Come cambia il giudizio abbreviato: conseguenze dell’inapplicabilità del rito speciale ai delitti puniti con l’ergastolo
08 Aprile 2019
Ancorché destinata a operare solo per i fatti commessi successivamente alla sua entrata in vigore – cioè il giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale (art. 5) – il testo recante Inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell'ergastolo, approvato definitivamente dal Senato il 2 aprile 2019, avrà un significativo impatto sui percorsi processuali e sulla distribuzione dei processi nelle competenze dei diversi uffici giudiziari. Seppur regolato con solo quattro articoli, va sottolineato che la provvedimento ha implicazioni significative sotto vari profili.
Con l'art. 1, comma 1, lett. a), si prevede, innovando l'art. 438 c.p.p., inserendovi un comma 1-bis, che non è ammesso il giudizio abbreviato per i delitti puniti con la pena dell'ergastolo. Come è facile intuire, sarà necessario fare riferimento all'imputazione e alle sue modificazioni, nonché alla qualificazione giuridica del fatto ritenuto dal giudice con la sentenza. Senza pretesa di completezza, si tratta delle fattispecie di cui agli artt. 242, 247, 258, 261, 265, 276, 280, comma 4, 284, comma 1, 285, 286, 287, 295, 298, 422, 438, 439, 575, aggravato ai sensi degli artt. 576, 577, 605, comma 4, 630, comma 3, c.p. Deve, invero, ritenersi che la previsione si riferisca anche alle situazioni per le quali l'ergastolo è previsto quale conseguenza di circostanze aggravanti. Se, come emerge con chiarezza dall'abrogazione (ex art. 3) del secondo e del terzo periodo dell'art. 442 c.p.p., ove si disciplina(vano) gli effetti premiali del rito sulle condanne all'ergastolo, si vogliono evitare implicazioni sulla pena dell'ergastolo applicata con la sentenza di condanna, peraltro, si vuole in via prioritaria escludere il rito per l'eventualità per la quale “il gioco delle circostanze” (bilanciamento e prevalenza delle attenuanti) possa condurre ad erodere i profili (ordinari) sanzionatori della pena perpetua, per l'ulteriore effetto dell'abbattimento di un terzo. Non vanno neppure trascurati gli effetti che le soglie di pena innestano nel regime penitenziario. Resterebbe da chiedersi se analoga prospettiva – rispetto a quella esposta – non debba riguardare l'intero rito contratto. Calibrato sul concetto di “effettività della pena” (intesa in una dimensione retributiva, come emerge dalla finalità della riforma), l'abbattimento di un terzo della sanzione, effettuate le necessarie comparazioni delle circostanze, prospetta gli stessi problemi. L'impostazione della riforma, in altri termini, sembra obliterare il fondamento del rito legato alla valutazione dell'economia processuale che vi è sottesa, all'eliminazione del giudizio di primo grado, alla sanatoria di alcune invalidità processuali (arg. ex art. 438, comma 6-bis, c.p.p.). Non si potrà non tener conto – altresì – dei maggiori termini di durata delle misure cautelari. Non vanno neppure trascurate le implicazioni sulla presenza della parte civile che potrebbe subire i riflessi delle trasformazioni dei percorsi processuali. Questi elementi, tuttavia, non sembrano suscettibili di determinare l'incostituzionalità della previsione, in considerazione del fatto che l'esclusione riguarda la totalità delle situazioni sanzionate con l'ergastolo e pertanto con la pena più elevata del sistema sanzionatorio.
Sotto il profilo procedurale si prevede (art. 1, lett. b)), innovando il comma 6 dell'art. 438 c.p.p. che una eventuale richiesta di rito per un delitto punito con l'ergastolo formulato in udienza preliminare sia dichiarato inammissibile ai sensi dei commi 1-bis (appena inserito) ovvero rigettato ai sensi del comma 5 (ove si fa peraltro riferimento ad una richiesta di rito abbreviato condizionato). Dovrebbe comunque escludersi una richiesta di rito abbreviato (secco o condizionato) teso al riconoscimento da parte del giudice di un delitto non punito con l'ergastolo. Tuttavia, la richiesta, evidentemente formulata in limine all'udienza preliminare ovvero durante il suo corso, può essere reiterata fino al termine di cui al comma 2 del citato comma 4 dell'art. 438 c.p.p., cioè fino alla formulazione delle conclusioni ex artt. 421 e 422 c.p.p. Non si esclude, peraltro, che il rito sia stato ammesso, non ostandovi la previsione della pena punita con l'ergastolo, ma che questo dato emerga con riferimento delle nuove contestazioni di cui all'art. 441-bis c.p.p. In tal caso, ai sensi del comma 2 del testo in esame, il giudice procederà alla revoca anche d'ufficio dell'ordinanza che ha disposto il giudizio abbreviato e fisserà la data dell'udienza preliminare o la sua eventuale prosecuzione. Troverà applicazione il comma 4 dell'art. 44-bis c.p.p. ove si prevede che gli atti compiuti ai sensi degli artt. 438, comma 5 e 441, comma 5, c.p.p. hanno la stessa efficacia degli atti compiuti nel corso dell'udienza preliminare. Troverà applicazione anche l'art. 303, comma 2, in punto di durata della custodia cautelare. Il legislatore non esclude alcune ipotesi di segno opposto. Con il comma 6-ter dell'art. 438 c.p.p., inserito dalla lett. c) dell'art. 1, si prevede che nel caso in cui la richiesta di rito abbreviato sia stata dichiarata inammissibile, il giudice – qualora all'esito del dibattimento dovesse risultare l'ammissibilità del rito, per effetto di una diversa qualificazione giuridica - ridefinisca la pena nei termini della premialità di cui all'art. 442, comma 2, c.p.p., cioè con l'abbattimento del terzo. La previsione dovrebbe operare sia nel giudizio d'appello, sia nel giudizio di Cassazione, dove dovrebbe trovare applicazione l'art. 620, comma 1, lett. l), trattandosi di operazione per la quale non dovrebbe essere necessaria una valutazione discrezionale. Quid iuris, invece, nel caso in cui su appello del P.M. dovesse essere ripristinata l'originaria situazione di inammissibilità? Si prospetta l'interrogativo in ordine al fatto, che sembrerebbe emergere dalla formulazione testuale citata, che la riduzione di pena, legata alla riconosciuta ammissibilità del rito, sia condizionata da una precedente richiesta inammissibile. In altri termini, l'imputato pur consapevole dell'inammissibilità del rito, dovrebbe formulare ugualmente la richiesta, per poter eventualmente avvalersi dello sconto di pena, che diversamente non gli sarebbe concessa. Dovrebbe escludersi, mancando un riferimento al riguardo (a differenza di quanto previsto dall'art. 438, comma 6, c.p.p., nei termini definiti da Corte cost. n. 169 del 2003), che la difesa, al fine di ottenere la riferita premialità all'esito del dibattimento, debba formulare o riformulare la richiesta (inammissibile) del rito contratto in limine al giudizio, qualora lo stesso si dovesse concludere per l'esclusione del reato punito con l'ergastolo. Sempre nella stessa prospettiva, con l'art. 4 del presente provvedimento si dispone, inserendo un comma 2-bis nell'art. 429, che nell'eventualità in cui si sia proceduto per un delitto punito con la pena dell'ergastolo e con il decreto che dispone il giudizio, all'esito dell'udienza preliminare, si qualifichi il fatto nei termini compatibili con il rito abbreviato, il decreto che dispone il giudizio deve contenere l'avviso che l'imputato entro quindici giorni dalla lettura del provvedimento o dalla sua notificazione possa chiedere il rito abbreviato. Si applicheranno le previsioni che disciplinano la conversione nel rito abbreviato del giudizio immediato. Nel caso in cui si proceda con il giudizio immediato, non è chiaro se l'imputato debba chiedere ex art. 458 c.p.p. il rito abbreviato (precluso) per poter usufruire dello sconto di pena nell'eventualità in cui all'esito del dibattimento il giudice ritenga che sia ammissibile il rito contratto. Sembrerebbe di dover suggerire la necessità di una richiesta del rito contratto.
Naturalmente, sia mancando ogni indicazione di segno contrario, sia considerando quanto emerge dalla disciplina dibattimentale, nel caso in cui si prospetti la connessione di reati ostativi con reati per i quali l'accesso al rito è consentito (reati non puniti con l'ergastolo), sarà possibile procedere separatamente. La legge non pare affrontare due profili: quello della revisione della sentenza di condanna preclusiva del rito contratto che per effetto di nuove prove non comporterebbe l'assoluzione ma una qualificazione compatibile con il rito abbreviato e quello di un rito abbreviato ammesso e deciso in udienza preliminare che subisca negli sviluppi procedimentali successivi all'udienza preliminare (giudizio d'appello, ad esempio) una conclusione nel senso della inammissibilità del rito (come nel caso dell'omicidio tentato e della sopravvenienza dell'evento morte). Come anticipato in esordio, l'elemento dell'economia processuale non sembra aver avuto peso nella valutazione del legislatore. Il dato assume ancora maggior rilievo per quei reati che ai sensi dell'art. 5 c.p. sono di competenza della Corte d'assise e della Corte d'assise d'appello, con conseguente appesantimento della macchina giudiziaria. Da parte della magistratura si fa altresì notare come l'accesso alla premialità del rito non sia un elemento secondario nella valutazione della collaborazione da parte di soggetti imputati di gravi reati di criminalità organizzata. Forse una diversa modulazione, ovvero un inasprimento delle pene per certi reati di forte allarme sociale (isolamento) unita a una articolata indicizzazione dei benefici premiali poteva essere una opzione praticabile, senza dover scardinare un rito, come quello abbreviato, che ha bisogno di un restyling di segno diverso. |