Compensi degli avvocati

15 Aprile 2019

I parametri forensi sono i criteri in base ai quali è possibile quantificare le somme dovute, a titolo di spese di lite, alla parte vittoriosa in giudizio ovvero il compenso spettante all'avvocato per l'attività prestata in favore del cliente, in difetto di accordo con lui o di prova di esso, o ancora, in caso di pattuizione con determinati soggetti che sia difforme dai parametri medesimi.
Inquadramento

I parametri forensi sono i criteri in base ai quali è possibile quantificare le somme dovute, a titolo di spese di lite, alla parte vittoriosa in giudizio ovvero il compenso spettante all'avvocato per l'attività prestata in favore del cliente, in difetto di accordo con lui o di prova di esso, o ancora, in caso di pattuizione con determinati soggetti che sia difforme dai parametri medesimi.

Il d.m. 20 luglio 2012, n. 140

Il primo regolamento ad averli previsti è stato il d.m. 20 luglio 2012, n. 140, entrato in vigore il 23 agosto del 2012, giorno successivo alla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, e «recante la determinazione dei parametri per la liquidazione da parte di un organo giurisdizionale dei compensi per le professioni regolamentate vigilate dal Ministero della giustizia».

Con esso fu completata la disciplina delle professioni regolamentate introdotta dal d.l. 24 gennaio 2012 n.1 (Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività, più noto come “cresci Italia” o “pacchetto liberalizzazioni”), convertito con modificazioni dalla legge 24 marzo 2012 n.27.

Il regolamento ha costituito, infatti, attuazione dell'art. 9 del testo normativo succitato che, al comma 1, aveva abrogato le tariffe professionali con decorrenza dal 25 gennaio 2012, e, al comma 2, aveva previsto che : «ferma restando l'abrogazione di cui al comma 1, nel caso di liquidazione da parte di un organo giurisdizionale, il compenso del professionista è determinato con riferimento ai parametri stabiliti con decreto del Ministro vigilante da adottarsi nel termine di centoventi giorni successivi alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto».

É opportuno evidenziare fin d'ora come queste fonti, con riguardo al professionista forense, non si limitano a definire nuove modalità di determinazione del compenso spettante per l'attività svolta ma, a differenza che per le altre professioni regolamentate, individuano direttamente o indirettamente – in alcuni casi recependoli dalla elaborazione giurisprudenziale o da precedenti disposizioni normative – una serie di obblighi di comportamento, piuttosto rilevanti, nei confronti del cliente.

Il d.m. 140/2012 riprende la struttura della tariffa forense (d.m. 8 aprile 2004, n. 127) poiché si compone di due parti: una prima parte di tipo normativo, contenente disposizioni di carattere generale, delle quali alcune sono comuni a tutte le professioni regolamentate (si tratta del capo I, costituito da un unico articolo) mentre altre riguardano specificamente ognuna delle professioni, che sono dirette a definire l'ambito di applicazione del nuovo sistema e a fissare alcuni criteri guida per l'applicazione dei parametri, a seconda delle specificità di ciascuna di esse; una seconda parte, costituita da allegati (Tabelle A e B per gli avvocati, Tabelle, A, B, C e D per i notai, tabella C per i commercialisti) che contengono i cd. parametri numerici.

I tratti salienti di tale disciplina sono così riassumibili:

  • l'esplicita affermazione del carattere sussidiario della liquidazione giudiziale del compenso rispetto all'accordo delle parti e della possibilità di ricorrere all'analogia per risolvere i casi non espressamente menzionati nel regolamento (entrambi esplicitati nell'art. 1, comma 1);
  • la precisazione che nel compenso non sono comprese le spese da rimborsare, nemmeno quelle concordate in modo forfetario, né gli oneri e i contributi dovuti a qualsiasi titolo e i costi per gli ausiliari (art. 1, comma 2);
  • l'enunciazione del carattere onnicomprensivo del compenso, con la precisazione chein esso è incluso quello per le attività accessorie alla prestazione professionale (comma 3);
  • l'affermazione della non vincolatività delle soglie indicate per la determinazione del compenso, nelle tabelle allegate al regolamento, anche a mezzo di percentuale sia nei minimi che nei massimi (da tale disposizione si evince, a contrario, che tutte le altre indicazioni contenute nel regolamento);
  • le disposizioni generali concernenti gli avvocati sono contenute nel capo II del regolamento e la prima di esse (si tratta dell'art. 2), individua le tipologie delle prestazioni professionali, suddividendole nelle due grandi macro-categorie dell'attività stragiudiziale e di quella giudiziale e, con riguardo a quest'ultima, opera una ulteriore ripartizione nelle due tipologie delle attività civile, amministrativa e tributaria, unitariamente considerate, e dell'attività penale;
  • l'indicazione che, per quanto riguarda le attività giudiziali, la liquidazione deve avvenire per fasi processuali distinte, individuate, secondo una ripartizione valida per tutti gli organi giurisdizionali davanti ai quali venga svolta l'attività (giudice di pace, tribunale, Corte d'appello e Corte di cassazione), a prescindere dall'oggetto del processo, in: fase di studio della controversia, fase introduttiva del procedimento, fase decisoria, fase esecutiva;
  • l'abbandono della distinzione tra liquidazione a carico del cliente e liquidazione a carico del soccombente, rinvenibile anche nella enunciazione del parametro generale (art. 5 d.m. n. 140/2012) utile a determinare il valore della controversia (come si vedrà nel prosieguo peraltro alcuni parametri riguardano solo una delle due liquidazioni);
  • i parametri numerici da assumere a riferimento per la liquidazione del compenso per l'attività giudiziale degli avvocati sono rapportati ai diversi organi giurisdizionali davanti ai quali essa si svolga (Giudice di pace, Tribunale, Corte d'appello e Corte di cassazione), come era già nel d.m. n. 127/2004, e al valore della causa, in interrelazione tra loro secondo sei scaglioni;
  • per ciascuno scaglione di riferimento, e per ciascuna fase giudiziale, sono individuati (nella tabella A del regolamento) dei valori medi di liquidazione e delle forbici percentuali di aumento e di riduzione operanti sui primi;
  • Il regolamento contiene anche dei parametri che attribuiscono rilievo, ai fini della quantificazione del compenso, alle condotte difensive (si veda l'ultimo paragrafo).
Il d.m. 10 marzo 2014, n. 55 e il d.m. 8 marzo 2018, n. 37

La disciplina che si è esaminata nel paragrafo precedente è stata modificata in maniera significativa dal d.m. n. 55/2014, che ha dato attuazione all'art.13, comma 6, della legge 31 dicembre 2012, n.247 (cd. legge di riforma dell'ordinamento forense), che aveva previsto che i parametri indicati dal Ministro sarebbero stati adottati ogni due anni su proposta del CNF.

Tale fonte normativa ha pertanto sostituito integralmente, per gli esercenti la professione forense, sia la parte generale che quella che era loro specificamente dedicata (artt. 214) del d.m. 20 luglio 2012 n.140 (così anche Cass. civ., 17 gennaio 2018, n.1018).

Si noti come al comma 7 la norma predetta individui i caratteri salienti dei parametri precisando: «sono formulati in modo da favorire la trasparenza nella determinazione dei compensi dovuti per le prestazioni professionali e l'unitarietà e la semplicità nella determinazione dei compensi».

Il d.m. n. 55/2014, che, ai sensi dell'art. 28, si applica alle liquidazioni giudiziali che intervengano in un momento successivo a quello della sua data di entrata in vigore (3 aprile 2014), si compone, al pari del d.m. n. 140/2012, di due parti: una prima parte, di tipo normativo, contenente i parametri generali, e una seconda, costituita da ventisei tabelle (ventiquattro per l'attività giudiziale civile, amministrativa o tributaria, due per l'attività stragiudiziale e una per l'attività giudiziale penale), che individua, per ciascuna delle fasi in cui possono essere suddivisi i predetti giudizi e per le prestazioni di assistenza stragiudiziale, i valori medi di liquidazione sulla base di scaglioni di valore che replicano quelli previsti per il pagamento del contributo unificato.

Rispetto alle attività giudiziali è rimasta immutato il criterio di liquidazione, per le quattro fasi processuali distinte già individuate, secondo una ripartizione valida per tutti gli organi giurisdizionali davanti ai quali venga svolta l'attività, e onnicomprensive.

É stato però precisato che la tabella prevista per il tribunale vale sia per il giudizio ordinario che per quello sommario.

Non va trascurato però che in questo tipo di giudizio non c'è una fase di trattazione e, di norma, nemmeno una fase istruttoria, o comunque essa è molto contenuta, mentre la fase decisionale si riduce ad attività conseguenti al deposito della ordinanza che conclude il giudizio, quali quelle considerate dall'art. 4, comma 5, lett. d), ovvero «l'esame e la registrazione o pubblicazione del provvedimento conclusivo del giudizio, comprese le richieste di copie al cancelliere, il ritiro del fascicolo, l'iscrizione di ipoteca giudiziale del provvedimento conclusivo stesso».

Va evidenziato poi che, sempre nella parte generale, ed in particolare nell'art. 4 comma 1, sono fissate le forbici percentuali di aumento e diminuzione massimi che il giudice può apportare, in linea generale, ai predetti valori medi sulla base dell'applicazione di uno o più dei parametri generali.

L'utilizzo dell'inciso “di regola” per indicare l'entità dell'aumento o della diminuzione lascia poi chiaramente intendere che tali indicazioni non sono vincolanti per il giudice che può quindi anche discostarsi da esse nella misura che ritenga adeguata al caso specifico, purchè dia conto della sua scelta nella motivazione.

La relazione illustrativa al d.m. n. 55/2014 chiarisce tale aspetto laddove, nella parte dedicata ad illustrare la proposta del CNF, (par. b), afferma che il predetto inciso, così come l'avverbio “orientativamente”, sono stati introdotti al fine di sottolineare la non vincolatività dei parametri.

É stato quindi qui ribadito quanto era stato espresso, ancora più chiaramente dall'art. 1, comma 7, del d.m. n. 140/2012.

Anche parte della giurisprudenza di legittimità ha ripetutamente evidenziato un simile profilo affermando che: «i parametri costituiscono solo criteri di orientamento della liquidazione del compenso, individuando, al contempo, la misura economica standard (quella media) del valore della prestazione professionale». Ne consegue che «solo in caso di scostamento apprezzabile dai valori medi della tabella allegata al d.m. n. 55/2014 il giudice è tenuto ad indicare i parametri che hanno guidato la liquidazione del compenso; scostamento che può anche superare i valori massimi o minimi determina in forza delle percentuali di aumento o diminuzione, ma in quest'ultimo caso fermo restando il limite di cui all'art. 2233, comma 2, c.c. che preclude di liquidare, al netto degli esborsi, somme praticamente simboliche, non consone al decoro della professione» (cfr. ex plurimis Cass. civ., 31 gennaio 2017, n. 2386; Cass. civ.,31 luglio 2018, n.20183; contra Cass. civ.,17 gennaio 2018, n.1018 e Cass. civ., 5 novembre 2018, n. 28267).

In evidenza

La discrezionalità del giudice nell'applicazione dei parametri è però venuta meno a seguito dell'entrata in vigore del d.m. 8 marzo 2018, n. 37, entrato in vigore il 27 aprile 2018, che ha modificato solo alcune delle previsioni del d.m. n. 55/2014.

Esso infatti ha integrato anche i parametri generali per la determinazione dei compensi, sia per l'attività giudiziale che per quella stragiudiziale, (si tratta rispettivamente degli artt. 4 e 19) precisando che la riduzione, rispetto al valore medio di liquidazione non può essere superiore alla misura del 50 % (per la sola fase istruttoria fino al 70 %) mentre l'aumento può essere anche superiore alla percentuale fissata di regola nell'80 %.

É evidente come in tale modo siano stati reintrodotti i parametri minimi, non modificabili dal giudice.

A tale novità è strettamente connessa quella del cd. equo compenso per le attività professionali svolte in favore di imprese bancarie e assicurative, nonchè di imprese non rientranti nelle categorie delle microimprese o delle piccole o medie imprese, previsto dall'art. 13-bis, comma 1, della legge forense, come inserito dall'art. 19-quaterdecies, comma 1, d.l. 16 ottobre 2017, n. 148, recante “Disposizioni urgenti in materia finanziaria e per esigenze indifferibili”, convertito con modificazioni dalla legge 4 dicembre 2017, n. 172.

Infatti, ai sensi del comma 2 della succitata norma, i criteri di determinazione del compenso devono necessariamente adeguarsi ai parametri forensi per sottrarsi ad un controllo giudiziario sfavorevole.

Le clausole che prevedono un compenso non conforme ai parametri devono ritenersi vessatorie, e quindi nulle, con conseguente determinazione giudiziale del compenso equo sulla base dei parametri (art. 13-bis, comma 10, della legge forense).

La previsione di parametri minimi inderogabili (anche dalle parti) risulta però irragionevole rispetto alla determinazione giudiziale del compenso per attività, giudiziali o stragiudiziali, che richiedono un minimo impegno (si pensi ad esempio, rispetto alle prime alla redazione di un ricorso per una controversia estremamente semplice o, rispetto alle seconde, alla redazione di una istanza di mediazione obbligatoria o di un invito alla negoziazione assistita obbligatoria) perché non consente di modulare la sua entità.

Rimane ferma in ogni caso la possibilità per il giudice di non riconoscere nessun compenso per gli atti giudiziali superflui, come ad esempio le memorie ex art. 183, comma 6, c.p.c. impropriamente utilizzate, ai sensi dell'art. 92, comma 1, c.p.c. che è norma sovraordinata a quella regolamentare.

I parametri generali (per la liquidazione del compenso per il difensore della parte vittoriosa)

Come si è detto uno dei principii generali sul quale si fonda il sistema dei parametri forensi è quello della valutazione dell'attività necessaria all'accertamento dei fatti svolta dalla parte vittoriosa, operata per fasi (art. 4, comma 1, d.m. n. 55/2014).

Ciò significa che il giudice è chiamato innanzitutto a determinare il valore della controversia, tenendo conto, a seconda dei casi, dei parametri di cui all'art. 5, comma 1, del d.m. n. 140/2012 o di quelli, quasi identici, dell'omologo articolo del d.m. n. 55/2014.

Egli quindi deve, prima di tutto, individuare il valore della causa secondo le norme del codice di procedura civile (artt. 10 ss. c.p.c.; si tratta del criterio del cd. disputatum) ovvero, nei giudizi per pagamento di somme o liquidazione di danni, secondo l'importo attribuito alla parte vincitrice piuttosto che a quello domandato (cd. criterio del decisum, per il quale si veda Cass. civ., Sez. Un. 11 settembre 2007, n. 19014) o, ancora, avendo riguardo al valore effettivo della controversia, quando risulti manifestamente diverso da quello presunto a norma del codice di proceduracivile o alla legislazione speciale (Cass. civ., 27 gennaio 2012, n. 1191).

La giurisprudenza ha chiarito come occorra procedere nei vari casi che si possono verificare e che vengono esposti nel quadro sottostante, dovendosi evidenziare come alcune soluzioni, adottate sotto la vigenza della tariffa forense, devono ritenersi valide anche con riguardo ai parametri.

ORIENTAMENTI A CONFRONTO: CRITERI PER DETERMINARE IL VALORE DELLA CONTROVERSIA

Nelle cause per pagamento di somme o liquidazione di danni, la regola posta dall'art. 6 della abrogata tariffa professionale, va interpretata nel senso che la somma da considerare è quella riconosciuta spettante con riferimento al momento dell'inizio della lite di primo grado, con la conseguenza che non rilevano gli interessi, la rivalutazione monetaria e i danni richiesti successivamente alla proposizione della domanda.

Cass. civ., 4 febbraio 2005, n. 2274

Ai sensi dell'art. 10 c.p.c., richiamato dall'art. 5 d.m. n. 140/2012 "ratione temporis" applicabile, le domande proposte, in via gradata tra loro, verso la stessa parte non si sommano ai fini della determinazione del valore della causa, con riguardo alla liquidazione delle spese in favore della parte vittoriosa, dovendo esser utilizzato a tal fine l'ammontare richiesto nella domanda di valore maggiore.

Cass. civ., 25 settembre 2018, n.22711

La domanda riconvenzionale, non essendo proposta contro il medesimo soggetto convenuto, non si cumula con la domanda principale dell'attore al fine di determinare il valore della causa ma può determinare l'applicazione dello scaglione di valore superiore, se il suo valore supera lo scaglione al quale appartiene la domanda principale.

Cass. civ., 20 gennaio 2003, n. 1202

La proposizione di una domanda riconvenzionale amplia comunque il thema decidendum, ove sia diretta all'attribuzione di beni diversi da quelli richiesti dalla controparte, con conseguente esigenza di una maggior attività difensiva, ai fini della liquidazione dell'onorario si deve valutare opportunamente l'attività in concreto svolta dall'avvocato nella trattazione anche di essa.

Cass. civ., 3 luglio 1991, n. 7275

In tema di liquidazione degli onorari di avvocato, il principio per il quale, ove siano state proposte più domande, alcune di valore indeterminabile ed altre di valore determinato, la controversia deve essere ritenuta, nel complesso, di valore indeterminabile, opera solo laddove l'applicazione dello scaglione tariffario previsto per le cause di valore indeterminabile consenta il riconoscimento di compensi superiori rispetto a quelli che deriverebbero facendo applicazione dello scaglione applicabile in ragione del cumulo delle domande di valore determinato.

Cass. civ., 16 febbraio 2017, n. 4187

Ai fini della liquidazione del compenso spettante all'avvocato per l'assistenza prestata in un procedimento di a.t.p, che si sia concluso con una transazione, il valore della controversia non va determinato sulla base dell'importo oggetto della transazione raggiunta ma, ai sensi dell'art.5, comma 2, del d.m. n. 55/2014, avendo riguardo al valore della domanda.

Trib. Verona 17 novembre 2015, in www.ilcaso.it

Il valore delle cause possessorie, stante la mancanza di criteri legali diretti sul punto, va determinato attraverso l'applicazione analogica delle regole dettate per la valutazione delle cause relative al diritto, il cui contenuto corrisponda al potere di fatto sulla cosa di cui si controverta, potendo il giudice così considerare la causa di valore indeterminabile soltanto laddove dove non disponga dei relativi dati o dagli atti non emergano elementi per la stima.

Cass. civ., 22 novembre 2011, n. 24644

Nei giudizi di divisione, con riferimento al sistema tariffario, il valore della causa, ai fini della quantificazione della somma da liquidare a titolo di spese di lite andava determinato ai sensi dell'art. 12, ultimo comma, c.p.c., mentre ai fini della liquidazione dei compensi di avvocato, secondo un indirizzo, occorreva aver riguardo al valore della quota (Cass. civ., 4 maggio 2012, n. 6765), mentre secondo altro indirizzo si determinava in base alla massa da dividere, se la controversia riguardava la sua entità, ed in base alla quota se la contestazione riguardi solo quest'ultima (Cass. civ.,13 novembre 1997, n. 11222).

L'art. 5, comma 1, terzo periodo, del d.m. ha recepito quest'ultimo indirizzo, modificando il precedente parametro di cui al d.m. n. 140/2012 che faceva riferimento al valore della quota oggetto di contestazione.

Peraltro non sempre può risultare agevole stabilire la differenza tra le due ipotesi indicate dalla giurisprudenza, dal momento che la contestazione sulla quota è spesso conseguenza della contestazione sull'entità della massa.

A criteri particolari si è ispirata la determinazione del valore dei processi esecutivi e di quello fallimentare, secondo la giurisprudenza formatasi nella vigenza del sistema tariffario, come si può desumere dal seguente prospetto.

Nel caso di espropriazione forzata, il valore della causa va determinato, con riferimento alla fase antecedente l'inizio dell'esecuzione, in base al valore del credito per cui si procede mentre, con riferimento alla fase successiva all'inizio dell'esecuzione, va determinato avendo riguardo agli effetti economici dell'accoglimento o del rigetto dell'opposizione.

Cass. civ., 30 giugno 2010, n. 15633

Con riguardo al giudizio di esecuzione di obblighi di fare o di non fare, non essendo tale obbligo inquadrabile in uno scaglione determinabile, dal momento che comporta una serie di attività che prescindono dal puro valore materiale, il relativo valore è correttamente quantificato in base alle previsioni dello scaglione minimo.

Trib. Savona, 30 dicembre 2006

Il valore del procedimento di apertura del fallimento va considerato indeterminabile, non essendo possibile adottare, come criterio applicativo, quello dell'interesse del cliente in relazione all'entità del patrimonio del debitore insolvente.

Cass. civ., 7 dicembre 2000, n. 15545

Il giudizio di opposizione al fallimento ha valore indeterminabile, dal momento che ha ad oggetto lo status di fallito dell'imprenditore assoggettato alla procedura.

Cass. civ.,Sez. Un., 24 luglio 2007, n. 16300

Nel caso di rigetto della domanda il valore della controversia, sempre secondo la giurisprudenza formatasi con riguardo alla tariffa forense, ma da ritenersi valida anche rispetto al nuovo regime, è quello corrispondente alla somma domandata dall'attore (Cass. civ., 15 luglio 2004, n. 13113), con la precisazione che alla predetta ipotesi va assimilata ogni altra ipotesi di diniego della pronuncia di merito (Cass. civ., 1 marzo 2006, n. 5381).

In caso di totale rigetto di una domanda la cui entità sia stata ridotta dalla stessa parte attrice in corso di causa, nella liquidazione delle spese processuali in favore del convenuto, e in particolare di quelle afferenti ad attività difensive svolte prima della dichiarazione dell'attore di voler ridurre la propria domanda, si deve tener conto del valore della domanda inizialmente formulata (Cass. civ., 30 novembre 2011, n.25553).

Quando al giudice d'appello venga riproposta una parte limitata della domanda al fine di ottenere una riforma solo parziale la sentenza, il valore della causa si riduce proporzionalmente e ad esso va commisurata l'entità degli onorari dovuti al professionista (Cass. civ., 12 agosto 2009, n. 18233).

Da ciò consegue che, ove il giudizio di appello abbia avuto ad oggetto esclusivo la valutazione della decisione di condanna di una parte alle spese del giudizio di primo grado, il valore della controversia è dato dall'importo delle spese liquidate dal primo giudice, costituendo tale somma il disputatum posto all'esame del giudice d'appello (Cass. civ., 12 gennaio 2011, n. 536).

Ulteriore verifica che il giudice deve compiere, ai fini della liquidazione dovuta a titolo di compenso, è quella sull'attività svolta in ciascuna fase e tale valutazione può essere diversa fase per fase ed anche per ciascuna delle parti, pure se più parti condividano la medesima posizione, dal momento che tra i criteri di cui tener conto vi è anche il pregio della difesa.

Occorre poi tener conto della complessità soggettiva del giudizio ed operare i conseguenti aumenti o diminuzioni.

La fattispecie si riferisce all'ipotesi del difensore che assista una pluralità di soggetti aventi nello stesso processo una posizione giuridica, di carattere processuale, comune (Cass. civ., 19 febbraio 1993, n. 2026), identità di “posizione processuale” che può aversi quando vi sia identità di petitum e di causa petendi, come può avvenire nei giudizi di divisione o tra coeredi costituiti in giudizio (Cass. civ., 3 aprile 1969, n. 1101), ovvero quando più parti richiedano un identico provvedimento.

In tale caso è dovuto un compenso unico secondo i criteri fissati dagli artt. 4 e 8 del d.m. n. 55/2014 (salva la possibilità di aumento nelle percentuali indicate dalla prima delle disposizioni citate), senza che rilevi la circostanza che il comune difensore abbia presentato distinti atti difensivi (art. 4 del d.m. cit.), né che le predette parti abbiano nominato, ognuna, anche altro (diverso) legale (art. 8, comma 1, d.m. n. 55/2014).

La ratio di quest'ultima previsione, è quella di fare carico al soccombente solo delle spese nella misura della più concentrata attività difensiva quanto a numero di avvocati, in conformità con il principio della non debenza delle spese superflue, desumibile dall'art. 92, comma 1, c.p.c..

É anche consentito al giudice di aumentare il compenso per ogni soggetto oltre il primo, nella misura, da ritenersi massima, del venti per cento (30 % dopo il d.m. n. 37/2018) fino ad un massimo di dieci soggetti e del cinque per cento (10 % dopo il d.m. n. 37/2018) per ogni soggetto oltre i primi dieci fino ad un massimo di venti (Cass. civ., 18 aprile 2014, n. 9073), purchè tale connotazione soggettiva del giudizio abbiacomportato un maggiore impegno difensivo o la trattazione di questioni, sostanziali o processuali, differenti per uno o più degli assistiti (Cass. civ., 1 ottobre 2009, n. 21064).

Analogo criterio va seguito in caso di riunione di più giudizi per la fase successiva alla riunione. Ciò comporta che per le fasi dei processi, originariamente distinti, che hanno preceduto il momento della riunione devono calcolarsi compensi distinti.

Peraltro in tali casi occorre tener presente, al fine di determinare il valore della domanda, del consolidato orientamento secondo il quale Il criterio del cumulo delle domande, stabilito dall'art. 10 c.p.c., opera nell'ipotesi di domande formulate con lo stesso atto introduttivo del processo contro la medesima persona ma non nell'ipotesi in cui le domande siano proposte separatamente e riunite successivamente per connessione (Cass. civ., 30 novembre 2005, n.26089) e nemmeno in ipotesi di litisconsorzio facoltativo disciplinato dall'art. 103 c.p.c. (Cass. civ., 6 febbraio 2017, n.3107).

Ai medesimi criteri ci si può attenere per determinare il compenso del difensore che abbia svolto attività nei confronti di più parti (controparti e/o chiamati e/o terzi intervenuti) e pertanto potranno applicarsi più aumenti se la difesa è stata resa più impegnativa dalla pluralità di posizioni e purchè la parte sia risultata vittoriosa nei confronti di tutte le altre (in caso contrario infatti l'utilità della difesa nei confronti della parte risulta vittoriosa sarebbe esclusa).

In evidenza

Il parametro appena illustrato appare in contrasto con quello di cui al comma 4 dello stesso art. 4 del d.m., che prevede che, se la difesa congiunta non ha implicato l'esame di questioni distinte, di fatto o di diritto, il compenso va ridotto di noma del trenta per cento (in misura non superiore al 30 % dopo il d.m. n. 37/2018).

Il contrasto pare risolvibile ritenendo che quest'ultimo criterio si applichi nel rapporto tra avvocato e proprio assistito perché così precisava l'art. 5, comma 5, della tariffa forense del 2004 che già lo prevedeva.

Giunto alla fine dei procedimenti richiesti dalle caratteristiche del giudizio, se il giudice ritenesse che il risultato è comunque inferiore alla valutazione globale o superiore ad essa, tenuto conto dei parametri generali di cui all'art. 4, comma 1, può provvedere agli aggiustamenti del caso.

Di tutti i passaggi compiuti si deve dar conto nella motivazione della decisione.

Va altresì tenuto conto che le tabelle allegate al regolamento n. 55/2014 indicano importi onnicomprensivi per il complesso di atti e di attività che possano svolgersi nel corsodi ciascuna fase processuale ma, per la fase istruttoria (o di trattazione), l'art. 4, comma 5, lett. c) d.m. n. 55/2014, pur elencando le attività che vi sono ricomprese, prevede che: «la fase rileva ai fini della liquidazione del compenso quando effettivamente svolta».

Tale previsione comporta che, allorquando tale fase si sia svolta solo in parte, ad esempio perché le parti abbiano depositato solo le memorie ai sensi dell'art. 183, comma 6, c.p.c., o quando l'istruttoria sia stata molto contenuta ci si possa discostare dal valore medio di liquidazione previsto per essa (senza però scendere oltre la percentuale del 70 % (per le liquidazioni successive all'entrata in vigore del d.m. n. 37/2018).

In altri termini il valore medio deve intendersi come il valore riferito ad un andamento ordinario della fase di trattazione-istruttoria e quindi a quella in cui, oltre al deposito delle memorie suddette, ci sia stata una attività istruttoria non particolarmente impegnativa.

La determinazione dell'entità di tale scostamento è però rimessa alla discrezionalità del giudice, tenuto conto che non è noto sulla base di quale ipotetica sequenza di attività processuali sia stato determinato il valore medio di liquidazione indicato nel d.m. n. 55/2014.

Analogo discorso vale, mutatis mutandis, nel caso in cui l'istruttoria sia stata ampia e variegata o la trattazione abbia avuto delle fasi incidentali, quali quelle relative a giudizi cautelari in corso di causa o ad istanze di ordinanze ingiunzioni o di sospensione dell'esecuzione o di sospensione dell'efficacia esecutiva della sentenza di primo grado impugnata.

Ai fini della valutazione di complessità della fase, secondo lo stesso art. 4, comma 5 lett. c), rilevano «in particolare, le plurime memorie per parte, necessarie o autorizzate dal giudice, comunque denominate ma non meramente illustrative, ovvero le plurime richieste istruttorie ammesse per ciascuna parte e le plurime prove assunte per ciascuna parte».

Criterio analogo è stato fissato per la fase decisionale, con la conseguenza che si potrà riconoscere un importo superiore al valore medio di liquidazione se gli atti conclusivi o la discussione finale richiedano, soprattutto alla luce delle risultanze dell'istruttoria o dell'iter che ha avuto il giudizio, un particolare impegno argomentativo.

I parametri per l'attività stragiudiziale

La relativa disciplina del d.m. n. 140/2012 è molto scarna poiché si riduce, invero, all'indicazione di parametri generali che, a ben vedere, corrispondono a quelli contemplati per l'attività giudiziale (valore e natura dell'affare, numero e importanza delle questioni trattate, pregio dell'opera prestata, risultati e vantaggi anche non economici conseguiti dal cliente, urgenza della prestazione), con l'unica differenza che tra di essi non vi è quello della complessità (della controversia).

Palese risulta quindi la differenza rispetto al d.m. 8 aprile 2004 n.127 che a tale tipologia di attività dedicava un apposito allegato (il D), nel quale erano elencate le specifiche diverse prestazioni che vi potevano rientrare.

Nemmeno per il compenso orario il primo regolamento sui parametri ha inteso fornire indicazioni numeriche ma ha richiamato, al fine di determinarne l'ammontare, la nozione, non chiaramente individuabile, di mercato (è dubbio, in particolare, se con essa si sia inteso far riferimento agli usi).

É chiaro quindi come, in quel sistema, fosse rimessa alla volontà delle parti la definizione di ogni aspetto riguardante l'attività stragiudiziale, da quello della individuazione delle attività che vi rientravano a quello della determinazione del corrispettivo per esse, con la conseguenza però che, in difetto di accordo sul punto, era estremamente incerto quale fosse il criterio da utilizzarsi per la relativa quantificazione (si veda ad esempio Trib. Verona 14 giugno 2016 che ha stimato in euro 180,00 il compenso orario per l'assistenza in una trattativa stragiudiziale).

Ad una simile impostazione può anche obiettarsi che l'indicazione di parametri numerici, tanto più se non vincolanti, non avrebbe impedito ma avrebbe, anzi, con tutta probabilità, favorito la prospettiva di una definizione in via convenzionale dei succitati profili poiché avrebbe posto soprattutto il cliente in condizioni di apprezzare quale sarebbe stata l'alternativa se non avesse accettato quanto eventualmente proposto dal professionista forense.

In ogni caso può ammettersi, ai fini della liquidazione giudiziale del compenso per l'attività stragiudiziale svolta nella vigenza del d.m. n. 140/2012, il ricorso, in applicazione del criterio analogico fissato dall'art. 1 del medesimo regolamento, ai parametri numerici previsti per la fase di studio dell'attività giudiziale, quanto meno nel caso in cui la consulenza fornita dall'avvocato sia funzionale alla valutazione sulla opportunità o sulla convenienza dell'avvio di un giudizio o dell'assunzione della difesa in esso.

É stato con tutta probabilità per ovviare alle fin qui evidenziate lacune che, nel d.m. n. 55/2014, sono stati previsti, in una apposita tabella, dei parametri numerici per l'attività stragiudiziale, distinti in base a sei fasce di valore dell'affare.

L'art. 18 del regolamento precisa che «i compensi liquidati per le prestazioni stragiudiziali sono onnicomprensivi in relazione ad ogni attività inerente l'affare», il che pone il problema di individuare l'importo adeguato a remunerare l'attività stragiudiziale di modesto o minimo impegno (ad es. nel caso in cui essa sia consistita nella sola stesura e invio di una o più lettere di contenuto semplice o nella partecipazione ad un incontro con la controparte).

Questi parametri vengono in rilievo anche per la determinazione del compenso dell'avvocato della parte vittoriosa per l'attività stragiudiziale che sia stata svolta prima o nella pendenza del giudizio, come quella di assistenza nelle fasi di negoziazione assistita o di mediazione, quantomeno se obbligatorie,che sia consistita in attività come la redazione e l'invio dell'invito a concludere la convenzione di negoziazione assistita o dell'istanza di mediazione o nella partecipazione alle riunioni con la controparte (in caso di negoziazione assistita) o con il mediatore (in caso di mediazione).

Tale attività ben può considerarsi “autonoma” rispetto a quella di assistenza giudiziale, nel senso richiesto dall'art. 20 del d.m. n. 55/2014, e può pertanto essere retribuita sulla base dei relativi parametri (per questa soluzione, in giurisprudenza: Trib. Verona 29 ottobre 2015).

Anche qualora si volesse ritenere che l'assistenza prestata in tali fasi non ha una autonoma rilevanza rispetto a quella giudiziale, essa andrebbe comunque retribuita, considerandola come strettamente funzionale a quella giudiziale ma avendo al contempo anche l'accortezza di evitare il cumulo tra i parametri previsti per l'attività stragiudiziale, vale a dire quella svolta in sede di mediazione, e quelli previsti per l'attività giudiziale (si tratta dell'attività svolta nel successivo giudizio civile).

Pertanto in concreto, per l'attività che può ritenersi comune alle due fasi del procedimento (mediazione e processo civile), come quella di studio, possono applicarsi i parametri previsti per la corrispondente fase giudiziale e, qualora l'entità del compenso non risulti adeguata alla consistenza dell'attività in concreto svolta, al numero ed alla complessità delle questioni trattate, può essere opportunamente aumentato.

Invece le attività difensive proprie dei procedimenti di mediazione e di negoziazione assistita potrebbero essere retribuite applicando, in virtù del criterio analogico fissato dall'art. 3 del regolamento, i parametri previsti per le attività giudiziali, con la precisazione che, nella maggior parte dei casi, dovrebbero ridursi alla redazione dell'atto di impulso del procedimento di Adr (istanza di mediazione o invito alla negoziazione assistita) ed eventualmente alla partecipazione al primo incontro davanti al mediatore, cosicchè l'entità del compenso da riconoscere al difensore sarebbe alquanto contenuta.

Non pare di ostacolo a tale conclusione la constatazione che questo tipo di assistenza non è contemplata tra quelle elencate dall'art. 4, comma 5, del d.m. n. 55/2014, atteso che nemmeno la partecipazione ad un tentativo di conciliazione giudiziale viene considerata dal regolamento ma è indubbio che essa dia diritto ad un compenso, da determinarsi assimilandola alla partecipazione alle udienze istruttorie, prevista dall'art. 4, comma 5, lett. c) del d.m. n. 55/2014.

A conforto di tale conclusione va evidenziato come il d.m. 8 aprile 2004 n. 127 (tariffa forense), all'art. 2.2., riconoscesse espressamente la possibilità del ricorso all'analogia per determinare il corrispettivo per le prestazioni stragiudiziali che non trovassero adeguato compenso nella tariffa per prestazioni giudiziali poichè stabiliva che, per le prestazioni analoghe a quelle previste in materia giudiziale, si applicassero gli onorari di avvocato stabiliti dalle tariffe giudiziali civili.

Anche nel caso di applicazione di tutti i criteri predetti viene in rilievo quell'ambito di discrezionalità del giudice e il correlativo obbligo di motivazione di cui si è detto a proposito della determinazione del compenso per l'attività giudiziale.

Le problematiche fin qui esposte devono ritenersi superate dopo che il d.m. n. 37/2018 prevede dei parametri specifici per la mediazione e la negoziazione assistita, senza peraltro distinguere, inopportunamente, tra forme obbligatorie e forme volontarie di tali Adr, che sono contenuti in una apposita tabella (la n. 25-bis) riportante tre distinte fasi (di attivazione, di negoziazione e di conciliazione).

I parametri comportamentali

I commi da 6 a 9 dell'art. 4 del d.m. n. 55/2014 stabiliscono criteri di determinazione del compenso, derogativi di quelli fissati dalle altre disposizioni di carattere generale, e solo in un caso vincolanti, che sono correlati alle scelte e alle condotte, soprattutto processuali, assunte dal difensore della parte nello svolgimento dell'incarico.

Siffatta disciplina, ad eccezione di quella di cui al comma 8, era già presente nel d.m. 140/2012 sia pure con alcune significative differenze, di cui si dirà, essendo contenuta nei commi 5 e 6 dell'art. 4 e nell'art. 10 di quel provvedimento.

In dottrina si è sostenuto, già con riguardo alla disciplina contenuta nel d.m. n. 140/2012, che il ministero non aveva avuto delega ad incidere su materie regolate dalla legge compiendo scelte di valore, che ispirano i criteri di condanna alle spese, cosicchè la scelta di disciplinare tali aspetti con fonte secondaria anzichè primaria sarebbe illegittima. L'osservazione non può però essere condivisa poiché, a ben vedere, i parametri comportamentali contenuti nel d.m. n. 140/2012, al pari di quelli di cui al d.m. n. 55/2014, non sono altro che una esplicitazione di quello generale, di cui all'art. 4, comma 1, che stabilisce che il compenso vada determinato anche sulla base dei risultati conseguiti.

E tra i risultati dell'attività difensiva che il legislatore ministeriale valorizza maggiormente, ricollegando direttamente ad esso un aumento del compenso per il professionista, vi è il contenimento del ricorso all'attività giurisdizionale, da perseguirsi ricorrendo a soluzioni conciliative o, qualora ciò non sia possibile, limitando le attività processuali ed evitando gli abusi.

Non è difficile rinvenire l'ispirazione delle disposizioni che si esamineranno nell'esperienza giuridica di altri paesi, come ad esempio il Regno Unito, ove, in casi di particolare gravità, il giudice può ordinare direttamente allo stesso avvocato di rimborsare al soccombente le spese di giudizio per singoli atti che si siano rivelati inutili o precludergli di riceverne il pagamento dal proprio cliente (waisted costs), in base al principio che il cliente non deve essere danneggiato dalla condotta ingiustificabile (improper, unreasonable, negligent) del suo avvocato.

Abuso del processo

Il testo del comma 7 dell'art. 4 coincide con quello dell'art. 4, comma 6, del d.m. 140/2012 e stabilisce che «costituisce elemento di valutazione negativa in sede di liquidazione giudiziale del compenso l'adozione di condotte abusive tali da ostacolare la definizione dei procedimenti in tempi ragionevoli».

La disposizione pare trovare la propria matrice nel più generale dovere di lealtà e probità. Se è agevole individuare il suo ambito soggettivo di applicazione (è evidente come essa consenta di valutare il contegno del difensore di qualsiasi parte del giudizio, e quindi anche di quella vittoriosa) non può dirsi altrettanto per il suo ambito oggettivo.

Sotto il profilo strettamente letterale la disposizione pare assumere rilievo sia ai fini della liquidazione del compenso a carico del cliente sia in quella a carico del soccombente.

Sotto il profilo sistematico poi una simile lettura risulta più conforme ad una delle finalità dell'intero regolamento, di massima responsabilizzazione del difensore. É chiaro infatti che, in base ad essa, l'avvocato che tenesse la condotta abusiva sarebbe esposto al rischio della riduzione del proprio compenso, sia nel caso in cui agisse nei confronti del proprio assistito, per ottenere la liquidazione di esso, sia nel caso di quantificazione delle spese ai sensi dell'art. 91 c.p.c.

Vi sono però una serie di considerazioni che inducono a limitare l'applicazione della norma alla seconda delle due ipotesi sopra dette.

La prima, di ordine funzionale, è che, in questo modo, la valutazione della condotta processuale viene rimessa al giudice che si trova nelle condizioni migliori per compierla, ossia quello davanti al quale si è svolto il giudizio, analogamente a quanto accade per la disamina delle condotte che possono determinare responsabilità processuale aggravata. Inoltre, seguendo questa tesi, il giudice è chiamato a compiere tale accertamento d'ufficio, riguardando esso la funzionalità del processo, e non a seguito di eccezione della parte-cliente del difensore.

Ciò chiarito, la norma richiede non già che la condotta abusiva abbia effettivamente rallentato il processo ma che sia stata idonea a produrre tale risultato. Se così è, volendo esemplificare, il parametro può essere utilizzato, su iniziativa officiosa del giudice, nei casi in cui la parte, o meglio il suo difensore, abbia avanzato una richiesta dilatoria in un processo la cui durata, al momento della formalizzazione della richiesta, fosse prossima, pari o superiore al termine di ragionevole durata che è stato fissato dall'art. 55 del d.l.22 giugno 2012, n. 83 (cosiddetto "Decreto Sviluppo"), convertito con modificazioni, dalla l. 7 agosto 2012, n. 134, a prescindere dall'accoglimento dell'istanza medesima.

Per converso la norma non potrà trovare applicazione nel caso in cui, nonostante il rigetto della istanza dilatoria, non sia stato possibile osservare il termine di ragionevole durata per cause connesse alla gestione del ruolo del giudice.

Le difese manifestamente fondate

L'art. 4, comma 8, del d.m. n. 55/2014 riconosce la possibilità di aumentare, in caso di liquidazione giudiziale, il compenso spettante al professionista forense fino ad un massimo del trenta per cento di quello altrimenti liquidabile «quando le difese della parte vittoriosa sono risultate manifestamente fondate» e il soccombente sia (stato) costituito in giudizio.

La disposizione è stata introdotta a seguito del recepimento dell'orientamento che il Consiglio di Stato aveva espresso nel parere n. 161 del 18 gennaio 2013 sulla bozza di revisione dei parametri predisposta all'epoca dal Ministero e anch'essa, al pari di quella esaminata nel paragrafo precedente, costituisce esplicitazione del dovere di lealtà e probità processuale.

Per poter individuare l'ambito di applicazione della norma è necessario definire la nozione di difesa manifestamente fondata.

Nel giudizio di cassazione essa coincide con uno dei casi che giustificano la trattazione del ricorso nelle forme del procedimento in camera di consiglio, ai sensi dell'art. 375, n.5 c.p.c., come modificato dall'art. 47, comma 1, lett. e), n.2 della l. n. 69/2009.

Con riferimento al giudizio di appello potrebbe identificarsi nella difesa dell'appellato che abbia indotto il giudice ad adottare una pronuncia di inammissibilità ai sensi dell'art. 348-ter c.p.c. qualora si condivida l'opinione di chi reputa che essa corrisponda in realtà ad una declaratoria di manifesta infondatezza.

Per quanto attiene invece ai giudizi di merito, alcuni precedenti (Trib. Verona, 23 maggio 2014; Trib. Milano, 11 dicembre 2014, entrambe in www.ilcaso.it;) hanno chiarito che il presupposto è integrato allorquando «il difensore di una parte riesca a far emergere la fondatezza nel merito dei propri assunti, e specularmente l'infondatezza degli assunti di controparte, senza dover ricorrere a prove costituende e quindi solo grazie al proprio apporto argomentativo». Alcune di quelle pronunce (Trib. Verona, 23 maggio 2014) hanno anche elencato, quali esempi di difese manifestamente fondate, l'ipotesi in cui la causa risulti di pronta soluzione sulla base di prove documentali di facile intelligibilità ovvero perché involgente questioni giuridiche relativamente semplici o ancora perché non vi sia stata contestazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione.

Ad esse si possono peraltro aggiungere il caso in cui sia stata la parte vittoriosa a non contestare, o ad ammettere, tutti o una parte dei fatti allegati da controparte, limitandosi a controvertere, nei limiti predetti, solo sulla loro interpretazione o sulle loro conseguenze giuridiche; quello in cui la stessa parte abbia eccepito un fatto estintivo della pretesa avversaria, la cui sussistenza sia accertabile mediante produzioni documentali.

Ancora, si può pensare al caso in cui la parte vittoriosa abbia optato, fondatamente, ab origine per un modello processuale semplificato, come il procedimento sommario o abbia sollecitato il transito verso di esso ai sensi dell'art. 183-bis c.p.c., come inserito dall'art. 14 del d.l. n. 132/2014.

Ovviamente per l'applicazione del parametro premiale è richiesto anche che tutte le condizioni di cui si è detto emergano in un giudizio di merito (non già quindi in un procedimento cautelare, nemmeno se a strumentalità attenuata) grazie all'apporto argomentativo del difensore e questa considerazione vale anche a spiegare il motivo per cui la norma in esame preveda che l'aumento può essere riconosciuto solo se la parte soccombente è costituita in giudizio.

Infatti, in caso di contumacia di tale parte, è la scelta di non costituirsi in giudizio a comportare una tendenziale semplificazione del giudizio.

Il predetto apporto argomentativo dovrà poi essere necessariamente sintetico perché, nel caso non lo fosse, tale particolare costituirebbe un indice sufficientemente indicativo della mancanza nella difesa del requisito della manifesta fondatezza.

Si noti infine che vi possono essere casi in cui la disposizione può concorrere, con l'art.96, comma 3, c.p.c. Si tratta delle ipotesi in cui la parte soccombente abbia assunto una difesa manifestamente infondata in diritto, e quindi temeraria, perché indicativa di una mala fede o colpa grave. Infatti se entrambe le condanne possono essere adottate su iniziativa del giudice, quella ai sensi dell'art. 96, comma 3, c.p.c. è diretta a ristorare-indennizzare la parte vittoriosa, mentre quella ai sensi dell'art. 4, comma 8, d.m. n. 55/2014 va a vantaggio del suo difensore (in tali termini si sono espressi Trib Verona, 19 giugno 2014 e Trib. Milano, 24 giugno 2015, entrambe in www.ilcaso.it).

Attività conciliativa

L'art. 4 del d.m.n. 55/2014, contenuto nella parte relativa all'attività giudiziale, prevede, al comma 6, che il compenso per l'avvocato, in caso di conciliazione giudiziale o transazione, sia aumentato di regola nella misura di un quarto di quello spettante per la fase decisionale, «fermo quanto maturato per l'attività precedentemente svolta».

Non è invece prevista una maggiorazione del compenso per l'analogo esito che si abbia a seguito di attività stragiudiziale.

Palese risulta la differenza con la disciplina contenuta nel d.m. n. 140/2012. Tale regolamento infatti prevede(va), all'ultimo comma dell'art. 4, la possibilità di aumentare il compenso per l'avvocato nella misura del 25 % quando il procedimento si fosse concluso con una conciliazione e, all'art. 3, ultimo comma, dedicato all'attività stragiudiziale, quella di aumentare il compenso del 40 % a fronte di identico esito.

Tale disciplina, chiaramente, mira ad incentivare soprattutto i difensori a concludere accordi stragiudiziali con la prospettiva di far loro ottenere compensi assai più elevati di quelli che avrebbero percepito per l'attività giudiziale (sempre qualora l'entità di essi non fosse stata definita convenzionalmente) ma, proprio per questo, pone non pochi problemi di carattere deontologico. Al contempo può trattenere le parti dall'aderire ad una prospettiva conciliativa, una volta iniziato il giudizio, dal momento che le espone ad un onere economico per la retribuzione del difensore ben maggiore di quello al quale sono tenute per un analogo esito prima del giudizio.

La disposizione in esame è criticabile anche perchè ricollega la maggiorazione del compenso al solo esito conciliativo o transattivo, senza richiedere che vi abbia contribuito l'opera del difensore, e quindi anche al caso in cui ad esso si sia giunti per iniziativa delle parti o, nel caso di conciliazione giudiziale, del giudice o del CTU.

Da questo punto di vista è piuttosto palese la differenza della previsione in esame da quella del d.m. 8 aprile 2004 n. 127 (tariffa forense) che, alla voce 21, al fine riconoscere un distinto onorario «per l'opera prestata per la conciliazione ove avvenga in sede giudiziale», richiedeva un apporto causale del difensore al raggiungimento dell'accordo.

In evidenza

La disposizione, che rileva nell'ambito del rapporto tra avvocato e proprio cliente, riconosce la maggiorazione del compenso, indipendentemente dal momento o “fase” in cui l'accordo transattivo sia stato raggiunto (così anche il parere del CNF del 21 giugno 2017, n. 48).

Non è chiaro però se l'aumento debba essere pari al 25% di quanto sarebbe stato liquidabile per la fase decisionale oppure se debba essere riconosciuto l'intero compenso previsto per la fase decisionale aumentato fino al 25%.

Aderendo alla seconda tesi si valorizza al massimo la funzione premiale del parametro.

La redazione degli atti difensivi con determinate modalità

L'art. 2 del d.m. n. 37/2018 ha aggiunto al comma 1 dell'art. 4 del d.m. n. 55/2014 la previsione secondo cui: «Il compenso determinato tenuto conto dei parametri generali di cui al comma 1 è di regola ulteriormente aumentato del 30 per cento quando gli atti depositati con modalità telematiche sono redatti con tecniche informatiche idonee ad agevolarne la consultazione o la fruizione e, in particolare, quando esse consentono la ricerca testuale all'interno dell'atto e dei documenti allegati, nonchè la navigazione all'interno dell'atto».

É evidente come si tratti di un parametro finalizzato ad incentivare la redazione degli atti difensivi con modalità tali da renderne agevole la consultazione, in primis da parte del giudice, così da assicurare una maggiore funzionalità al processo.

É opportuno peraltro evidenziare che, già prima dell'entrata in vigore del predetto regolamento, una pronuncia di merito (Trib. Torino, 9 maggio 2017) aveva attribuito al giudice la possibilità di valorizzare, ai sensi dell'art. 4 del d.m. n. 55/2014, come elementi indicativi del pregio dell'attività prestata dal difensore della parte vittoriosa in giudizio, al fine dell'aumento del compenso spettantegli, quegli accorgimenti tecnici e redazionali che amplificano la capacità comunicativa dell'atto, ed in particolare, con riguardo all'atto redatto in formato digitale, «i sommari ipertestuali (cioè quei sommari che permettono la “navigazione” dell'atto cliccando sulle sue voci e sottovoci) e i “link” o collegamenti ipertestuali ai documenti (che permettono, cliccando sul collegamento contenuto nell'atto, di aprire ed esaminare con maggiore semplicità i documenti a cui l'atto fa riferimento e che sono stati prodotti unitamente ad esso)».

Per una delle prime applicazioni della nuova disposizione si veda invece il decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Verona il 7 giugno 2018.

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