Autoriciclaggio e operazioni infragruppo. Sulla qualificazione delle condotte distrattive
13 Marzo 2019
Massima
I bonifici infragruppo, gli assegni a garanzia di finanziamenti e il pagamento di ratei di mutuo attinenti a provviste di origine illecita, effettuati in assenza di una effettiva giustificazione economica, integrano il reato di autoriciclaggio perché concretamente idonei ad ostacolarne la provenienza delittuosa. Il caso
Con la sentenza in commento la V sezione della Corte di cassazione è tornata a pronunciarsi sul perimetro applicativo del reato di autoriciclaggio previsto dall'art. 648ter.1 c.p. La vicenda processuale trae origine nell'ambito di una indagine su una associazione per delinquere coinvolta nelle vicende di un gruppo di imprese calabresi operanti nel settore dell'erogazione di servizi sanitari. Nel giugno 2018, il giudice per le indagini preliminari di Reggio Calabria aveva emesso una ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di un soggetto indagato perché ritenuto promotore di un sodalizio criminale costituito per realizzare un numero indeterminato di delitti contro il patrimonio e contro l'economia, consistenti in fatti di bancarotta fraudolenta, false comunicazioni sociali e autoriciclaggio. In particolare, si contestava all'inquisito di aver organizzato un consesso criminale - predisponendo strutture dedicate e ripartendo i compiti tra gli associati - allo scopo di acquisire compagini imprenditoriali in crisi, drenandone le risorse patrimoniali per riversarle in direzione di un gruppo di società orbitanti nel circuito della congrega, così depauperandole dei beni destinati alla garanzia dei creditori. Secondo l'impianto accusatorio, dunque, il soggetto promotore dell'associazione, sia nella sua qualità di detentore di quote e di Presidente del Consiglio di Amministrazione della società capogruppo, che di socio unico e amministratore di fatto di altre società del gruppo – una delle quali era stata ammessa alla procedura di concordato preventivo dall'aprile 2018 –, avrebbe distolto dalla garanzia dei creditori di una delle predette imprese, ingenti somme di denaro a favore della società controllante a lui riferibile. E tale operazione distrattiva sarebbe avvenuta, in parte, mediante finanziamenti infragruppo dai quali la controllata non avrebbe conseguito alcun vantaggio, in parte, attraverso la stipula di fittizi contratti di consulenza in favore dell'impresa depauperata. Inoltre, le risorse distratte sarebbero state reimpiegate dall'indagato in attività economiche e imprenditoriali riconducibili alla sfera di interessi suoi o, comunque, del sodalizio criminale che aveva contribuito a promuovere, così da ostacolarne concretamente l'identificazione della provenienza delittuosa. L'ordinanza di custodia cautelare del Gip veniva confermata da una ulteriore ordinanza del tribunale del riesame del capoluogo calabrese, a sua volta impugnata dal difensore dell'indagato mediante un ricorso per cassazione articolato in quattro motivi. La questione
Con il ricorso proposto avverso l'ordinanza cautelare, la difesa ha voluto sottoporre all'esame dei giudici di legittimità - tra le altre - la questione dell'erronea ulteriore qualificazione delle condotte distrattive come ipotesi di autoriciclaggio, oltre che come fatti di bancarotta fraudolenta, ritenendo la motivazione del provvedimento gravato carente sotto il profilo della concreta idoneità dissimulatoria delle manovre di reimpiego delle somme distratte. Le soluzioni giuridiche
A seguito di una esaustiva disamina della fattispecie di autoriciclaggio, la soluzione giuridica offerta dalla Suprema Corte conferma pienamente le posizioni espresse dai giudici di merito nelle precedenti fasi procedimentali. Innanzitutto, la Cassazione procede a una accurata ricostruzione in fatto degli accadimenti oggetto del procedimento. In primo luogo, viene rilevato come le somme di denaro siano state distaccate dal patrimonio di una società sanitaria in crisi per farle confluire in quello della società controllante afferente l'indagato. Avendo, altresì, constatato l'assenza di una effettiva giustificazione economica, si ritiene integrata una ipotesi di bancarotta fraudolenta in quanto il solo fine sotteso all'operazione era ravvisato nel pregiudicare le istanze creditorie. In secondo luogo, poi, si evidenzia come quelle stesse somme di denaro siano state reimmesse nel circuito economico a vantaggio di altre iniziative imprenditoriali e attraverso multiformi strumenti negoziali. Nello specifico, l'emissione di assegni circolari a favore di ulteriori società, la costituzione di pegni a garanzia di finanziamenti erogati per l'acquisto di beni, l'accensione di garanzie personali o reali, il pagamento di ratei di mutuo. É in queste condotte, dunque, che la Corte ravvisa la commissione del reato di autoriciclaggio da parte dell'indagato. Come noto, infatti, l'art. 648-ter.1 c.p. punisce le attività di impiego, sostituzione o trasferimento di beni o di altre utilità commesse dall'autore del delitto presupposto che abbiano la caratteristica specifica di essere idonee ad ostacolare concretamente l'identificazione della loro provenienza delittuosa. Seguendo l'elaborazione ermeneutica sinora compiuta dalla giurisprudenza di legittimità, ai fini dell'integrazione del delitto di autoriciclaggio assumono rilevanza penale tutte quelle condotte di sostituzione che avvengano attraverso la reimmissione nel circuito economicofinanziario o imprenditoriale del denaro e dei beni di provenienza illecita. Tali condotte, inoltre, devono essere finalizzate a conseguire un concreto effetto dissimulatorio, realizzando il quid pluris che differenzia la condotta di godimento personale, insuscettibile di sanzione ai sensi del comma quarto dell'art. 648ter.1 c.p., dall'occultamento del profitto illecito, penalmente rilevante (Cass. pen., Sez. II, n. 30401/2018; Cass. pen., Sez. II, n. 25979/2018; Cass. pen., Sez. II, n. 33074/2016). Pertanto, alla luce della predetta ricostruzione, i giudici della V sezione hanno ritenuto che condividere le censure della difesa riferite all'eventuale doppia incriminazione delle condotte distrattive – a titolo di bancarotta fraudolenta per distrazione e a titolo di autoriciclaggio – avrebbe comportato una impropria sottovalutazione del ruolo che le operazioni addebitate all'indagato hanno, invece, avuto nell'ostacolare la ricostruzione della provenienza delittuosa delle somme oggetto materiale dei menzionati delitti. Osservazioni
La sentenza che qui si annota ha il merito di fare chiarezza sul perimetro entro il quale le operazioni di «impiego, sostituzione, trasferimento in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative dei proventi delittuosi» ad opera dell'autore del delitto presupposto possano assumere rilevanza penale ai fini del delitto di autoriciclaggio e quando, invece, si possa applicare la causa di non punibilità prevista dal comma quarto dell'art. 648-ter.1 c.p. e invocata a difesa dell'indagato. Richiamando i recenti orientamenti della giurisprudenza di legittimità in materia di autoriciclaggio (Cass. pen., Sez. II, n. 30399/2018), la Suprema Corte ha, infatti, precisato che la clausola di non punibilità prevista nel comma quarto, a norma della quale «Fuori dei casi di cui ai commi precedenti, non sono punibili le condotte per cui il denaro, i beni o le altre utilità vengono destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale», va intesa e interpretata nel senso fatto palese dal significato proprio di tali parole, ovvero che la fattispecie ivi prevista non si applichi alle condotte descritte nei commi precedenti. Così opinando, l'agente potrà andare esente da responsabilità penale solo e soltanto ove utilizzi o goda in modo diretto dei beni provento del delitto presupposto e senza che compia su di essi alcuna operazione atta ad ostacolare concretamente l'identificazione della loro provenienza delittuosa. La suddetta esegesi della clausola in parola muove dalla ratio posta alla base della fattispecie di autoriciclaggio, strumento introdotto nell'ordinamento italiano per assicurare un più incisivo contrasto all'economia sommersa e alla criminalità organizzata che la genera. Tale reato è stato inserito nel codice penale dalla l. 186/2014 (recante Disposizioni in materia di emersione e rientro di capitali detenuti all'estero nonché per il potenziamento della lotta all'evasione fiscale. Disposizioni in materia di autoriciclaggio), allo scopo di sterilizzare il profitto conseguito dall'agente con il reato presupposto, impedendone il reinvestimento nell'economia legale ed evitandone l'inquinamento. In altri termini, la norma ha previsto il divieto di condotte decettive finalizzate a rendere irrintracciabili i proventi del delitto presupposto, poiché solo ove i medesimi siano tracciabili si può impedire che l'economia sana venga infettata da proventi illeciti che ne distorcano le corrette dinamiche. L'interpretazione della clausola di non punibilità fornita dalla giurisprudenza sottintende, dunque, da un lato, un uso diretto da parte dell'agente dei beni provento del delitto presupposto; dall'altro, l'assenza di qualsiasi attività di concreto ostacolo all'identificazione della provenienza delittuosa del bene. Per effetto di ciò, le condotte conseguenti il delitto presupposto non possono e non devono essere caratterizzate da comportamenti ingannevoli, proprio perché l'agente non avrebbe alcuna necessità giuridica di ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa del bene che utilizza. Viceversa, allorquando la fattispecie criminosa di cui all'art. 648-ter.1 c.p. sia integrata in tutti i suoi requisiti, l'agente sarà sanzionabile penalmente essendo del tutto indifferente che, alla fine delle operazioni di autoriciclaggio, egli abbia meramente utilizzato o goduto personalmente dei suddetti beni a titolo personale. Di conseguenza, a parere della Corte, è ravvisabile il delitto di autoriciclaggio, e non un post factum non punibile, in qualsiasi prelievo o trasferimento di fondi operato dal soggetto autore del delitto presupposto successivo a precedenti versamenti, ivi compreso il mero trasferimento di denaro di provenienza delittuosa da un conto corrente bancario ad un altro diversamente intestato e acceso presso un diverso istituto di credito, essendo il delitto in parola a forma libera. Ai fini della configurabilità della fattispecie di autoriciclaggio, infatti, assume rilievo qualsiasi condotta di manipolazione, trasformazione, trasferimento di denaro quando essa sia concretamente idonea ad ostacolare gli accertamenti sulla provenienza del denaro stesso (Cass. pen., Sez. II, n. 33074/2016; Cass. pen., Sez. II, n. 33076/2016). Così, ritengono i giudici, la circostanza che vi siano state operazioni dissimulatorie precedenti non elide la portata criminosa di quelle successive ispirate alla medesima finalità, parimenti idonee ad allontanare sempre più il bene dalla sua origine e a renderne difficoltoso l'accertamento. Le conclusioni raggiunte dalla Suprema Corte si pongono in continuità anche con l'elaborazione dottrinale sul tema. In particolare è stato osservato come la norma sull'autoriciclaggio – facendo acquisire rilevanza penale al riciclaggio posto in essere dall'autore del delitto presupposto e nel sancire una pena meno grave rispetto a quella prevista per il riciclaggio – cristallizzi il collegamento tra la condotta “riciclatrice" e una "gestione" di utilità economiche già acquisite con una condotta a sua volta punibile. Il che sta a significare che, come sottolineato dalla Corte, «la punibilità dell'autoriciclaggio, per quanto in forma meno grave, dipende proprio dall'avere questo oggettivamente attentato all'ordine economico mediante l'attività di riciclaggio e non già dall'aver finalizzato sin da principio il precedente delitto allo scopo di realizzare quest'ultima. Il senso della norma si coglie, insomma, non già sul piano della "rimproverabilità" soggettiva, ma su quello del passaggio dall'ottenimento per vie illegali di una utilità economicamente rilevante ad un reinvestimento della medesima in ambiti a loro volta fruttuosi sotto il profilo economico e dannosi per gli interessi di quanti ne subiscano obiettivamente le conseguenze».
Merita evidenziare che la V Sezione è giunta a soluzioni giuridiche diametralmente opposte in una recente sentenza emessa a seguito del ricorso per cassazione presentato dal difensore di un coindagato nella vicenda de qua (Cass. pen., Sez. V, n. 8851/2019). Nei confronti di tale soggetto il Gip di Reggio Calabria aveva emesso una ordinanza applicativa degli arresti domiciliari (confermata dal tribunale del riesame) per i reati di bancarotta fraudolenta e autoriciclaggio. In particolare, gli si contestava di aver ricevuto le somme distratte dalla predetta società sanitaria in crisi ed averle impiegate nelle proprie attività commerciali. Tuttavia, nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che il denaro provento della bancarotta fraudolenta fosse stato impiegato per la gestione delle normali attività operative delle imprese riferibili all'indagato e che, pertanto, potesse essere fisiologicamente riutilizzato. In altre parole, secondo i giudici di legittimità, ritenere punibile come autoriciclaggio il mero trasferimento delle somme distratte a favore di imprese operative, finirebbe per sanzionare penalmente due volte la stessa condotta quando le somme sottratte alla garanzia patrimoniale dei creditori sociali siano dirette verso imprenditori, generando, rispetto a tale situazione specifica, una ingiustificata sovrapposizione punitiva tra la norma sulla bancarotta e quella ex art. 648-ter.1 c.p. Di conseguenza, la Suprema Corte ha chiarito che il giudice di merito avrebbe dovuto provare la sussistenza di un quid pluris che denotasse l'attitudine dissimulatoria della condotta in parola rispetto alla provenienza delittuosa del bene. CIRAULO A., Autoriciclaggio (voce), in Dig. Pen., IX agg., Milano, 122-136. GULLO A., Autoriciclaggio (voce), in Il Libro dell'anno del Diritto Treccani 2016, Roma, 2016. TREGLIA S., Autoriciclaggio e versamento del profitto del furto su una carta prepagata intestata allo stesso autore del delitto presupposto, in giurisprudenzapenale.it. |