Fatto notorioFonte: Cod. Proc. Civ. Articolo 115
14 Gennaio 2019
Inquadramento
L'art. 115 c.p.c. costituisce un'applicazione del principio dispositivo in virtù del quale spetta alle parti il compito di indicare gli elementi di prova utili ai fini della decisione ed il giudice non può attingere al di fuori del processo la conoscenza dei fatti da accertare, prescindendo dalle prove ritualmente acquisite nel corso dello stesso. Il limite che incontrano le parti coincide con il potere direttivo riconosciuto al giudice, il quale può escludere le prove superflue, indicare alle parti le lacune probatorie da colmare, e può intervenire nell'indagine istruttoria disponendo d'ufficio i mezzi istruttori che la legge mette a sua disposizione. Quanto detto non si applica nei procedimenti c.d. speciali, nei quali c'è una forte attenuazione del principio dispositivo e delle garanzie processuali delle parti per una maggiore celerità di giudizio. È in questo contesto che si inseriscono i fatti notori e le massime di esperienza. Il concetto di “fatto notorio”, proprio per la sua portata derogatoria al principio dispositivo, è sempre stato inteso in modo rigoroso e stretto dalla giurisprudenza: non costituiscono fatti notori gli elementi valutativi che implichino cognizioni particolari o che richiedano preventivi accertamenti particolari (per esempio, la stima del valore di mercato di un immobile); restano estranee al concetto di fatto notorio anche le nozioni oggetto della scienza privata del giudice, in quanto le particolari conoscenze del giudice (anche quando gli derivano dalla pregressa trattazione di controversie similari) non hanno quel carattere “universale” che contraddistingue la categoria del “notorio”.
Orientamenti a confronto
I fatti notori e le massime di esperienza
Il fatto notorio deve essere acquisito alla conoscenza della collettività (o, almeno, di una particolarmente qualificata cerchia sociale), sia pure in un dato momento storico, con tale grado di certezza da apparire incontestabile (Cass. civ., sez. lav., 7 marzo 2005, n. 4862), soprattutto perchè in relazione allo stesso non è ammessa prova contraria.
Un fatto può essere qualificato come notorio, qualora, seppure non faccia parte delle cognizioni dell'intera collettività, rientri — come i particolari geografici o topografici di una città — nelle circostanze conosciute e comunemente note nel luogo in cui abitano il giudice e le parti in causa (cfr., in tal senso, Cass. civ., sez. II, 21 dicembre 2001, n. 16165, secondo cui, inoltre, l'addotta inveridicità di tale fatto non è denunciabile con ricorso per cassazione ma, ricorrendone gli estremi, solo in sede di revocazione). Sono «notori» i fatti conosciuti dalla generalità delle persone di media cultura e quelli che rientrano nella comune esperienza. Essi possono essere affermati, dalle parti o dal giudice, senza bisogno di prova. Sono tali, ad esempio, i fenomeni dell'inflazione e della svalutazione monetaria, il terremoto che colpisce una determinata zona, il dissesto di una banca locale, che una lieve inabilità permanente non può avere ripercussioni psichiche nei confronti dei genitori della persona lesa, ecc. Non si considerano, invece, fatti notori le nozioni tecniche e le valutazioni che richiedono il preventivo accertamento di particolari dati, come, ad esempio, la determinazione del valore di mercato degli immobili (Cass. civ., n. 1956/2007). Anche le ricerche fatte su internet dal giudice, di sua spontanea volontà, non possono considerarsi fatti notori (v. infra). Per quanto spesso i due concetti vengano accomunati, mentre i fatti notori (vale a dire, ai sensi dell'art. 115, comma 2, c.p.c., le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza) sono fatti storici e, quindi, accadimenti reali, le massime di esperienza sono regole (logiche e di valutazione) di giudizio (anche non giuridiche), proprie di una certa società in un determinato momento storico, che il giudice utilizza (si pensi al calcolo della strada percorsa da una certa autovettura in determinate circostanze spazio-temporali). In particolare, le massime di esperienza costituiscono un semplice criterio di valutazione del fatto accertato e non già, come invece il fatto notorio, il mezzo di accertamento del fatto stesso. Il riferimento a tali regole è implicito nei numerosi casi in cui si afferma che nella valutazione discrezionale delle prove il giudice usa criteri tratti dall'id quod plerumque accidit. Sebbene, come detto, sia errato far coincidere i due concetti, le massime o nozioni di comune esperienza costituiscono regole di giudizio di carattere generale, derivanti dall'osservazione reiterata di fenomeni naturali e socioeconomici di cui il giudice è tenuto ad avvalersi, in base all'art. 115 c.p.c., come regola di giudizio destinata a governare sia la valutazione delle prove che l'argomentazione di tipo presuntivo. Equità ed esperienza, tuttavia, costituiscono tecniche di apprezzamento dei fatti che, per quanto omogenee, non sono tra loro sovrapponibili; ne consegue che la quantificazione di una somma (si pensi a quella concernente le prestazioni extra-contratto di un appalto) può logicamente ascriversi a regole di esperienza solo quando abbia ad oggetto una prestazione di carattere usuale suscettibile di oscillazioni minime da caso a caso, oppure quando tale determinazione costituisca la risultante concreta di fatti notori e di nozioni di pratica comune (Cass. civ., sez. II, 4 ottobre 2011, n. 20313). Ciò nonostante, non di rado si assiste ad una sovrapposizione terminologica tra fatto notorio e massime di esperienza, nozioni utilizzate quali termini del tutto fungibili. La confusione pare originata dallo stesso tenore dell'art. 115, comma 2, c.p.c., che fa testuale riferimento non al fatto notorio, bensì alle «nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza». Tali due concetti, invero, non paiono perfettamente sovrapponibili, essendo il secondo di essi (le «nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza») idoneo a ricomprendere, oltre ai fatti notori stricto sensu intesi, anche le leggi logiche, scientifiche e naturali universalmente riconosciute, capaci in quanto tali di guidare il processo inferenziale su cui si fonda il ragionamento del giudice, ossia, appunto, le massime di esperienza. Dovrebbe allora risultare più chiara la differenza intercorrente tra le due categorie: le massime di esperienza attengono alla formazione del ragionamento giudiziale - ad esempio, quali regole idonee a fondare il libero convincimento del giudice nella valutazione delle prove a norma dell'art. 116 c.p.c. –, e, come tali, appartengono antropologicamente alle capacità cognitive e intellettuali del giudicante; mentre i fatti notori – cui sono da ricondurre quelli rilevanti nel caso di specie -, ineriscono, all'opposto, all'estensione dei facta probanda. Non integrano un fatto notorio le opinioni sociologiche meramente soggettive e regole di parziale valutazione della realtà costituiscono fatti a valenza solo suggestiva, sicché non posseggono un grado di univocità e sicura percezione da parte della collettività da risultare indubitabili e incontestabili. In applicazione di tale principio, Cass. civ., sez. V, 29 ottobre 2014, n. 22950, ha cassato la decisione che aveva fondato la ricostruzione dei ricavi e del maggior reddito di un professionista sulla circostanza che "i clienti meridionali non sempre corrispondono onorari conformi alle tabelle professionali". D'altra parte, il «notorio» al quale allude il secondo comma dell'art. 115 c.p.c., è costituito dalle cognizioni comuni e generali in possesso della collettività nel tempo e nel luogo della decisione, senza necessità di ricorso a particolari informazioni o giudizi tecnici. In applicazione di tale principio, Cass. civ., sez. III, 21 maggio 2004, n. 9705, ha cassato la sentenza di merito che aveva giustificato la mancata utilizzazione di un generatore di corrente per sopperire ad un guasto delle linee elettriche, con la «oggettiva difficoltà» di uso di tale apparecchio e con la necessità di controllarne il funzionamento e rifornirlo di combustibile, assumendo che tali circostanze, non provate in causa, costituissero nozioni di fatto rientranti nella comune esperienza. E' opportuno precisare che le nozioni di fatto rientranti nella comune esperienza, che, ai sensi del secondo comma dell'art. 115 c.p.c., il giudice può porre a base della decisione, non costituiscono presunzioni iuris et de iure, dovendo pertanto il giudice accogliere le richieste istruttorie finalizzate a contrastare l'applicabilità, nella specie, delle ravvisate presunzioni. É questa la ragione per cui Cass. civ., sez. II, 19 gennaio 2006, n. 981, in una fattispecie relativa a opposizione a sanzione amministrativa per abbandono di animale domestico, ha cassato la sentenza del giudice di pace che aveva negato la prova circa lo smarrimento dell'animale e le ricerche effettuate dal proprietario, presumendo che il ritrovamento nei pressi di un'area di servizio dell'autostrada dimostrasse che l'animale era stato ivi intenzionalmente abbandonato, in conformità a un diffuso malcostume. Da non confondere con il fatto notorio è, infine, l'atto notorio, il quale non dà luogo ad una presunzione legale, sia pure juris tantum, circa la spettanza delle indicate qualità di erede o di legatario, ma integra un mero indizio, che deve essere comprovato da altri elementi di giudizio. In applicazione dell'enunciato principio, Cass. civ., sez. VI, 29 dicembre 2011, n. 29830, ha confermato la sentenza di merito, che aveva ritenuto mancante la prova della legittimazione all'impugnazione in capo agli appellanti, i quali, assumendo di avere la qualità di eredi della parte originaria, si erano limitati a produrre un atto notorio attestante l'avvenuto decesso di quest'ultima e la loro asserita qualità).
Per una parte della giurisprudenza di merito, il ricorso ai «fatti notori» ovvero alle nozioni di «comune esperienza» deve essere accompagnato da «cautela», in quanto «ogni individuo ha una propria personalità, unica e diversa da ogni altro soggetto e, quindi, diverse da individuo a individuo saranno le conseguenze psichiche collegate a fatti illeciti di valenza simile, sotto il profilo della loro concreta incidenza sulla personalità del soggetto leso» (App. Milano, 29 gennaio 2003). Per i Giudici di legittimità il ricorso alle nozioni di comune esperienza (fatto notorio), comportando una deroga al principio dispositivo ed al contraddittorio, in quanto introduce nel processo civile prove non fornite dalle parti e relative a fatti delle stesse non vaglianti né controllati, va inteso in senso rigoroso, e cioè come fatto acquisito alle conoscenze della collettività con tale grado di certezza da apparire indubitabile ed incontestabile (e non quale evento o situazione oggetto della mera conoscenza del singolo giudice; cfr., ex multis, Cass. civ., n. 2808/2013; Cass. civ., n. 16959/2012; Cass. civ., n. 23978/2007 e Cass. civ., n. 24959/2005, ma soprattutto Cass. civ., n. 6299/2014); non si possono di conseguenza reputare rientranti nella nozione di fatti di comune esperienza, intesa quale esperienza di un individuo medio in un dato tempo e in un dato luogo, quegli elementi valutativi che implicano cognizioni particolari, o anche solo la pratica di determinate situazioni, né quelle nozioni che rientrano nella scienza privata del giudice, poiché questa, in quanto non universale, non rientra nella categoria del notorio, neppure quando derivi al giudice medesimo dalla pregressa trattazione di analoghe controversie (Cass. civ., sez. II, 8 agosto 2002, n. 11946). In particolare, non possono farsi rientrare tra le nozioni di comune esperienza le acquisizioni scientifiche di natura tecnica e quegli elementi valutativi che richiedono il preventivo accertamento di particolari dati. E' dunque viziata, ad esempio, la pronuncia di merito che fissa l'incidenza dei costi di produzione sui maggiori ricavi accertati sulla base dell'esperienza personale del collegio giudicante in relazione a problematiche “simili”. In definitiva, è decisamente prevalente, nella giurisprudenza di legittimità, l'orientamento restrittivo in merito al concetto di “fatto notorio”. Ulteriore corollario di questo approccio è che per aversi fatto notorio occorre, in primo luogo, che si tratti di un fatto che si imponga all'osservazione ed alla percezione della collettività, di modo che questa possa compiere per suo conto la valutazione critica necessaria per riscontrarlo, sicché al giudice non resti che constatarne gli effetti e valutarlo soltanto ai fini delle conseguenze giuridiche che ne derivano; in secondo luogo, occorre che si tratti di un fatto di comune conoscenza, anche se limitatamente al luogo ove esso è invocato, o perché appartiene alla cultura media della collettività, ivi stanziata, o perché le sue ripercussioni sono tanto ampie ed immediate che la collettività ne faccia esperienza comune anche in vista della sua incidenza sull'interesse pubblico che spinge ciascuno dei componenti della collettività stessa a conoscerlo. Alla stregua di tali principi non rientra nella categoria del fatto notorio il valore di un determinato immobile, quando ne sia richiesta una precisa determinazione ai fini dell'individuazione della base imponibile di un tributo (Cass. civ., sez. I, 9 luglio 1999, n. 7181). Sul piano probatorio, Cass. civ., sez. VI-III, 28 agosto 2017, n. 20482, ha affermato un importante principio, confermando che il fatto “notorio” deve essere inteso come fatto che, rientrando nella comune esperienza, deve intendersi conosciuto senza necessità di essere specificamente provato e che, pertanto, deve essere specificamente accertato, anche a mezzo di CTU, onde essere individuato nella sua effettiva oggettività e poter costituire la base di un accertamento presuntivo non inficiato dall'incertezza dei fatti noti. In particolare, accogliendo l'appello incidentale proposto da un'assicurazione, il tribunale aveva rigettato la pretesa risarcitoria avanzata da un soggetto, in relazione a lesioni che lo stesso assumeva di essersi procurato andando ad urtare, col volto, contro la portiera di un'autovettura aperta improvvisamente dal conducente di un'auto mentre egli camminava sul marciapiede in prossimità del quale era stata parcheggiata la vettura. Il giudice di merito aveva ritenuto che la versione dei fatti prospettata dall'attore, risultante dalla denuncia di sinistro del convenuto, e confermata da un teste, non rispondesse al vero, in quanto contrastante con elementi di fatto notori che facevano escludere che l'attore avesse urtato lo sportello all'altezza della bocca. La Suprema Corte, con la sentenza menzionata, ha censurato la pronuncia del tribunale, atteso che, a suo avviso, i giudici di merito avevano posto a fondamento della loro decisione una erronea interpretazione della nozione di “fatti notori”. Ciò, in quanto: «il Tribunale ha individuato come fatti notori l'altezza dell'auto (indicata in non più di 1,55 mt), quella del marciapiede (indicata in almeno 10 cm) e quella della suola delle scarpe calzate dall'attore (“almeno 2 cm”) e ha concluso che, tenuta presente l'altezza dell'attore (indicata in 1,70 mt) e stimata in 12 cm fra la distanza fra la sommità del capo e la bocca dell'attore, non risultava verosimile che lo sportello lo avesse colpito alla bocca. È evidente, infatti, che l'altezza della vettura, quella del marciapiede e la distanza fra la bocca e la sommità del capo della vittima costituiscono elementi che non rientrano nella comune esperienza e che, pertanto, sarebbero dovuti essere specificamente accertati, eventualmente a mezzo di CTU, onde essere individuati nella loro effettiva oggettività e poter costituire la base di un accertamento presuntivo non inficiato dall'incertezza dei fatti noti». Pertanto, secondo il ragionamento della Suprema Corte, la sentenza era viziata nella parte in cui aveva attribuito valenza di notorio a fatti che non rivestivano tale natura e che richiedevano, pertanto, di essere provati per poter essere posti a fondamento della decisione. Il ricorso al fatto notorio (al pari del ricorso alle nozioni di comune esperienza), ai sensi dell'art. 115, comma 2, c.p.c., attiene all'esercizio di un potere discrezionale riservato al giudice di merito; pertanto, l'esercizio, sia positivo che negativo, di tale potere non è sindacabile in sede di legittimità, ed egli non è tenuto ad indicare gli elementi sui quali la determinazione si fonda, essendo, invece, censurabile l'assunzione, a base della decisione, di un'inesatta nozione del notorio, che va inteso quale fatto generalmente conosciuto, almeno in una determinata zona (cd. notorietà locale) o in un particolare settore di attività o di affari da una collettività di persone di media cultura. E così, ad esempio, Cass. civ., sez. III, 18 luglio 2011, n. 15715, ha ritenuto che correttamente il giudice di merito non avesse fatto ricorso alla nozione di notorio per configurare un danno alla salute causato dalla esposizione a rumore derivante da immissioni sonore provocate dall'attività notturna di locali pubblici. In applicazione dello stesso principio, Cass. civ., sez. III, 19 agosto 2003, n. 12112, in un giudizio avente ad oggetto il risarcimento dei danni derivanti dalla risoluzione per inadempimento del contratto di affitto di un'azienda alberghiera, ha confermato la sentenza impugnata, secondo la quale doveva ritenersi notorio che in Versilia la stagione turistica dura sei mesi. Dal canto suo, Cass. civ., sez. III, 17 gennaio 2003, n. 609, ha reputato esente da vizi la sentenza del giudice di merito che non aveva ritenuto, ai fini della qualificazione del contratto, di far uso della nozione di comune esperienza secondo la quale, laddove nelle transizioni usualmente l'importo da corrispondere viene arrotondato, nelle semplici quietanze di pagamento esso viene riportato senza alcun arrotondamento. Tuttavia, sul punto, la Suprema Corte ha chiarito che il mancato ricorso, da parte del giudice del merito, alle nozioni di fatto rientranti nella comune esperienza, di cui all'art. 115 c.p.c., deve essere specificamente spiegato ed è suscettibile di essere apprezzato dal giudice di legittimità sotto il profilo del vizio di insufficiente motivazione. In quest'ottica, Cass. civ., sez. III, 10 aprile 2012, n. 5644, ha cassato la sentenza di merito che, omettendo di applicare la nozione di comune esperienza secondo cui un impianto di allarme specifico è in qualche misura utile per evitare il furto o per attenuarne le conseguenze, aveva escluso il nesso causale tra il malfunzionamento del dispositivo ed il furto, sul rilievo che il reato si era consumato nell'arco di pochi minuti, senza dar conto delle ragioni per le quali il suono della sirena non avrebbe potuto spiegare un effetto totalmente o parzialmente deterrente, idoneo ad impedire o ad attenuare i danni subiti dal creditore del soggetto che aveva fornito l'impianto e ne provvedeva alla manutenzione (in questi termini cfr. altresì Cass. civ., sez. III, 28 ottobre 2010, n. 22022). Anche se internet è alla portata di tutti e i contenuti ivi presenti sono pubblici e facilmente raggiungibili da chiunque, in qualsiasi momento, le nozioni apprese sul web non possono considerarsi fatti notori. Pertanto, il giudice non può, durante la causa, fare ricerche su internet per integrare le prove presentate dagli avvocati. Pertanto, se, nel corso di una causa, gli avvocati delle parti non offrono al giudice sufficienti elementi di prova per decidere, quest'ultimo non può ricercare, di sua iniziativa, ulteriori fonti di prova attraverso indagini condotte in autonomia, come ad esempio andando a ricercare su internet informazioni e altri dati sui fatti relativi alla controversia (Cass. pen., 2 febbraio 2017, n. 4951). Nel caso esaminato, l'imputata si era lamentata del fatto che il giudice di primo grado – effettuando una navigazione su Internet in camera di consiglio e qualificando come “fatto notorio” le informazioni così acquisite sul web – aveva svolto un'attività inquisitoria illegittima, al di fuori del contraddittorio tra le parti. Da ciò deriva che è illegittimo che un giudice faccia una navigazione in Internet, fuori dal contraddittorio delle parti, che lo porti ad accertare elementi e dati non forniti nel corso del giudizio dagli avvocati. Secondo i Supremi giudici, le informazioni così acquisite non possono rientrare nel fatto notorio. È fatto notorio solo quello che non richiede la verifica della prova. Quindi, in sostanza, il fatto che siano state necessarie ricerche per acquisire quelle informazioni rende di per sé evidente che non si tratta di un fatto notorio. Secondo la Suprema Corte, nemmeno le informazioni tratte dal web rappresentano fatti notori: «la circostanza che attraverso il ricorso ai moderni strumenti informatici un'informazione sia agevolmente accessibile ad una vasta platea di soggetti non rende di per sé “notoria” l'informazione”; nel caso in esame, il fatto stesso che fossero state comunque necessarie delle ricerche su Internet per acquisire le informazioni contestate rende ispo facto evidente che non si trattava certo di un fatto notorio». Appare in tal senso interessante anche un'ordinanza del Tribunale di Mantova del 16.05.2006, che ha dichiarato la parziale nullità di una consulenza tecnica, in quanto il CTU aveva irritualmente acquisito e utilizzato una serie di informazioni tratte dai siti web (l'utilizzo da parte del consulente d'ufficio di documentazione non ritualmente introdotta nel processo determina la nullità della relazione): osserva il Tribunale che «le notizie acquisite attraverso internet non possono definirsi nozioni di comune esperienza, a mente dell'art. 115 ult.comma c.p.c., dovendo la norma essere intesa in senso rigoroso, comportando la stessa una deroga al principio dispositivo, per cui “notorio” deve intendersi solo il fatto che una persona di media cultura conosce in un dato tempo e in un dato luogo, mentre le informazioni pervenute da Internet, quand'anche di facile diffusione ed accesso per la generalità dei cittadini, non costituiscono dati incontestabili nelle conoscenze della collettività». Se Internet non può essere utilizzato da un giudice per supplire autonomamente alle carenze probatorie delle parti, ciò non significa che il web non possa costituire un'utile fonte di prove. Con sentenza n. 9732/2015, per esempio, la Corte di cassazione ha ritenuto legittimo il ricorso ad Internet come fonte di indizi utili ad avvalorare un accertamento induttivo, in una fattispecie in cui l'amministrazione finanziaria aveva ricostruito i maggiori redditi di una società immobiliare basandosi – tra l'altro – anche sull'alto numero di inserzioni promozionali pubblicate su Internet dalla società per gli immobili da vendere. Inoltre, anche i social network possono rappresentare delle preziose fonti di notizie e informazioni utilizzabili processualmente: è sufficiente che siano le parti ad allegare tempestivamente e ritualmente nel giudizio le informazioni reperite sul web. Il sindacato sul ricorso al fatto notorio
Non è revocabile in dubbio che, qualora il giudice del merito abbia posto alla base della decisione un fatto qualificandolo come notorio, tale fatto e la sua qualificazione sono anch'essi denunciabili in sede di legittimità sotto il profilo della violazione dell'art. 115, comma 2, c.p.c. e la Corte di cassazione eserciterà il proprio controllo ripercorrendo il medesimo processo cognitivo dello stato di conoscenza collettiva operato dal giudice del merito. Nell'affermare tale principio, da un lato, Cass. civ., sez. III, 29 novembre 2011, n. 25218, ha ritenuto notorio il fatto che la presenza di un secondo passeggero a bordo di un ciclomotore determini un carico eccessivo idoneo a ridurre sia la stabilità del mezzo che la sua capacità di frenata e, dall'altro, Cass. civ., sez. Lav., 9 settembre 2008, n. 22880, ha confermato la sentenza impugnata secondo cui rientrava nella comune esperienza, senza bisogno di prove, il fatto che per l'attività di chirurgo fosse essenziale un' adeguata manualità, e che la relativa professionalità decadesse in mancanza di esercizio. In termini più generali, l'affermazione del giudice di merito circa la sussistenza di un fatto notorio può essere censurata in sede di legittimità solo se sia stata posta a base della decisione una inesatta nozione del notorio, da intendere come fatto conosciuto da un uomo di media cultura, in un dato tempo e luogo, non anche per inesistenza o insufficienza di motivazione, poiché tale affermazione è frutto di un potere discrezionale dello stesso giudice che, pertanto, non è tenuto ad indicare gli elementi sui quali la determinazione si fonda. Peraltro, al giudice è data la possibilità di far capo anche alla comune cultura di una specifica e, se del caso, particolarmente qualificata cerchia sociale — definita come insieme di persone aventi tra loro una comunanza di interessi — così da far assurgere all'alveo del notorio anche nozioni sicuramente esorbitanti da quella cultura media che rappresenta il naturale parametro della nozione in oggetto. In adesione a tale impostazione, Cass. civ., sez. II, 19 aprile 2001, n. 5809, ha confermato quanto ritenuto dalla corte d'appello secondo cui l'imprenditore (gioielliere) generalmente opta per la formula di assicurazione a primo rischio assoluto, pur pagando un premio più elevato rispetto a quello dei contratti ex art. 1907 c.c., nell'intento di evitare contestazioni con l'impresa assicuratrice in caso di furto parziale della merce esistente. Più di recente Cass. civ., sez. II, 22 agosto 2018, n. 20896, ha statuito che in sede di legittimità è censurabile per violazione di legge l'assunzione da parte del giudice di merito di una inesatta nozione di fatto notorio – da intendere come fatto conosciuto da uomo di media cultura, in un dato tempo e luogo – e non anche il concreto esercizio del suo potere discrezionale di ricorrere alla massima di esperienza, che può essere censurato solo per vizio di motivazione. In particolare, dinanzi alla Suprema Corte è possibile censurare, per violazione di legge, l'utilizzo del fatto notorio solo sub specie di doglianza alla nozione di notorietà assunta dal giudice di merito, rimanendo preclusa, viceversa, la possibilità di censurare il concreto esercizio, da parte dello stesso, del suo potere discrezionale di ricorrere al fatto notorio, potendo tale doglianza integrare soltanto un vizio di motivazione. La eventuale scelta compiuta dal giudice di merito di non considerare determinati fatti quali notori, e porli a base dell'accertamento del danno subito dagli attori, deve essere correttamente veicolato nelle forme del vizio motivazionale, ovviamente laddove i giudici territoriali non abbiano provveduto ad argomentare esaurientemente tali scelte.
Casistica
Riferimenti
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