Giudice dell'esecuzione

20 Marzo 2019

L'espropriazione si connota quale attività giurisdizionale e non di mera amministrazione ed è, invero, diretta da un giudice.
Inquadramento

L'espropriazione si connota quale attività giurisdizionale e non di mera amministrazione ed è, invero, diretta da un giudice.

La nomina del giudice dell'esecuzione è contenuta nel progetto tabellare, di durata triennale, redatto dal Presidente del Tribunale e soggetto all'approvazione del Consiglio Superiore della Magistratura.

In conformità alle funzioni svolte, il giudice dell'esecuzione ha, a differenza del giudice istruttore, poteri espropriativi e satisfattivi, mentre deve escludersi possa decidere con efficacia di giudicato su diritti soggettivi.

Nomina

Giudice competente per l'esecuzione è l'ufficio giudiziario dinanzi al quale può svolgersi una procedura esecutiva, individuato, per materia, esclusivamente nel Tribunale e, quanto al territorio, ai sensi degli artt. 26 e 26-bis (cfr. Martinetto, 3).

L'art. 484 c.p.c. disciplina, tuttavia, il giudice dell'esecuzione, ossia l'organo che, all'interno dell'ufficio giudiziario competente, esercita le funzioni esecutive ed è rappresentato, a seconda delle dimensioni del tribunale, da una o più persone fisiche (Castoro, 133).

In particolare, si prevede che il giudice dell'esecuzione sia in concreto nominato dal Presidente del Tribunale entro due giorni dalla presentazione del fascicolo da parte del cancelliere.

Siffatta previsione è, peraltro, anacronistica, essendo ormai demandata l'individuazione del giudice dell'esecuzione (come degli altri giudici che svolgono determinate funzioni all'interno di un ufficio giudiziario) alle tabelle, predisposte dal Presidente del Tribunale per un triennio, ed approvate dal Consiglio Superiore della Magistratura. Ove nell'ufficio i giudici che svolgano funzioni di giudice dell'esecuzione siano più di uno, sono previsti criteri automatici (in genere il numero di iscrizione a ruolo con rotazione paritaria) per la distribuzione tra gli stessi dei fascicoli.

Poteri

Il giudice dell'esecuzione svolge attività di carattere giurisdizionale e non meramente amministrativa.

Ciò implica, sotto un primo profilo, che il giudice dell'esecuzione sia assoggettato alla disciplina in tema di responsabilità dei magistrati (Castoro, 143).

In secondo luogo, svolgendo attività giurisdizionale il giudice dell'esecuzione è soggetto alle disposizioni di cui agli artt. 51 e ss. c.p.c. in tema di astensione e ricusazione del giudice, la cui la violazione di siffatte previsioni può essere denunciata mediante opposizione agli atti esecutivi (cfr. Arieta - De Santis, in Montesano - Arieta, 416), come riconosciuto dalla stessa Suprema Corte (Cass. civ., n. 679/2014).

Nella prassi applicativa, si è affermato che integra l'ipotesi prevista dall'art. 51, n. 4, il comportamento del giudice dell'esecuzione che, rilevata l'impossibilità di provvedere, per motivi addebitabili alla cancelleria, alla emissione del decreto di trasferimento contestuale al pagamento del saldo prezzo, indica all'aggiudicatario la possibilità di richiedere la proroga del termine per tale pagamento (Trib. Lecce, 3 dicembre 2008, in Giur. mer., 2009, n. 3, 612, con nota di Vigorito).

Quanto, più specificamente, ai poteri del giudice dell'esecuzione, il terzo comma dell'art. 484 c.p.c. rinvia agli artt. 174 e 175 c.p.c. relativi al giudice istruttore.

Il rinvio effettuato all'art. 174 c.p.c. comporta che la sostituzione del giudice dell'esecuzione possa avvenire soltanto in caso di assoluto impedimento o di gravi esigenze di servizio in forza del principio di immutabilità dello stesso.

Peraltro, la Suprema Corte ha precisato che la sostituzione del giudice dell'esecuzione per altre cause non determina, in quanto il vizio di costituzione del giudice è ravvisabile solo quando gli atti giudiziali siano posti in essere da persona estranea all'ufficio e non investita della funzione esercitata, e perciò non è riscontrabile nell'ipotesi in cui si verifichi una sostituzione fra giudici di pari funzione e competenza appartenenti al medesimo ufficio, senza che assuma rilevanza che la sostituzione sia avvenuta senza l'osservanza delle condizioni stabilite dagli artt. 174 e 79 disp. att., perché tale violazione costituisce una mera irregolarità di carattere interno, che non incide sulla validità del procedimento o della sentenza (Cass. civ., n. 2745/2007).

Il rinvio operato dall'art. 484 c.p.c. all'art. 175 c.p.c. comporta poi che il giudice dell'esecuzione diriga le attività dell'esecuzione forzata, alla medesima stregua di quanto fa il giudice istruttore nell'ambito del processo di cognizione. Tale potere direttivo si estrinseca di regola mediante provvedimenti che assumono la forma di ordinanze.

Il giudice dell'esecuzione gode, peraltro, a differenza del giudice istruttore, anche di poteri espropriativi, volti a trasferire il diritto sui beni pignorati dal debitore, e satisfattori, diretti a soddisfare il diritto dei creditori (Tarzia, 1961, 66).

La dottrina nega, invece, che il giudice dell'esecuzione abbia poteri decisori, con efficacia di giudicato, su diritti soggettivi (Mandrioli, 1969, 69).

Qualora, tuttavia, tali poteri vengano in concreto esercitati dovrà essere assicurata, in mancanza di altri strumenti, la garanzia del ricorso straordinario per cassazione (Cass. civ., n. 4442/1985).

Inoltre, nell'ambito delle divisioni endoesecutive il giudice dell'esecuzione assume eccezionalmente poteri decisori (ed infatti è chiamato a decidere con sentenza), mentre ha poteri di accertamento, sebbene con efficacia endoprocessuale nel giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo (v. art. 549 c.p.c.) e nelle controversie distributive (v. art. 512 c.p.c.).

Sotto altro profilo, il giudice dell'esecuzione ha il potere di controllare d'ufficio sia la sussistenza dei presupposti processuali della procedura (ad esempio, giurisdizione, competenza, capacità processuale delle parti), che valutare il regolare svolgimento della procedura esecutiva (Cass. civ., n. 12429/2008), nonché di verificare, anche nel corso del procedimento, la persistente sussistenza del titolo esecutivo (cfr. Mandrioli, 342).

Provvedimenti

Di norma la forma dei provvedimenti del giudice dell'esecuzione è quella dell'ordinanza, salva diversa previsione normativa. Alcuni provvedimenti sono invero assunti nella forma del decreto.

Le ordinanze del giudice dell'esecuzione devono essere motivate, se rese su sollecitazione delle parti tramite istanze o domande (Martinetto, 90).

Secondo una parte della dottrina il giudice dell'esecuzione, richiesto di compiere un atto esecutivo, potrebbe limitarsi a non effettuare lo stesso (Tarzia, 430), mentre per altri è comunque necessario un espresso provvedimento di diniego.

In alcune ipotesi, è previsto che il giudice dell'esecuzione assuma i propri provvedimenti con decreto: ad esempio, l'art. 625, comma 2, c.p.c. consente in caso d'urgenza di disporre la sospensione dell'esecuzione con decreto inaudita altera parte, fissando contestualmente l'udienza di comparizione delle parti, nel corso della quale la misura sarà riesaminata nel contraddittorio (tale decreto, pur non reclamabile ex art. 624 c.p.c. che fa riferimento alle sole ordinanze, è impugnabile per vizi propri mediante opposizione agli atti esecutivi: peraltro, l'interesse all'impugnazione dello stesso viene meno quando si è svolta la fase successiva nel contraddittorio delle parti con l'emanazione dell'ordinanza: Cass. civ., n. 2042/2010).

In dottrina si tende a ritenere che, invece, il giudice dell'esecuzione, essendo privo di poteri decisori, volti ad accertare con efficacia di giudicato diritti soggettivi (Mandrioli, 1969, I, 169) non possa emanare provvedimenti aventi veste formale di sentenza.

Il giudice dell'esecuzione può modificare o revocare le ordinanze che ha emesso finché le stesse non abbiano avuto esecuzione, su istanza di parte o d'ufficio.

È discussa in dottrina la portata del potere di revoca concesso al giudice dell'esecuzione prima dell'esecuzione del provvedimento: in particolare, è controverso se la revoca in questione debba riguardare tutti i motivi per i quali il giudice dell'esecuzione vi ha fatto ricorso o se di revoca possa parlarsi solo nel caso di motivi di opportunità (Martinetto, 164 ss.), dovendosi parlare, per i casi di vizi formali dei provvedimenti, di annullamento degli stessi e conseguente rinnovazione (Castoro, 140 ss.).

La tesi più liberale circa i motivi che il giudice dell'esecuzione può porre a fondamento della revoca o modifica del provvedimento appare condivisa nella giurisprudenza della Suprema Corte per la quale l'esercizio del potere di revoca può correlarsi sia a vizi dell'ordinanza che a valutazioni di inopportunità, originaria o sopravvenuta (Cass. civ., n. 1936/2003).

Il provvedimento di revoca spiega efficacia ex tunc (v., tra le molte, Cass. civ., n. 5934/2013).

È inoltre consolidato nella giurisprudenza di legittimità il principio in forza del quale è inammissibile il ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost. avverso le ordinanze con cui il giudice dell'esecuzione revoca o modifica un proprio precedente provvedimento, in quanto le stesse non sono definitive, essendo soggette a riesame in forma contenziosa attraverso l'opposizione agli atti esecutivi (Cass. civ., n. 10840/2001).

Sebbene il provvedimento del giudice dell'esecuzione, una volta eseguito, non sia revocabile o modificabile dallo stesso giudice, lo stesso resta impugnabile, con le forme e nei termini di cui all'art. 617, senza che l'avvenuta esecuzione osti all'esame nel merito dei motivi dell'opposizione agli atti esecutivi, la cui fondatezza comporta l'annullamento del provvedimento opposto, ponendo nel nulla retroattivamente gli effetti prodotti in sede esecutiva (Cass. civ., n. 12053/2014).

Più in generale, il potere del giudice dell'esecuzione di revocare i propri provvedimenti, ai sensi dell'art. 487, concorre con quello delle parti di impugnarli con opposizione agli atti esecutivi (Cass. civ., n. 26185/2011): in concreto, siffatta situazione si realizza quando l'ordinanza non abbia ancora avuto esecuzione e la parte interessata sia nel termine per esperire opposizione agli atti esecutivi.

In sostanza, il provvedimento del giudice dell'esecuzione, revocabile o modificabile dal medesimo giudice, è impugnabile, con le forme e nei termini di cui all'art. 617 c.p.c., senza che l'avvenuta esecuzione osti all'esame nel merito dei motivi dell'opposizione agli atti esecutivi, la cui fondatezza comporta l'annullamento del provvedimento opposto, ponendo nel nulla retroattivamente gli effetti prodotti in sede esecutiva (Cass. civ., n. 12053/2014).

Per alcuni, il potere di revoca delle ordinanze da parte del giudice dell'esecuzione resta fermo anche ove sia decorso il termine per proporre opposizione agli atti, laddove vengano in rilievo nullità assolute (Vaccarella, 289) ed, a fortiori, qualora siano emanati provvedimenti abnormi da parte del giudice dell'esecuzione (Martinetto, 185).

Le Sezioni Unite della Corte di cassazione, sebbene in un obiter dictum, hanno altresì riconosciuto l'esistenza nell'ambito dell'esecuzione forzata di «situazioni che, nell'impedire al processo stesso di proseguire per la realizzazione del suo scopo, da un lato risultano costantemente rilevabili d'ufficio dal giudice, dall'altro non sono suscettibili di sanatoria e, perciò, legittimamente denunciabili dalla parte interessate mercé il rimedio dell'opposizione agli atti esecutivi proposto avverso qualsiasi, successivo provvedimento del giudice volto alla realizzazione della pretesa esecutiva, mentre il provvedimento che il giudice stesso adotti sul presupposto del proprio difetto di giurisdizione, assumendo, come contenuto, la dichiarazione che il processo non può proseguire, e, come natura giuridica, quella dell'atto esecutivo, è del pari suscettibile di opposizione agli atti» (Cass.civ., Sez.Un., n. 1124/2000).

Sotto un distinto profilo, è stato chiarito che al novero degli atti esecutivi impugnabili (cioè opponibili o reclamabili) possono essere ricondotti anche i provvedimenti con cui il giudice dell'esecuzione rigetta l'istanza di modifica o revoca di un proprio precedente provvedimento, quante volte però, pur rimanendo inalterata la posizione fatta alle parti dal quel provvedimento, un pregiudizio possa loro derivare dagli argomenti addotti a sostegno del diniego. È invece insuscettibile di impugnazione va considerato il provvedimento di diniego che, anche per la motivazione adottata, non altera la posizione fatta alle parti dal provvedimento di cui il giudice rifiuta la modifica o la revoca, poiché in tale caso, consentire la opposizione agli atti o il reclamo contro il provvedimento negativo significherebbe riaprire a favore della parte decadutane la possibilità di far valere i vizi di cui era affetto il provvedimento precedente (Cass. civ., n. 3723/2012).

Il limite alla modificabilità e revocabilità delle ordinanze del giudice dell'esecuzione costituito dall'avvenuta esecuzione delle stesse è correlato all'esigenza di prevenire il pregiudizio che deriverebbe alle parti ed eventualmente agli altri interessati se determinati effetti sostanziali dell'ordinanza potessero essere variati dopo che questa ha avuto esecuzione o attuazione (Satta, 1963, 49).

Il provvedimento riceve concreta attuazione quando il contenuto dello stesso viene applicato alla realtà.

In ragione della finalità per la quale è previsto il limite in questione, si ritiene che non siano modificabili o revocabili le ordinanze del giudice dell'esecuzione che producono effetti immediati (Castoro, 150 ss.). Tra tali provvedimenti rientrano, ad esempio, le ordinanze di distribuzione della somma ricavata e di assegnazione dei beni pignorati che, invero, spiegano affetti al momento stesso della loro emanazione (Andrioli, III, 159).

Peraltro, le ordinanze del giudice dell'esecuzione, pur non revocabili per avvenuta esecuzione, sono suscettibili di correzione nei casi e nelle forme previste dagli artt. 287 e 288 c.p.c., trattandosi di disposizioni espressione di una esigenza di ordine generale propria ad ogni tipo di processo, sicché, in assenza di una diversa e specifica disciplina, sono applicabili anche ai provvedimenti resi nel processo di esecuzione (Cass. civ., n. 1891/2015).

Riferimenti
  • Arieta – De Santis, L'esecuzione forzata, in Trattato di diritto processuale civile, a cura di Montesano, Arieta, III, 2, Padova, 2007;
  • Castoro, Il processo d'esecuzione nel suo aspetto pratico, Milano, 2017;
  • Mandrioli, Ricorso ex art. 111 Cost. e provvedimenti esecutivi, in Giur. it. 1969, I, 169;
  • Martinetto, Gli accertamenti degli organi esecutivi, Milano, 1963;
  • Satta, L'esecuzione forzata, Torino, 1963; Tarzia, L'oggetto del processo d'espropriazione, Milano, 1961;
  • Vaccarella, Titolo esecutivo, precetto, opposizioni, Torino, 1993.