Le prove assunte all'estero nel processo civile italianoFonte: Reg. 28 maggio 2001 n. 1206
20 Novembre 2018
Premessa. Profili generali e quadro normativo
Nel nostro ordinamento la possibilità di avvalersi dello strumento acquisitivo delle prove all'estero è prevista dall'art. 204 c.p.c., il quale dispone la trasmissione per via diplomatica delle rogatorie dei giudici italiani alle autorità estere (comma 1) e la delega al console italiano quando la rogatoria concerne cittadini italiani residenti all'estero (comma 2). Tale disciplina, tuttavia, viene affiancata da un complesso di norme di natura internazionale e comunitaria. Fino a poco tempo fa la materia era regolata a livello sovranazionale dalla Convenzione de L'Aja 18.3.1970, nonché da tutta una serie di particolari convenzioni intercorrenti fra i singoli Stati; per far fronte a gravi problemi di coordinamento in ambito europeo, la materia è stata regolata ex novo dal Regolamento CE 28.5.2001, n. 1206/2001 sulla cooperazione fra le autorità giudiziarie degli Stati membri nel settore dell'assunzione delle prove all'estero in materia civile e commerciale, il quale, in base a quanto espressamente stabilito nel suo art. 21, ha sostituito tra gli Stati membri dell'Unione Europea la precedente normativa a far data dall'1.1.2004, la quale tuttavia resta in vigore nei rapporti con la Danimarca, non avendo essa partecipato all'adozione del Regolamento, e nei confronti degli Stati non appartenenti all'Unione Europea. Non è ben definito il rapporto gerarchico che intercorre tra le diverse fonti, stante il fatto che spesso queste finiscono per sovrapporsi. In linea generale, la disciplina comunitaria tenderà a prevalere, nel suo ambito di applicazione ed in assenza di diversa indicazione, sulle disposizioni convenzionali che, a loro volta, prevarranno su quelle di diritto interno. Queste ultime troveranno comunque attuazione qualora nessuna norma sovranazionale risulti applicabile e, in ogni caso, condizioneranno la reale applicazione delle norme gerarchicamente superiori; la loro funzione è quella di dettare i necessari presupposti perché si possa ricorrere all'assistenza giudiziaria internazionale, disciplinando la sua messa in opera e gli effetti che produrrà in relazione al processo pendente in Italia (Frigo, Fumagalli, L'assistenza giudiziaria internazionale in materia civile, Padova, 2003, 102). Da un punto di vista sistematico, l'art. 204 c.p.c. richiama soltanto gli ultimi tre commi dell'articolo precedente, ciò vuol dire che esula dall'ambito delle rogatorie internazionali il sistema di delega al giudice locale, dettato per l'assunzione dei mezzi di prova al di fuori della circoscrizione del tribunale. Da qui, una prima riflessione. Rogatoria e delega costituiscono entrambe eccezione al principio processuale dell'immediatezza e della concentrazione, secondo cui spetta al giudice investito del processo condurre personalmente la fase istruttoria; tuttavia, mentre nella prima si parla di una richiesta necessitata da parte del giudice che non può procedervi autonomamente, nella seconda si tratta di una scelta discrezionale, in base alla quale l'autorità giurisdizionale investita della causa preferisce incaricare il proprio corrispondente del luogo, trasferendogli momentaneamente la necessaria competenza (Grossi, Rogatoria (Diritto processuale civile), in Enc. dir., XLI, Milano, 1989, 97 ss.). A fronte di ciò, l'assunzione dei mezzi di prova al di fuori del territorio dello Stato è considerata una particolare ipotesi di assunzione delegata, che viene espletata, ai sensi del comma 1 dell'art. 204 c.p.c., da autorità estere a fronte di un' espressa richiesta, la rogatoria cd. attiva, ad essi rivolta dal giudice italiano che, in relazione a detti mezzi, risulti territorialmente incompetente (Vitta, Corso di diritto internazionale privato e processuale, Torino, 1976, 70); in effetti non si avrà in questo caso alcuna cessione di competenza giacchè al giudice straniero è richiesto meramente di esercitare i propri poteri, non per scopi interni all'ordinamento giuridico di appartenenza, ma ai fini di un processo instaurato innanzi ad un giudice di un diverso Stato (Morelli, Diritto processuale civile internazionale, Padova, 1954, 24). Tanto è vero che la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto sin dall'inizio che il potere di delega ex art. 203 c.p.c., presupponendo la discrezionalità anzidetta, possa riferirsi non soltanto a quei mezzi di prova che è indispensabile espletare al di fuori della circoscrizione del giudice adito, ma anche a tutte quei mezzi che, pur potendo essere assunti direttamente, il giudice adito ritiene di delegare per ragioni di opportunità e di economia processuale (Cass. civ., 30 gennaio 1968, n. 305; Cass. civ., 17 gennaio 1969, n. 92); fanno eccezione quelli, come l'ispezione ex art. 259 c.p.c., che per loro natura non consentono alcuna traslazione. Al contrario, una volta ammessa la prova, qualora la sua assunzione da parte del giudice titolare del processo sia oggettivamente impossibile o soggettivamente incoercibile a causa della collocazione extraterritoriale, appare inevitabile il ricorso alla rogatoria (Cass. civ., 31 luglio 1939, n. 3017). Oggetto delle rogatorie, così come della delega ex art. 203 c.p.c., sono i provvedimenti istruttori, vale a dire i provvedimenti del giudice finalizzati all'acquisizione al processo di qualsiasi mezzo di prova. Va da sé che anche nel caso di prova delegata ex artt. 203 e 204 c.p.c. incombe sempre sulla parte interessata l'onere di svolgere l'attività necessaria perché il provvedimento del giudice abbia esecuzione. Pertanto, disposta la rogatoria all'autorità straniera, spetta all'interessato richiedere copia della relativa ordinanza e presentarla all'ufficio del pubblico ministero affinché questo la trasmetta al Ministero degli Esteri, che vi provvederà in via diplomatica, o all'autorità straniera, se stabilito da una convenzione internazionale (Cass. civ., 19 ottobre 1966, n. 2553). La parte cui incombe tale onere incorre in decadenza se non vigila a che l'espletamento delle pratiche avvenga nel termine fissato dal giudice o non si premura di chiedere all'autorità competente la proroga del detto termine, prima che esso giunga a scadenza (App. Firenze, 18 maggio 2010, in Giur. Merito, 2011, I, 467). Ciò in quanto il termine fissato dal giudice istruttore per l'assunzione dei mezzi di prova fuori della circoscrizione del tribunale, ex art. 203 c.p.c., ha carattere ordinatorio, sicché la relativa istanza di proroga, da rivolgersi all'autorità delegante in base all'ultimo comma, richiamato dall'ultimo comma dell'art. 204 c.p.c., deve essere presentata, ex art. 154 c.p.c., prima della scadenza del termine stesso; l' inutile decorso comporta la decadenza della parte dal diritto di far assumere la prova delegata, e non soltanto dal diritto di far assumere, per delega, la prova medesima (Cass. civ., 21 febbraio 2013, n. 4448; Cass. civ., 7 marzo 2005, n. 4877; Cass. civ., 18 aprile 1997, n. 3340). La rogatoria consolare
Con il secondo comma dell'art. 204 c.p.c. è possibile constatare un riavvicinamento alla disciplina prevista dal precedente art. 203 c.p.c.. La norma infatti prevede che, qualora si tratti di cittadini italiani residenti all'estero, il giudice nazionale si rivolge direttamente al console italiano territorialmente competente affinché questo provveda ad esercitare le funzioni che la legge consolare gli affida. Nonostante nel gergo comune questa ipotesi venga denominata rogatoria interna o passiva, è stato osservato come in realtà il termine apparirebbe alquanto inopportuno, dovendosi parlare al più di vera e propria delega (Grossi, Rogatoria, in ED, XLI, Milano, 1989, 99). Ciò in quanto il console è pur sempre tenuto al rispetto delle leggi interne statali e, nell'ambito del procedimento di assunzione di prova all'estero, è in una posizione di subordinazione rispetto al giudice delegante, il quale fissa nel provvedimento di delega i limiti di operatività della stessa, limiti che il console è tenuto a rispettare, non essendo provvisto di poteri giurisdizionali autonomi (Satta, Commentario al codice di procedura civile, II, 1, Processo di cognizione, Milano, 1966, 135). In particolare, le funzioni esercitabili dal console in quest'ambito sono disciplinate dall'art. 30, l. 15 agosto 1858, n. 2984, dall'art. 45, d.P.R. 5 gennaio 1967, n. 18 (ordinamento dell'amministrazione degli affari esteri) e dagli artt. 30, 82-84, d.P.R. 5 gennaio 1967, n. 200 (cd. legge consolare), oltre che da tutta una serie di convenzioni internazionali. Nei casi non espressamente previsti, la legge applicabile è quella tipica del processo civile italiano, ciò significa che qualora la prova delegata sia assunta da un console incompetente, oppure in violazione dei limiti fissati per il suo operato dai provvedimenti legislativi sopra citati, o, ancora, con modalità che contrastino i principi delle convenzioni internazionali, il procedimento sarà affetto da nullità. Al riguardo, la giurisprudenza di legittimità ha stabilito che trattasi di una nullità di carattere relativo e, come tale, da eccepire nella prima udienza o nella difesa successiva all'atto di assunzione in questione, poiché in caso contrario potrà parlarsi di sanatoria per acquiescenza (Cass. civ., 27 gennaio 1986, n. 539). Principio che coinvolge anche la nullità derivante dal mancato rispetto del termine fissato dal giudice delegante per l'assunzione, considerato anch'esso termine ordinatorio e prorogabile su istanza di parte prima della relativa scadenza (Cass. civ., 20 febbraio 2004, n. 3406). La disciplina delle rogatorie è stata fortemente rimodulata in seguito all'emanazione del Regolamento CE 28.5.2011, n. 1206/2011 – ispirato alle regole poste dalla Convenzione de L'Aja 18 marzo 1970 sull'assunzione delle prove all'estero in materia civile e commerciale, già in vigore in soli undici Stati membri –, il quale fissa quelli che sono i presupposti, le modalità e i limiti dell'attività istruttoria derivante dal sistema delle rogatorie in ambito europeo. Ai sensi degli artt. 1 e 2 del Regolamento, il giudice italiano, in veste di “autorità giudiziaria” competente, può ricorrere alla rogatoria attiva per l'acquisizione di mezzi di prova da utilizzare in procedimenti dinanzi a sé pendenti o “previsti” in materia civile e commerciale, con ciò ritenendosi esclusa non solo la materia penale, ma anche quella fiscale, doganale ed amministrativa, nonché i procedimenti cautelari ante causam, tecnicamente già pendenti. La richiesta viene trasmessa direttamente ad una delle autorità straniere competenti ricompresa negli elenchi messi a disposizione da ciascuno Stato membro che abbia adottato il Regolamento, attraverso uno strumento che consenta la massima rapidità di trasmissione, purchè accettato dallo Stato richiesto (Gioia, Cooperazione fra autorità giudiziarie degli Stati CE nell'assunzione delle prove in materia civile e commerciale, in NLCC, XXIV, 2001, 1177). Entro novanta giorni dalla ricezione, il giudice richiesto provvederà all'assunzione della prova, di regola in base alla legge dell'ordinamento giuridico di appartenenza, a meno che il giudice italiano non richieda espressamente di poter direttamente assumere la prova e che l'assunzione avvenga secondo le procedure tipiche del nostro ordinamento (art. 17 Reg.); un eventuale rifiuto in tal senso da parte del giudice straniero potrà giustificarsi solo nel caso di assoluta incompatibilità con la legge dello Stato richiesto o nel caso in cui la richiesta crei evidenti problemi pratici ai fini dell'assunzione (Fumagalli, La nuova disciplina comunitaria dell'assunzione delle prove all'estero in materia civile, in RIPP, 2002, 341). È bene tener presente che oltre alla richiesta tradizionale, il giudice italiano potrebbe chiedere di assistere all'esecuzione dell'assunzione oppure delegare a ciò altri soggetti (artt. 10 e 12 Reg.), in base alle norme stabilite dall'ordinamento italiano, dando luogo alla cd. rogatoria partecipata. Tale strumento, oltre ad assicurare una maggiore celerità, garantisce indubbiamente un miglior apprezzamento delle risultanze probatorie da parte del giudice italiano, il quale è il solo ad avere la reale contezza della valenza dei mezzi assunti (Trocker, Note sul regolamento n. 1206/2001 relativo all'assunzione delle prove in materia civile o commerciale, in RDIn, 2003, 689). Ancora, vi è la possibilità che le parti ed i loro difensori possano assistere all'assunzione, qualora ciò sia consentito nello Stato estero e ne faccia espressa richiesta il giudice richiedente o il giudice rogato (art. 11 Reg.). Infine, per ciò che attiene l'assunzione diretta di cui all'art. 17 sopra citato, la stessa seguirà le norme del rito italiano, nel rispetto della disciplina del regolamento e delle eventuali condizioni prescritte in conformità della legge dello Stato richiesto, e si caratterizza dunque per volontarietà: vuol dire che non solo viene meno ogni coercitività, ma all'eventuale testimone va chiarito il carattere del tutto volontario della sua deposizione (Campeis, De Pauli, cit.), mentre nel caso di ispezione potrà procedersi direttamente a cura del magistrato italiano soltanto se vi sia adesione volontaria dell'interessato. In tale tipo di assunzione è inoltre possibile l'affiancamento di un giudice locale in funzione di garanzia, sia rispetto alla corretta applicazione della disciplina regolamentare, sia rispetto alle eventuali condizioni prescritte dall'organo centrale o dall'autorità competente, in conformità della disciplina processuale dello Stato richiesto (art. 17, comma 4, Regolamento). Oltre al rifiuto derivante dalla contrarietà dell'assunzione rispetto a quelli che sono i principi fondamentali dello Stato membro, ulteriori motivi di rifiuto della richiesta di assunzione diretta sono costituiti anche in questo caso dall'esorbitanza (art. 17, comma 5, lett. a, Reg.), qualora la richiesta esuli dall'ambito di applicazione del regolamento, e dall'insufficienza, se la richiesta non è corredata da tutte le informazioni prescritte dall'art. 4 per forme e contenuto (art. 17, comma 5, lett. b). Appare chiaro, dunque, che, salvo il caso in cui l'autorità straniera debba ricorrere a misure coercitive, la procedura di assunzione diretta da parte del giudice italiano fa sì che i mezzi istruttori acquisiti all'estero abbiano la stessa valenza ed efficacia rispetto a quella che in genere possiedono le prove assunte in territorio nazionale; vuol dire che l'art. 17 Regolamento viene considerato una norma che equipara il territorio dei diversi Stati membri al territorio nazionale e che consente il travalicamento dei tradizionali limiti imposti dalla normativa codicistica, la quale, come sopra ricordato, escluderebbe implicitamente dal sistema della rogatoria la possibilità che il giudice si trasferisca per procedere personalmente all'assunzione della prova fuori dal territorio nazionale. Al termine della procedura, i relativi atti verranno trasmessi immediatamente al giudice italiano. La disciplina internazionale resta valida al di fuori dei confini europei, e in ogni caso laddove non è prevista l'applicazione del Regolamento europeo n. 1206/2001. Con riferimento alla posizione del giudice rogante, il suo primo compito è quello di individuare l'autorità straniera competente a ricevere la rogatoria, in base alla normativa dello Stato richiesto, la quale dovrà essere indicata all'interno della commissione rogatoria stessa. La richiesta, così come la restituzione di atti e documenti formati o acquisiti in sede di assunzione, potrà essere trasmessa sia in via diplomatica, dal console locale al giudice straniero o direttamente al Ministero di Grazia e Giustizia che provvederà a trasmetterla al Ministero degli Esteri per il successivo inoltro, sia per il tramite dell'autorità centrale competente alla ricezione delle rogatorie. Qualora vi sia un difetto di trasmissione, le conseguenze sono differenti a seconda della modalità con cui si è provveduto: nel caso di trasmissione diretta per via diplomatica, l'eventuale erronea individuazione dell'autorità competente potrebbe comportare una dichiarazione di incompetenza da parte del giudice straniero, che non procederà all'assunzione poiché sarà necessario dare nuovamente impulso al procedimento; in alternativa potrebbe aversi un'assunzione viziata proprio dall'incompetenza del giudice straniero che abbia comunque proceduto all'acquisizione, il che condurrà ad una ipotesi di nullità relativa, sanabile qualora la parte interessata la faccia valere nella prima istanza o difesa successiva all'atto di assunzione stesso. Nel caso di trasmissione all'autorità centrale, un eventuale difetto di individuazione non pregiudica la validità della rogatoria in quanto sarà dovere di quest'ultima trasmettere la richiesta all'autorità giudiziaria competente, in vista dell'esigenza di certezza e di celerità che è tipica del sistema delle rogatorie (Frigo – Fumagalli, cit., 138). Al pari della disciplina europea, anche quella internazionale prevede che la richiesta abbia uno specifico contenuto (art. 3 della Convenzione), rispetto al quale lo Stato richiesto potrebbe esigere delle specifiche e delle integrazioni al fine di poter procedere all'assunzione; anche in questo ambito è possibile per il giudice rogante la partecipazione diretta e attiva alla fase di assunzione, se richiesta e se autorizzata dall'autorità straniera, sempre in vista di una più attenta ed efficace valutazione dei risultati dell'attività istruttoria compiuta all'estero (Cass. civ., 14 giugno 1991, n. 7789). D'altro canto, spetta al giudice rogato il compito di procedere con la massima celerità, anche attraverso l'utilizzo di misure coercitive laddove sia necessario per evitare una eccessiva dilatazione nei tempi di assunzione e facendo applicazione della disciplina processuale prevista nel proprio Paese; ciò in conformità con quanto stabilito dall'art. 12, legge n. 218/1995, ma prestando attenzione alle eventuali specifiche richieste contenute nella commissione rogatoria. Un rifiuto in tal senso da parte dell'autorità giudiziaria dello Stato richiesto sarà possibile solo nel caso di contrarietà ai principi fondamentali del proprio ordinamento o nel caso di impossibilità assoluta di poter procedere. Ciò significa che l'esecuzione non potrà essere rifiutata in vista della rivendicazione di giurisdizione esclusiva da parte dello Stato estero sulla controversia specifica o per il mancato riconoscimento in esso del diritto di azione rispetto alla materia oggetto di causa (Frigo – Fumagalli, cit., 142). La semplice difficoltà dell'acquisizione, legata all'inusualità della procedura, o il fatto che la procedura adottata non sia contemplata dalla legislazione italiana non lede la validità delle prove acquisite, la quale potrà venir meno solo in tre ipotesi specifiche: contrarietà all'ordine pubblico interno, estraneità della procedura richiesta rispetto alla competenza attribuita al giudice straniero e possibile lesione della sovranità o della sicurezza dello Stato richiesto a causa dell'attività che si voglia porre in essere. Si tratta di ipotesi considerate particolarmente gravi da generare la nullità insanabile dell'intera procedura, rilevabile d'ufficio dal giudice italiano (Campesi – De Pauli, cit., 45). È in capo a quest'ultimo, d'altro canto, il compito di risolvere le eventuali questioni processuali derivanti dalla procedura di assunzione, così come di verificare la validità del procedimento rispetto alla normativa prevista nello Stato richiesto, al fine di poter valutare che peso abbiano eventuali errori rispetto all'attendibilità delle prove assunte (Grossi, cit., 110). Terminata la fase di assunzione, i poteri temporaneamente trasmessi al giudice straniero tornano in capo al giudice rogante per la prosecuzione del giudizio. Il principio generale che emerge dal quadro appena tracciato è quello dell'applicazione della legge del luogo di assunzione della prova, il quale, tuttavia, può essere derogato nel caso in cui il giudice rogante chieda previamente l'osservanza di forme particolari. È pur vero che, in base a quanto sopra ricordato, le eccezioni riguardati l'utilizzazione dei relativi risultati sono disciplinate dalle regole del nostro ordinamento, stante il fatto che spetta al giudice italiano investito della causa verificare la regolarità dello svolgimento dell'attività istruttoria rispetto alla normativa dello Stato ospitante, nonché delle eventuali sue richieste particolari; così come si è visto che le eventuali eccezioni di nullità previste dalla normativa straniera dovranno essere rilevate o farsi valere nei modi e nei tempi propri del nostro ordinamento. In tal contesto, viene a considerarsi preliminare il controllo, definito “delibativo” (Campesi – De Pauli, cit., 24), da parte del giudice italiano circa la non contrarietà all'ordine pubblico dell'attività processuale compiuta all'estero e dei relativi risultati, stante il fatto che l'ordine pubblico, insieme dei principi fondamentali, anche processuali, alla base di un ordinamento, «condiziona in ogni caso l'acquisto di effetti nel territorio dello Stato da parte di atti di Stati esteri» (Pocar, cit., 272). Da qui, il giudice italiano, per evitare che l'attività di assunzione risulti inutile, qualora debba ammettere prove da acquisire in un Paese in cui si applichino regole e pratiche processuali incompatibili con i principi generali dell'ordinamento intero, dovrà pretendere, nella commissione rogatoria, l'osservanza delle forme speciali che salvaguardino la compatibilità del mezzo con il nostro ordine pubblico e ne consentano l'utilizzabilità. Così, la giurisprudenza di legittimità, dinanzi alla valutazione sulla validità o meno di una prova testimoniale assunta in Germania con il sistema previsto da quel rito – lettura al teste della sua deposizione scritta con conferma, giuramento e sottoscrizione successiva –, ha ritenuto detta assunzione del tutto compatibile con i principi alla base del nostro ordinamento, escludendo qualsiasi ipotesi di nullità, data l'assenza, nella commissione rogatoria, di qualsiasi richiesta circa particolari modalità di assunzione (Cass. civ., 4 maggio 1966, n. 1117). Così come si era ritenuto non attinente all'ordine pubblico il giuramento dei testimoni, la cui assenza non renderebbe l'assunzione della testimonianza incompatibile con il nostro ordinamento (App. Trieste, 29 novembre 1983, in Riv. Giur. Circ. trasp., 1984, 38). Di contro, in una vicenda in cui si era proceduto all'assunzione per rogatoria della testimonianza di una delle parti, ovvero di persona incapace a deporre, in quanto portatrice di un interesse che ne legittimasse la partecipazione al giudizio, ex art. 246 c.p.c., il Giudice delle leggi ha ritenuto non validamente utilizzabili le relative risultanze nel processo italiano, ancorché l'ordinamento del giudice rogato non conoscesse incapacità di tal genere, e ciò proprio in vista del contrasto «con il principio di incompatibilità delle posizioni di teste e di parte nel giudizio, tipico del nostro ordinamento processuale civile» (Corte cost., 23 luglio 1974, n. 248). Per ciò che attiene il principio del contraddittorio, esso sembra sfuggire dall'ambito dei principi inderogabili per ragioni di ordine pubblico interno. La disciplina europea in esame prevede che la presenza delle parti debba essere assicurata qualora vi sia una specifica richiesta dell'autorità rogante e nei soli casi in cui l'ordinamento dello Stato richiesto non ne faccia menzione (art. 11, commi 1 e 2). Al di fuori del contesto europeo, la disciplina internazionale prevede che tale principio debba fare i conti con le particolarità del sistema rogatorio, laddove l'art. 7 della Convenzione de L'Aja del 1970 subordina ad un'espressa richiesta dell'autorità rogante l'onere dell'autorità rogata di dare notizia ad essa e ad alle parti della data e del luogo dell'assunzione; la possibilità di richiederne la comunicazione al fine di assistere alla procedura va colta tempestivamente dal procuratore della parte, sollecitando il giudice rogante ad attivarsi per la richiesta, essendo esclusa la possibilità di dolersi in seguito, a rogatoria esaurita (App. Trieste, 26 febbraio 1992, in Riv. Dir. Inter. Prov. Proc., 1993, 751; Trib. Roma, 12 giugno 1976, in Riv. Dir. Inter. Priv. Proc., 1977, 639). Si è proceduto, dunque, a differenziare il caso in cui nessuna parte ne fa richiesta ed il giudice rogante non vi provveda, dai casi in cui la richiesta delle parti non venga accolta dal giudice rogante o la richiesta di questo venga disattesa dal giudice rogato. Se nella prima ipotesi non è ravvisabile la violazione del contraddittorio, in quanto spetta alle parti cogliere la possibilità offerta dall'ordinamento di esercitare il diritto alla prova e partecipare alla sua formazione, nel secondo caso è possibile constatare la violazione dell'art. 101 c.p.c., da far valere con i mezzi di impugnazione previsti; nel terzo caso, invece, l'utilizzabilità della prova assunta sarà subordinata all'acquiescenza della parte interessata, qualora non si attivi per eccepire, nella prima udienza o difesa successiva alla ricezione dell'atto istruttorio, la nullità derivata (Cass. civ., 12 luglio 1991, n. 7789). Giova, in tale senso, richiamare il principio stabilito di recente dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui la mancata informazione delle parti circa il tempo ed il luogo dell'assunzione della prova non contrasta con l'ordine pubblico interno, sempre che l'autorità che abbia disposto la rogatoria non abbia avanzato, su istanza di una di esse, un'espressa domanda di informazione al riguardo: ciò in quanto il concetto di ordine pubblico interno concerne i principi inviolabili posti a garanzia del diritto di agire e di resistere in giudizio, non anche le modalità con cui tali diritti sono regolamentati o si esplicano nelle singole fattispecie, dovendosi escludere, peraltro, atteso l'impulso officioso caratterizzante tutto il subprocedimento di commissione rogatoria, la possibilità di comminatorie di decadenza per il mancato espletamento dell'attività istruttoria demandata dal giudice italiano all'autorità giudiziaria straniera (Cass. civ., 12 luglio 2013, n. 17299). |