Irrilevante il patrimonio ereditato dall'ex marito ai fini del riconoscimento dell'assegno divorzile
16 Aprile 2019
Massima
L'assegno divorzile ha funzione non solo assistenziale ma anche perequativa e compensativa. Pertanto, per la sua determinazione e quantificazione il giudice non utilizzerà né il parametro del pregresso tenore di vita familiare, né quello dell'autosufficienza economica, bensì dovrà tener conto di eventuali rinunce di aspettative professionali del coniuge richiedente e del contributo che questi ha fornito alla formazione del patrimonio comune e personale dell'altro coniuge, al fine di garantire all'avente diritto un livello reddituale adeguato a tale contribuzione. Ne consegue che ai fini del riconoscimento dell'assegno divorzile non rileva il compendio ereditato dall'altro coniuge, in difetto della prova del contributo fornito dal richiedente alla formazione del predetto patrimonio. Il caso
Tizia, in sede di pronuncia del divorzio dal marito Caio, ha chiesto al Tribunale di Prato il riconoscimento in suo favore di un assegno divorzile. A seguito della richiesta delle parti della formulazione di una proposta transattiva ex art. 185 bis c.p.c., il Giudice investito della domanda ha valutato i presupposti del caso specifico per il riconoscimento dell'assegno divorzile, richiamando i principi espressi dalla sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 18287/2018. La questione
La pronuncia in esame fornisce una disamina chiara e lineare dei presupposti oggi necessari per il riconoscimento dell'assegno divorzile, facendo propri i criteri fissati dalla recente pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 18287/2018 e concentrando l'attenzione sulla possibile valenza, al fine di tale riconoscimento dell'assegno ex art. 6 l. n. 898/1970 e successive modifiche, della sperequazione economica tra i coniugi prodotta dal valore del compendio patrimoniale ereditato dall'altro coniuge. Le soluzioni giuridiche
L'ordinanza in commento merita attenzione perché fornisce una visione d'insieme sui principi espressi dalla citata sentenza n. 18287/2018, in una prospettiva concreta e fattuale. Invero, il giudicante ha, nel caso specifico, negato l'assegno divorzile, poiché, una volta effettuato il confronto tra le condizioni economiche e patrimoniali delle parti, il giudice ha valutato inesistente la sperequazione nella posizione dei coniugi (essendo i redditi del marito di poco superiori a quelli della moglie) e carente la prova che avvalorasse il sacrificio di aspettative professionali da parte della moglie. Nella formazione del proprio convincimento, il giudice estensore ha, inoltre, considerato irrilevante, ai fini del giudizio sulla sproporzione delle posizioni delle parti, il valore del patrimonio ereditato dal marito a seguito della morte del padre, non essendovi la prova che la richiedente avesse contribuito alla formazione del patrimonio del suocero. In ogni caso, di particolare rilievo è la considerazione contenuta nell'ordinanza che, quand'anche l'entità del patrimonio immobiliare ereditato dal marito fosse stata rilevantissima, l'assegno divorzile non sarebbe stato in alcun modo giustificato, alla luce dell'autosufficienza economica della moglie. Osservazioni
L'assegno divorzile, alla luce della recente giurisprudenza formatasi in applicazione dei principi espressi nella sentenza n. 18287/2018, non è più volto ad assicurare al coniuge richiedente un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, né un livello astratto di autosufficienza economica. L'assegno divorzile ha funzione assistenziale e compensativa-perequativa allo stesso tempo. L'ordinanza del Tribunale di Prato consente di ripercorrere l'iter argomentativo della citata sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione e di analizzarne l'applicazione concreta da parte dei giudici di merito. Le Sezioni Unite hanno, infatti, chiarito che nel decidere se accordare o meno l'assegno divorzile il Giudice deve adottare un criterio c.d. composito, valutando se l'inadeguatezza dei mezzi a disposizione del richiedente o l'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive sia frutto di scelte di vita adottate e condivise dai coniugi in costanza di matrimonio, che abbiano procurato la rinuncia ad aspettative professionali in funzione di un ruolo attivo del richiedente all'interno della famiglia da valutarsi avuto riguardo alla durata del matrimonio e all'età del richiedente e tenuto conseguentemente conto del contributo così fornito dal medesimo alla costruzione del patrimonio comune e di quello personale dell'altro coniuge. Il nuovo orientamento ha eliminato la divisione tra fase attributiva e quella determinativa dell'assegno divorzile e prevede, dunque, che la valutazione del giudice debba prendere le mosse dalla comparazione delle condizioni economico-patrimoniali delle parti e solo qualora all'esito di tale esame ravvisi uno squilibrio rilevante, causato da scelte condivise in costanza di matrimonio, dalle quali sia conseguita la rinuncia ad aspettative professionali o la partecipazione alla formazione del patrimonio comune o a quello personale dell'altro, potrà accordare l'assegno. Il quantum dell'assegno non sarà più fissato sulla base di un parametro astratto, ma dovrà garantire un livello di reddito consono al contributo fornito dal coniuge alla realizzazione della vita familiare. I giudici del merito hanno aderito unanimemente ai nuovi principi e l'ordinanza in commento arricchisce di un ulteriore tassello la loro applicazione pratica, statuendo l'irrilevanza del patrimonio ereditato da uno dei coniugi nella valutazione dello squilibrio patrimoniale delle parti. Analogo assunto è stato espresso dalla sentenza del Trib. Roma, 8 gennaio 2019, n. 341, nella quale, appunto, i giudici capitolini hanno negato qualsiasi rilevanza al patrimonio ereditato ai fini della determinazione dell'assegno divorzile, argomentando che è da escludersi che il coniuge richiedente possa aver contribuito alla formazione del predetto patrimonio. Parimenti, nessuna importanza hanno dato i Giudici ai redditi prodotti dal sopra indicato patrimonio, non costituendo detti redditi espressione di decisioni afferenti alla vita comune. Gli unici beni, dunque, che rilevano ai fini della valutazione della posizione economica e patrimoniale delle parti sembrerebbero costituiti dai beni acquisiti, singolarmente e congiuntamente dai coniugi in costanza di matrimonio, poiché espressione di scelte della famiglia e di sacrifici dell'uno in favore dell'altro. Anche i redditi prodotti dalle parti sembrerebbero subire la stessa sorte, nell'ottica, ormai chiara, che ogni elemento che il giudice deve prendere in considerazione ai fini della determinazione dell'assegno divorzile debba essere ancorato al caso concreto e alle scelte della famiglia. Il nuovo indirizzo in materia di assegno divorzile ha, certamente, il pregio di esaltare la valutazione della fattispecie concreta e nello specifico di accordare rilevanza alla storia e al passato delle parti, alle scelte fatte in costanza di matrimonio e ai riflessi di queste scelte in prospettiva futura. Ci si deve chiedere, quindi, con quale criterio i giudici valuteranno evoluzioni di carriera o aumenti di reddito nati da posizioni professionali che affondano le loro radici in matrimoni ormai conclusi, ma la cui esistenza e le decisioni in essi assunte abbiano successivamente creato squilibri significativi.
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