Le astensioni degli avvocati non ledono la ragionevolezza e l’efficienza del processo penale
04 Febbraio 2019
La Corte costituzionale (9 – 31 gennaio 2019, n. 14) ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 2, commi 1, 2 e 5, della legge 12 giugno 1990, n. 146 (Norme sull'esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e sulla salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati. Istituzione della Commissione di garanzia dell'attuazione della legge), come modificata dalla legge 11 aprile 2000, n. 83 (Modifiche ed integrazioni della legge 12 giugno 1990, n. 146, in materia di esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e di salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati), sollevate, in riferimento all'art. 97 della Costituzione, dalla Corte d'appello di Venezia, 24 maggio 217, n. 182. Con la medesima sentenza la Corte ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 2, commi 1, 2 e 5, della legge 146 del 1990, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost., quest'ultimo anche in relazione all'art. 6 Cedu), sempre dalla Corte d'appello di Venezia. La Corte d'appello in particolare sollevava Q.L.C. delle suddette norme nella parte in cui, nel caso di plurime astensioni degli avvocati dalle udienze accomunate, per espressa dichiarazione dell'azione promotrice, dalle medesime ragioni di protesta non prevedono che la preventiva comunicazione obbligatoria del periodo dell'astensione e della relativa motivazione debba riguardare tutte le iniziative tra loro collegate, con l'indicazione di un termine finale e non con la singola astensione di volta in volta proclamata; tale mancanza violerebbe il principio costituzionale di ragionevolezza ed efficienza del processo penale, nonché del buon andamento dell'andamento dell'amministrazione della giustizia. I giudici delle leggi precisano anzitutto che la disposizione sulle prestazioni indispensabili in materia penale contenuta nel codice di autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze degli avvocati deve essere valutata con riferimento alla sopravvenuta dichiarazione di parziale illegittimità costituzionale dell'art. 2-bis della legge 146/1990 (Corte cost. 180/2018). Come già affermato nella citata sentenza, la Corte ricorda che «l'astensione dalle udienze degli avvocati e procuratori è manifestazione incisiva della dinamica associativa volta alla tutela di questa forma di lavoro autonomo, in relazione alla quale è identificabile, più che una mera facoltà di rilievo costituzionale, un vero e proprio diritto di libertà». Ovviamente è necessario un bilanciamento con gli altri interessi in gioco, bilanciamento che – sostiene la Corte – è realizzato anche con specifico riferimento alla ripetizione dell'astensione collettiva «nella più articolata modulazione temporale prevista dal codice di autoregolamentazione, il cui art. 2, comma 4, prescrive che l'astensione non può superare otto giorni consecutivi, con l'esclusione dal computo della domenica e degli altri giorni festivi. Inoltre, con riferimento a ciascun mese solare, non può comunque essere superata la durata di otto giorni, anche se si tratta di astensioni aventi a oggetto questioni e temi diversi. In ogni caso tra il termine finale di un'astensione e l'inizio di quella successiva deve intercorrere un intervallo di almeno quindici giorni. Il limite mensile massimo di otto giorni e l'intervallo minimo di quindici giorni riguardano appunto la possibile sequenza di altrettante distinte proclamazioni riferite a singoli intervalli di astensione collettiva». |