Rider: lavoratori a confine tra subordinazione e collaborazione autonoma

Gabriele Livi
22 Marzo 2019

L'approfondimento prende spunto dalla sentenza della Corte d'Appello di Torino dello scorso gennaio, che riveste un particolare interesse in quanto, per la prima volta, la riforma del Jobs Act (art. 2 D.lgs. n. 81/2015) viene intesa, a livello giudiziale, nel senso di aver introdotto una tipologia di rapporti di lavoro autonomo, cui trova (parziale) applicazione la disciplina del lavoro subordinato.
Premessa

La sentenza che si commenta riveste un particolare interesse in quanto, per la prima volta, la riforma del Jobs Act (art. 2, D.lgs. n. 81/2015) viene intesa, a livello giudiziale, nel senso di aver introdotto una tipologia di rapporti di lavoro autonomo, cui trova (parziale) applicazione la disciplina del lavoro subordinato.

Tutto ciò viene a incidere significativamente sul quadro dei rapporti economico-sociali. Resta la distinzione di base fra lavoro subordinato e lavoro autonomo, ma quest'ultimo si viene a scomporre ulteriormente, in un contesto in cui le situazioni di dipendenza economica e correlata sotto-protezione investono sempre più nuovi ambiti lavorativi, tecnicamente estranei al lavoro subordinato.

Più specificamente, tale scomposizione viene ad attuarsi all'interno delle collaborazioni continuative – che sono una manifestazione del lavoro autonomo – che per effetto della riforma si vengono ad articolare in due sottotipi: le collaborazioni coordinate e autonomamente organizzate ex art. 409 c.p.c. e le collaborazioni etero-organizzate per le quali viene disposta ex lege l'applicazione della disciplina sul lavoro subordinato.

L'applicazione però non comporta il confluire di un modello nell'altro: trovano riconoscimento le condizioni economiche e normative di base - “mutuate” dalla disciplina di tipologie di subordinazione assimilabili - ma senza che si realizzi una complessiva estensione delle prerogative che si correlano alla subordinazione, in particolare senza l'estensione delle forme di tutela in tema di licenziamenti.

Quadro normativo innovato e linee interpretative

Ma andiamo per gradi, anzitutto rammentando in che modo la riforma attuata con il Jobs Act abbia ridefiniti i confini fra le varie figure.

Da un punto di vista formale, la riforma non ha inciso sulle norme definitorie del lavoro subordinato e del lavoro autonomo “tradizionale”: le norme di riferimento restano gli art. 2094 e art. 2222 c.c. che non subiscono modifiche almeno dirette; la riforma è venuta invece a incidere sulle collaborazioni identificate dall'art. 409 n. 3 c.p.c. quali forme di lavoro autonomo, a carattere continuativo, che descrivono, sul piano giuridico, situazioni caratterizzate da una rilevante e duratura contiguità e compenetrazione fra le sfere giuridiche di committente e collaboratore.

Venuto meno per abrogazione (art. 52, D.lgs. n. 81/2015) il complesso e artificioso costrutto delle collaborazioni a progetto di cui all'art. 61 ss., D.lgs. n. 276/2003, il legislatore del 2015 parte, almeno idealmente, dal dato già assodato dell'esistenza di forme di collaborazione autonoma all'impresa, il cui punto di riferimento è come detto, anzitutto, l'art. 409 n. 3 c.p.c., che si riferisce, testualmente, a “collaborazioni che si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato”.

Tale norma, presente nel codice di procedura civile sin dalla riforma della L. n. 533/1973, vede (ri)definirsi il proprio portato per effetto di quanto previsto dall'art. 2, D.lgs. n. 81 cit. (rubricato collaborazioni organizzate dal committente), ai cui sensi, dal 1° gennaio 2016, “si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro”.

Norma questa che è alla base della successiva integrazione - ad opera della D.lgs. n. 81/2015 - dell'art. 409 n. 3, dove è stato aggiunto l'inciso finale: “La collaborazione si intende coordinata quando, nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilite di comune accordo dalle parti, il collaboratore organizza autonomamente l'attività lavorativa”.

Ecco quindi che il legislatore del 2015, pare aver operato una quadripartizione delle forme di lavoro e di collaborazione all'impresa (e non solo): agli estremi stanno il lavoro subordinato (2094 c.c.) e il lavoro autonomo (2222 c.c.), in mezzo si collocano, in certa contiguità con il primo, le collaborazioni autonome etero-organizzate (art. 2, D.lgs. 81/2015) e in contiguità con il secondo modello le collaborazioni autonome coordinate e autonomamente organizzate.

Tale ricostruzione è stata tuttavia negata da parte della dottrina, la quale ha ritenuto, in buona sostanza, che l'art. 2094 c.c., vada per così dire integrato, con l'art. 2, D.lgs. n. 81/2015 cit.: le due norme, assieme, per taluni interpreti ridefiniscono, in maniera più estensiva e inclusiva, il concetto di subordinazione, che ora ha il suo fulcro nella etero-organizzazione più che nella eterodirezione; per altri studiosi, invece, l'art. 2 cit. non innova il quadro normativo, ma recepisce un indice di subordinazione, ordinariamente richiamato dalla giurisprudenza, che acquisisce ora una valenza legale e che pare di per sé indicativo dell'assetto gerarchico del rapporto di lavoro (salva prova contraria).

I fautori della ricostruzione appena riferita ritengono quindi che resti in piedi la tripartizione già nota – lavoro subordinato (art. 2094), lavoro autonomo puro (art. 2222 c.c. e ss.), e collaborazioni autonome, coordinate e continuative (art. 409, co. 1, n. 3. c.p.c.) – e che, in particolare, a tutte le fattispecie riconducibili, per effetto del combinato disposto delle due norme citate, alla figura del lavoro subordinato, si applichi la relativa disciplina in tutte le sue declinazioni.

Fasi del giudizio e indirizzi nei due gradi di merito

Le linee interpretative appena richiamate trovano riscontro nelle contrapposte motivazioni alla base delle decisioni nei due gradi di giudizio.

I giudici vengono chiamati ad occuparsi di una delle manifestazioni della gig economy; si tratta dell'attività dei rider, cioè dei “fattorini” che, servendosi di propri mezzi di locomozione (per lo più biciclette o motorini), consegnano prodotti di ristorazione andandoli a prelevare presso l'esercizio pubblico e portandoli presso la residenza del richiedente entro tempi concordati. Come noto, su questo tipo di attività lavorativa hanno da ultimo inciso prepotentemente i mezzi tecnologici ricollegabili al web, alla telefonia di ultima generazione e alle varie app o applicazioni alle stesse correlate.

Nell'ambito dell'attività riconducibile all'effettuazione di consegne, l'offerta di lavoro è talmente ampia rispetto alla domanda, che per le aziende interessate è sufficiente organizzarsi attraverso la individuazione di un ampio bacino di riferimento, nel senso di prendere accordi con un considerevole numero di lavoratori, che però restano (in ampia misura) liberi di impegnarsi o no nella singola commessa e che in ogni caso non vengono vincolati secondo le modalità tipiche della subordinazione.

I lavoratori sono chiamati a sottoscrivere con la controparte contratti di lavoro a tempo determinato (per lo più alcuni mesi) qualificati in termini di collaborazione coordinata e continuativa ex art. 409 c.p.c.; le clausole negoziali chiariscono in particolare che è escluso l'esercizio del potere gerarchico, direttivo e sanzionatorio da parte del committente; che il lavoratore gode di ampia autonomia organizzativa, nel senso che può o meno impegnarsi a dare la propria disponibilità per i vari turni di consegne e che anche se ritira la disponibilità data o addirittura non si presenta non si producono gli effetti (es.: sanzionatori) altrimenti tipici del rapporto di lavoro subordinato.

La formula contrattuale utilizzata, come detto, è resa possibile per l'ampia fungibilità in una platea di “controparti potenziali” disposte a compiere l'incarico richiesto: quindi non c'è bisogno di un “vincolo forte” con il singolo fattorino, perché è nell'ordine delle cose che, in difetto del primo, vi sia un altro fattorino disponibile e gli eventuali disservizi sono ampiamente controbilanciati, per l'azienda, in una prospettiva che consideri complessivamente costi e benefici dell'operazione.

Essendo questo il quadro dei rapporti economico-sociali preso in esame, la “nuova cassetta degli attrezzi” predisposta dal Legislatore della riforma può fungere da mezzo per tentare un certo riequilibrio degli interessi in gioco, e ciò in considerazione del fatto che si è di fronte a forme di lavoro che, pur tecnicamente non qualificabili in termini di subordinazione, prospettano univoci elementi di sotto-protezione e sotto-tutela.

Giudizio di primo grado

Non così, per il vero, nel giudizio di primo grado: il Giudice di prime cure, infatti, agli esiti della verifica delle modalità secondo cui trova attuazione la fattispecie concreta, disconosce la presenza di un potere organizzativo, oltre che direttivo, del committente. Ritiene invece che le modalità di svolgimento della prestazione e le relative indicazioni e verifiche operate dalla convenuta rientravano a pieno titolo nell'ipotesi di collaborazione coordinata e continuativa, autonomamente organizzata dal collaboratore, di cui all'art. 409 c.p.c.

Il Giudice medesimo, nel rammentare che i ricorrenti avevano invocato in via subordinata l'applicazione della norma di cui all'art. 2 D.lgs. n. 81/2015 aderisce alla tesi, sostenuta da una parte della dottrina, secondo cui si tratta di una disposizione incapace di produrre nuovi effetti giuridici innovativi sul piano della disciplina applicabile alle diverse tipologie di rapporti di lavoro: posto che la norma dispone che sia applicata la disciplina del lavoro subordinato qualora le modalità di esecuzione della prestazioni siano organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro, è quindi necessario che il lavoratore sia pur sempre sottoposto al potere direttivo e organizzativo e non è sufficiente che tal e potere si estrinsechi solo con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro.

Inoltre, osserva il giudicante, appare difficile parlare di etero-organizzazione dei tempi di lavoro nella ipotesi, posto che i rider avevano facoltà di stabilire se e quando dare la propria disponibilità ad essere inseriti nei turni di lavoro. La conseguenza è che il ricorso dei lavoratori è rigettato nel suo complesso.

Giudizio di appello

Tale impostazione viene disattesa in appello pur nella condivisione dei presupposti fattuali della vicenda. Concorda anzitutto il giudice di secondo grado circa la impossibilità di sussumere la fattispecie tout-court nell'ambito del lavoro subordinato, in presenza di assetti contrattuali in cui i lavoratori sono liberi se dare o no la propria disponibilità ai vari turni e altresì sono liberi di non prestare servizio nei turni per i quali la disponibilità era stata accettata, revocando la stessa o non presentandosi, senza conseguenze di tipo sanzionatorio.

Tuttavia, è proprio valorizzando il portato innovativo dell'art. 2 D.lgs. n. 81/2015 che il Collegio recupera più stringenti livelli di tutela a favore dei rider: non si tratta di una norma priva di contenuto precettivo autonomo, come sostenuto dal Tribunale in primo grado, in quanto volta a confermare il concetto di subordinazione recepito dall'ordinamento.

Afferma invece il Collegio che l'art. 2, co. 1, D.lgs. n. 81/2015 individua un tertium genus” che si viene a porre tra il lavoro subordinato di cui all'art. 2094 c.c. e la collaborazione coordinata come prevista dall'art. 409 c.p.c., evidentemente per garantire una maggiore tutela alle nuove fattispecie di lavoro che, a seguito della evoluzione e della relativa introduzione sempre più accelerata delle recenti tecnologie, si stanno sviluppando.

La fattispecie postula un concetto di etero-organizzazione in capo al committente che viene ad avere il potere di determinare le modalità di esecuzione della prestazione lavorativa del collaboratore e cioè la possibilità di stabilire i tempi e i luoghi del lavoro. Pur senza sconfinare nell'esercizio del potere gerarchico e disciplinare – che è alla base della etero-direzione ex art. 2094 c.c. – la collaborazione è qualificabile come etero-organizzata quando è ravvisabile una effettiva integrazione funzionale del lavoratore nella organizzazione produttiva del committente che si pone come qualcosa che va oltre alla semplice coordinazione di cui all'art. 409 cit.

E tale situazione (etero-organizzazione) è ravvisabile, ad avviso del Collegio, nel fatto che gli appellanti lavoravano sulla base di una “turnistica” (slot) stabilita dalla appellata, erano determinate dal committente le zone di partenza, venivano comunicati loro tramite app gli indirizzi cui di volta in volta effettuare le consegne e i tempi di consegna erano predeterminati (La ricostruzione è tale che risulterebbe rientrare nell'art. 2, co. 1, anche le attività svolta presso i call center out-bound se non beneficiassero della deroga di cui all'art. 2, co. 2, lett. a)).

Per il tramite dell'art. 2 D.lgs. n. 81/2015, afferma la sentenza di appello, i rider, pur restando lavoratori tecnicamente autonomi, divengono destinatari di tutele proprie del lavoro subordinato, secondo quanto previsto, oltre che la disciplina legislativa, dal CCNL per tipologia di prestazioni assimilabile, individuato in quello della logistica-trasporto-merci.

L'ampiezza della tutela si estende ad ampio raggio: dalla sicurezza e igiene sul lavoro, all'inquadramento professionale, dalla retribuzione diretta e differita, ai limiti di orario e ferie, dalla privacy, alla previdenza.

Nondimeno, il fatto che l'art. 2 tenga ferma la natura autonoma del rapporto, porta ad escludere l'effetto ultimo della riqualificazione dello stesso in termini di subordinazione e quindi l'applicabilità delle tutele contro i licenziamenti illegittimi. Fatto questo che “comprime” la tutela solo in riferimento alla attività effettivamente prestata.