Natura gratuita del trust familiare

16 Aprile 2019

L'istituzione di trust familiare non integra, di per sé, adempimento di un dovere giuridico, non essendo obbligatorio per legge, ma configura un atto a titolo gratuito, non trovando contropartita in un'attribuzione in favore dei disponenti.
Massima

L'istituzione di trust familiare non integra, di per sé, adempimento di un dovere giuridico, non essendo obbligatorio per legge, ma configura un atto a titolo gratuito, non trovando contropartita in un'attribuzione in favore dei disponenti. L'atto di conferimento di beni in trust, posto in essere allo scopo di provvedere al soddisfacimento dei propri bisogni e di esigenze familiari, ha quindi natura gratuita e non è necessaria la consapevolezza degli altri beneficiari del trust del pregiudizio che viene arrecato alle ragioni creditorie, requisito questo richiesto dall'art. 2901 c.c. soltanto per gli atti a titolo oneroso. In ogni caso l'onerosità dell'atto di disposizione patrimoniale non può essere posta in relazione all'eventuale compenso stabilito per l'opera del trustee, in quanto l'onerosità dell'incarico affidato a quest'ultimo non attiene al rapporto di trust, ma all'eventuale remunerazione per il mandato conferito.

Il caso

La Corte di Cassazione, con l'Ordinanza in commento, ha chiarito alcuni rilevanti profili in tema di trust.

Nel caso di specie,la Corte d'Appello di Milano, respingendo l'impugnazione proposta nei confronti di un Istituto di credito, aveva integralmente confermato la sentenza con la quale il Tribunale di Milano aveva accolto la domanda, proposta dallo stesso Istituto di credito (e da un intervenuto), dichiarando inefficace nei loro confronti la costituzione del trust per cui era processo.

Nel febbraio 2011 l'Istituto di credito aveva infatti convenuto davanti al Tribunale di Milano il trustee del Trust, deducendo:

a) di vantare un credito nei confronti di una società (debitore principale) per esposizione di conto corrente garantito da fideiussione rilasciata dai soci;

b) che detto credito era confluito in un decreto ingiuntivo, che era stato opposto dagli ingiunti, ma che, per quanto concerneva l'opposizione di uno di questi era stato confermato con successiva sentenza;

c) che il soddisfacimento del proprio credito era ostacolato dal Trust, costituito nel 2008 ed avente ad oggetto il conferimento dell'intera proprietà di un appartamento e di un box.

Tanto dedotto, l'Istituto aveva chiesto la dichiarazione di inefficacia, ex art. 2901 c.c., nei suoi confronti, dell'atto di costituzione del suddetto trust, sul presupposto che lo stesso fosse stato scientemente predisposto al fine di recare pregiudizio alle sue ragioni creditorie.

Il convenuto si era quindi costituito al fine di tutelare la consistenza del fondo in trust nell'interesse di tutti i beneficiari, eccependo l'insussistenza dei presupposti dell'esperita azione revocatoria e deducendo, in particolare, che l'atto costitutivo del trust era di natura onerosa e che non risultava provato né che lui fosse a conoscenza del pregiudizio che il trasferimento del bene al trustee avrebbe arrecato ai creditori e neppure che l'atto fosse dolosamente preordinato allo scopo di sottrarre il bene alla garanzia dei creditori.

Il Tribunale di Milano aveva accolto la domanda, proposta dalla Banca, dichiarando inefficace nei suoi confronti (e del convenuto) la costituzione del trust, con condanna dei convenuti al pagamento delle spese del giudizio.

Avverso la sentenza del giudice di primo grado era poi stato proposto appello, contestando l'appellante l'esistenza della prova della consapevolezza del pregiudizio e la natura gratuita della costituzione del trust, ed affermando inoltre la mancanza di arricchimento da parte del trustee.

La Corte di appello di Milano aveva però rigettato l'appello.

Il trustee presentava quindi, infine, ricorso per cassazione, che però anche la Corte di Cassazione riteneva infondato.

La questione

Il ricorso sottendeva la problematica della natura gratuita, ovvero onerosa del c.d. trust familiare e del conseguente riparto dell'onere della prova.

L'istituto del trust familiare non ha attualmente nel nostro ordinamento una sua legge regolatrice (limitandosi la l. 22 giugno 2016 n. 112 a stabilire un regime fiscale di favore al fine di promuovere la stipula del c.d. trust di protezione a beneficio di persone con gravi disabilità).

Pur non essendo una figura tipica, lo stesso è comunque espressione di autonomia negoziale ed è quindi legittimo ogni qual volta la causa che lo sorregge sia lecita e meritevole di tutela, giusto il disposto generale di cui all'art. 1322 comma 2 c.c.

La disciplina di riferimento è poi quella della Convenzione dell'Aja del 1 luglio 1985 (ratificata nel nostro ordinamento dalla legge 16 ottobre 1989 n. 364 ed entrata in vigore il 1° gennaio 1992), riguardante per l'appunto "la determinazione della legge ed il riconoscimento del trust negli stati contraenti".

Il nostro Paese, con la menzionata legge di ratifica, non si è peraltro obbligato al riconoscimento di qualsiasi tipologia di trust, ma, esclusivamente, di quelli "istituiti volontariamente e provati per iscritto" (art. 3) e regolati dalla legge (art. 6) scelta dal soggetto disponente, ovvero da quella avente il collegamento più stretto con il trust (art. 7).

Al momento della istituzione del trust, il soggetto disponente sottoscrive quindi un atto istitutivo di trust e un atto di conferimento di beni o di diritti; ma l'atto di conferimento, come era avvenuto anche nel caso di specie, può essere effettuato anche in un momento successivo.

Il negozio è disciplinato dalla legge straniera richiamata, ma, in virtù delle norme di salvaguardia di cui agli artt. 13, 15, 16 e 18 della Convenzione, è sempre possibile per il giudice nazionale compiere un giudizio di compatibilità con i "principi fondamentali" del nostro ordinamento.

La peculiarità dell'istituto risiede nello "sdoppiamento del concetto di proprietà", tipico dei Paesi di common law: la proprietà legale del trust, attribuita al trustee, ne rende quest'ultimo unico titolare dei relativi diritti (sia pure nell'interesse dei beneficiari e per il perseguimento dello scopo definito), ma i beni restano segregati nel patrimonio del trust e, quindi, diventano estranei non soltanto al patrimonio del disponente, ma anche a quello personale del trustee (che deve amministrarli e disporne secondo il programma del trust).

Ciò premesso, l'istituto in esame era stato, nel caso di specie, correttamente ricostruito dalla Corte territoriale laddove la stessa:

- dapprima, aveva tratteggiato i caratteri distintivi del trust quale strumento di pianificazione patrimoniale, osservando che:

a) è la stessa Convenzione dell'Aja, che fornisce la definizione di trust, stabilendo che con tale termine debbano intendersi i rapporti giuridici istituiti da una persona con atto tra vivi (caso in esame) o "mortis causa", qualora dei beni siano stati posti sotto il controllo di un "trustee" nell'interesse di un "Beneficiario" o per un fine specifico;

b) il Trust realizza una netta separazione tra il patrimonio del disponente (di colui, cioè, che dà vita al Trust stesso) e quello dell'effettivo beneficiano e del trustee;

c) alla costituzione ed alla gestione del Trust, generalmente, intervengono tre soggetti e cioè il disponente (il proprietario dei beni), il trustee (il gestore fiduciario dei beni) ed il beneficiario (il soggetto nell'interesse del quale i beni vengono conferiti nel Trust e gestiti dal trustee);

- poi, aveva ricordato che, secondo lo schema contrattuale tipico del trust, il disponente trasferisce i propri beni e istituisce il trust, attribuendo la proprietà degli stessi al trustee (gestore), che è la figura chiave di tutto lo strumento e che, oltre a divenire l'effettivo proprietario, assume funzioni di gestione. Il trustee, a sua volta, dispone dei beni secondo l'atto di trust, ma è comunque obbligato a gestirli nell'interesse dei beneficiari o comunque allo scopo determinato dal disponente;

- quindi, aveva individuato quali caratteri fondamentali di ogni trust:

a) la piena separazione ed il totale distacco del patrimonio conferito dalla sfera giuridica del disponente, per passare in piena proprietà al trustee, seppure a titolo fiduciario e nell'interesse del beneficiario;

b) il fatto che il patrimonio conferito nel trust è messo al riparo da eventuali pretese, sia da parte dei creditori del disponente, poiché il patrimonio non è più di proprietà disponente, sia da parte dei creditori del trustee, poiché quest'ultimo, seppure effettivo proprietario del patrimonio stesso, detiene solo ed esclusivamente nella qualità di trustee e mai a titolo personale e sia infine da parte dei creditori del beneficiario, fino a quando quest'ultimo non riceva i beni con successivo passaggio dal trustee;

-infine, aveva affermato che, in via generale, anche il trust può essere revocabile, poiché ha sicuramente natura gratuita l'atto di conferimento di beni in trust posto in essere allo scopo di provvedere al soddisfacimento dei propri bisogni ed esigenze familiari, qualora ricorrano i presupposti dell'azione pauliana.

Nell'ambito dell'inquadramento dato dalla più recente giurisprudenza della Cassazione (cfr. Sez. III, sent. n. 13388/2018; ord. n. 9637/2018; sent. n. 19376/2017; ord. n. 13175//2017), può essere utile inoltre aggiungere che il trust si distingue sia dall'istituto del fondo patrimoniale, previsto dagli artt. 167 e ss. c.c., che dalle società fiduciarie, con i quali pur ha in comune il fatto di essere uno strumento di pianificazione patrimoniale.

In particolare, il trust si distingue dal fondo patrimoniale perché:

a) diversi sono i soggetti che possono istituirlo (nel fondo, soltanto i coniugi ed eventualmente un terzo; nel trust chiunque);

b) diversi sono i fondi vincolabili (nel fondo, soltanto beni immobili, beni mobili iscritti in pubblici registri e titoli di credito; nel trust, qualsiasi utilità valutabile in termini economici);

c) diverse sono le regole dell'amministrazione dei beni (dette regole sono, per il fondo, quelle dell'amministrazione della comunione legale, in quanto compatibili; mentre, per il trust, sono quelle liberamente impartite dal disponente);

d) diversa è la portata del vincolo di impignorabilità che si viene a creare sui beni conferiti (detto vincolo è, nel fondo patrimoniale, difficilmente opponibile al creditore di buona fede che abbia ignorato l'estraneità del debito rispetto ai bisogni della famiglia; mentre, nel trust, è assoluto ed opponibile a tutti i creditori estranei agli scopi e alle finalità destinatorie);

e) diversi sono infine i possibili soggetti beneficiari e la qualificazione giuridica della loro posizione (nel fondo patrimoniale i beneficiari sono necessariamente i componenti della famiglia nucleare e godono di una semplice aspettativa di fatto ai proventi del fondo ed alla destinazione finale dei beni; mentre nel trust beneficiari possono essere anche altri soggetti, tutti titolari di una posizione soggettiva di credito nei confronti del trustee).

D'altra parte, il trust si distingue dalle società fiduciarie, che sono imprese che si occupano di amministrare i beni conferiti da una persona fisica o giuridica, secondo le prescrizioni dalla stessa impartite.

A tal fine, il fiduciante trasferisce la titolarità di determinati diritti (beni mobili, immobili, quote di partecipazione in società, eredità, ecc.) in favore della società fiduciaria, che si limita ad amministrarli secondo le disposizioni contenute nell'accordo intervenuto tra le parti (pactum fiduciae).

Anche le società fiduciarie attuano una netta separazione tra il patrimonio gestito in favore del soggetto fiduciante e quello loro proprio, ma non diventano proprietarie dei beni e diritti ad esse affidati, in quanto questi restano in capo ai cliente e, quindi, soggetti alle sole azioni dei creditori del fiduciante.

Al contrario, come sopra rilevato, nel trust, i beni costituiscono una massa patrimoniale separata e distinta da quella del soggetto disponente e da quella del trustee.

Tanto premesso, nel caso in esame, il Tribunale di Milano aveva accolto la domanda revocatoria della Banca, dichiarando inefficace nei confronti della stessa l'atto di conferimento in trust dell'appartamento e del box, in quanto aveva ritenuto sussistenti sia l'esistenza di un credito in capo a chi aveva agito in via revocatoria, sia l'effettività del danno, inteso come lesione della garanzia patrimoniale a seguito del compimento da parte del debitore dell'atto traslativo e sia la ricorrenza, in capo al debitore, della consapevolezza che, con l'atto dispositivo compiuto, aveva diminuito la consistenza delle garanzie spettanti ai creditori.

In particolare, il giudice di primo grado aveva rilevato che l'insorgenza dei crediti in esame era anteriore all'atto di conferimento di beni in trust e che il debitore disponente era ben consapevole dell'esistenza di detti crediti, in quanto all'epoca era legale rappresentante della società debitrice e già nel 2008 aveva formulato due proposte scritte di definizione a saldo e stralcio del debito che gravava su detta società (e su di lui, personalmente nella qualità di fideiussore).

Qualificato l'atto istitutivo del trust come atto a titolo gratuito, il Tribunale aveva dunque ritenuto non necessaria la prova che il terzo costituitosi in giudizio fosse a sua volta consapevole del pregiudizio che tale conferimento aveva arrecato ai creditori.

D'altra parte, la Corte di merito, dopo aver ripercorso funzione e presupposti dell'azione revocatoria prevista dall'art. 2901 c.c. e dopo aver osservato, in via generale, che determina eventus damni anche la mera variazione qualitativa del patrimonio del debitore, con pericolo di danno costituito dalla eventuale infruttuosità di una futura azione esecutiva, aveva rilevato che nel caso di specie:

a) beneficiari del costituito trust erano, oltre al disponente, i due figli dello stesso;

b) lo scopo del trust era "segregare i beni infra indicati ... per il soddisfacimento dei propri bisogni ed esigenze ed assicurare il mantenimento dell'attuale tenore e qualità di vita";

c) la Banca e l'intervenuto erano titolari di due distinti crediti nei confronti del disponente del trust;

d) entrambi detti crediti erano precedenti alla costituzione del trust;

e) l'eventus damni era rimasto integrato per effetto della stessa costituzione del trust.

Applicando i richiamati principi al caso di specie, la Corte di merito, come detto, aveva dunque confermato la sentenza del giudice di primo grado, in quanto:

- l'atto di conferimento di beni in trust, posto in essere allo scopo di provvedere al soddisfacimento dei propri bisogni e di esigenze familiari, aveva natura gratuita;

- il disponente non poteva non essere consapevole del danno che era in grado di generare nei confronti dei creditori il trasferimento nel costituito trust dell'unico bene immobile di cui era proprietario, in quanto ben sapeva di essere debitore della Banca e dell'intervenuto e, d'altra parte, ben sapeva di non essere titolare di altri beni (anche considerati i pignoramenti negativi, tentati dall'intervenuto presso otto istituti di credito);

- essendo il costituito trust un atto a titolo gratuito, non era necessaria la consapevolezza degli altri beneficiari del trust dell'atto del pregiudizio che veniva arrecato alle ragioni creditorie (requisito questo richiesto dall'art. 2901 c.c. soltanto per gli atti a titolo oneroso).

Il trustee aveva infine presentato ricorso avverso tale sentenza, denunciando:

- omesso esame del fatto decisivo e controverso costituito dall'onerosità dell'atto di trasferimento al trustee, nella parte in cui la Corte territoriale aveva ritenuto scontato che detto atto fosse a titolo gratuito ed aveva conseguentemente ritenuto non necessaria, ai fini della declaratoria di inefficacia dell'atto, la consapevolezza da parte del beneficiari del pregiudizio che veniva arrecato alle ragioni creditorie. Sosteneva inoltre il ricorrente che la Corte territoriale, lungi dal confutare la tesi dell'onerosità dell'atto di trasferimento, si era limitata ad affermare la gratuità della disposizione, omettendo di indicarne le ragioni;

- violazione e falsa applicazione degli artt. 115-116 c.p.c. e dell'art. 2697 c.c. in relazione all'art. 2901 c.c., nella parte in cui la Corte territoriale, avendo ignorato che l'atto di trasferimento in esame era a titolo oneroso, aveva violato il riparto dell'onere probatorio, essendo onere della banca procedente e dell'intervenuto provare, in capo ai terzi, la conoscenza del pregiudizio e la partecipazione dolosa, laddove, peraltro, nella specie, detta prova non soltanto non era stata data, ma neppure era stata ricercata, proprio perché era stata ritenuta erroneamente non necessaria.

Le soluzioni giuridiche

Secondo la Suprema Corte le censure erano infondate.

Ribadito, infatti, che le nozioni di atto di disposizione patrimoniale e di terzo, contenute nell'art. 2901 c.c., "vanno parametrate alle peculiarità di un istituto che attribuisce alla disposizione del patrimonio un contenuto differente dalla tradizionale visione della circolazione dei beni" (cfr., Cass., ord. n. 13388/2018) e rilevato che è stato di recente affermato il principio per cui l'istituzione di trust familiare (nella specie, per fare fronte alle esigenze di vita e di studio della prole) non integra, di per sé, adempimento di un dovere giuridico, non essendo obbligatorio per legge, ma configura - ai fini della revocatoria ordinaria - un atto a titolo gratuito, non trovando contropartita in un'attribuzione in favore dei disponenti (cfr., Cass., sent. n. 19376/2017), la Corte territoriale, nel caso di specie, aveva dunque correttamente applicato la disciplina di riferimento, essendo risultato che il trust era un trust familiare (essendo familiari, sia il disponente che il trustee ed i beneficiari ed avendo il trust come fine quello di assicurare il mantenimento dell'attuale tenore e qualità di vita familiare dei beneficiari, tra i quali era compreso lo stesso disponente) e che l'atto di costituzione del trust e di trasferimento al trustee dei beni immobili in esso previsti erano da qualificarsi atti a titolo gratuito.

Al riguardo, la Suprema Corte evidenzia anche che il negozio istitutivo di un trust, per considerarsi a titolo oneroso, deve essere posto in adempimento di un obbligo e dietro pagamento di un corrispettivo.

Come si verifica, ad es., nei c.d. trust di garanzia, che sono istituiti da un debitore in seguito ad un accordo con i propri creditori.

Al contrario, se il trust viene posto in essere in virtù di una spontanea determinazione volitiva del disponente e in mancanza di un vantaggio patrimoniale, l'atto costitutivo del trust deve essere considerato a titolo gratuito, come per l'appunto si verifica nel caso di trust familiare.

In ogni caso, l'onerosità dell'atto di disposizione patrimoniale non può essere posta in relazione all'eventuale compenso stabilito per l'opera del trustee, in quanto l'onerosità dell'incarico affidato a quest'ultimo attiene (non al rapporto di trust, ma) all'eventuale remunerazione per il mandato conferito.

Onerosità e gratuità vanno dunque poste in relazione all'interesse che qualifica il rapporto di trust (che è quello del beneficiario).

Osservazioni

La costituzione del vincolo di destinazione, tipico del trust, ha riflessi importanti anche sotto il profilo delle imposte indirette, di donazione, successione, ipotecaria e catastale.

L'art. 2, comma 47, d.l. n. 262/2006, convertito con modificazioni nella l. n. 286/2006, ha reintrodotto nel nostro ordinamento l'imposta di successione e donazione, estendendone l'ambito di applicazione alla “costituzione di vincoli di destinazione”, categoria a cui sono riconducibili tutti quei negozi giuridici in virtù dei quali determinati beni sono destinati alla realizzazione di un interesse meritevole di tutela da parte dell'ordinamento giuridico, con effetti segregativi e limitativi della disponibilità dei beni medesimi.

Solo una volta che si realizzerà l'effetto traslativo si potrà individuare con precisione gli effettivi beneficiari, così determinando l'aliquota in concreto applicabile in sede di tassazione indiretta, laddove, in alcune fattispecie, è comunque possibile valutare sin da subito se il disponente abbia avuto la volontà effettiva di realizzare, sia pure per il tramite del trustee, un trasferimento dei diritti in favore di terzo.

In tale ottica sono quindi rilevanti i vincoli di destinazione in grado di determinare effetti traslativi collegati al trasferimento di beni e diritti, non assumendo comunque il vincolo di destinazione un rilievo autonomo, ex se.

Se il trasferimento dei beni al "trustee" ha infatti natura transitoria e non esprime alcuna capacità contributiva, il presupposto d'imposta si manifesta solo con il trasferimento definitivo di beni dal "trustee" al beneficiario e non può applicarsi il regime delle imposte indirette sui trasferimenti in misura proporzionale.

In conclusione, il reale arricchimento deve essere oggetto di specifica indagine.

In caso di atto dispositivo nell'ambito di un trust, il giudice di merito deve, in sostanza, accertare se l'atto in questione sia annoverabile o meno tra gli atti onerosi o tra gli atti gratuiti, da doversi tassare, nel primo caso, in misura proporzionale, ovvero, nel secondo, in misura fissa.

Vero è che la caratteristica del trust, che ne assicuri la conformità a legalità, deve essere l'effettiva distinzione di ruolo e poteri tra i vari soggetti in esso operanti: il settlor, il trustee, i beneficiaries e il protector, pena la possibilità di disconoscimento dello stesso atto istitutivo del trust, da considerarsi simulato al fine esclusivo di sottrarre materia imponibile all'Erario, laddove si ricorda che l'art. 11 d.lgs. n. 74/2000 sanziona chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte, per un ammontare complessivo superiore a 50.000,00 Euro, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni, idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva.

Attraverso l'incriminazione della condotta prevista dall'art. 11 d.lgs. n. 74/2000 il legislatore ha quindi inteso evitare che il contribuente si sottragga al suo dovere di concorrere alle spese pubbliche, creando una situazione di apparenza tale da consentirgli di rimanere nel possesso dei propri beni fraudolentemente sottratti alle ragioni dell'Erario.

La norma punisce del resto due distinte condotte: l'alienazione simulata ed il compimento di atti fraudolenti, laddove l'alienazione è "simulata" quando è finalizzata a creare una situazione giuridica apparente, diversa da quella reale, e, in particolare, quando il programma contrattuale non corrisponde deliberatamente in tutto (simulazione assoluta), o in parte (simulazione relativa), alla effettiva volontà dei contraenti; mentre per "atto fraudolento" deve intendersi qualsiasi atto idoneo a rappresentare ai terzi una realtà (la riduzione del patrimonio del debitore) non corrispondente al vero, mettendo a repentaglio o comunque rendendo più difficoltosa l'azione di recupero del bene in tal modo sottratto alle ragioni dell'Erario.

Realizzando il trust con la coincidenza tra disponente e trustee, si crea dunque, in maniera fraudolenta, uno schermo formale tra patrimonio personale e proprietà costituita in trust; e nel caso in cui tale azione sia preordinata ad eludere le ragioni creditorie erariali, vi sarà anche violazione dell'art. 11 d.lgs. n. 74/2000.

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