Il regime fiscale del patto di famiglia con attribuzione a favore del legittimario non assegnatario
27 Febbraio 2019
Massima
Il patto di famiglia di cui agli artt. 768-bis ss. c.c. è assoggettato all'imposta sulle donazioni sia per quanto concerne il trasferimento dell'azienda o della partecipazione dal disponente al discendente (fatto salvo il ricorso delle condizioni di esenzione di cui all'art. 3, comma 4-ter, d.lgs. n. 346/1990), sia per quanto concerne la corresponsione di somma compensativa della quota di legittima dall'assegnatario dell'azienda o della partecipazione ai legittimari non assegnatari; quest'ultima corresponsione è assoggettata ad imposta in base all'aliquota e alla franchigia relative non al rapporto tra disponente e assegnatario, e nemmeno a quello tra disponente e legittimario, bensì a quello tra assegnatario e legittimario. Il caso
Con un patto di famiglia (art. 768-bis ss. c.c.) Tizia trasferisce al figlio Caio le proprie azioni della società Alfa SpA. In adempimento di quanto stabilito nel patto di famiglia, Caio (assegnatario delle partecipazioni societarie) corrisponde alla sorella Sempronia (legittimaria non assegnataria) una determinata somma di denaro a tacitazione e liquidazione delle quote previste dagli artt. 536 ss. c.c.. In sede di registrazione dell'atto, tale assegnazione viene autoliquidata come una donazione indirettamente fatta dalla madre Tizia alla figlia Sempronia, cioè come una donazione tra parenti in linea retta, e assoggettata ad imposta di donazione con aliquota del 4% per il valore eccedente la franchigia di un milione di euro). L'Agenzia delle Entrate contesta la tassazione operata dalle parti e notifica l'avviso di liquidazione, affermando che l'attribuzione patrimoniale da parte di Caio a favore della sorella Sempronia deve essere qualificata come donazione tra fratelli e quindi assoggettata alla relativa imposta con aliquota del 6% sulla parte eccedente la franchigia di centomila euro. La Commissione Tributaria Regionale della Lombardia ritiene illegittimo l'avviso di liquidazione in quanto - contrariamente a quanto sostenuto dall'Agenzia delle Entrate - l'atto di liquidazione in denaro delle azioni dall'assegnatario Caio alla legittimaria Sempronia è avvinto da causa unitaria con la donazione avente ad oggetto il trasferimento delle azioni, integrando in sostanza anch'esso una donazione (seppure indiretta perché eseguita tramite il figlio assegnatario) dalla madre disponente alla figlia. L'Agenzia delle Entrate ricorre in Cassazione. La questione
Qual è il corretto trattamento tributario a cui assoggettare le attribuzioni, anche in natura, effettuate dal discendente-beneficiario a favore dei legittimari partecipanti al patto ma non assegnatari exart. 768-quater, comma 2, c.c.? Le soluzioni giuridiche
La sentenza in commento è significativa in quanto la Cassazione si occupa per la prima volta di patto di famiglia; i giudici di legittimità, benché chiamati a pronunciarsi sulla fiscalità del contratto, colgono l'occasione anche per approfondirne alcuni aspetti giuridici. In primo luogo, la Cassazione puntualizza che l'introduzione nell'ordinamento di questo nuovo contratto tipico (disciplinato dagli artt. 768-bis ss. c.c.) si pone l'obiettivo di agevolare il trasferimento all'interno del nucleo familiare di aziende o partecipazioni societarie. Relativamente a questi beni, ritenuti dal legislatore di particolare rilevanza in quanto “beni produttivi”, il ricorso allo strumento del patto di famiglia consente di anticipare gli effetti della successione mediante l'immediata attribuzione di tali cespiti al discendente che si individui come maggiormente idoneo a garantire la continuità generazionale dell'impresa di famiglia, al contempo prevenendo future liti divisionali e di riduzione tra coeredi. In altri termini, il patto di famiglia è lo strumento previsto da legislatore - in deroga al divieto di patti successori (art. 458 c.c.) - per favorire il passaggio generazionale delle imprese di tipo familiare, costituite sia in forma di individuale che in forma societaria, con effetti immediati e stabili, cioè al riparo di tutte le vicende successorie che potrebbero determinare il frazionamento o la disgregazione del bene produttivo o la paralisi dell'attività economica, con grave pregiudizio anche di interessi di carattere generale. A tal proposito (cioè allo scopo di eliminare liti successorie relative ad aziende e quote societarie), il legislatore ha disposto che “devono partecipare” al contratto (che, in tal caso, assume dunque carattere plurilaterale a partecipazione necessaria) anche coloro che al momento della conclusione del patto di famiglia sarebbero legittimari se si aprisse la successione nel patrimonio dell'imprenditore (art. 768-quater c.c.). A tali soggetti viene riconosciuto il diritto (salvo rinuncia) di percepire dall'assegnatario dell'azienda o della partecipazione societaria il pagamento di una somma compensativa di denaro (ferma restando la possibilità di pattuire la liquidazione in natura), corrispondente al valore delle quote di riserva previste dagli artt. 536 ss. c.c.. I beni assegnati agli altri partecipanti non assegnatari dell'azienda sono dunque imputati alle quote di legittima loro spettanti e quanto ricevuto dai contraenti non è soggetto a collazione o a riduzione. Tale assegnazione “compensativa” può essere disposta anche con successivo contratto che sia espressamente dichiarato collegato al primo e purché vi intervengano i medesimi soggetti che hanno partecipato al primo contratto o coloro che li abbiano sostituiti. L'accordo sulla somma di liquidazione è opponibile anche agli eventuali legittimari pretermessi o sopravvenuti al contratto, i quali possono chiedere, al momento dell'apertura della successione dell'imprenditore disponente, il pagamento della suddetta somma, con la sola maggiorazione degli interessi di legge (art. 768-sexies c.c.). Dal punto di vista fiscale, il patto di famiglia è riconducibile nell'ambito degli atti a titolo gratuito, in quanto, da una parte, è caratterizzato dall'intento - non prettamente donativo - di prevenire liti ereditarie e lo smembramento di aziende o partecipazioni societarie ovvero l'assegnazione di tali beni a soggetti inidonei ad assicurare la continuità gestionale degli stessi, dall'altra parte, non comporta il pagamento di un corrispettivo da parte dell'assegnatario dell'azienda o delle partecipazioni sociali, ma solo l'onere in capo a quest'ultimo di liquidare gli altri partecipanti al contratto, in denaro o in natura (Circ. 22 gennaio 2008, n. 3/E). L'art. 3, comma 4-ter, d.lgs.31 ottobre 1990, n. 346 (Testo unico dell'imposta sulle successioni e donazioni, di seguito TUS) precisa però che i trasferimenti, effettuati anche tramite i patti di famiglia a favore dei discendenti e del coniuge, di aziende o rami di esse, di quote sociali e di azioni non sono soggetti all'imposta di donazione laddove ricorrano le condizioni ivi richieste. Al contrario, nel caso in cui non ricorrano o non vengano rispettate le condizioni previste dal citato art. 3, comma 4-ter, d.lgs. n. 346/1990 il beneficiario sarà tenuto al pagamento dell'imposta nella misura ordinaria. L'amministrazione finanziaria ha chiarito che l'agevolazione recata dall'art. 3, comma 4-ter, TUS, si applica esclusivamente con riferimento al trasferimento effettuato tramite il patto di famiglia, e non riguarda anche l'attribuzione di somme di denaro o di beni eventualmente posta in essere dall'assegnatario dell'azienda o delle partecipazioni sociali in favore degli altri partecipanti al contratto. Tali ultime attribuzioni rientrano nell'ambito applicativo dell'imposta sulle successioni e donazioni (Circ. 22 gennaio 2008, n. 3/E). Appurata dunque la sottoposizione all'imposta sulle donazioni delle attribuzioni di somme di denaro o di beni eventualmente poste in essere nell'ambito del patto di famiglia dall'assegnatario dell'azienda o delle partecipazioni sociali in favore dei legittimari non assegnatari, la Cassazione - nel caso di somme corrisposte dall'assegnatario a favore di altro legittimario fratello o sorella - ritiene che il prelievo tributario debba essere determinato in ragione del rapporto intercorrente tra l'assegnatario ed il legittimario non assegnatario, non già di quello intercorrente (discendenza in linea retta) tra il disponente e l'assegnatario. È infatti dirimente - afferma la Suprema Corte - osservare come, con il patto di famiglia l'imprenditore possa eccezionalmente produrre in via anticipata effetti attributivi e divisionali corrispondenti a quelli successori con esclusivo riguardo alla particolare tipologia di beni contemplata dall'art. 768-bis c.c. (aziende e partecipazioni societarie). Non altrettanto può affermarsi per tutti gli altri cespiti del suo patrimonio (o massa ereditaria che dir si voglia), in ordine ai quali il divieto di patto successorio non trova restrizione alcuna. Da ciò consegue che lo stesso denaro (o bene in natura) necessario alle quote di liquidazione non può che provenire dall'assegnatario, non già dal disponente (art. 768-quater c.c.: «gli assegnatari dell'azienda o delle partecipazioni societarie devono liquidare»). Il che basta ad inficiare l'assunto secondo cui l'aliquota (e la franchigia) dell'imposta di donazione in concreto applicabile sarebbe quella prevista in relazione al disponente, invece di quella prevista nel rapporto assegnatario-legittimario. Va poi considerato – concludono i giudici - che la sottoposizione delle liquidazioni ai legittimari al medesimo regime impositivo proprio del trasferimento aziendale o societario a favore del discendente dovrebbe coerentemente indurre ad estendere anche alle prime (in presenza delle richieste condizioni di continuità e controllo) il regime di esenzione dall'imposta di donazione ex art. 3, comma 4-ter, TUS; sennonché l'inestensibile indicazione legislativa, mirata come detto proprio sui trasferimenti mediante patto di famiglia, è invece nel senso di limitare il beneficio al solo trasferimento aziendale o societario in senso stretto. Trova pertanto effettivo sostegno normativo l'assunto dell'amministrazione finanziaria (Circ. n. 3/E/2008) secondo cui l'esenzione in parola riguarda soltanto il trasferimento effettuato tramite il patto di famiglia, non anche le attribuzioni compensative; rientrando queste ultime nell'ambito applicativo ordinario dell'imposta sulle successioni e donazioni. E ciò, va precisato, indipendentemente dalla civilistica ravvisabilità, nell'istituto in esame, di una causa negoziale unitaria. Osservazioni
Le argomentazioni della Cassazione non sembrano, in verità, convincenti in quanto in contrasto sia con il dettato normativo che con i principi enunciati dalla Corte nella sentenza stessa. Secondo la Cassazione, all'obbligo dell'assegnatario di procedere alla liquidazione in denaro, ovvero in natura, dei legittimari non assegnatari può riconoscersi natura di onere ex art. 793 c.c.. La natura modale di quest'ultima prestazione, ancorché non imposta dal disponente ma prevista ex lege con richiamo agli artt. 536 ss. c.c. sulla successione dei legittimari, trova fondamento nel carattere liberale originario del trasferimento. Dal punto di vista del trattamento tributario di tale attribuzione, viene in considerazione l'art. 58, comma 1, d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, secondo cui «gli oneri da cui è gravata la donazione, che hanno per oggetto prestazioni a soggetti terzi determinati individualmente, si considerano donazioni a favore dei beneficiari». Sul piano dell'imposizione, pertanto, è considerata donazione non soltanto l'assegnazione dell'azienda o delle quote societarie, ma anche la liquidazione a favore dei non assegnatari (beneficiari individualmente determinati) e il prelievo tributario deve essere determinato - secondo la Cassazione - in ragione del rapporto intercorrente tra l'assegnatario ed il legittimario non assegnatario, non già di quello intercorrente (discendenza in linea retta) tra il disponente e l'assegnatario. Nel caso di specie, la liquidazione avviene fra fratelli, per cui – a parere dei giudici di legittimità – il calcolo dell'imposta deve essere effettuato considerando donante l'assegnatario delle azioni e donataria la sorella liquidata con la somma di denaro, con conseguente applicazione dell'aliquota al 6% e considerando la franchigia esente di euro 100.000. Questa conclusione è, a nostro avviso, discutibile. Autorevole dottrina afferma che «se il patto di famiglia deve essere calato tutto intero nella logica dell'autonomia privata (…) viene naturale intenderlo, almeno nella sua configurazione tipica, alla stregua di una peculiare donazione gravata da onere, nella quale la pattuizione modale, a carico del donatario, può essere riguardata come una sorta di stipulazione a favore di terzi, in specie i legittimari esclusi dall'assegnazione» (C. Caccavale, Appunti per uno studio sul patto di famiglia: profili strutturali e funzionali della fattispecie, in Notariato, 2006, 3, 304). L'attribuzione effettuata dal discendente assegnatario e onerato può dunque essere qualificata essa stessa a sua volta come liberalità indiretta del disponente a favore dei legittimari non assegnatari; peraltro siffatta ricostruzione teorica è l'unica che legittimi anche la operatività in concreto della disattivazione dei meccanismi di collazione e riduzione, disposta dall'art. 768-quater, comma 4, c.c. e cioè di istituti che presuppongono necessariamente l'effettuazione di pregresse liberalità, sia pure indirette (in tal senso Consiglio Nazionale del Notariato, Studio n. 43-2007/T, Tassazione dei patti di famiglia e dei trasferimenti di cui all'art. 1 comma 78 legge 27 dicembre 2007 n. 296 (cd Finanziaria 2007), estt. M. Basilavecchia e A. Pischetola, approvato dalla Commissione Studi Tributari il 18 aprile 2008). In altri termini, la liquidazione fatta dal beneficiario del patto di famiglia a favore dei legittimari non assegnatari (in adempimento dell'onere impostogli) non è tanto un'attribuzione gratuita fatta dal primo ai secondi, quanto piuttosto una donazione indiretta fatta dal disponente a favore dei propri legittimari non beneficiari dell'azienda o delle quote societarie per il tramite dell'assegnatario dei beni produttivi. Lo stesso art. 768-quater, comma 3, c.c. precisa espressamente che «i beni assegnati con lo stesso contratto agli altri partecipanti non assegnatari dell'azienda, secondo il valore attribuito in contratto, sono imputati alle quote di legittima loro spettanti». Pertanto, le compensazioni in parola non possono essere intese che come un “acconto” ricevuto dai legittimari esclusi dall'assegnazione in vista della successione dell'imprenditore disponente, cioè una liberalità indiretta tra tali soggetti: «la liquidazione a favore dei legittimari esclusi (…) essa va vista ugualmente come una indiretta attribuzione, per il tramite degli assegnatari, da parte dell'imprenditore assegnante. (…) Bene si comprende, allora, come mai l'attribuzione sia imputabile alle “quote di legittima”, che i beneficiari vantano nei confronti dell'imprenditore disponente, e soprattutto il senso di una dispensa da collazione e riduzione che è chiamata ad operare per tutti i partecipanti al patto: non solo gli assegnatari dell'azienda o delle partecipazioni societarie, ma anche i legittimari liquidati (che allo specifico fine di tale dispensa sono accomunati ai primi, dall'art. 768-quater u.c., c.c., nella categoria denominata, questa volta, dei “contraenti”)» (C. Caccavale, Op. cit., 305). Ne discende che ai fini dell'applicazione dell'imposta sulle successioni e donazioni, dovrà prendersi a riferimento in ogni caso il rapporto di parentela in linea retta o di coniugio (con applicazione della relativa franchigia legale) intercorrente tra il disponente da un lato ed i legittimari non beneficiari del bene produttivo dall'altro, e non già (laddove la liquidazione avvenga per il tramite del discendente beneficiario) del rapporto (di regola di parentela in linea collaterale) intercorrente tra questi e quei legittimari (Consiglio Nazionale del Notariato, Studio n. 43-2007/T, cit.). In sostanza, pur convenendosi con il principio secondo cui l'attribuzione di somme di denaro o di beni posta in essere dall'assegnatario dell'azienda o delle partecipazioni sociali in favore degli altri partecipanti al contratto rientra senza dubbio nell'ambito applicativo dell'imposta sulle successioni e donazioni (Circ. 22 gennaio 2008, n. 3/E), e in particolare nell'ambito di applicazione dell'art. 58, comma 1, d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346 (TUS), ci sembra più corretto e maggiormente in linea con i principi generali dell'istituto sostenere che il calcolo dell'imposta debba effettuato considerando donante il disponente e non il soggetto obbligato all'adempimento dell'onere, cioè l'assegnatario, così come aveva sostenuto la Commissione Tributaria Reginale della Lombardia nel primo grado del giudizio. In conclusione, discostandoci totalmente dal principio enunciato dalla Cassazione, ci sembra che, trattandosi di donazione indiretta tra il genitore e la figlia, per il tramite del figlio che continua l'impresa, si ha sì l'applicazione dell'imposta di donazione a queste attribuzioni, ma l'aliquota debba essere quella dei trasferimenti tra parenti in linea retta (4%) e non quella dei trasferimenti tra fratelli (6%) e debba considerarsi anche la franchigia dei trasferimenti tra parenti in linea retta (euro 1.000.000) e non quella dei trasferimenti tra fratelli (euro 100.000) (in tal senso anche Consiglio Nazionale del Notariato, Quesito n. 46-2016/T, Patto di Famiglia-Attribuzione a favore di legittimario non assegnatario, Risposta del 2 marzo 2016, est. D. Fasano). |