Dies a quo degli interessi di mora per i crediti professionali dell'avvocato e procedimento di ingiunzione
14 Gennaio 2019
Massima
Nelle controversie tra avvocato e cliente, aventi ad oggetto il diritto al compenso, gli interessi decorrono anche dalla modifica del decreto ingiuntivo, in quanto l'emissione di tale provvedimento determina la liquidazione delle somme ex art. 28 l. n. 794/1942. Il caso
Il principio di diritto espresso dalla Suprema Corte trae origine da una controversia sui compensi professionali pretesi da un avvocato al suo cliente. Inizialmente, l'avvocato si era visto riconoscere dal Tribunale di Salerno un decreto ingiuntivo per gli importi liquidati in parcella; tuttavia, all'esito della successiva opposizione, il Tribunale aveva riconosciuto al cliente una condanna per un importo inferiore. L'avvocato aveva quindi proposto appello, all'esito del quale aveva ottenuto solo un parziale accoglimento delle proprie domande. Lo stesso pertanto impugnava la sentenza della Corte d'appello di Salerno con ricorso per Cassazione censurando, in particolare, il criterio adottato dalla Corte territoriale per la decorrenza degli interessi moratori sulle somme di denaro dovute e non corrisposte dal suo assistito.
La questione
La tesi dell'avvocato era che gli interessi di mora sulle proprie spettanze dovessero decorrere, alternativamente: a) dalla data di invio della parcella; b) oppure, dal giorno della notifica del decreto ingiuntivo. Pertanto, secondo il ricorrente, la Corte territoriale aveva violato gli artt. 1224 e 1283 c.c., per non aver adottato uno dei due criteri sopra prospettati. Le soluzioni giuridiche
Con la sentenza in commento, la Suprema Corte ha accolto il motivo di ricorso, chiarendo ulteriormente che, dei due criteri prospettati dal ricorrente, quello corretto da applicarsi dovesse essere quello sub b): ossia, che si dovesse assumere il giorno della notifica del decreto ingiuntivo come dies a quo per il computo degli interessi di mora a carico del cliente. A fondamento della propria decisione, la Corte di legittimità ha ripreso il principio di diritto espresso da una sua precedente pronuncia (Cass. civ., sez. II, sent., 16 febbraio 2016, n. 2954); un arresto che si pone nel solco di orientamento giurisprudenziale ormai consolidato nell'arco degli ultimi decenni. Alcune premesse appaiono utili per inquadrare correttamente la questione in esame. Come noto nella comune esperienza, è con l'emissione della parcella che l'avvocato formalizza la richiesta di pagamento dei compensi professionali nei confronti del proprio cliente. Su un piano teorico, l'invio della parcella ha chiara natura di intimazione ex art. 1219, comma 1 c.c., il cui effetto è la costituzione in mora il debitore. Questo effetto non potrebbe prodursi altrimenti: giacché occorre proprio la consegna della parcella, perché il cliente possa conoscere l'ammontare preteso dell'avvocato, a titolo di compensi professionali. Né infatti il credito dell'avvocato per i propri compensi è già liquidato nel contratto di prestazione d'opera professionale stipulato con il suo cliente; né quest'ultimo è in grado di liquidarlo mediante pure operazioni di calcolo. È escluso quindi che si possa configurare una mora ex re del cliente in caso di ritardo nel pagamento delle spettanze dovute al suo avvocato, ai sensi dell'art. 1219, comma 2, c.c.: essa infatti opera solo qualora il credito sia liquido o di pronta liquidazione, come avviene nelle c.d. obbligazioni portables, ex art. 1182, comma3, c.c.. Alla luce di queste considerazioni, si sarebbe dovuto ritenere corretto, tra i due criteri proposti dall'avvocato ricorrente, quello di cui al punto a) che precede: sicché la consegna della parcella avrebbe dovuto determinare il termine iniziale per la mora debendi del cliente-debitore. Vi è però un elemento ulteriore che interviene nel quadro, operando un'autentica deroga alla disciplina generale del codice civile. Si tratta delle previgenti tariffe professionali, nella versione in vigore con il d.m. n. 238/1992, le quali stabilivano che gli interessi di mora e la rivalutazione monetaria delle spettanze del professionista decorressero solamente a partire dal terzo mese successivo all'invio della parcella o del preavviso di parcella. La norma era stata interpretata dalla giurisprudenza di legittimità più risalente, nel senso che il decorso dei tre mesi senza contestazioni da parte del cliente dovesse ritenersi «sostanzialmente riconducibile ad una situazione di tacito accordo sul “quantum” del compenso» (Cass. civ., sez. I, 11 giugno 1988, n. 3995). Da questa premessa, i Giudici di legittimità avevano ricavato un corollario ulteriore: ossia, che l'applicazione degli interessi di mora a carico del cliente fosse incompatibile con l'instaurazione di una controversia sulla spettanza dei crediti professionali vantati dall'avvocato, quand'anche questi gli avesse consegnato la relativa parcella. Ne derivava che, secondo la Suprema Corte, non si potesse postulare la mora debendi del cliente-debitore nelle more del giudizio che vertesse sui compensi pretesi dal proprio legale. Qualora invece, in un momento successivo, il Giudice avesse condannato il cliente al pagamento dei compensi, questi sarebbe stato tenuto a versare all'avvocato anche gli interessi di mora, imputati a decorrere momento della condanna. Questo è, ancora oggi, il fulcro dell'orientamento della Suprema Corte sul tema in discussione, di cui la sentenza in commento ne è la più recente conferma. A ben vedere, tuttavia, un ulteriore quesito merita risposta. Qualora, all'esito della controversia con il suo avvocato, il provvedimento giurisdizionale condanni il cliente al pagamento dei compensi, quale sarebbe esattamente il momento iniziale da cui comincerebbero a decorrere gli interessi? Il problema si pone evidentemente con riferimento al procedimento di ingiunzione, nel quale, come noto, il contraddittorio è solo eventuale e differito al momento della notifica del decreto ingiuntivo. Occorrerebbe quindi interrogarsi se il dies a quo debba venire a coincidere con quello del deposito del provvedimento, o con quello della sua notifica all'ingiunto; oppure ancora, con quello del deposito dell'eventuale sentenza di merito che decida sull'opposizione. Qualche breve cenno sulla disciplina processuale appare utile per inquadrare correttamente il tema. Le controversie tra avvocato e cliente – tanto sulla sussistenza del credito, quanto sull'importo liquidato nella parcella (Cass. civ., Sez. Un., 23 febbraio 2018, n. 4485) – possono essere introdotte con due riti:
Nella vicenda in oggetto, l'avvocato aveva scelto l'opzione sub 2). Nella pratica, è ben più frequente il ricorso al procedimento speciale di cui all'art. 14 d.lgs. n. 150/2011, perché solitamente più rapido: tanto che tutti i dicta sul tema in esame traggono origine da controversie che erano state instaurate con quel rito. Si tratta di un procedimento nel quale si assiste ad un contraddittorio pieno sin dal momento dell'instaurazione della controversia: ragione per cui necessariamente la mora debendi non potrà che decorrere dalla pubblicazione della sentenza di condanna. Diversamente, come si è anticipato, qualora l'avvocato si sia avvalso del procedimento per ingiunzione, l'eventuale contraddittorio con il proprio cliente-debitore sarà differito al momento della notifica a quest'ultimo del decreto ingiuntivo. Per questa ragione, solo da quel momento dovrà ritenersi operante la mora debendi. La Suprema Corte chiarisce, infatti, che il decreto ingiuntivo è un provvedimento giurisdizionale, che determina l'ammontare del credito azionato: pertanto, gli interessi di mora dovranno decorrere dalla notifica dello stesso, e non dal deposito della sentenza di merito che abbia definito l'opposizione proposta dal cliente. Osservazioni
L'arresto della Suprema Corte si pone nel solco di una giurisprudenza consolidata. Occorre tuttavia dare altresì atto di un precedente di legittimità, di segno contrario (Cass. civ., sez. I, 12 agosto 2009, n. 18233). In quell'occasione, i Giudici avevano diversamente ritenuto che gli interessi di mora decorressero dalla consegna della parcella, a prescindere dall'instaurazione di una controversia tra l'avvocato e il cliente. Merita di essere osservato che l'orientamento della Suprema Corte, sebbene sorretto da un'applicazione logica e rigorosa delle norme dell'ordinamento, trae origine da una disposizione delle tariffe forensi ormai da tempo abrogata. Difatti, il d.m. n. 55/2014, che contiene i c.d. parametri forensi, rimane silente sul tema dell'applicazione degli interessi di mora al cliente: un “silenzio assordante”, cui pone rimedio un formante giurisprudenziale ben definito e che, allo stato, appare privo di incertezze.
|