell'unico danno non patrimoniale, anziché voci autonome di danno da liquidarsi separatamente, al netto delle duplicazioni risarcitorie conseguenti alle confusioni terminologiche, non dovrebbe portare a risultati risarcitori differenti.

Talvolta, invece, pare che certe dispute giuridiche siano stimolate da ragioni differenti da quelle di portare effettiva chiarezza nella materia; la finalità primaria parrebbe più quella di contenere piuttosto che allargare indiscriminatamente le poste risarcitorie. È così che anche dove vi è chiarezza si cerca il contrasto e viceversa.

Differente, invece, è la problematica – non trattata nel provvedimento oggetto del presente commento - dell'interpretazione dell'art. 138 cod. ass. come novellato, in relazione al contenimento o meno nel 30% del solo c.d. danno esistenziale, piuttosto che anche del danno morale.

Sul punto si richiama, ancora una volta, il contenuto di Corte Cost. n. 235/2014, ricordando come nell'occasione, il Giudice delle Leggi avesse “promosso” l'art. 139 cod. ass. con le sue limitazioni risarcitorie nell'ambito della circolazione stradale (allora non era ancora stata emanata la c.d. Legge Gelli), in virtù del principio del bilanciamento dei valori: «… in un sistema, come quello vigente, di responsabilità civile per la circolazione dei veicoli obbligatoriamente assicurata - in cui le compagnie assicuratrici, concorrendo ex lege al Fondo di garanzia per le vittime della strada, perseguono anche fini solidaristici, e nel quale l'interesse risarcitorio particolare del danneggiato deve comunque misurarsi con quello, generale e sociale, degli assicurati ad avere un livello accettabile e sostenibile dei premi assicurativi - la disciplina in esame, che si propone il contemperamento di tali contrapposti interessi, supera certamente il vaglio di ragionevolezza».

Ci si chiede, se una limitazione contenitiva del quantum anche relativa ai soli danni c.d. morale ed esistenziale (a prescindere dalla loro natura autonoma o meramente descrittiva) in relazione all'art. 138 cod. ass. (e quindi in materie anche diverse dalla circolazione stradale e dalla RC medica), potrebbe superare il vaglio di costituzionalità.

In fine, non può passare inosservato il passaggio della sentenza oggetto del presente commento, ove si liquida – quale lucro cessante conseguente al mancato tempestivo godimento della somma – la maggiorazione della somma capitale del 2% per ogni anno di ritardo. Ciò che qui interessa è la motivazione del predetto riconoscimento economico: incoraggiare il debitore/danneggiante a riparare velocemente il danno senza essere tentato di trarre vantaggio dalla non liquidità del debito.

Parrebbe una sorta di integrazione risarcitoria con finalità punitiva e di deterrenza, di cui ci si deve chiedere la compatibilità rispetto alla pronuncia delle Sezioni Unite n. 16601/2017, soprattutto in relazione al richiesto presupposto della copertura legislativa.

Guida all'approfondimento

BONA M., Le Sezioni Unite n. 16601/2017: nessuna nuova prospettiva per i “punitive damages” interni, in Ridare.it;

HAZAN M., I “danni punitivi” nella rc auto e nella rc sanitaria: cosa cambia dopo le Sezioni Unite?, in Ridare.it;

MARTINI F., Danno non patrimoniale per lesioni di non lieve entità: come cambia il danno alla persona con la Legge Concorrenza, in Ridare.it;

SPERA D., Risarcimento del danno non patrimoniale, in Ridare.it;

SPERA D., Time out: il “decalogo” della Cassazione sul danno non patrimoniale e i recenti arresti della Medicina legale minano le sentenze di San Martino, in Ridare.it.

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