L'affidamento condiviso è compatibile anche con forti limiti alla relazione del figlio col genitore non collocatario
31 Dicembre 2018
Massima
La regola dell'affidamento condiviso non esclude che il minore sia collocato presso uno dei genitori e che sia stabilito uno specifico regime di visita con l'altro genitore. La regolazione di tale regime di visita non è sindacabile nel giudizio di legittimità, a meno che il giudice dichiari di ispirarsi ad un criterio diverso da quello fondamentale dell'esclusivo interesse morale e materiale dei figli. Il caso
Un padre contesta in Cassazione la violazione o falsa applicazione dell'art. 155 c.c. (sostituito dall'art. 337-ter c.c. on la riforma sulla filiazione) da parte della Corte d'appello che, confermando la decisione del tribunale, aveva da un lato statuito l'affidamento condiviso, dall'altro limitato i rapporti figlio-padre ad un solo giorno alla settimana. Il ricorrente sostiene che i giudici di merito avrebbero fatto dell'affido condiviso una mera enunciazione, disciplinandolo in concreto come un affido esclusivo, perché i ridottissimi tempi per la relazione figlio-padre comportavano una lesione del diritto del minore a mantenere un rapporto equilibrato con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti equilibrato con i parenti di ciascun ramo genitoriale,secondo quanto dispone la norma da applicare (oggi contenuta nell'art. 337-ter, comma 1, c.c.). La questione
Il dato normativo sulla disciplina dell'affidamento condiviso è che il giudice determina i tempi e le modalità della presenza dei figli presso ciascun genitore; ma nella consolidata interpretazione giurisprudenziale della norma la cornice giuridica dell'affidamento condiviso «non escluda che il minore sia collocato presso uno dei genitori» e che «sia stabilito uno specifico regime di visita con l'altro» (Cass. n. 18121/2013). In verità questo assetto non solo non è escluso ma costituisce proprio la forma tipica dell'affidamento condiviso. A ciò si deve aggiungere che se il giudice di merito offre, di tale assetto, un'adeguata motivazione, questa non può essere oggetto di sindacato in sede di legittimità. Così definito l'ambito del tema, il ricorrente ha posto la questione di un provvedimento che, di fatto, più che regolare l'affidamento condiviso, lo svuota della sua sostanza, con effetti contrari alla ratio e alle finalità della previsione. Le soluzioni giuridiche
La Cassazione respinge il ricorso con due argomentazioni. La prima è un richiamo all'istituto giurisprudenziale del collocamento e conseguente regolazione dei tempi di frequentazione del figlio col genitore non collocatario; una soluzione di cui conferma la perfetta compatibilità con l'istituto dell'affidamento condiviso. La seconda argomentazione è che poiché la sentenza impugnata aveva motivato la regolazione dei tempi, la doglianza del ricorrente rappresenta un tentativo di svolgere un controllo sul merito delle motivazioni stesse. Nella specie il giudice di merito aveva registrato le buone condizioni della minore, pur in presenza di un'esasperata conflittualità e aveva regolamentato in maniera rigida i rapporti col padre, per sedare il continuo contrasto tra i genitori ed evitare che la bambina fosse costretta difendersi dai loro conflitti. La Corte definisce poi il limite entro il quale è possibile chiedere un sindacato di legittimità sulla regolazione dei rapporti figlio genitore non collocatario, affermando che: «in sede di giudizio di legittimità è possibile denunciare che il giudice di merito abbia disciplinato la frequentazione con i genitori dichiarando di ispirarsi ad un criterio diverso da quello fondamentale dell'esclusivo interesse morale e materiale dei figli». Osservazioni
Una prima osservazione è relativa all'affermazione secondo cui il ricorso in cassazione contro provvedimenti di regolazione dei tempi figli genitori sarebbe possibile solo ove il giudice «dichiari di ispirarsi a un criterio diverso da quello dell'interesse morale e materiale dei figli». Da un lato appare abbastanza improbabile che un Tribunale o una Corte d'appello dichiarino di porre a fondamento dei loro provvedimenti un criterio differente; dall'altro la Cassazione sembra tagliar fuori tutte le ipotesi, ben più frequenti, in cui, al richiamo del principio segua una decisione che – mentre dichiara di applicarlo - lo tradisce, il che attiene alla violazione o falsa applicazione di norme e può rivelarsi nella motivazione. Pare quasi che il richiamo all'esclusivo interesse della prole divenga una "formula magica", che esaurisce l'onere di adeguata motivazione e, di conseguenza, preclude un sindacato di legittimità della pronuncia. La dottrina ha messo in evidenza vantaggi e svantaggi del ricorso a una formula così ampia e dell'opzione opposta di una rigida specificazione di cosa sia lì'interesse del minore. Da una parte si ha il vantaggio di ricomprendere tutte le situazioni possibili che hanno rilevanza esistenziale per il minore, ma si ha anche il rischio di avere pronunce discordanti giustificate dal richiamo alla stessa clausola generale; dall'altra si ha il vantaggio di una norma specifica di dettaglio che evita incertezze ermeneutiche ed applicative, ma col rischio di lasciare fuori la considerazione di casi non contemplati in sede di composizione del quadro normativo (G. Ballarani, in Commentario al codice civile a cura di Scialoja Branca, Bologna, 2010, 21 ss). Si tratta dello stesso dibattito in corso rispetto al ddl Pillon, in cui per rimediare alla vaghezza degli attuali criteri di regolazione del'affidamento condiviso si propone il ricorso a criteri specificativi dell'interesse dei minori chesono oggetto di critica per la loro rigidità. Tornando al caso di specie, una seconda osservazione è che la motivazione del giudice di merito appare tutt'altro che ineccepibile ad un vaglio di coerenza logica: non vi è alcun nesso tra l'esigenza di regolazione puntuale dei rapporti e una regolazione restrittiva degli stessi; se ha certamente senso dare regole rigide per ridurre gli spazi di conflittualità, non vi è invece alcuna consequenzialità tra conflittualità e necessita di ridurre i tempi di rapporto con un genitore, per tacere del fatto che in tal caso occorrerebbe anche motivare la scelta del genitore da “sacrificare”. Questo, peraltro, è ciò che la Cassazione ha sempre insegnato: l'alta conflittualità non è di per sé ostativa alla condivisione della responsabilità genitoriale, sempre che non «si esprima in forme atte ad alterare e a porre in serio pericolo l'equilibrio e lo sviluppo psicofisico dei figli e, dunque, tali da pregiudicare il loro superiore interesse» (Cass. n. 16593/2008; Cass. n. 2456/2010; Cass. n. 5108/2012; Cass. n. 27/2017). In tale caso, precisa Cass. n. 27/2017, «la pronuncia di affidamento esclusivo deve essere sorretta da una puntuale motivazione in ordine, non solo, al pregiudizio potenzialmente arrecato ai figli da un affidamento condiviso ma anche all'idoneità del genitore affidatario e all'inidoneità educativa o alla manifesta carenza dell'altro genitore, non essendo sufficiente addurre quale motivazione l'argomento - generico ed apparente - della necessità di assicurare rapidità nelle decisioni riguardanti i figli». Pare invece che con la pronuncia oggi in commento, dopo aver difeso l'affidamento condiviso allorché i giudici di merito dubitavano di poterlo disporre per le coppie con alta conflittualità, la Cassazione ne avvalli ora lo svuotamento di contenuto. L'insegnamento può essere così riformulato: la conflittualità non è causa di preclusione all'affidamento condiviso, ma il giudice può, nel disciplinare lo stesso, limitare i rapporti tra minore e genitore non collocatario anche prevedendo tempi incompatibili con il mantenimento di una relazione significativa; tale pronuncia non sarà sindacabile in sede di legittimità se il giudice avrà cura di affermare di essersi ispirato all'esclusivo interesse del minore. Se questo padre dovesse un giorno adire la Corte EDU, potrebbe forse vedere accolta una richiesta di condanna dell'Italia per violazione del diritto alla vita familiare sua e del figlio. La corte EDU esaminerebbe il merito della vicenda, certo; ma rimane una domanda: di fronte ad un provvedimento secondo cui ad un figlio ed al genitore affidatario è consentito incontrarsi un solo giorno alla settimana, si può davvero affermare che la nomofilachia del principio di bigenitorialità, si limiti alla verifica dell'uso di formule sacramentali come “affidamento condiviso” e “interesse esclusivo della prole”? |