Gli avvisi al difensore vanno inviati all’indirizzo PEC risultante dal ReGIndE

28 Febbraio 2019

“L'avviso trasmesso telematicamente dall'ufficio giudiziario all'indirizzo PEC del difensore risultante dai pubblici registri è da considerarsi validamente effettuato”.
Massima

“L'avviso trasmesso telematicamente dall'ufficio giudiziario all'indirizzo PEC del difensore risultante dai Pubblici Registri è da considerarsi validamente effettuato”.

Il caso

La Corte d'appello confermava la sentenza del giudice di prime cure che aveva condannato l'imputato per il reato di cui all'art. 707 del codice penale.

Avverso tale decisione questi proponeva ricorso per cassazione, deducendo la nullità assoluta della sentenza, poiché pronunciata all'esito della celebrazione di udienze svoltesi in assenza del difensore d'ufficio, a causa di un errore in cui era incorsa la cancelleria.

Il ricorrente, infatti, deduceva che, essendo privo di difensore di fiducia, per la sua difesa gli era stato nominato un difensore d'ufficio. L'avviso del provvedimento di nomina era stato inviato dall'ufficio giudiziario ad un indirizzo di posta elettronica certificata, risultante sì dai pubblici registri, ma non in uso al suddetto legale, che aveva, invece, attivato una PEC differente da quella utilizzata dall'ufficio giudiziario.

La Suprema Corte dichiarava inammissibile il ricorso rilevando che «la documentazione allegata al presente ricorso, attestante l'attivazione da parte del suddetto professionista del servizio PEC con un diverso indirizzo, non vale a togliere valore all'indirizzo in cui è stato notificato l'avviso de quo, essendo essa relativa a circa un anno prima rispetto alla data in cui è stata effettuata la notifica in questione e, dunque, come tale, non comprovante l'indirizzo PEC del difensore alla data della notifica anzidetta».

La questione

La questione esaminata dalla Corte può essere così sintetizzata: può il difensore contestare la legittimità dell'avviso inviato dall'ufficio giudiziario tramite PEC, adducendo di avere in uso una casella di posta elettronica certificata differente da quella risultante dai pubblici registri elettronici consultabili dalla cancelleria?

Le soluzioni giuridiche

Per inquadrare il caso di specie appare utile una sintetica descrizione del contesto normativo di riferimento.

La possibilità per gli uffici giudiziari di utilizzare la PEC, non solo per le notifiche telematiche di cui all'art. 16, comma 4, d.l. n. 179 del 2012, convertito con modificazioni dalla legge n. 221 del 2012, ma anche per gli avvisi ai difensori, si fonda su una pluralità di disposizioni.

Alcune sono riferite alle pubbliche amministrazioni in generale. Si pensi, ad esempio, all'art. 16, d.l. 29 novembre 2008, n. 185, secondo cui “le amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1, comma 2, del d. lgs. 30 marzo 2001, n. 165, qualora non abbiano provveduto ai sensi dell'art. 47, comma 3, lett. a), del Codice dell'Amministrazione digitale, di cui al d. lgs. 7 marzo 2005, n. 82, istituiscono una casella di posta certificata o analogo indirizzo di posta elettronica di cui al comma 6 per ciascun registro di protocollo e ne danno comunicazione al Centro nazionale per l'informatica nella pubblica amministrazione, che provvede alla pubblicazione di tali caselle in un elenco consultabile per via telematica”.

Altre riguardano più specificamente l'attività giudiziaria, come, ad esempio l'art. 2 del già citato Codice dell'amministrazione digitale, che prevede l'applicabilità delle disposizioni in esso contenute, incluse quelle in materia di PEC, anche al processo penale “salvo che non sia diversamente disposto, dalle disposizioni in materia di processo telematico”.

Alle disposizioni indicate si aggiungono le previsioni del codice di rito, che consentono agli uffici giudiziari, in alcuni casi, di avvalersi di “mezzi tecnici idonei”, tra i quali indubbiamente rientra la posta elettronica certificata, non solo per le notificazioni ma anche per le comunicazioni e gli avvisi. È il caso dell'art. 64 disp. att. cod. proc. pen. relativa alla comunicazione tra uffici giudiziari o dell'art. 148, comma 2-bis, c.p.p., in base al quale l'autorità giudiziaria può disporre che gli avvisi ai difensori, e non solo le notificazioni, siano eseguiti con “mezzi tecnici idonei”.

Dalla lettura delle disposizioni del codice di rito, inoltre, è possibile desumere che i concetti di “comunicazione” e di “avviso” – attività evidentemente distinta dalle quella di “notificazione” - nel processo penale si riferiscono ad attività giudiziarie differenti da quelle egualmente denominate nel processo civile.

La nozione di “comunicazione”, difatti, viene utilizzata prevalentemente in relazione alle trasmissioni di atti o notizie tra uffici giudiziari; il temine “avviso”, invece, si riferisce alla trasmissione diretta a soggetti diversi dagli uffici giudiziari (difensori, persona offesa, ecc.).

Nella vicenda giudiziaria oggetto della decisione in commento, pertanto, viene in rilievo l'art. 148, comma 2-bis, c.p.p., che, come si è visto, permette il ricorso a mezzi tecnici idonei per le notificazioni o gli avvisi ai difensori.

È utile ricordare che il Ministero della Giustizia ha dotato gli uffici giudiziari di un sistema specificamente realizzato per procedere, tramite PEC, alle notifiche, alle comunicazioni ed agli avvisi, denominato “SNT”, acronimo di “Sistema notifiche telematiche”. Si veda, al riguardo, la Circolare congiunta Dipartimento per gli Affari di Giustizia, Direzione Generale della Giustizia Penale, e Dipartimento dell'Organizzazione del Personale e dei Servizi, Direzione Generale per i Sistemi Informativi Automatizzati dell' 11 dicembre 2014, denominata “Avvio del sistema di notificazioni e comunicazioni telematiche penali (SNT)”.

Va segnalato, inoltre, che, a seguito dell'individuazione da parte della Direzione Generale per i servizi automatizzati (DGSIA) del T.I.A.P. quale gestore documentale unico nazionale, ai suddetti uffici è consentito altresì, in alternativa all'utilizzo del sistema SNT, notificare, comunicare e fornire avvisi anche tramite il sistema PEC –TIAP. Si veda, al riguardo, la Circolare DGSIA del 26 gennaio 2016.

L'invio effettuato con tali applicativi ministeriali garantisce in automatico l'assoluta affidabilità sulla provenienza e sul contenuto del messaggio. Tale garanzia non sussisterebbe nel caso di utilizzo di una PEC “comune”.

Chiariti questi aspetti, è opportuno precisare a quale indirizzo elettronico si deve effettuare gli avvisi telematici ed a quale regime è sottoposta tale trasmissione.

L'obbligo per i difensori di munirsi di una casella di posta elettronica è contemplato dalla previsione del comma 7 dell'art. 16 del citato d.l. n. 185 del 2008 (oggi legge n. 2 del 2009), secondo cui “i professionisti iscritti in alibi ed elenchi istituiti con leggi dello Stato” devono comunicare al proprio ordine di appartenenza la propria casella di PEC.

Il Consiglio dell'Ordine, a sua volta, ha l'obbligo di trasmettere tutti gli indirizzi di posta elettronica ricevuti al Ministero della Giustizia “attestandoli come unici indirizzi PEC utilizzabili per le comunicazioni e notificazioni”. Tali indirizzi hanno valore legale per le comunicazioni e notifiche nel processo civile e per le notificazioni nel processo penale.

Il Ministero, poi, include tali indirizzi nel c.d. REGINDE. Si tratta del registro informatico degli indirizzi elettronici consultabile telematicamente dagli uffici giudiziari (art. 7 decreto del Ministro della Giustizia 21 febbraio 2011, n. 44).

Ai sensi dell'art. 16, comma 1, del D.M. 21 febbraio 2011, n. 44, Regolamento concernente le regole tecniche per l'adozione nel processo civile e nel processo penale, delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, “la comunicazione per via telematica dall'ufficio giudiziario ad un soggetto abilitato esterno o all'utente privato avviene mediante invio di un messaggio dall'indirizzo di posta elettronica certificata dell'ufficio giudiziario mittente all'indirizzo di posta elettronica certificata del destinatario, indicato nel registro generale degli indirizzi elettronici …”.

Al comma 3 della medesima disposizione è previsto che “la comunicazione per via telematica si intende perfezionata nel momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del destinatario e produce gli effetti di cui agli articoli 45 e 48 del codice dell'amministrazione digitale”.

L'art. 45 del CAD stabilisce il valore giuridico della trasmissione, prevedendo al comma 1 che “i documenti trasmessi da chiunque ad una pubblica amministrazione con qualsiasi mezzo telematico o informatico idoneo ad accertarne la provenienza, soddisfano il requisito della forma scritta e la loro trasmissione non deve essere seguita da quella del documento originale” e al comma 2 che “il documento informatico trasmesso per via telematica si intende spedito dal mittente se inviato al proprio gestore, e si intende consegnato al destinatario se reso disponibile all'indirizzo elettronico da questi dichiarato, nella casella di posta elettronica del destinatario messa a disposizione dal gestore”.

Osservazioni

Dal quadro normativo descritto è possibile trarre alcune conclusioni.

L'amministrazione giudiziaria penale, a differenza di quanto previsto per le notifiche a soggetti diversi dall'imputato, non è obbligata ad effettuare gli avvisi esclusivamente in via telematica, ma può continuare a svolgere tale attività avvalendosi di altre modalità consentite.

Se, però, opta per l'invio telematico degli avvisi, deve operare esclusivamente tramite i sistemi ufficialmente predisposti dal Ministero a tal fine (quindi, o sistema SNT ovvero PEC-TIAP).

Gli avvisi telematici ai difensori, per avere valore legale, devono essere inviati esclusivamente agli indirizzi PEC inseriti nel REGINDE.

Nel caso di specie, la Corte condivisibilmente ha ritenuto che l'attivazione di una PEC diversa da quella inclusa nei pubblici registri, peraltro risalente ad un anno prima dell'avvenuta ricezione dell'invio, non fosse idonea a superare il valore legale attribuito all'indirizzo inserito nel REGINDE.

A tale scopo, il difensore avrebbe dovuto provare la tempestiva comunicazione della variazione della PEC al Consiglio dell'ordine e la colpevole omessa trasmissione di tale comunicazione da parte del Consiglio dell'Ordine al Ministero della Giustizia.

Guida all'approfondimento
  • Amoroso m.c., L'utilizzo della posta elettronica certificata nel processo penale, in Portale telematico dell'ufficio del Massimario della Corte di Cassazione, Sezione studi e pubblicazioni.

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