Le colonie feline in condominio

Maurizio Tarantino
21 Novembre 2018

Il regolamento di condominio non può vietare di tenere animali in casa, ma questa previsione non si estende alla possibilità di accudire gatti randagi negli spazi comuni del condominio come il giardino o il cortile. Ne consegue che ciascun condomino può servirsi degli spazi comuni dell'edificio, purché non ne alteri la destinazione, né impedisca agli altri condomini di farne pieno uso. Perciò, dare da mangiare a cani e gatti randagi non è vietato, ma questo non deve costituire elemento di danno per gli altri condomini: non si deve sporcare per terra, né deturpare l'estetica del giardino e gli animali non devono costituire molestia per le persone, che entrano ed escono dal palazzo.
Il quadro normativo

La nostra legislazione sta lentamente regolamentando il possesso e la tutela degli animali, sia d'affezione che randagi, o d'allevamento. È importante, per chi possiede un gatto o una colonia felina, e vive in condominio, conoscere le regole e le norme di legge che tutelano o creano obblighi relativi ai gatti. Il nostro legislatore ha previsto, sotto la spinta di associazioni ed enti privati e pubblici, normative dirette a tutelare gli animali e disciplinare il rapporto di convivenza fra uomo e animali, anche e soprattutto in condominio.

In argomento, giova ricordare che la l. 14 agosto 1991, n. 281 (Legge quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 203 del 30 agosto 1991) è stata promulgata con lo scopo di proteggere gli animali che convivono con l'uomo a scopo di compagnia e gli animali randagi. Si tratta di una legge quadro che delega alle Regioni la possibilità di attuare i principi in essa contenuti tramite leggi regionali o provinciali. In particolare, la legge in esame è stata la prima ad identificare legislativamente le colonie feline, in seguito i vari regolamenti regionali di recepimento hanno previsto articoli specifici sulla tutela e protezione delle colonie di gatti che vivono in stato di libertà.

Secondo la citata legge, la “colonia felina” è un gruppo di gatti (minimo due) che vivono in libertà e frequentano abitualmente lo stesso luogo. L'habitat di una colonia felina è invece il territorio, urbano e edificato o no, pubblico o privato, nel quale risulti vivere stabilmente la colonia felina, indipendentemente dal numero di soggetti che la compongono e dal fatto che sia accudita o meno da cittadini.

Inoltre, i gatti randagi si considerano come esseri viventi titolari di diritti quali la “vita” e la “cura”. Questi diritti incontrano il limite della salute pubblica. Difatti, l'art. 2 comma 9, della l. n. 281/1991, prevede che i gatti in libertà possono essere soppressi soltanto “se gravemente malati o incurabili”.

Oltre alla legge nazionale, inoltre, sono state emanate alcune leggi regionali (ad esempio, legge Regione Lazio 21 ottobre 1997, n. 34) che riconoscono al gatto il diritto al territorio formulando un espresso divieto di spostamento dei soggetti dal loro habitat (art. 11), intendendo per habitat il luogo dove i gatti trovano abitualmente rifugio, cibo e protezione, identificando con questo termine aree sia pubbliche che private.

In conclusione, la permanenza dei gatti nelle aree condominiali, siano esse cortili, garage o giardini, aree ospedaliere è da considerare assolutamente legittima, alla stregua della presenza degli uccelli sugli alberi; d'altro canto, al fine di escludere ogni sorta di disturbo per i condomini, la legge prevede che il loro numero sia tenuto sotto controllo attraverso la sterilizzazione e che gli animali siano nutriti nel rispetto dell'igiene dei luoghi.

I gatti di proprietà

Sappiamo che la legge di riforma l. n. 220/2012 ha fornito un'apertura verso quei condomini che vogliono tenere gli animali in appartamento. Difatti, l'ultimo comma dell'art. 1138 c.c. prevede che «le norme del regolamento non possono vietare di possedere o detenere animali domestici». In argomento, ai fini di una corretta interpretazione della norma, è importante precisare che nella stesura finale del nuovo testo dell'art. 1138 c.c., il termine animali “da compagnia” è stato sostituito con quello di animali “domestici” dai confini più incerti sotto il profilo del relativo inquadramento, al fine di estenderne la definizione ad un più ampio genus di animale “di affezione”. Infatti, sebbene la legge non definisca la nozione di animale domestico, in mancanza di una precisazione normativa, ai fini dell'applicazione della nuova norma, per animale domestico va inteso l'animale che ragionevolmente e per consuetudine è tenuto in appartamento per ragioni affettive.

Quanto agli aspetti “regolamentari” - secondo un'opinione emersa in dottrina - se è pur vero che l'intero dettato dell'art. 1138 c.c. sembra innegabilmente riferirsi al solo regolamento assembleare, la rubrica della suddetta norma non riporta alcuna indicazione circa la natura del regolamento, talché la nuova norma inciderebbe anche sui regolamenti condominiali vigenti, determinando l'immediata caducazione delle clausole che vietano o limitano la detenzione degli animali domestici. In proposito, è stato evidenziato che il regolamento condominiale, stabilente il divieto di tenere animali domestici, è affetto da nullità sopravvenuta per effetto dell'introduzione del comma 5 all'art. 1138 c.c. secondo cui le norme del regolamento non possono vietare di possedere o detenere animali domestici (Trib. Cagliari 22 luglio 2016).

Accertato che i gatti possono stare presso la proprietà privata dei condomini (anche in presenza di divieti regolamentari), tuttavia, però, è bene anche sottolineare che il comma 5 dell'art. 1138 c.c. fissa soltanto un limite alla potestà regolamentare incidente sulla proprietà singola, senza recare alcuna disciplina sull'uso delle parti comuni. Pertanto, quando si è in presenza di una lesione dei diritti degli altri condomini nel godimento delle aree di proprietà comune od esclusiva, è possibile impedire e/o limitare all'animale domestico di accedere e godere di tali aree e che una tale indagine debba essere svolta solo successivamente e mai in via precauzionale. Su tale aspetto è stato evidenziato che è legittima la clausola del regolamento di condominio che impedisce ai condomini di utilizzare l'ascensore se accompagnati dai propri animali domestici (Trib. Monza 28 marzo 2017).

Ad ogni modo, il proprietario del gatto è responsabile dei danni cagionati dall'animale di sua proprietà sia che fosse sotto la sua custodia sia che fosse smarrito o fuggito salvo che provi il caso fortuito. La responsabilità incorre tutte le volte che il danno sia stato prodotto con diretto nesso causale da un fatto proprio dell'animale, a prescindere dall'agire dell'uomo (ad esempio, il gatto ha distrutto le piante del vicino). In tema, l'art. 2052 c.c. stabilisce a carico del proprietario dell'animale una presunzione di colpa, sicché non è sufficiente la prova di aver usato la comune diligenza ma occorre la prova del caso fortuito, cioè imprevedibile, inevitabile, assolutamente eccezionale. Qualora il gatto causi dei danni mentre è affidato a terzi per esempio ad amici, parenti, conoscenti, ne risponde comunque il proprietario.

I gatti randagi (o colonia felina)

Quando si parla di gatti randagi ci si riferisce spesso alle cosiddette colonie feline (in realtà, per formare una colonia felina bastano anche solo due gatti che vivono in un determinato e circoscritto territorio).

Come abbiamo visto, le colonie feline sono protette dalla legge e non posso essere spostate. Questo anche se la colonia è in un condominio, con buona pace dei condomini più recalcitranti.

Naturalmente, ciò non significa che i gatti e chi se ne prende cura possano fare tutto quello che vogliono: ci sono delle regole da seguire. È infatti consentita l'utilizzazione della cosa comune da parte del singolo condomino con modalità particolari e diverse rispetto alla sua normale destinazione - purché nel rispetto delle concorrenti utilizzazioni, attuali o potenziali, degli altri condomini - non sia alterato il rapporto di equilibrio tra tutti i comproprietari. Tale assunto ha trovato conferma in un precedente di merito in cui alcuni residenti, di un super-condominio, avevano citato in giudizio altri condomini con l'accusa di aver occupato, senza autorizzazione, spazi comuni per creare rifugi a dei gatti randagi; pertanto, i ricorrenti avevano chiesto sia la rimozione delle “strutture” e sia un risarcimento per il danno non patrimoniale. Sul punto in esame, il giudice ha stabilito che i gatti sono stanziali, cioè frequentano abitualmente lo stesso luogo pubblico o privato che sia, ed è così che si creano un habitat e che nessuna norma di legge, né statale né regionale, proibisce di alimentare gatti randagi nel loro habitat. In base a tutto ciò, per il giudice è stato definito legittimo, ai sensi dell'art. 1102 c.c., sia l'uso della cosa comune da parte di un condomino «con modalità particolari e diverse rispetto alla sua normale destinazione», sia l'uso più intenso della cosa (sempre però nel rispetto dell'uso comune da parte degli altri condomini). Pertanto, secondo tale ragionamento, occupare uno spazio comune (nel caso in questione, per creare piccole strutture-rifugio temporanee per gatti) non può rappresentare una violazione della legge (Trib. Milano 30 settembre 2009, n. 23693).

Dunque, impiegare un piccolo angolo del cortile o del porticato per dare da mangiare ai gatti randagi non costituisce un comportamento illecito; ma questo non deve costituire elemento di danno per gli altri condomini: non si deve sporcare per terra, né deturpare l'estetica del giardino e gli animali non devono costituire molestia per le persone, che entrano ed escono dal palazzo.

Secondo i giudici amministrativi, chi accoglie nel proprio giardino o nel cortiletto del condominio i gatti del circondario, lasciando loro gli avanzi di cibo e i piattini di plastica ricolmi di latte, deve però accollarsi l'obbligo di tenere pulita l'area, evitando il rischio di cattivi odori, sporcizia e l'arrivo di altri animali (Tar Sicilia - Catania, 12 gennaio 2016, n. 3: In questo precedente, i giudici hanno confermato la legittimità dell'ordinanza del Sindaco che impegnava il proprietario di un terrazzo dove si raccoglieva una nutrita colonia felina, ad adottare le necessarie misure per la salvaguardia della salute pubblica e degli animali).

In altro precedente, il Tribunale ha ulteriormente evidenziato che è illegittimo il divieto, imposto dal Comune, di somministrare alimenti a cani e gatti randagi con contenitori sulle aree pubbliche (TAR Marche - Ancona, 23 novembre 2012, n. 753).

Raffrontando i due provvedimenti amministrativi, possiamo affermare che la differenza di questo ultimo provvedimento (TAR Marche) rispetto alla sentenza del TAR Sicilia è il luogo ove avviene la “somministrazione” del cibo ai gatti: negli spazi privati, sebbene non si possa impedire l'uso della cosa comune a tutti i condomini, è anche vero che tale uso non deve pregiudicare gli altrui diritti.

Le delibere e la tutela delle parti comuni

Chiunque si prenda cura dei detti animali, dovrà porre in essere tutti gli accorgimenti utili ad una rispettosa, salubre e pacifica convivenza, ovvero: utilizzare spazi appartati per il collocamento delle ciotole di acqua (che non devono mai essere rimosse) e di cibo (lavando il materiale e rimuovendo tempestivamente gli avanzi), tenere i medesimi spazi sempre puliti.

Anche la delibera assembleare che prenda provvedimenti per fronteggiare eventuali danni cagionati dalla colonia felina (anch'essi comprovati), dovrà tenere conto di tutte le alternative adottabili meno gravose per gli animali:

- Le delibere condominiali che vogliano far allontanare - o addirittura sopprimere - i gatti per pregiudizio, cioè motivi non correlati a una malattia grave e incurabile degli stessi felini, sono illegittime perché in contrasto sia con la l. n. 281/1991 e sia con le leggi regionali.

- Nel caso in cui i gatti iniziassero a costituire un danno per i beni condominiali, o dei singoli condomini, l'assemblea può deliberare opportuni provvedimenti (esempio, rete che circoscriva la zona condominiale) che in ogni caso rispettino il “sentimento di amore per gli animali”. In tema, la Cassazione ha precisato che è lecito l'uso degli offendicula nei limiti in cui i medesimi appaiano necessari per la difesa di quel diritto e solo qualora non vi sia la possibilità di utilizzare altri mezzi meno o per nulla dannosi (Cass. pen., sez. III, 1 dicembre 1994, n. 12576: nella specie, i giudici hanno ritenuto illegittimo e pericoloso l'uso di cordicelle in quanto idonee al soffocamento dei gatti).

- Se, invece, il motivo della richiesta di allontanamento fosse la sicurezza della salute pubblica, la delibera è legittima purché preceduta da accertamenti da parte del servizio veterinario locale, che comprovino l'incompatibilità della permanenza dei gatti in condominio con le esigenze di salute e igiene pubblica (l. n. 281/1991, art. 2, comma 9). Pertanto, i gatti posso essere soppressi, ad opera di medici veterinari, soltanto se gravemente malati o incurabili.

Su tale tema, la Cassazione ha precisato che è colpevole il veterinario “volontario” che pratica eutanasie non necessarie su animali. Invero, nel caso in esame, è scattata la condanna per esercizio abusivo della professione di medico veterinario nei confronti di due donne, volontarie di un ricovero per animali, cui era stato contestato di aver, con crudeltà̀ e senza necessità, ucciso cani e gatti attraverso la somministrazione di farmaci (Cass. pen., sez. III, 31 gennaio 2018, n. 4562).

I comportamenti contrari dei condomini

Il comportamento arbitrario dei condomini (coloro che indebitamente rimuovano le ciotole dell'acqua, impediscano l'alimentazione, spaventino i gatti con atti mirati all'allontanamento o disturbo di essi, compiono un atto di maltrattamento nei confronti degli animali appartenenti alla colonia felina), potrebbe configurare la violazione dell'art. 544-ter c.p. (reato di maltrattamento di animali).

In argomento, è stato evidenziato che versare disinfettante in cortile per allontanare i gatti costituisce reato di getto pericoloso di cose (Cass. pen., sez. III, 3 novembre 2016, n. 46149). Inoltre, chi intende “farsi giustizia da sé”, perché infastidito dalla presenza dei gatti, oltre alla condanna penale, rischia anche il risarcimento dei danni morali. Sul tema in esame, in un precedente giurisprudenziale, due donne, madre e figlia, chiedevano (nel giudizio civile) il risarcimento danni per cure veterinarie a carico di un loro vicino di casa che aveva preso una pistola a piombini e aveva sparato alle loro due gatte: una era rimasta gravemente ferita, e l'altra, dopo una serie di interventi era morta. Il vicino si era poi costituito presso i carabinieri, spiegando di aver sparato alle gatte perché gli provocavano danni al giardino. Per i motivi esposti, al vicino (nel giudizio penale), sono stati contestati i reati di cui agli artt. 81 e 544-ter c.p., per aver «ripetutamente per crudeltà e senza necessità causato lesioni a due gatti di proprietà sparandogli con la carabina ad aria compressa». Quanto al giudizio civile, il Tribunale ha deciso di condannare l'uomo a versare 4 mila euro di danni patrimoniali per le spese veterinarie (Trib. Milano 1 luglio 2014).

In virtù di quanto esposto, in caso di disturbo da “animale”, il condomino potrà adire il giudice per la tutela dei propri interessi. Difatti, in argomento, si è più volte ritenuto applicabile alla detenzione di animali in condominio l'art. 844 c.c. che disciplina le immissioni moleste o dannose nella proprietà di terzi (rumori, odori). Nel caso in cui le immissioni dovessero superare la capacità di sopportazione dell'uomo medio, il vicino potrà chiedere all'Autorità giudiziaria l'allontanamento del gatto. Tuttavia, mancando nella legge una misura in base alla quale stabilire con criteri automatici il limite di tollerabilità delle immissioni, tale limite deve essere prudentemente determinato di volta in volta dal giudice.

Proprio su tale aspetto, in altro precedente, un condomino aveva citato per danni l'altro condomino del piano superiore dinanzi al giudice adito sostenendo che la perdita di pelo del proprio animale, invadendo il suo balcone, era stata la causa dell'insorgere di un'allergia. Il condomino, pertanto, stanco di essere esposto alla caduta di pelo proveniente dal piano superiore al suo, decide di agire in giudizio chiedendo la condanna (ex art. 2052 c.c.) dei proprietari dell'ignaro animale al risarcimento dei danni patiti ed all'allontanamento dello stesso dalla loro abitazione. Secondo il giudice, però, la caduta di peli dell'animale attiverebbe i meccanismi dell'azione ex art. 844 c.c. con obbligo del danneggiato di provare non solo che le immissioni (caduta di pelo) superano la normale soglia di tollerabilità ma anche che fra le stesse, ed il danno lamentato (allergia) sussista un diretto rapporto di causalità. In assenza di tale prova, la domanda in oggetto è stata rigettata (Trib. Pescara 2 settembre 2016, n. 1454).

I responsabili della colonna felina (i gattari)

Alcuni regolamenti comunali consentono al privato cittadino la possibilità di registrare e curare le colonie feline (altri regolamenti potrebbero concederlo solo ad associazioni animaliste regolarmente registrate).

Premesso ciò, alcuni comuni, come Bari e Genova, hanno introdotto il c.d. patentino del gattaro: si tratta di persone autorizzate dal Comune a curare e somministrare il cibo agli animali.

Dunque, in presenza di una colonia felina in condominio, i gattari devono:

  • provvedere alla registrazione della colonia felina presso il Comune di residenza e la ASL veterinaria, dandone nel contempo tempestiva comunicazione all'amministratore di condominio;
  • richiedere la sterilizzazione dei mici della colonia, al fine di controllarne la crescita demografica;
  • individuare, in comune accordo con gli amministratori di condominio, gli spazi comuni in cui alimentare i gatti, il più lontano possibile dalle abitazioni;
  • tenere pulite le aree in cui alimentano i gatti di colonia lasciando per un periodo massimo di un'ora al mattino e un'ora alla sera le ciotole con il cibo a disposizione dei mici. Le ciotole con l'acqua devono essere invece disponibili ventiquattr'ore al giorno;
  • rimuovere il pelo, le feci e gli escrementi prodotti dai gatti;
  • informare immediatamente il veterinario di fiducia in caso di presenza di gatti malati.

Al riguardo, si osserva che l'attività del gattaro è «attività animata da apprezzabile intenzione e da comprensibile e condivisibile amore per gli animali». Tuttavia, però, l'attività di attirare gatti randagi con ciotole di cibo, può costituire molestia se i gatti, vagando per il condominio, s'introducono negli appartamenti e nelle relative pertinenze degli altri condomini limitandone il possesso.

In argomento, alcuni giudici hanno ritenuto che questo tipo di comportamento posto in essere dai condomini (in questo caso del gattaro), configura oggettivamente una turbativa nel libero godimento dell'appartamento e relative pertinenze degli altri condomini. Questi ultimi, infatti, in tale vicenda sono stai costretti a tenere le finestre chiuse, per evitare che gli animali si introducevano all'interno della proprietà privata con evidente limitazione nell'esercizio del loro possesso. Per tali motivi, a seguito di azione di manutenzione ex art. 1170 c.c., è stata configurata la “molestia possessoria” a carico del gattaro (App. Roma 29 aprile 2013).

Infine, è stato anche precisato che costituiscono maltrattamenti anche quei comportamenti colposi di abbandono e incuria che offendono la sensibilità psico-fisica degli animali quali autonomi essere viventi, capaci di reagire agli stimoli del dolore come alle attenzioni amorevoli dell'uomo (Cass. pen., sez. III, 22 novembre 2012, n. 49298: fattispecie nella quale è stata ritenuta la sussistenza del reato in relazione alla detenzione di numerosi gatti, mantenuti dalla condomina – gattara - in precarie condizioni di salute, di igiene e di nutrizione, e rinchiusi all'interno di gabbiette poste in un'abitazione dalla quale si propagavano odori nauseabondi).

In conclusione

Con la riforma del condominio (l. n. 220/2012), alla luce dei principi già esistenti in ambito europeo, il nostro legislatore è intervenuto in un clima del concetto di animale “oggi” (valorizzazione dell'animale dal punto di vista del rapporto uomo/animale). Nonostante la citata previsione legislativa, è opportuno ricordare che il proprietario (gatti privati) e il gattaro (gatti randagi) devono sempre rispettare il proprio condominio.

A tal proposto si ricorda che il condomino sarà ritenuto responsabile qualora il proprio animale emetta rumori molesti intollerabili oppure odori sgradevoli (art. 844 c.c.); in tal caso si potrà chiedere la cessazione della turbativa ricorrendo all'allontanamento dell'animale (art. 700 c.p.c.). Nel caso di immissioni rumorose è possibile ipotizzare la sussistenza del reato di «disturbo del riposto delle persone» (art. 659 c.p.) purché il disturbo sia arrecato ad un numero indeterminato di persone.

Premesso ciò, ad integrazione di quanto già detto, si osserva che in data 23 marzo 2018 è stato presentato il disegno di legge n. 93 avente ad oggetto l'introduzione del codice delle disposizioni per la tutela degli animali di affezione, la prevenzione e il controllo del randagismo. Con il presente disegno di legge (assegnato alla 12ª Commissione permanente/Affari sociali in sede referente il 7 agosto 2018), è stata elaborata una disciplina normativa a tutela degli animali. La presente proposta tutela sia i padroni dell'animale da affezione, sia le garanzie alla collettività evitando animali vaganti o in generale il randagismo.

Per perseguire tale finalità sono stati fissati i compiti e i doveri del responsabile dell'animale di affezione. Quanto agli animali liberi, è stata prevista l'introduzione dei “microcanili” o“microgattili” con maggiori regole per i gatti liberi e le colonie feline.

Guida all'approfondimento

Amendolagine, Animali in condominio, in Condominioelocazione.it, 28 giugno 2018;

Bianchini, Codice degli animali d'affezione: il Ddl presentato alla Camera, in www.altalex.com, 23 marzo 2018;

Cirla, Il regolamento condominiale non può vietare di tenere gli animali in casa, in Quotidiano giuridico, edizione on line, 19 settembre 2016

Sala, Gli animali domestici nel condominio dopo la riforma, Rimini, 2012, 111;

Bassoli, Animali da compagnia. Tutele diritti responsabilità, Rimini, 2012, 102;

Cirla, Sempre ammessi gli animali domestici, in IlSole24Ore, 22 novembre 2012, 31.

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