La notifica a mezzo posta non a mani proprie. La decorrenza del termine dopo la legge di stabilità 2019

Gianluca Bergamaschi
07 Febbraio 2019

La questione attiene al momento di perfezionamento finale e al relativo decorso del termine, laddove la notificazione a mezzo posta, ex art. 7 della l. 890/1982, sia avvenuta al domicilio dichiarato o eletto dall'interessato ma non a mani proprie, con la conseguente necessità che l'addetto postale, dopo aver consegnato il plico ad altra persona idonea alla ricezione, invii una raccomandata al destinatario designato dal mittente; in pratica se il termine di riferimento debba decorrere dalla mera spedizione o dall'effettiva ricezione della raccomandata.
Abstract

La questione attiene al momento di perfezionamento finale e al relativo decorso del termine, laddove la notificazione a mezzo posta, ex art. 7 della l. 890/1982, sia avvenuta al domicilio dichiarato o eletto dall'interessato ma non a mani proprie, con la conseguente necessità che l'addetto postale, dopo aver consegnato il plico ad altra persona idonea alla ricezione, invii una raccomandata al destinatario designato dal mittente; in pratica se il termine di riferimento debba decorrere dalla mera spedizione o dall'effettiva ricezione della raccomandata.

L'evoluzione normativa

La questione, in realtà, non è nuova, in quanto già il d.l. 31 dicembre 2007 n. 248 convertito, con modificazioni, nella l. 28 febbraio 2008, n. 31 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria), aveva aggiunto, in sede di conversione (art. 36, comma 2-quater), un sesto comma all'art. 7 della l. 20 novembre 1982, n. 890 (Notificazioni di atti a mezzo posta e di comunicazioni a mezzo posta connesse con la notificazione di atti giudiziari), così recitante: «Se il piego non viene consegnato personalmente al destinatario dell'atto, l'agente postale dà notizia al destinatario medesimo dell'avvenuta notificazione dell'atto a mezzo di lettera raccomandata».

Sennonché – dopo diversi anni e, probabilmente, per ragione non squisitamente giuridiche – la necessità di tale adempimento venne soppressa per effetto dell'art. 1, comma 97-bis, lett. f), della l. 23 dicembre 2014, n. 190 (l. stabilità 2015), come modificato dall'articolo 1, comma 461, della l. 27 dicembre 2017, n. 205 (l. stabilità 2018).

Evidentemente pentito della scelta, il legislatore ha provveduto, ora, a ripristinare l'adempimento con l'art. 1, comma 813, lett. c), della l. 30 dicembre 2018, n. 145 (l. stabilità 2019), che all'art. 7, comma 3, della l. 890/1982 aggiunge: «Se il piego non viene consegnato personalmente al destinatario dell'atto, l'operatore postale dà notizia al destinatario medesimo dell'avvenuta notificazione dell'atto a mezzo di lettera raccomandata. Il costo della raccomandata è a carico del mittente».

Ora – a parte lo stucchevole andirivieni normativo, che tanto piacere fa agli operatori del diritto, e l'addebito al mittente, atto a risolvere le problematiche finanziarie a cui la norma aveva, forse, dato vita –, la previsione appare un'occasione perduta di risolvere una disputa giudiziaria, giacché, in costanza della precedente e omologa norma supra evidenziata, la giurisprudenza di legittimità si era divisa sulla decorrenza del termine a fronte della raccomandata; e tale, presumibilmente, resterà, stante il fatto che il legislatore non ha ritenuto di sciogliere questo nodo, pur intervenendo nuovamente nella materia.

La disputa giurisprudenziale

Come si è accennato, due sono gli indirizzi della Cassazione: uno più formalista, che, esaltando il dato letterale e brandendo omologie normative, considera perfetta la notifica e decorrente il termine giuridico collegato, dalla mera spedizione della raccomandata; l'altro, più concettuale e sostanzialista, che considera la notifica perfezionata e il termine decorrente, solo a seguito e dal momento della ricezione della predetta missiva.

È da dire che la questione è emersa soprattutto in occasione delle notifiche dei D.P.C., stante l'esiguità del termine per l'opposizione, sicché anche pochi giorni in più o in meno possono fare la differenza.

Capostipite del primo indirizzo sembra la Cass. pen., Sez. VI, n. 3827/2011, la quale, proprio in tema di notifica di un D.P.C., precisò che la disciplina della raccomandata, da inviarsi se la notifica non sia a mani proprie del destinatario, non subisce limitazioni dal fatto che essa avvenga al domicilio dichiarato o eletto, tuttavia ritenne sufficiente la spedizione e non necessaria la ricezione, per far scattare il termine quindicinale per proporre opposizione, infatti scrisse: «Al riguardo, peraltro, in mancanza di specificazioni diverse (quale, in particolare il decorso di un certo tempo dall'invio), deve ritenersi sufficiente, per il perfezionamento della notifica, la mera spedizione della detta raccomandata».

L'arresto, trae argomento anche dall'origine dell'innovazione, individuata nella sentenza della Corte cost. n. 346/1998, che dichiarò l'illegittimità costituzionale della l. 20 novembre 1982, n. 890, art. 8, comma 2: «[…] nella parte in cui non prevede che, in caso di rifiuto di ricevere il piego o di firmare il registro di consegna da parte delle persone abilitate alla ricezione ovvero in caso di mancato recapito per temporanea assenza del destinatario o per mancanza, inidoneità o assenza delle persone sopra menzionate, del compimento delle formalità descritte e del deposito del piego sia data notizia al destinatario medesimo con raccomandata con avviso di ricevimento.»; da cui la novella normativa di adeguamento a tale intervento, ossia la l. 14 marzo 2005, n. 35, che modificò l'art. 8, prevedendo espressamente, fra l'altro, l'obbligo dell'avviso, a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento, del compimento delle formalità conseguenti all'impossibilità di consegna del piego alle persone abilitate ed il perfezionamento della notifica col decorso di dieci giorni dalla data di spedizione della raccomandata. Su questa via il legislatore, con il d.l. 31 dicembre 2007, n. 248, art. 36, comma 2-quater, convertito, con modifiche, nella l. 28 febbraio 2008, n. 31, previde tale adempimento anche con riferimento alla fattispecie di cui all'art. 7 della l. 890/1982, relativa alla notificazione a mezzo posta eseguita mediante consegna dell'atto a persona diversa dal destinatario.

Propende per lo stesso indirizzo, poi, la Cass., III, n. 36598/2017: «[…] perché maggiormente aderente al contenuto letterale della disposizione in esame.»; infatti l'art. 7, comma 6, della l. 890/1982: «[…] non prevede per il perfezionamento della notifica, il decorso di un determinato periodo di tempo dall'invio della raccomandata, assumendo quindi rilievo la mera spedizione della stessa.»; e aggiunge che: «[…] va inoltre tenuto conto che, nelle ipotesi disciplinate dai due articoli in precedenza richiamati, si è in presenza di quella che la sentenza 3827/2010 condivisibilmente indica come "cautela accessoria", finalizzata, cioè, ad offrire maggiore garanzia di conoscenza dell'atto, atto che, per ciò che concerne le ipotesi di cui all'art. 7, è comunque pervenuto all'indirizzo ove era destinato, seppure consegnato a persona diversa dal destinatario ma, comunque, capace e non estranea al destinatario medesimo, trattandosi di familiare convivente, persona addetta alla casa o al servizio del destinatario, ovvero portiere dello stabile o persona che, vincolata da rapporto di lavoro continuativo, è comunque tenuta alla distribuzione della posta»; e chiosa che: «Va anche osservato, tenuto conto del contenuto dell'art. 8, che lo stesso, rispetto ai casi disciplinati dall'art. 7, riguarda una modalità di notifica che ha come presupposto la mancata consegna dell'atto per temporanea assenza del destinatario, tanto che lo stesso viene poi depositato presso l'ufficio postale, dando avviso del deposito con la successiva raccomandata e, ciò nonostante, considera come eseguita la notificazione trascorsi dieci giorni dalla data del deposito, la cui decorrenza, secondo la giurisprudenza di questa Corte, è fissata non con riguardo alla ricezione della raccomandata da parte del destinatario, bensì con riferimento alla data dell'invio della stessa […]».

Sulla medesima linea si colloca anche Cass. pen., Sez. III, n. 52430/2018, la quale ritiene che la notifica si perfezioni già con la consegna del plico contenente l'atto, per cui, in caso di necessità di spedizione della raccomandata, ogni termine decorra dal momento di tale ultimo adempimento (nello specifico quello per proporre opposizione a D.P.C.), giacché non si devono confondere: «[…] le cautele predisposte al fine di offrire maggiori garanzie di effettiva conoscenza dell'atto da parte del destinatario dell'atto comunque recapitato al suo indirizzo di residenza o domicilio, cui risponde l'inoltro dell'ulteriore avviso di ricevimento, con il perfezionamento della notifica, momento dal quale decorrono termini specifici di decadenza, che secondo la littera legis si compie con la consegna del piego ad uno dei soggetti indicati dalla disposizione e con la spedizione da parte dell'agente postale della raccomandata, nulla essendo contemplato in ordine alla sua ricezione. La funzione cui risponde l'invio della raccomandata è infatti prevista a tutela del destinatario tutte le volte in cui questi non abbia ricevuto personalmente l'atto, come del resto dispone, a seguito della dichiarazione di parziale incostituzionalità pronunciata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 346 del 1998 e delle successive modifiche apportate dalla l. 14 marzo 2005, n. 35, anche il successivo art. 8, comma 2, della stessa legge secondo cui, in caso di temporanea assenza del destinatario e degli altri soggetti indicati dall'art.7, l'agente postale provvede al deposito del piego lo stesso giorno presso l'ufficio postale preposto alla consegna o presso una sua dipendenza, dandone notizia al destinatario, mediante avviso in busta chiusa a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento che deve essere affisso alla porta d'ingresso oppure immesso nella cassetta della corrispondenza dell'abitazione, dell'ufficio o dell'azienda.

Se dunque, deve ritenersi che l'assenza, nell'art. 7, di specifiche indicazioni vada letto nel senso prospettato dalla sentenza 3827/2010, nel caso in esame la decorrenza dei termini per la presentazione dell'opposizione andava calcolata, come ha correttamente fatto il giudice di merito, in base alla data di spedizione della raccomandata.».

L'indirizzo opposto e, par di capire, minoritario, è ben significato, invece, dalla Cass. pen., Sez. II, n. 13900/2016, che, in siffatti casi, propene per il perfezionamento della notifica al momento della ricezione della raccomandata e non della sua mera spedizione, con il relativo decorso del temine per eventuali adempimenti collegati; infatti la Corte spiega che: «[…] ogni adempimento finalizzato alla corretta instaurazione del contraddittorio deve essere portato a buon fine, e di ciò deve esistere prova certa in atti, poiché, in caso contrario, averlo disposto senza portarlo a compimento equivarrebbe a non averlo disposto (del che è testimonianza, a contrariis, il principio generale del raggiungimento dello scopo, cui l'art. 183 c.p.p. riconosce efficacia sanante di eventuali nullità).».

Considerazioni

Come spesso accade, la tesi minoritaria si fa preferire in un'ottica squisitamente sostanziale e garantista, ossia tesa a garantire lo scopo chiaramente perseguito dalla normativa, che, nella fattispecie, non può che essere quello di concedere una dilazione temporale per l'adempimento successivo e collegato alla notifica (ad esempio per l'opposizione al D.P.C.), ogniqualvolta l'atto, pur notificato al domicilio dichiarato o eletto, non sia stato ricevuto personalmente e, dunque, immediatamente conosciuto dal destinatario effettivo.

Invero, non fa una grinza il ragionamento giurisprudenziale che fa decorrere il perfezionamento o, comunque, il termine collegato, dalla ricezione della raccomandata e non dalla semplice spedizione, giacché sarebbe privo di senso e razionalità che l'ordinamento prevedesse un adempimento informativo e, poi, si disinteressasse completamente dell'esito, cosicché si potrebbe arrivare all'assurdo di considerare tutto perfetto anche ove la raccomandata, pur spedita, non fosse, per qualsiasi ragione, arrivata.

Ragionare in termini differenti, come fa la giurisprudenza che si accontenta della spedizione e da tale momento fa decorrere i termini, si configura, infatti, come finalisticamente irrazionale nonché chiaramente sperequativo rispetto ad una situazione consimile, quale quella prevista dall'art. 157, comma 8, c.p.p. (Prima notificazione all'imputato non detenuto [da parte dell'Ufficiale giudiziario]), giacché – sebbene in tale ultimo caso sia fallito anche il tentativo di consegna al domicilio conosciuto – l'essenza comune del discorso verte sulla stessa circostanza che non sia stata possibile la forma principe di notifica (e l'unica veramente idonea a garantire la conoscenza immediata diretta ed effettiva), ossia quella a mani proprie, cosicché il tenere conto della sola data di ricezione della raccomandata, rappresenta l'unica interpretazione “costituzionalmente orientata” e, come tale, idonea a sventare qualsiasi questione di incostituzionalità, sicuramente ipotizzabile ove si restasse pervicacemente ancorati al dato puramente letterale, puntando soprattutto su quello che non dice.

A fronte di questo, poco vale definire la previsione dell'invio della raccomandata, come una “cautela accessoria”, come se ciò bastasse ad evitare i deterministici effetti che debbono prodursi, se si vuole che tala cautela abbia un senso compiuto ed effettivo.

Così come non scompone il fatto che manchi un'espressa indicazione normativa in tal senso, come è, invece, per il già citato comma 8 dell'art. 157 c.p.p.; giacché, a fronte di un'evidente eodem ratio sostanziale, tale omissione non può che essere concepita come una carenza normativa, colmabile, dunque, anche attraverso il ricorso all'analogia.

D'altro canto, il fatto che la littera legis preveda che, in generale, il perfezionamento della notifica e la decorrenza dei termini si abbiano con la materiale consegna del plico, non toglie che, nello specifico caso di consegna a persona diversa dall'interessato, i due momenti possano essere scissi, ossia possa esservi un perfezionamento formale della notifica ed una contemporanea sospensione della decorrenza del termine per consentire quella dilazione temporale di cui si diceva all'inizio, giacché questa appare chiaramente la voluntas legis – ove la si presupponga razionale, ossia fondata sul principio d'identità e di non contraddizione – e perché una tale sospensione comunque si verifica, vale a dire anche se la si limiti al momento della spedizione della lettera, anziché prolungarla fino a quello della ricezione.

Infine, non turba, nemmeno il fatto che l'art. 8 della l. 890/1982, espressamente preveda nell'avviso del tentativo di notifica: «[… ]l'avvertimento che la notificazione si ha comunque per eseguita trascorsi dieci giorni dalla data di spedizione della lettera raccomandata […]»; così come che la notifica s'intende avvenuta e l'avviso di ricevimento sia rispedito al mittente: «Trascorsi dieci giorni dalla data di spedizione della lettera raccomandata, di cui al comma 4, senza che il destinatario o un suo incaricato ne abbia curato il ritiro …»; giacché ciò è puramente funzionale allo specifico meccanismo della “compiuta giacenza”, previsto dalla norma quale strumento di conoscenza legale dell'atto (per altro assai discutibile in sede penale, perché si risolve spesso una fictio iuris), e non rappresenta un tentativo ulteriore di garantire una conoscenza diretta ed effettiva dello stesso, quale è, invece, la previsione del precedente art. 7, ossia si tratta di due previsioni aventi una ratio chiaramente diversa, per cui non ha senso ondeggiare tra di esse per trarne un risultato ermeneutico che, alla fine, non può che essere illogico, sia sul piano giuridico che su quello cartesiano.

In conclusione

Naturalmente, tutte queste problematiche, ma pure tutto il “divertimento” analitico dei legulei, sarebbero risolte ab imis se il legislatore facesse fino in fondo il suo dovere, evitando aporie ed ambiguità normative, che, alla fine, si risolvono in una delega di completamento all'Autorità giudiziaria, salvo, poi, lamentarsi del largo utilizzo che questa ne fa, trasformando la propria fisiologica discrezionalità vincolata, in una patologica discrezionalità assoluta e, come tale, incompatibile con un sistema in cui non si ammette la giurisprudenza creativa del diritto, in concorso con l'ordinario iter legislativo.

Ora, il legislatore, non solo dovrebbe evitare ciò, allorquando confeziona e licenzia una norma, ma dovrebbe appositamente attrezzarsi con periodici e regolari interventi per risolvere i nodi giuridici emergenti dalla pratica legale e giurisprudenziale.

Cosa vieta, infatti, che annualmente, con apposita legge che potremmo definire “legalitaria”, il legislatore, preso atto dei contrasti giurisprudenziali o della criticità normative manifestatesi nei dodici mesi precedenti, intervenga a risolverli prendendo chiaramente posizione, anziché aspettare che un indirizzo giurisprudenziale si consolidi negli anni, per poi semplicemente ratificarlo in modo puramente notarile.

Certo, ciò gioverebbe enormemente a quell'ineffabile bene che si usa invocare col nome di “certezza del diritto”, solo che atterrebbe anche alla qualità della legislazione e della giurisdizione, mentre oggi contano solo i problemi quantitativi, preferibilmente affrontabili con una logica brutalmente deflattiva.

Nello specifico problema trattato, per esempio, sarebbe costato poco aggiungere una riga e precisare espressamente il momento di decorrenza e invece niente; il legislatore, fedele ad una lunga, pigra e sciatta abitudine, ha preferito tenersi l'inchiostro nella penna, dal che l'esigenza di un intervento giurisprudenziale che vada oltre la mera ermeneusi e che, proprio per questo, dovrebbe autodisciplinarsi adottando l'indirizzo più garantista e più costituzionalmente orientato.

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