Impugnazione del licenziamento intimato durante la maternità da parte di lavoratrice dipendente da azienda cessata, di fatto addetta anche ad altre aziende
14 Febbraio 2019
Massima. Ove il collegamento economico-funzionale tra le imprese sia tale da comportare l'utilizzazione contemporanea e indistinta della prestazione lavorativa da parte delle diverse società si è in presenza di un unico centro di imputazione dei rapporti di lavoro; ne consegue che tutti i fruitori dell'attività devono essere considerati responsabili delle obbligazioni che scaturiscono da quel rapporto, in virtù della presunzione di solidarietà prevista dall'art. 1294, c.c., in caso di obbligazione con pluralità di debitori, qualora dalla legge o dal titolo non risulti diversamente.
Impugnazione del licenziamento intimato durante il periodo di maternità da parte di una lavoratrice formalmente dipendente da azienda cessata, ma di fatto addetta anche ad altre aziende. Una lavoratrice impugnava il licenziamento intimatole dall'azienda presso cui era formalmente alle dipendenze, durante il periodo di gravidanza.
Invocava l'azienda l'esonero dal divieto di licenziamento per cessazione dell'attività, ai sensi dell'art. 54, l. n. 151 del 2001.
Viceversa la lavoratrice riteneva versarsi in una situazione di rapporto di lavoro di fatto contestuale con altre aziende facenti capo al medesimo centro di interessi.
Il giudice di primo grado rigettava l'impugnazione, ma la Corte d'appello, decidendo il reclamo proposto dalla lavoratrice lo accoglieva, condannando tutte le aziende resistenti alla reintegrazione della lavoratrice ed al pagamento delle indennità risarcitorie conseguenti.
Hanno proposto ricorso in cassazione le aziende.
La codatorialità. Tutte le imprese ricorrenti sostengono che la corte territoriale avrebbe errato nel ritenere sussistente una situazione di unicità del rapporto di lavoro, dovendosi distinguere il concetto di codatorialità da quello di unicità del centro di imputazione del rapporto di lavoro, da intendersi questo come un'unica struttura organizzativa e produttiva, con integrazione delle attività esercitate dalle varie imprese, un interesse comune alle stesse, coordinamento tecnico e amministrativo e unicità d direzione.
Il Supremo Collegio ritiene che, a prescindere dall'esistenza nel caso in decisione di un vero e proprio gruppo societario, sia stato accertato in giudizio che la lavoratrice abbia reso la prestazione lavorativa per oltre dieci anni in favore, contestualmente, sia della società datrice di lavoro formale che delle altre aziende convenute.
Si è dunque in presenza di una situazione cosiddetta di “codatorialità”. Ora, afferma la Corte di legittimità, si ha unicità del rapporto di lavoro qualora uno stesso lavoratore presti contemporaneamente servizio per due o più datori di lavoro e la sua opera sia tale che in essa non possa distinguersi quale parte sia svolta nell'interesse di un datore di lavoro e quale nell'interesse dell'altro, con la conseguenza che tutti i fruitori di siffatta attività devono essere considerati solidalmente responsabili delle obbligazioni che scaturiscono da quel rapporto, ai sensi dell'art. 1294, c.c., che stabilisce una presunzione di solidarietà in caso di obbligazione con pluralità di debitori, ove dalla legge o dal titolo non risulti diversamente. Lo stesso dicasi qualora tra più società vi sia un collegamento economico-funzionale tale da far ravvisare un unico centro di imputazione dei rapporti di lavoro dei dipendenti, quando si accerti l'utilizzazione contemporanea delle prestazioni lavorative da parte delle varie società titolari delle distinte imprese.
Il collegamento economico funzionale tra imprese appartenenti ad un medesimo gruppo societario e l'utilizzo da parte delle stesse delle prestazioni lavorative, fanno sì che sia individuabile un unico rapporto di lavoro alle dipendenze di più datori di lavoro e tutti i fruitori dell'attività del lavoratore dovranno essere considerati solidalmente responsabili nei suoi confronti per le relative obbligazioni.
Da tutto ciò deriva che, nella fattispecie esaminata, essendo cessata l'attività soltanto per una delle imprese resistenti, quelle che fungeva da datore di lavoro in senso formale, potrà essere invocato l'esonero dal divieto di licenziamento unicamente da quest'ultima. Mentre per le altre imprese, essendo incontestato che il recesso è stato intimato durante il periodo di maternità della lavoratrice, ricadranno su di esse le conseguenze derivanti dall'illegittimità del licenziamento.
Il ricorso proposto è stato così ritenuto infondato e rigettato.
(Fonte Diritto e Giustizia) |