Competizioni in velocità non autorizzate, scommesse e rapporti con il reato di omicidio stradale

Silvio Scotti
19 Dicembre 2018

Il nostro Legislatore, con il d.l. 151/2003 convertito, con modificazioni, nella legge 214/2003, ha voluto disciplinare in maniera organica il fenomeno delle corse clandestine e, più in generale, le competizioni in velocità non autorizzate con veicoli a motore: tale fenomeno ...
Abstract

Il diritto penale è una materia affascinante: le sue regole generali, la declinazione dei comportamenti vietati e di quelli obbligatori, rimandano ad altrettanti capitoli di progressi della civiltà, dei valori condivisi acquisiti al punto da sacrificare la libertà dell'individuo responsabile per tutelarne gli interessi di fondo.

E come tutte le branche della cultura, in alcuni casi rivela dei tesori inaspettati proprio nelle fattispecie meno studiate.

In questo specifico contesto vorremmo segnalare, senza pretesa alcuna di esaustività, le tematiche che ci propone il codice della strada nella parte regolamentata dagli artt. 9-bis e 9-ter.

Il nostro Legislatore, con il d.l. 151/2003 convertito, con modificazioni, nella legge 214/2003, ha voluto disciplinare in maniera organica il fenomeno delle corse clandestine e, più in generale, le competizioni in velocità non autorizzate con veicoli a motore: tale fenomeno si era posto all'attenzione dei media in modo crescente qualche anno fa, fino a sfociare in una sorta di emergenza nazionale, per quanto riferita alla circolazione stradale, e tradottasi in una pericolosa attività di elezione giovanile. Da qui, l'elevazione a delitto dei comportamenti connessi al deprecabile fenomeno.

Inquadramento generale

L'art. 9-bis del d.lgs. 285/1992, già citato, punisce con la reclusione da uno a tre anni e con la multa da euro 25.000,00 a euro 100.000,00 chiunque organizzi, promuova, diriga o comunque agevoli una competizione sportiva in velocità, con veicoli a motore, senza esserne autorizzato.

La medesima pena è estesa, giusto quanto previsto dall'ultimo periodo del primo comma, ai comportamenti di partecipazione alla competizione stessa. In linea di massima, fatte salve le precisazioni che faremo, possiamo dire che sono state equiparate, sotto il profilo della pericolosità sociale e della risposta sanzionatoria, le condotte prodromiche e quelle di partecipazione alle gare.

Il Legislatore, con la norma in discorso, rivolge la sua attenzione in primo luogo a quella parte di fenomeno che prevede un'organizzazione, cioè un'azione coordinata di più attività finalizzate al medesimo scopo, consistente, appunto, nello svolgimento di una gara in velocità tra veicoli a motore la quale, ovviamente, non sia stata regolarmente autorizzata.

Il primo comma dell'art. 9-bis pone immediatamente il primo quesito di fondo all'interprete: la strutturazione del periodo, che avviene mediante l'elencazione dei comportamenti vietati, rimanda a una norma a più fattispecie (norma mista alternativa) oppure a una disposizione a più norme (norma mista cumulativa)?

La problematica non è di poco conto: si tratta di capire se, per esempio, l'organizzatore di un evento (corsa clandestina), che abbia effettuato altresì la promozione della gara, risponda per una singola o per più imputazioni. Infatti, nell'ambito delle norme miste alternative, una pluralità di condotte fungibili concreterà una singola violazione, mentre in un contesto caratterizzato da una norma mista cumulativa, l'interprete dovrà misurarsi con una pluralità di reati, in quanto le singole azioni poste in essere costituirebbero violazioni di altrettante norme incriminatrici.

La questione, di assoluta rilevanza, deve comunque essere inquadrata all'interno e alla luce dei principi guida elaborati dalla giurisprudenza di legittimità: possiamo così affermare che, laddove si optasse per l'ipotesi di norma mista alternativa, la condotta dovrebbe comunque e in ogni caso riguardare il medesimo evento (identità oggettiva), essere messa in atto dal medesimo soggetto (identità soggettiva) e compiuta in un ambito cronologico senza apprezzabile soluzione di continuità (identità cronologica).

Orbene, vediamo innanzitutto di elencare in uno schema le attività vietate contemplate nella norma di legge, e di definirle compiutamente:

Azione vietata

Significato

Organizzare

Predisporre il necessario per qualcosa

Promuovere

Far progredire, sollecitare

Dirigere

Essere a capo di una determinata attività o regolarne lo svolgimento

Agevolare

Facilitare, favorire

L'esame del significato delle condotte oggetto di incriminazione, indica all'interprete come le stesse giungano a sovrapporsi, nel senso che è possibile ipotizzare attività che possono ontologicamente rientrare ora in una, ora nell'altra condotta.

Di fatto, la norma sembra far riferimento non a singole azioni ben delineate e separate, quanto a un continuum di atti, elencati a fini casistici. La conclusione, che tuttavia meriterebbe una disamina ben più articolata di queste misere osservazioni, è che l'interprete si trovi di fronte a una norma mista alternativa, laddove le diverse condotte si riferiscano a un unico evento di gara clandestina. Se tale punto di vista è corretto, risponderà di una singola imputazione colui che avesse sia organizzato, sia diretto una corsa clandestina in velocità con veicoli a motore.

Appare diversa la questione, invece, per quanto riguarda il secondo periodo del primo comma, che estende la pena della reclusione prevista per le condotte più sopra descritte a colui che prenda parte alla competizione.

A prima vista, il quesito sulla possibilità che tale fattispecie delittuosa concorra con quelle previste dal periodo immediatamente precedente, non pare destare preoccupazioni di sorta: infatti, la profonda differenza delle condotte, porta a considerare la partecipazione alla competizione quale reato autonomo.

Tuttavia, a una più attenta analisi, può residuare qualche dubbio laddove la condotta, in relazione alla competizione, si limitasse ad azioni di contorno, quali dare il via ai concorrenti o verificare il rispetto del percorso. Se si effettua un'analisi comparativa, con riferimento alla condotta agevolatrice di cui al comma primo dell'art. 9-bis, la soluzione più a portata di mano sembra sia quella che conduce a ritenere che il prendere parte si riferisca solamente all'ipotesi del concorrente effettivo, con la precisazione che in questa nozione deve essere ricompreso l'eventuale passeggero con compiti di navigatore o altre funzioni di supporto al conducente. Infatti, basti pensare che l'ampiezza significativa del sintagma o comunque agevola è idonea a ricomprendere tutta una serie di condotte, sostenute dal dolo, senza dover accedere all'opzione di ampliare forzosamente il più limitato riferimento al prendere parte.

Ma anche su questo punto le soluzioni non sono scontate e sono proponibili soluzioni ermeneutiche differenti.

La fattispecie brevemente descritta di cui all'art. 9-bis, si salda idealmente con il successivo art. 9-ter.

Tale ultima norma prevede a reclusione da sei mesi ad un anno e la multa da euro 5.000 a euro 20.000 per chi gareggi in velocità con veicoli a motore, al di fuori delle ipotesi previste dal precedente art. 9-bis.

Si tratta, ovviamente, di norme figlie della medesima riforma, che hanno lo scopo di delineazione e repressione del deprecabile fenomeno. Il criterio discretivo che risulta immediatamente individuabile sulla diversa operatività delle norme, è costituito dall'organizzazione della gara nel casi regolamentati dall'art. 9 bis che, viceversa, manca nella fattispecie astratta regolata dall'art. 9-ter il quale, appunto, si apre con una clausola di riserva che indica la disponibilità vicaria della norma a fronte dell'articolo di legge immediatamente precedente. L'art. 9-ter si caratterizza, di conseguenza, per un requisito negativo rispetto all'articolo di legge che lo precede.

La norma in discorso intende sottoporre a sanzione penale quei comportamenti che nascono spontaneamente, e quindi senza organizzazione o accordo precedente, alla guida di veicoli a motore, durante l'ordinaria circolazione. Siamo di fronte a un fenomeno noto dove, tipicamente, due conducenti, affiancati a un semaforo rosso, lanciano i propri veicoli a forte velocità, per prevalere l'uno sull'altro. Si tratta di comportamenti meno perniciosi sotto il profilo dell'elemento psicologico rispetto alle corse clandestine organizzate ma che comunque generano un pericolo ugualmente temibile, e forse anche maggiore. Infatti, nascendo la sfida in maniera estemporanea, non si avrà certo modo di scegliere le condizioni di traffico meno pericolose.

Il reato “di contorno”

Le gare non autorizzate in velocità, oltre al concreto svolgimento e alla loro organizzazione, nei significati più sopra esaminati, hanno una specifica fattispecie di contorno, volta non solo a contrastare il deprecabile e pericoloso fenomeno, ma con l'ulteriore scopo di delinearlo nella sua interezza, evitando di tralasciare eventuali fenomeni di contorno che, a livello tendenziale, costituiscono lo “sfruttamento” di quelle pulsioni malsane e pericolose, che sono alla base del reato.

In primo piano campeggiano le scommesse.

Come noto, sarebbe vano cercare nei testi di legge una definizione di scommessa: tale nozione è data per acquisita dal nostro Legislatore e, di conseguenza, è necessario ricercarne il significato nella sfera parallela laica delle definizioni linguistiche non prettamente giuridiche.

Mutuando dalla migliore dottrina civilistica, possiamo definire la scommessa come un accordo che preveda il pagamento di una posta a fronte del verificarsi o meno di un evento specifico, e la corrispondente acquisizione del dovuto da parte di altro soggetto. Si tratta di un accordo a somma zero, dove la perdita economica di un soggetto corrisponde al guadagno di un altro. Nel concetto di scommessa, deve necessariamente essere ricompresa l'attività di raccolta delle poste in gioco e delle quote da attribuire al singolo contendente.

Il trattamento sanzionatorio prevede la reclusione da tre mesi ad un anno e la multa da euro 5.000,00 a euro 25.000,00.

Una visualizzazione grafica. Dalle sommarie e incomplete caratteristiche sopra descritte, possiamo ricavare anche una visualizzazione grafica la quale, con le opportune precisazioni del testo (anche successive) e seppure non esaustiva, può costituire per l'interprete un valido schema di riferimento.

Le aggravanti

Le due norme in commento prevedono alcuni eventi che devono trovare un'adeguata sistemazione dommatica in quanto, perlomeno in alcuni casi, l'interprete deve decidere se ci si trovi di fronte ad aggravanti specifiche oppure a fattispecie di reato autonome.

Per comodità di lettura, proviamo ad elencarle:

  1. morte di una o più persone;
  2. lesione personale, di qualunque entità;
  3. organizzazione della gara a fine di lucro;
  4. organizzazione della gara al fine di esercitare o consentire scommesse clandestine;
  5. partecipazione alla gara di minorenni.

Per quanto riguarda l'evento morte, che deve essere ontologicamente ricollegabile alla gara in velocità, possiamo osservare che la pena, rispetto al reato base, risulta non proporzionale.

Infatti, sia nell'art. 9-bis, sia nel successivo 9-ter, il differenziale è notevolissimo e immediatamente percepibile. Nel primo caso si passa da una pena base da 1 a 3 anni di reclusione (oltre alla multa da 25,000 a 100,000 €) alla reclusione da 6 a 12 anni;

nella seconda previsione si arriva ad una pena da 6 a 10 anni partendo da una previsione base che va da 6 mesi a 1 anno congiuntamente alla multa da 5.000,00 a 20.000,00 €.

La strutturazione del trattamento sanzionatorio indica che il Legislatore aveva inteso costruire, in entrambi i casi, una fattispecie autonoma di reato, più che non delle aggravanti.

Si consideri, anche per avere un quadro d'insieme, che nel caso di realizzazione dell'evento più grave, cioè il decesso di una persona eziologicamente ricollegabile alla competizione, laddove si propendesse per la sua natura di aggravante, si aprirebbero le porte ad un giudizio di comparazione con qualunque attenuante, vanificando brutalmente la presumibile voluntas legis. In questo senso si è espressa la Suprema Corte (cfr. Cass. pen.,Sez. IV 16 maggio 2014, n. 43832, Cass. pen.,Sez. IV, 14 gennaio 2016, n. 16610, più oltre), ritenendo che il decesso di una persona, causalmente collegato allo svolgimento della competizione non autorizzata costituisca un'ipotesi autonoma di reato. In virtù di tali precedenti, e sulla scorta delle motivazioni espresse dalla Suprema Corte, la soluzione deve applicarsi anche per quanto riguarda le lesioni personali.

Non sorgono viceversa problematiche di rilievo per le aggravanti previste per il fine di lucro e per l'esercizio di scommesse: la competizione dovrà avere ab initio tale connotazione, e cioè il fine dell'esercizio delle scommesse, senza che sia necessario che queste ultime vengano effettuate per concretare l'ipotesi aggravata.

I rapporti con la normativa in materia di omicidio stradale

Ma la problematica di gran lunga più complessa, e proprio per tale motivo più avvincente per lo studioso, è costituita dal rapporto intercorrente tra gli artt. 9-bis e 9-terd.lgs. 285/1992 con la normativa riguardante l'omicidio e le lesioni stradali (l. 41/2016).

In particolare, ci si può chiedere quale sia la corretta soluzione in caso di un omicidio (colposo, ovviamente) a seguito di una gara in velocità non autorizzata e le rispettive fattispecie contemplate nell'art. 589-bis c.p. Ovviamente, mutatis mutandi, la problematica e le relative soluzioni praticabili, si estenderebbero, de facto, alla fattispecie delle lesioni personali gravi o gravissime.

Per affrontare la questione, possiamo utilmente prendere le mosse da un caso effettivamente verificatosi, sul quale ha avuto modo di esprimersi anche la giurisprudenza di legittimità. Vediamo di riassumere brevemente i fatti.

Tre conducenti di autovetture erano stati tratti a processo per una gara non autorizzata, ex art. 9-ter del codice della strada. A seguito di ripetuti sorpassi, a velocità stimate attorno ai 150 km/h, su un raccordo autostradale, uno degli autoveicoli partecipanti alla sciagurata competizione, tamponava una vettura estranea alla competizione, determinando il decesso di uno degli occupanti, e provocando altresì lesioni, della durata superiore a 40 giorni, ad altra trasportata sulla vettura travolta. In particolare (e la notazione diverrà utile proseguendo nella lettura), l'investimento fatale avvenne all'inizio di una galleria, per non avere l'investitore rallentato l'andatura, e avendo subito il deleterio effetto di passaggio dalla luce del giorno all'oscurità della galleria senza dare tempo agli occhi di abituarsi alle condizioni ambientali: di conseguenza, l'investitore non aveva visto in tempo utile il veicolo tamponato.

Gli imputati, in due distinte sentenze della Cassazione (cfr. Cass. pen., 27 ottobre 2016, n. 38530 e Cass. pen.,14 gennaio 2016,n. 16610), furono ritenuti responsabili, in concorso tra loro, di omicidio e di lesioni colpose, con prognosi superiore a 40 giorni, ai sensi dei commi 2 e 4 dell'art. 589 c.p., nella formulazione vigente all'epoca dei fatti, oltre alla fattispecie regolata dal codice della strada. La Suprema corte, nelle motivazioni delle due sentenze, espresse dei concetti decisamente interessanti, in relazione al concorso di norme. Infatti, a fronte della doglianza delle parti, in relazione all'applicazione contemporanea delle due ipotesi di reato, la Cassazione si espresse nel seguente modo:

1) sulla base del principio del ne bis in idem sostanziale, l'evento morte non poteva essere addebitato due volte al medesimo soggetto;

2) l'ipotesi regolata dall'art. 589 c.p., secondo comma (omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme sulla circolazione stradale) non sarebbe integralmente sovrapponibile alla fattispecie di gara in velocità, non autorizzata, tra veicoli a motore cui consegua la morte di una o più persone;

3) il rapporto tra le due fattispecie in discorso (e in concorso), sarebbe quello di specialità reciproca, nel senso che «la causazione della morte, elemento costitutivo dell'omicidio colposo, siccome evento della condotta, è al tempo stesso elemento costitutivo del reato di cui al d.lgs. n. 285 del 1992, art. 9-ter, comma 2».

Le motivazioni delle sentenze citate, in larga parte sovrapponibili anche nella forma, giungono a prospettare la soluzione nel senso che le fattispecie sarebbero entrambi applicabili laddove, rispetto alla partecipazione alla gara non autorizzata, fossero ravvisabili ulteriori violazioni al codice della strada.

Il concetto è davvero delicato e necessita di essere chiarito tramite il ragionamento operato dalla Cassazione sul caso concreto, deciso sulla base del seguente assunto: l'omicidio colposo non può ritenersi assorbito nel delitto di partecipazione ad un gara non autorizzata con veicoli a motore, laddove l'evento morte sia conseguenza di una violazione al codice della strada, diversa da quella della partecipazione alla gara stessa.

Il principio espresso dalla Corte è di quelli decisamente impattanti.

Premesso che il riferimento della Cassazione fu il testo dell'art. 589 bis prima dell'entrata in vigore della l. 41/2016, in realtà i risultati non sembrano cambiare, una volta considerati i mutamenti legislativi. Uno dei metodi utilizzabili per meglio chiarire la situazione giuridica è quello del ragionamento a contrario.

La questione primaria è quella di capire in quali eventualità sarebbe prospettabile la sola applicazione delle fattispecie di cui agli artt. 9 bis e 9 ter del codice della strada, in caso di decesso, o anche di sole lesioni gravi o gravissime, di una persona.

Secondo la linea interpretativa della Corte, l'applicazione sarebbe subordinata al non verificarsi di ulteriori violazioni al codice della strada: ma ciò non si verificherà mai.

Infatti, la gara in velocità, di per sé stessa, comporta la violazione di una serie di norme del codice della strada (prima fra tutte quella relativa ai limiti di velocità), in assenza delle quali non si concreterebbe neppure la stessa fattispecie di gara non autorizzata.

Infatti, proviamo a ipotizzare una gara in velocità tra due veicoli a motore dove si rispettino tutte le norme regolanti la circolazione, compresi i limiti di velocità: si potrebbe, concretamente, imputare i partecipanti per i reati di cui agli artt. 9-bis e 9-ter del codice della strada? Evidentemente, no.

Ma il rilievo non è del tutto probante, in quanto indica semplicemente un limite esterno di operatività delle norme. Il passo successivo, consiste nel chiedersi se la normativa sulle gare non autorizzate presupponga una o più violazioni al codice della strada la cui violazione rimarrebbe assorbita, sotto il profilo della colpa penale, laddove ne derivasse un esito letale o di lesioni. La costruzione delle norme in discorso non è di grande aiuto per l'interprete, e il dato letterale ci può semplicemente indicare che l'eccesso di velocità è da ritenersi assorbito, nel senso sopra descritto. Ma se è così, qualunque violazione ulteriore del codice della strada renderebbe applicabile, sempre in caso di esiti letali o di lesioni, la normativa in tema di omicidio stradale.

Possiamo provare a percorrere un'altra via: il Legislatore del 2016 era necessariamente a conoscenza della normativa in materia di corse clandestine, nel momento in cui concepì e varò la legge 41. Esaminando le norme varate dal Legislatore e tuttora vigenti senza modifiche, possiamo apprezzare la complessità del costrutto normativo, articolato su diverse aggravanti, e con dettaglio di conseguenze sulla patente del responsabile, passando per un articolato sistema di accertamenti e di misure cautelari. Nonostante la predetta complessità, la normativa in materia di gare non autorizzate non viene presa in considerazione: con ogni probabilità, la decrescita del fenomeno, soprattutto in termini di risalto mediatico, ha contribuito a lasciare in una zona d'ombra la problematica.

Ora, la riforma della l.41/2016 non semplifica le cose e un coordinamento dell'omicidio stradale con la fattispecie in discorso è davvero complesso, alla luce dell'interpretazione fornita dalla Cassazione. Dire che manca un coordinamento normativo è scontato, così come l'osservazione che si tratta di fattispecie di formazione stratificata, più studiate per sedare i clamori mediatici e le spinte delle associazioni, che non per strutturare una disciplina organica in materia. Ma l'interprete può ancora fare uno sforzo, e concentrare l'attenzione sugli aspetti sanzionatori.

L'omicidio a seguito di gara clandestina prevede una pena da 6 a 12 anni di reclusione (da 6 a 10, in caso di gara non organizzata), suscettibile di aumento fino ad un anno se la gara è organizzata a fine di lucro o al fine di esercitare o di consentire scommesse clandestine, o se alla competizione partecipano minori di anni diciotto.

L'ipotesi regolata dall'art. 589 bis prevede una pena base da 2 a 7 anni di reclusione, aggravata in caso di specifiche violazioni al codice della strada, che varia da 5 a 10 anni, aumentata nel caso di persona non munita di patente di guida o con patente sospesa o revocata, o nel caso in cui il veicolo a motore sia di proprietà dell'autore del fatto e tale veicolo sia sprovvisto di assicurazione obbligatoria. In caso di morte di più persone, o di morte unita a lesioni, la pena è aumentata fino al triplo, col limite invalicabile degli anni 18.

Possiamo dunque dire che la pena base si prospetta più grave nel caso di gara clandestina in linea generale, mentre in caso di più eventi lesivi o mortali si prospettano conseguenze più severe applicando la normativa in tema di omicidio stradale.

Il breve spazio nel quale ci stiamo muovendo, non consente quegli approfondimenti che sarebbero necessari: se ci si trovasse nell'assoluta necessità di fornire una risposta sistematica sulla base delle norme generali, ben difficilmente si potrebbe negare, da un punto di vista squisitamente scientifico, carattere di specialità alle norme sulle gare clandestine rispetto alla più generale normativa in tema di omicidio e lesioni stradali.

In conclusione

Prima di concludere queste brevi note, strutturate quasi come un brain storming, crediamo sia necessario un breve accenno riguardante le conseguenze sulla patente. Infatti, il nostro Legislatore si è mostrato molto sensibile, correttamente, alle pressioni che, durante il periodo di gestazione della normativa in materia di omicidio stradale, indicavano nel cd. “ergastolo della patente” una misura di prevenzione, oltre che afflittiva, di eventuali recidive in materia di infortunistica stradale.

Tale sensibilità era presente anche al tempo dell'introduzione degli artt. 9-bis e 9-ter nel codice della strada, ma non in maniera così profonda e marcata come nel momento dell'introduzione della figura giuridica dell'omicidio e delle lesioni “stradali”.

La risultanza non può che tradursi in una carenza di coordinamento tra le norme, con una parziale sovrapposizione che nega e avversa una sistematicità che dovrebbe costituire il punto di partenza di qualunque costrutto giuridico, con particolare attenzione nel caso di norme penali propriamente dette.

Non è un caso, bensì un'esigenza sentita ormai da molti e finalmente tradottasi in norma vincolante, la recente introduzione dell'art. 3-bis nel codice penale (d.lgs. 1 marzo 2018, n. 21. La ratio della predetta norma è enunciata nel suo stesso testo, e la lettura degli atti parlamentari (cfr. Atto del Governo sottoposto a parere parlamentare, n. 466, nonché Relazione illustrativa) conferma che l'organicità della tutela penale, dei reati, del sistema punitivo, rappresenta un traguardo fondamentale per la nostra legislazione, per un'applicazione uniforme, determinante, poi, la giustizia del caso concreto.

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