Ordine d'indagine europeo. Sui tempi necessari per garantire il diritto di difesa
07 Marzo 2019
Massima
In tema di esecuzione di un ordine europeo di indagine passivo avente a oggetto la richiesta di atti di perquisizione e sequestro a fini di prova, integra una violazione del diritto di difesa ai sensi dell'art. 178, comma 1, lett. c), c.p.p., la tardiva comunicazione del decreto di riconoscimento dell'ordine di indagine europeo (d'ora in poi O.I.E.) oltre i termini previsti dall'art. 4, comma 4, d.lgs. n. 108/2017, che impedisca all'indagato e al suo difensore di proporre tempestiva opposizione al Gip nei modi e nei termini previsti dall'art. 13 d.lgs. cit.
Il caso
La vicenda ha per oggetto il provvedimento con il quale il tribunale ha accolto l'opposizione, proposta ai sensi dell'art. 13 d.lgs. 108/2017, avverso un decreto di riconoscimento del P.M. di un O.I.E. (avente a oggetto l'adozione di atti di perquisizione, sequestro di documentazione e audizioni di testimoni in relazione alla commissione di gravi fattispecie di reato in materia di evasione dell'Iva) emesso dall'Autorità giudiziaria tedesca, annullandolo per la violazione del disposto di cui all'art. 4, comma 4, d.lgs. 108/2017 e in ragione del conseguente pregiudizio recato al diritto di difesa. Difesa che lamentava l'omessa notifica del decreto di riconoscimento, notificato solo dopo l'esecuzione degli atti di indagine, di modo che non era stato possibile esperire tempestivamente il rimedio dell'opposizione dinanzi al Gip. La S.C. ha rigettato il ricorso con il quale il P.M. ha dedotto la violazione degli artt. 4 e 13 d.lgs. 108/2017 sul duplice rilievo che nessun avviso avrebbe dovuto essere dato alla parte prima e durante lo svolgimento di atti c.d. "a sorpresa" (segnatamente perquisizione e sequestro) e che, nelle more, era intervenuto l'avviso ex art. 360c.p.p. per il compimento di atti irripetibili, con la conseguenza che il difensore e l'indagato erano stati messi in condizione di esercitare il diritto di difesa. Nel ricorso si lamentava altresì che il provvedimento del tribunale sarebbe stato reso «in violazione del principio di tassatività delle sanzioni processuali - non essendo prevista alcuna sanzione per l'inosservanza dell'immediatezza della comunicazione - e al di fuori dello “spazio di sindacato" riconosciuto al Gip dall'art. 13 della legge di attuazione dell'O.I.E., che inerisce alla legittimità del decreto di riconoscimento e, di conseguenza, alla rispondenza delle attività investigative richieste dalle autorità dello Stato di emissione ai principii dell'ordinamento interno». La questione
Prima di affrontare l'oggetto del ricorso, la sentenza ha il pregio di proporre una sintesi – completa ed efficace- dei “cardini” che il d.lgs. 108/2017 ha posto nel settore della cooperazione giudiziaria europea; la S.C. ricorda in primo luogo che l'O.I.E. è «una decisione giudiziaria (art. 1, par. 1, della direttiva n. 41/ 2014/Ue) emessa da un'autorità giudiziaria nazionale, ovvero da questa convalidata, e diretta all'autorità giudiziaria di altro Stato utilizzando un modulo uniforme appositamente predisposto al fine del compimento di uno o più atti di indagine specificatamente disciplinati dalla direttiva e recepiti dalla normativa interna», la cui principale finalità è quella di «snellire e velocizzare le modalità e i tempi di ricerca, acquisizione e trasferimento delle fonti di prova nello spazio territoriale dell'Unione, sostituendo le corrispondenti previsioni degli strumenti che sinora hanno regolato le forme e i meccanismi dell'assistenza giudiziaria». La decisione si sofferma, poi, sul ruolo attribuito al Procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto ove gli atti richiesti devono essere compiuti, avendo il legislatore nazionale scelto di sottrarre alla Corte d'appello, in questo specifico settore della cooperazione giudiziaria penale, il vaglio delibativo tradizionalmente attribuitole nell'ambito delle rogatorie internazionali, in sintonia con quanto avvenuto con il d.lgs. 52/2017, attuativo della Convenzione europea di assistenza giudiziaria del 29 maggio 2000, e con la riforma del Libro XI del codice di procedura penale ad opera del d.lgs. 149/2017. In particolare si sottolinea che «ai fini della adozione di un motivato decreto di riconoscimento, la valutazione del Procuratore distrettuale si concentra sulla presenza di eventuali situazioni ostative al riconoscimento – e quindi alla successiva esecuzione dell'ordine europeo d'indagine – previste dall'art. 10 del d.lgs. cit., verificando la legittimazione dell'autorità emittente (ex art. 10, comma 3), l'incompletezza dell'ordine, l'erroneità delle informazioni ivi racchiuse o la non corrispondenza di queste al tipo di atto richiesto». La S.C. si sofferma, inoltre, sulla rilevanza del sindacato che deve essere svolto dall'A.G. attraverso il test di proporzionalità (ex art. 7 d.lgs. 108/2017 cit. e art. 6, comma 1, lett. a), direttiva 41/2014). Il principio di proporzionalità impone che l'attività da compiere debba essere adeguata e funzionale sia rispetto al suo presupposto (il reato), sia rispetto all'obiettivo che intende perseguire («le esigenze investigative o probatorie»), in modo che la sua esecuzione comporti il minor sacrificio possibile per i diritti e le libertà dell'imputato o dell'indagato. All'A.G. è affidato il vaglio circa «[...] la capacità del mezzo richiesto di raggiungere l'obiettivo prefissato, secondo il criterio per il quale, a parità di efficacia, è da preferire sempre il mezzo che abbia conseguenze meno gravose. La proporzionalità-adeguatezza impone di porre in bilanciamento, da un lato, la restrizione imposta al singolo e, dall'altro, il valore del fine perseguito dal pubblico potere nell'esercizio della funzione. In questa valutazione, l'interprete sarà necessariamente guidato dalla natura del fatto per cui si procede». Dopo la lunga premessa, la questione in concreto affrontata riguarda i tempi con i quali il decreto di riconoscimento dell'O.I.E., una volta emesso dal Procuratore distrettuale, deve essere comunicato, a cura della segreteria, al difensore della persona sottoposta alle indagini (art. 4, comma 4, d.lgs. 108/2017). È, indubbiamente, un aspetto “centrale” rispetto all'esercizio del diritto di difesa: la fase dell'esecuzione dell'O.I.E. consegue al provvedimento di riconoscimento entro i successivi novanta giorni (art. 4, comma 2, d.lgs. 108/2017), senza che l'opposizione e l'eventuale ricorso per cassazione possano determinare un effetto sospensivo dell'esecuzione (ex art. 13, commi 4 e 7, d.lgs. 108/2017); nondimeno, la comunicazione tempestiva del decreto di riconoscimento dell'O.I.E. è funzionale a consentire alla parte interessata la possibilità di tutelarsi, eccependo immediatamente la presenza di eventuali motivi di rifiuto del riconoscimento o dell'esecuzione, ovvero l'assenza di proporzionalità dell'attività richiesta, e ottenere di conseguenza, in caso di annullamento del decreto, il blocco stesso della esecuzione dell'ordine di indagine (exart.13, comma 6, d.lgs. 108/2017), o comunque dell'ulteriore trasmissione dei risultati di prova acquisiti, se l'esecuzione è ancora in corso. La decisione precisa che i compiti affidati all'autorità giudiziaria a seguito di richiesta da parte di autorità estera sono autonomamente disciplinati e devono essere distinti tra:
Fasi temporalmente e logicamente connesse ma «fra loro ben distinte sul piano strutturale e funzionale, e in nessun modo sovrapponibili, poiché rispondenti a diversi presupposti giustificativi ed orientate a soddisfare diverse finalità, alla cui realizzazione o meno si ricollegano effetti diversi, anche sul piano della concreta operatività della procedura di cooperazione attivata dall'autorità di emissione». Al riguardo, per la circolare 26 ottobre 2017 Ministero della giustizia in tema di attuazione della direttiva 41/2014/Ue, la coppia concettuale riconoscimento/esecuzione segnala, nella norma interna di attuazione, la persistenza della funzione di controllo da parte dell'autorità giudiziaria di esecuzione; in questo senso, l'eliminazione dell'exequatur non avrebbe affatto comportato «l'abolizione della verifica di una serie di requisiti formali e sostanziali la cui insussistenza dovrà dar luogo in prima battuta a interlocuzioni intese all'emenda o all'integrazione dell'OEI da parte dell'autorità emittente; e in caso di mancataintegrazione/ rettifica, al rifiuto del riconoscimento e dell'esecuzione ai sensi dell'art.10 del d.lgs. n. 108 del 2017» . La decisione della S.C., fornisce un efficace apparato motivazionale sul punto, rilevando che «le esigenze di tutela dei diritti fondamentali dei soggetti coinvolti nelle procedure di cooperazione giudiziaria hanno ottenuto [...] un preciso riconoscimento nella disposizione di cui all'art. 696-ter c.p.p., là dove si prevede che è possibile procedere al riconoscimento o all'esecuzione della misura purché non sussistano “fondate ragioni” per ritenere che il soggetto possa subire una grave violazione dei principi fondamentali dell'ordinamento giuridico dello Stato, dei diritti fondamentali della persona riconosciuti dall'articolo 6 del Trattato sull'Unione europea o dei diritti, delle libertà e dei principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea». Le soluzioni giuridiche
I criteri interpretativi dettati dalla S.C. La decisione si caratterizza per aver fornito una significativa “lettura” dell'art. 4, comma 4, d.lgs. 108/2017 e delle conseguenze della violazione dall'obbligo di comunicazione stabilito nel medesimo. Prevede l'art. 4, comma 4, del decreto «Il decreto di riconoscimento è comunicato a cura della segreteria del pubblico ministero al difensore della persona sottoposta alle indagini entro il termine stabilito ai fini dell'avviso di cui ha diritto secondo la legge italiana per il compimento dell'atto. Quando la legge italiana prevede soltanto il diritto del difensore di assistere al compimento dell'atto senza previo avviso, il decreto di riconoscimento è comunicato al momento in cui l'atto è compiuto o immediatamente dopo». Un passaggio della sentenza è fondamentale: «modalità e termini di tale avviso devono ricavarsi dalle regole dettate dal sistema processuale in relazione allo specifico atto probatorio oggetto della richiesta, con la conseguenza che, nell'ipotesi […] in cui le norme processuali interne prevedano soltanto il diritto del difensore di assistere al compimento dell'atto a sorpresa, dunque senza preavviso, il decreto di riconoscimento va comunicato al momento in cui l'atto viene compiuto o immediatamente dopo». Dato tale presupposto, è evidente che la tempestività con la quale il decreto di riconoscimento dell'O.I.E. avente ad oggetto il sequestro a fini di prova può essere impugnato, attraverso un'opposizione presentata al Gip a norma dell'art.13, comma7, d.lgs. 108/2017 dipende a sua volta dalla tempestività della comunicazione di cui al menzionato art. 4, comma 4. E, invero, il fatto che solo il mezzo di impugnazione previsto dall'art. 13 integra lo strumento riconosciuto dall'ordinamento all'indagato per sindacare la legittimità del decreto di cui all'art. 4, comma 1, d.lgs. cit., non anche l'eventuale richiesta di riesame proponibile avverso il decreto di perquisizione e sequestro, ossia nei confronti di un atto del tutto diverso – l'atto di indagine propriamente inteso – in ordine al quale ben differenti sono i parametri di censura e di valutazione da parte del tribunale in tal modo adito. L'art. 14, comma 4, direttiva 2014/41/Ue stabilisce in linea generale che i termini di impugnazione devono essere applicati dagli Stati membri «in modo da garantire che il diritto all'impugnazione possa essere esercitato efficacemente dalle persone interessate, secondo una regola di equivalenza dei termini previsti in casi interni analoghi» Inoltre, non solo «le modalità di riconoscimento ed esecuzione dei provvedimenti giudiziari e delle decisioni di altri Stati membri Ue devono essere "idonee ad assicurane la tempestività e l'efficacia» (art. 696-octies c.p.p.), ma anche «il sindacato al riguardo esperibile dalle autorità di esecuzione deve "in ogni caso" assicurare il rispetto dei principi fondamentali dell'ordinamento giuridico dello Stato (art.696-quinquies c.p.p.)». In particolare, la comunicazione al difensore rileva per stabilire il dies a quo per presentare, entro il termine di cinque giorni, l'eventuale impugnazione nei confronti del decreto di riconoscimento, attraverso un'opposizione rivolta direttamente al Gip (ex art. 13, comma 1). Gip che, a sua volta, deve decidere con ordinanza dopo aver sentito il P.M., e in caso di accoglimento dell'opposizione il decreto di riconoscimento sarà annullato e non si farà luogo all'esecuzione dell'O.I.E. (art. 13, commi 3 e 6). Nel caso affrontato dalla S.C., il decreto di riconoscimento era stato comunicato al difensore di fiducia dell'indagato dopo più di 70 giorni (dopo che il decreto di perquisizione personale, locale e telematica, con un contestuale sequestro probatorio, era stato eseguito dopo c.a. 40 giorni dal riconoscimento, con successiva emissione e contestuale notifica dell'avviso di svolgimento degli accertamenti tecnici irripetibili ex art. 360 c.p.p., in relazione all'inizio delle operazioni di duplicazione dei supporti e materiali informatici sequestrati). Secondo la S.C., la comunicazione così effettuata dal PM deve ritenersi tardiva, in quanto questi avrebbe dovuto, a norma dell'art. 4, comma 4, citato, comunicare al difensore il decreto di riconoscimento dell'O.I.E. al momento in cui erano stati compiuti gli atti di perquisizione e sequestro, o immediatamente dopo, proprio al fine di consentire all'indagato e al suo difensore di proporvi opposizione dinanzi al Gip ai sensi dell'art. 13, comma 7, d.lgs. cit.
Le conseguenze della violazione dell'obbligo di comunicazione. La S.C. ha affrontato anche il tema delle conseguenze della violazione dell'obbligo di tempestiva comunicazione; conseguenze che, sebbene non espressamente indicate dalla norma, sfuggono alla censura della violazione del principio di tassatività. L'assenza di una rituale comunicazione del decreto di riconoscimento ai sensi dell'art. 4, comma 4, d.lgs. 108/2017 avrebbe determinato un duplice effetto negativo, in violazione dei diritti della difesa, in quanto non avrebbe consentito:
A fronte di tale ricostruzione, la decisione ha riconosciuto la correttezza dell'ordinanza impugnata laddove la stessa ha annullato il decreto di riconoscimento emesso dal P.M., ravvisando nel caso di specie una violazione della richiamata norma dell'art. 4 comma 4, con il conseguente pregiudizio del diritto di difesa ai sensi dell'art. 178, comma 1, lett. c), c.p.p., avendo la tardiva comunicazione del decreto di riconoscimento impedito all'indagato e al suo difensore di proporre tempestiva opposizione al Gip nei modi e nei termini previsti dall'art. 13 d.lgs. cit. Il quadro così descritto è completato dalla S.C. con ulteriori – non secondari- rilievi. Da un lato, la sentenza esclude la ravvisabilità di «una condizione di equipollenza fra la comunicazione del decreto di riconoscimento e la eventuale trasposizione dell'O.I.E. emesso dall'autorità estera, sia essa in forma parziale o addirittura integrale, nel "corpo" del decreto di perquisizione e sequestro adottato dall'autorità che provvede all'esecuzione». In particolare «si confonderebbero, in tal modo, atti governati da presupposti, funzioni, finalità e rimedi impugnatori del tutto diversi, sovrapponendo il controllo - non meramente formale, ma sostanziale - che l'autorità di esecuzione deve svolgere sulla legittima circolazione della cd. "eurordinanza", dunque sulla stessa condizione giustificativa dell'impulso dato alla procedura di cooperazione, con la legittima esecuzione degli atti di indagine o di assunzione probatoria che costituiscono, propriamente, l'oggetto della richiesta ivi formulata». Ancora, in relazione alle possibilità di interlocuzione della difesa, la sentenza precisa altresì che è certamente precluso alle autorità nazionali il sindacato sulle "ragioni di merito" sottese alla emissione dell'O.I.E., in quanto le stesse sono impugnabili solo dinanzi allo Stato di emissione ex art. 14, par. 2, direttiva41/2014/Ue e art. 696-quinquies c.p.p.. Nondimeno, pure non avendo la proposizione dell'impugnazione alcun effetto sospensivo dell'esecuzione dell'O.I.E. (art. 13, commi 4 e 7), l'attività di trasferimento dei risultati delle attività compiute può essere sospesa qualora il P.M. ritenga che, in concreto, possa derivarne un grave e irreparabile danno all'indagato, all'imputato, ovvero alla persona comunque interessata dal compimento dell'atto (art. 13, comma 4, secondo inciso). Infine, in tema di legittimazione all'impugnazione, per la S.C., nel caso in cui il decreto di riconoscimento riguardi un ordine d'indagine avente ad oggetto il sequestro probatorio «l'opposizione può essere presentata non solo dall'indagato o dall'imputato e dal suo difensore, ma anche dalla persona alla quale la prova o il bene sono stati sequestrati, nonché da quella che avrebbe diritto alla loro restituzione: avverso la decisione del giudice, emessa nella forma dell'ordinanza all'esito di una procedura camerale instaurata ex art. 127 c.p.p., è ammesso il ricorso in cassazione, per la sola ipotesi della violazione di legge, da parte del P.M. e degli interessati, entro il termine di dieci giorni dalla sua comunicazione o notificazione (art. 13, comma 7)».
L'individuazione dell'obbligo di comunicazione. La decisione suggerisce all'interprete alcune riflessioni sull'obbligo di comunicazione del decreto di riconoscimento. Non tutti gli O.I.E. impongono una comunicazione del decreto al difensore. In molti casi la richiesta ha per oggetto attività funzionali all'individuazione del soggetto che sarà – in seguito- indagato nel Stato di emissione, così che non appare identificabile il potenziale destinatario della comunicazione stessa. Allo stesso modo, non dovrà esserci comunicazione per tutte le attività che, in base alla legge italiana, non richiedono forme di assistenza/deposito: acquisizione di documenti o di tabulati telefonici/file di log, assunzione a S.I.T. di persone informate sui fatti; atti che saranno depositati dall'autorità richiedente nei tempi e con le forme previste dalla legislazione di tale Stato. Per gli atti a sorpresa (perquisizioni, sequestri probatori, ispezioni) evidentemente, la comunicazione non potrà avvenire prima dell'esecuzione (pena la potenziale perdita di efficacia dei medesimi), ma, come abbiamo visto descrivendo il caso affrontato dalla S.C., dovrà intervenire al momento del compimento degli atti o immediatamente dopo. In relazione agli interrogatori (e, analogamente, per le videoconferenze) la comunicazione dovrebbe essere effettuata all'atto delle notifica dell'invito a comparire o della fissazione dell'udienza, fermi restando che i verbali degli atti d'indagine specificamente compiuti, e ai quali il difensore dell'indagato ha il diritto di assistere- quali, appunto, gli interrogatori - secondo quanto previsto dalla disposizione di cui all'art. 4, comma 8, d.lgs. 108/2017, devono essere depositati nella segreteria del P.M. ai sensi dell'art. 366, comma 1, c.p.p., cui lo stesso. 4 comma 8, formalmente rinvia; atti la cui esecuzione (e la conseguente trasmissione alle autorità dello Stato richiedente) potrebbe pertanto essere oggetto di valutazione nella procedura camerale sopra richiamata. Differenti le indicazioni in tema di intercettazioni; fermo restando che non avrebbe senso una comunicazione preventiva, resta il dubbio se- prima della trasmissione degli esiti all'autorità dello Stato richiedente - debba farsi luogo al deposito, previsto dal codice di procedura italiano. In assenza di indicazioni univoche sul punto, certamente l'autorità di esecuzione potrebbe interpellare quella richiedente sulla necessità di richiedere, ai sensi dell'art. 268 c.p.p., il ritardato deposito (ove esigenze investigative espresse dall'autorità richiedente lo impongano). In tema, infine, di operazioni sotto copertura- fermo restando anche in questo caso la non ravvisabilità per ragioni “ontologiche” di una comunicazione preventiva, l'obbligo di comunicazione potrebbe ravvisarsi- quantomeno con certezza- solo nei casi in cui le stesse abbiano dato luogo, a loro volta- ad atti tali da imporre in base alla legislazione nazionale avvisi alla difesa (ad es., nel caso di sequestri). Osservazioni
La decisione è di particolare rilievo, in quanto, per quanto consta, è certamente una delle prime che affronta, organicamente ed efficacemente, le problematiche sottese alla disciplina del d.lgs. 108/2017, che ha recepito la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 41/2014/Ue del 3 aprile 2014 in tema di ordine europeo di indagine penale. Non solo: il tema affrontato è tra i più delicati, in quanto riguarda la concreta possibilità, per la difesa, di “interlocuzione” durante l'esecuzione delle attività per le quali l'ordine viene richiesto alle autorità nazionali.
Ricapitolando:
L. CAMALDO, F. CERQUA, La Direttiva sull'ordine europeo di indagine penale: le nuove prospettive per la libera circolazione delle prove, in Cass. pen., 2014, 3511; M.R. MARCHETTI, Dalla Convenzione di assistenza giudiziaria in materia penale dell'Unione Europea al mandato europeo di ricerca delle prove e all'ordine europeo di indagine penale, in T. RAFARACI (a cura di), La cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale nell'Unione Europea dopo il Trattato di Lisbona, Giuffrè, 2011; NOCERA, Norme di attuazione della direttiva 2014/41/Ue sull'ordine europeo di indagine penale: il procedimento in generale, in questa rivista, 2017
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