Vendita di un bene di proprietà sociale all’amministratore
11 Febbraio 2019
Si chiede di conoscere le conseguenze, sotto il profilo della eventuale responsabilità e validità della delibera, della operazione di vendita di un bene di proprietà sociale al presidente del c.d.a.
In termini generali, le operazioni svolte tra la società ed un amministratore della medesima, in considerazione di un possibile conflitto di interesse, generano obblighi in capo a quest'ultimo che, ove violati, possono dare origine alla invalidità della delibera consiliare, in caso di pregiudizio per la società, oltre che alla responsabilità in capo all'amministratore stesso. Al riguardo, l'art. 2391, comma 1, c.c. – relativamente alle s.p.a. - impone all'amministratore di notiziare gli altri componenti del consiglio di amministrazione ed il collegio sindacale di qualsiasi interesse che, per conto proprio o di terzi, abbia in una determinata operazione della società, precisandone la natura, i termini, l'origine e la portata. Dalla lettura di tale disposizione emerge, in primo luogo, che tale disciplina si applica a qualsiasi amministratore che abbia, in un determinata operazione della società, un “interesse”, non necessariamente in conflitto con quello della compagine amministrata. In secondo luogo, che la stessa non prevede un obbligo di astensione dal voto dell'amministratore interessato, ma esclusivamente un obbligo di informazione e motivazione dell'operazione. Da ciò consegue che l'amministratore può partecipare alla votazione nonostante la presenza di un interesse conflittuale; tuttavia, nel caso in cui il voto dell'amministratore interessato sia stato determinante per l'assunzione della decisione, la relativa deliberazione è impugnabile ove potenzialmente dannosa per la società. Nel caso in cui il soggetto portatore del particolare interesse è l'amministratore delegato della società, la normativa risulta più stringente, imponendo allo stesso di astenersi dal compiere l'operazione e di investire della medesima il c.d.a. (art. 2391, comma 1, c.c.). In presenza, inoltre, di amministratore unico, venendo a mancare la possibilità di una decisione collegiale, lo stesso deve darne notizia, oltre che al collegio sindacale, alla prima assemblea utile. Il secondo comma dell'art. 2391 stabilisce che in tutte le ipotesi sopra descritte la delibera consiliare deve “adeguatamente motivare le ragioni e la convenienza per la società dell'operazione”, pena l'impugnazione della delibera stessa. Ai sensi del terzo comma dell'art. 2391 c.c., infatti, le deliberazioni del c.d.a. o del comitato esecutivo adottate con il voto determinante dell'amministratore interessato (c.d. “prova di resistenza”), o in violazione degli obblighi di disclosure e di motivazione di cui sopra, ove arrechino danno alla società, possono essere impugnate dagli amministratori e dal collegio sindacale entro novanta giorni dalla loro data. L'impugnazione non può comunque essere proposta da colui che ha consentito con il proprio voto alla deliberazione se sono stati adempiuti gli obblighi di informazione sopra previsti. In ogni caso, l'amministratore risponde sia dei danni derivati alla società dalla sua azione od omissione (art. 2391, comma 4, c.c.), che dei danni causati alla società dalla utilizzazione a vantaggio proprio o di terzi di dati, notizie o opportunità di affari appresi nell'esercizio del suo incarico (art. 2391, comma 5, c.c.); nonché penalmente, per infedeltà patrimoniale, ex art. 2634, comma 1, c.c. Per le s.r.l. il legislatore non prevede espressamente, a differenza della disciplina delle s.p.a., un obbligo di informazione circa la condizione di conflitto di interessi in cui versi l'amministratore, limitandosi all'art. 2475-ter, comma 2, c.c., a prevedere l'impugnazione della delibera, rectius decisione, consiliare adottata con il voto determinante di un amministratore in conflitto di interessi con la società, ove produca un danno patrimoniale, entro novanta giorni da parte degli amministratori e, ove esistenti, dal collegio sindacale o dal revisore contabile. Tale esigua disciplina, a ben vedere, risulta coerente al modello societario di riferimento, nel senso della ritenuta non necessità della previsione espressa di obblighi particolari di trasparenza, oltre a quanto è possibile desumere dai doveri generali di diligenza a carico degli amministratori di s.r.l., sottesi al disposto di cui al primo comma dell'art. 2476 c.c. In conclusione – In conclusione, nel caso di vendita di un bene di proprietà sociale al presidente del c.d.a. (o qualsiasi amministratore) della società è necessario che l'amministratore acquirente comunichi la sussistenza di un potenziale interesse nell'operazione, precisando i termini della stessa, il valore di cessione - che dovrebbe almeno corrispondere a quello di mercato - e le modalità di vendita. Inoltre, a parere di chi scrive, sarebbe comunque opportuna l'astensione da parte dell'amministratore interessato dall'esercizio del diritto di voto, al fine di evitare una possibile impugnazione della delibera assembleare assunta con il suo voto determinante, ove dannosa per la società ed un'azione risarcitoria nei suoi confronti.
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