Aspetti processuali della nuova class actionFonte: L. 12 aprile 2019 n. 31
19 Aprile 2019
Class action e codice del consumo
La class action è uno strumento processuale – di origine statunitense – che consente ad una pluralità di soggetti, che intendano far valere un diritto, di adire l'autorità giudiziaria con un'unica causa (F. Del Giudice, Nuovo dizionario giuridico, Napoli, voce “class action”, 2008, 162 ss.). In buona sostanza, si tratta di un'azione giudiziale posta a tutela dei componenti di una classe, i quali agiscono per accertare la responsabilità ed ottenere la condanna al risarcimento del danno. Questo istituto ha fatto il suo ingresso nel nostro ordinamento con l'art. 140-bis del codice del consumo (d.lgs. n. 206/2005), il quale prevede l'esperibilità dell'azione di classe limitatamente ai consumatori e agli utenti in relazione ai danni subiti da rapporti contrattuali o pratiche commerciali scorrette o comportamenti anticoncorrenziali tenuti dalle imprese. L'azione di classe prevista nel codice del consumo è così configurata: a) le finalità dell'istituto sono la tutela dei diritti individuali dei consumatori e utenti che versano nei confronti di una stessa impresa in situazione omogenea (“diritti individuali omogenei”) nonché la tutela di interessi collettivi (comma 1); b) con l'azione si fa valere la violazione di diritti contrattuali (es. diritti fondati su un contratto sottoscritto per adesione da una pluralità di consumatori) o di diritti omogenei comunque spettanti al consumatore finale del prodotto (es. diritto al risarcimento danni da prodotto difettoso) o servizio (a prescindere da un rapporto contrattuale) o di diritti omogenei violati da comportamenti anticoncorrenziali o da pratiche commerciali scorrette (comma 2); c) l'oggetto dell'azione è l'accertamento della responsabilità e la condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni in favore degli utenti consumatori (comma 2); d) la legittimazione ad agire in giudizio viene riconosciuta ai singoli cittadini consumatori («ciascun componente della classe») anche mediante associazioni cui diano mandato o comitati cui partecipino (comma 1); e) è possibile per altri consumatori aderire all'azione di classe; l'adesione comporta la rinuncia a ogni azione restitutoria o risarcitoria individuale. Al riguardo è opportuno operare un distinguo tra interesse diffuso e interesse collettivo. Il concetto di interesse collettivo ha trovato nella legislazione italiana una caratterizzazione specifica; si tratta di quegli interessi, non attribuibili a nessun individuo in particolare, che, in mancanza dell'investitura a favore di alcuni enti esponenziali della legittimazione a farli valere sarebbero adespoti e verrebbero qualificati come interessi diffusi; essi assurgono a rango di interesse collettivo quando la legge attribuisce appunto all'ente esponenziale, di solito ad un'associazione, il compito di tutelare quelle La chiarificazione appena svolta si rende necessaria in considerazione del fatto che, per tramite delle modifiche dell'art. 140-bis del codice del consumo, il novero delle situazioni passibili di tutela mediante l'esperimento dell'azione di classe risulta essersi dilatato anche agli interessi collettivi, superandosi così la previgente limitazione ai soli rapporti giuridici stipulati ai sensi dell'art. 1342 c.c., spaziandosi ora alla (senz'altro più ampia) categoria dei diritti contrattuali di una molteplicità di utenti/consumatori, accomunati da una medesima posizione nei confronti di un'impresa. Le finalità dell'istituto, pertanto, sono la tutela dei diritti individuali dei consumatori e utenti che versano nei confronti di una stessa impresa in situazione omogenea (“diritti individuali omogenei”) nonché la tutela di interessi collettivi; con l'azione si fa valere la violazione di diritti contrattuali (es. diritti fondati su un contratto sottoscritto per adesione da una pluralità di consumatori) o di diritti omogenei comunque spettanti al consumatore finale del prodotto (es. diritto al risarcimento danni da prodotto difettoso) o servizio (a prescindere da un rapporto contrattuale) o di diritti omogenei violati da comportamenti anticoncorrenziali o da pratiche commerciali scorrette. Il procedimento è scandito in due fasi: a) la prima, volta alla pronuncia sull'ammissibilità dell'azione di classe; b) la seconda, finalizzata invece alla decisione nel merito. In caso di accoglimento della domanda, il procedimento si conclude con la sentenza di condanna alla liquidazione in via equitativa delle somme dovute agli aderenti all'azione di classe o alla definizione di un criterio omogeneo di calcolo per la suddetta liquidazione. Analiticamente, la domanda si propone con atto di citazione al tribunale del capoluogo della Regione in cui ha sede l'impresa. La competenza è attribuita al tribunale in composizione collegiale con il possibile intervento anche del PM, ma solo per il giudizio di ammissibilità dell'azione (commi 4 e 5). Si apre a questo punto la prima fase del procedimento, dedicata ad un'udienza filtro per la pronuncia sull'ammissibilità dell'azione di classe. Il tribunale si pronuncia (con ordinanza) all'esito della prima udienza (a meno che non sia necessario disporre una sospensione del giudizio per attendere la pronuncia di un'autorità indipendente o del giudice amministrativo). La domanda è dichiarata inammissibile quando (comma 6): a) è manifestamente infondata; b) sussiste un conflitto di interessi; c) il giudice non ravvisa l'omogeneità dei diritti individuali tutelabili; d) il proponente non appare in grado di curare adeguatamente l'interesse della classe. Se il tribunale non ammette l'azione, deve comunque regolare le spese e ordinare la pubblicità dell'ordinanza di inammissibilità a cura e a spese del soccombente (comma 8). Se il tribunale ammette l'azione, regola le spese, anche ai sensi dell'art. 96 c.p.c., e ordina la più opportuna pubblicità a cura e spese del soccombente. L'ordinanza è reclamabile entro 30 giorni in corte d'appello che, a sua volta, decide entro 40 giorni dal deposito del ricorso con ordinanza camerale (comma 7). Il reclamo non ha, tuttavia, effetti sospensivi del procedimento davanti al tribunale. Con l'ordinanza che ammette l'azione, il Tribunale deve (comma 9): a) definire i caratteri dei diritti individuali oggetto del giudizio, specificando i criteri in base ai quali i soggetti che chiedono di aderire sono inclusi nella classe o devono ritenersi esclusi dall'azione; b) fissare termini e modalità della più opportuna pubblicità dell'azione, per consentire l'adesione degli appartenenti alla classe (l'esecuzione della pubblicità è condizione di procedibilità della domanda), possibile senza ministero di un difensore. Copia dell'ordinanza di ammissibilità dell'azione deve essere trasmessa al Ministero dello sviluppo economico che ne cura ulteriori forme di pubblicità, anche mediante la pubblicazione sul relativo sito internet; c) fissare un termine perentorio, non superiore a 120 giorni dall'esecuzione della pubblicità, entro il quale gli atti di adesione devono essere depositati in cancelleria, anche a mezzo dell'attore, e anche tramite PEC o fax; gli atti devono contenere l'elezione di domicilio, l'indicazione degli elementi costitutivi del diritto fatto valere; la documentazione probatoria. Dopo la scadenza del termine non saranno più proponibili ulteriori azioni di classe per i medesimi fatti e nei confronti della stessa impresa; saranno possibili solo ricorsi individuali da parte di coloro che non abbiano aderito all'azione collettiva. Si apre dunque la seconda fase nella quale il Tribunale definisce il procedimento nel merito, eventualmente condannando l'impresa soccombente alla liquidazione del danno. In merito il tribunale può (comma 12): a) ordinare all'impresa il pagamento, in via equitativa, delle somme dovute a coloro che hanno aderito all'azione oppure; b) definire un criterio omogeneo di calcolo per la suddetta liquidazione assegnando alle parti un termine di 90 giorni per raggiungere un accordo sull'entità del risarcimento. In tale caso, il verbale di accordo, sottoscritto dalle parti e dal giudice, costituisce titolo esecutivo; in mancanza di accordo, su istanza di parte, è invece il giudice che liquida le somme dovute agli aderenti all'azione. La sentenza che definisce il giudizio diviene esecutiva decorsi 180 giorni dalla pubblicazione; fa stato per tutti gli aderenti all'azione e rende improponibile per i medesimi fatti e nei confronti degli stessi soggetti una nuova azione di classe. In caso di proposizione di appello, l'appellante può chiedere la sospensione dell'efficacia della sentenza di primo grado (comma 13). La decisione sull'azione collettiva non limita comunque il diritto all'azione individuale per chiunque non abbia aderito all'azione di classe (comma 14). La legge del 3 aprile 2019
Il 3 aprile scorso, il Senato ha approvato la nuova legge sulla class action composta da 7 articoli, attraverso i quali riforma l'istituto dell'azione di classe, attualmente previsto dal Codice del consumo. Tra le maggiori novità emerge, innanzitutto, lo spostamento della disciplina dell'azione di classe che, dal codice del consumo, transita all'interno del codice di procedura civile. Cade in questo modo ogni riferimento a consumatori e utenti, di conseguenza l'azione sarà sempre esperibile da tutti coloro che avanzino pretese risarcitorie in relazione a lesione di "diritti individuali omogenei" (ma non a interessi collettivi). L'art. 1 introduce nel codice di procedura civile un nuovo titolo VIII-bis “Dei procedimenti collettivi”, composto da 15 nuovi articoli (dall'art. 840-bis all'art. 840-sexiesdecies c.p.c.). Il nuovo titolo è inserito alla fine del libro IV dedicato ai procedimenti speciali. Nel dettaglio, l'art. 840-bis c.p.c. amplia l'ambito d'applicazione soggettivo e oggettivo dell'azione di classe. L'art. 140-bis del codice del consumo, nel delineare il campo di applicazione sotto il versante soggettivo, prevede che l'azione di classe possa essere esercitata solo da consumatori o utenti (ovvero dalle persone fisiche che agiscono per scopi estranei all'attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta). Tale limitazione è stata peraltro interpretata in modo rigoroso dalla giurisprudenza. In un caso, è stata ritenuta inammissibile per carenza del presupposto soggettivo l'azione di classe avviata da un piccolo azionista di un istituto di credito (Trib. Firenze, ord., 10 marzo 2014; App. Firenze, ord., 15 luglio 2014). É appena il caso di ricordare che, sempre ai sensi dell'art.140-biscodice del consumo la persona fisica può agire anche «mediante associazioni cui dà mandato o comitati cui partecipa». Eliminando anzitutto – data la nuova collocazione della disciplina, sottratta al codice del consumo – ogni riferimento a consumatori e utenti, l'azione sarà sempre esperibile da tutti coloro che avanzino pretese risarcitorie in relazione a lesione di "diritti individuali omogenei" (ma non ad "interessi collettivi"); l'azione sarà quindi nella titolarità di ciascun componente della "classe", nonché delle organizzazioni o associazioni senza scopo di lucro che hanno come scopo la tutela dei suddetti diritti, e che sono iscritte in un elenco tenuto dal Ministero della giustizia.; eliminando ogni riferimento a consumatori e utenti, infatti, l'azione sarà sempre esperibile da tutti coloro che avanzino pretese risarcitorie, anche modeste, causate da illeciti plurioffensivi rispetto ai quali sia configurabile l'omogeneità dei diritti tutelabili. Il testo individua come destinatari dell'azione di classe imprese ed enti gestori di servizi pubblici o di pubblica utilità, facendo salve le procedure di ricorso per l'efficienza delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici. La condotta lesiva è individuata relativamente a fatti cagionati nello svolgimento delle attività. La nuova class action è più genericamente esperibile a tutela delle situazioni soggettive maturate a fronte di condotte lesive, per l'accertamento della responsabilità e la condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni. É, poi, ampliato l'ambito di applicazione oggettivo dell'azione, che è esperibile a tutela delle situazioni soggettive maturate a fronte di condotte lesive, per l'accertamento della responsabilità e la condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni. Il testo individua come destinatari dell'azione di classe imprese ed enti gestori di servizi pubblici o di pubblica utilità, relativamente ad atti e comportamenti posti in essere nello svolgimento delle attività. Al riguardo si è rilevato che in forza della nuova legge si è data piena attuazione all'art. 24 Cost., fornendo ai cittadini lesi da micro-illeciti seriali una idonea forma di tutela giurisdizionale e di impedire alle imprese responsabili di (programmare tutto onde) avvantaggiarsi impunemente rispetto ai loro concorrenti più fair (C. Consolo-M. Stella, La nuova azione di classe, non più solo consumeristica, in una proposta di legge da non lasciar cadere, in Riv. diritto bancario, n. 12/2018). Si amplia, anzitutto, il campo di applicazione di tale istituto. L'azione di classe diventa rimedio a vocazione generale, non più astretto entro il codice del consumo. La sua disciplina è veicolata nel codice di procedura civile da un apposito Titolo VIII-bis inserito nel Libro IV, subito dopo la disciplina dell'arbitrato. È individuata la competenza della sezione specializzata in materia di impresa del Tribunale (si tratta di una novità rispetto alla disciplina vigente, che individua la competenza del Tribunale ordinario, in composizione collegiale, avente sede nel capoluogo di regione in cui si trova l'impresa, art. 140-bis, comma4, codice del consumo). L'iter ricalca quello attuale con alcune peculiarità (di particolare rilievo è la facoltà prevista per gli aderenti di intervenire anche dopo la sentenza di merito). La domanda si propone con ricorso e al procedimento si applica il rito sommario di cognizione. Tuttavia, tali e tante sono però le deroghe tracciate rispetto al rito ex art. 702-bisc.p.c., che la portata pratica del rinvio, in sé poco congruo, si riduce a ben poca cosa. Peraltro non può essere disposto in nessun caso il mutamento del rito. Per garantire idonea pubblicità alla procedura, il ricorso, unitamente al decreto di fissazione dell'udienza, deve essere pubblicato su un apposito portale del Ministero della giustizia. La riforma fissa in 30 giorni il termine entro il quale il tribunale deve decidere sull'ammissibilità dell'azione e la decisione assume la forma dell'ordinanza; anch'essa va pubblicata entro 15 giorni sul citato portale. Il Tribunale può sospendere il giudizio quando sui fatti rilevanti ai fini del decidere è in corso un'istruttoria davanti ad un'autorità indipendente ovvero un giudizio davanti al Giudice amministrativo. La disposizione precisa che restano ferme le disposizioni del decreto legislativo 19 gennaio 2017, n. 3 recante “Attuazione della direttiva 2014/104/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 novembre 2014, relativa a determinate norme che regolano le azioni per il risarcimento del danno ai sensi del diritto nazionale per violazioni delle disposizioni del diritto della concorrenza degli Stati membri e dell'Unione europea”. Il decreto legislativo in questione, all'art. 18, con riguardo al private enforcement del diritto antitrust, prevede la competenza inderogabile a trattare questo genere di questioni di sole 3 sezioni specializzate: Milano (Nord Italia), Roma (Centro Italia) e Napoli (Sud Italia). Tale competenza vale anche per le azioni di classe basate su violazioni antitrust espressamente richiamate dal decreto legislativo. Sono presenti 3 fasi: a) il giudizio di ammissibilità dell'azione, deciso con ordinanza; b) la decisione di merito, che avviene con sentenza – ambedue le fasi sono di competenza del “tribunale delle imprese”; c) la liquidazione delle somme, che avviene con decreto ed è affidata al giudice delegato. L'azione è considerata inammissibile se si ravvisa: a) la manifesta infondatezza della domanda, la mancanza di omogeneità dei diritti individuali tutelabili, il conflitto di interessi dell'attore nei riguardi del convenuto, la scarsa rappresentatività dell'associazione o comitato rispetto agli interessi fatti valere in giudizio (la previsione vigente richiede, su quest'ultimo punto, che il proponente non appaia in grado di curare adeguatamente l'interesse della classe – art. 140-bis, comma 6, codice del consumo). Il giudizio di ammissibilità di cui sopra deve avvenire entro 30 giorni dalla prima udienza (attualmente non è previsto un termine perentorio). L'ordinanza con cui si decide sull'ammissibilità è pubblicata sul PST del Ministero della Giustizia, nell'area pubblica, a cura della cancelleria. L'ordinanza che decide sull'ammissibilità è reclamabile entro 30 giorni in Corte d'appello, che decide, in camera di consiglio, con ordinanza entro 30 giorni. In caso di accertamento sull'ammissibilità della domanda, la corte d'appello trasmette gli atti al tribunale adito per la prosecuzione della causa. Il reclamo alla corte d'appello avverso le ordinanze che ammettono l'azione non produce effetti sospensivi del procedimento davanti al tribunale. L'articolo 840-quater c.p.c. disciplina l'eventuale pluralità di azioni di classe aventi il medesimo oggetto. La disposizione prevede che decorsi 60 giorni dalla pubblicazione del ricorso sul portale, non possono essere presentate ulteriori azioni di classe basate sui medesimi fatti e rivolte nei confronti del medesimo resistente, pena la cancellazione dal ruolo e la non riassunzione. Nel caso di azioni di classe proposte tra la data di deposito del ricorso e il termine dei 60 giorni sono riunite all'azione principale. Il divieto non opera se l'azione di classe originaria è dichiarata inammissibile o è definita con provvedimento che non decide nel merito. La riforma fa salva la proponibilità di azioni di classe a tutela di diritti che non potevano essere fatti valere alla scadenza del suddetto termine di 60 giorni. In proposito è opportuno rilevare come l'articolo 840-quater c.p.c. non sembri disciplinare in modo compiuto il tema della proponibilità di due azioni di classe da parte di due classi di soggetti diversi tra loro, si pensi al caso di azioni proposte da consumatori tabagisti e da congiunti per il danno da fumo passivo. Quanto all'istruzione della causa, l'art. 840-quinquies c.p.c.definisce le modalità di ammissione ed esibizione delle prove, prevedendo che il giudice civile possa applicare sanzioni amministrative pecuniarie (da 10.000 a 100.000 euro) sia alla parte che rifiuta senza giustificato motivo di esibire le prove, sia alla parte o al terzo che distrugge prove rilevanti ai fini del giudizio; la sanzione è devoluta alla Cassa delle ammende. Al riguardo si osserva che l'istruttoria si svolge omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio. I poteri istruttori del giudice sono rafforzati, specie in materia di esibizione documentale, dove la proposta ha largamente attinto alla disciplina di cui al d.lgs. n. 3/2017 in tema di azioni risarcitorie per danni anti-trust. Si tratta di una possibilità già prevista nel nostro ordinamento dall'art. 6 del d.lgs. n. 3/2017, la cui formulazione è sostanzialmente riproposta, nonché dall'art. 709-terc.p.c. La sentenza emessa dal tribunale delle imprese, che accoglie l'azione di classe (art. 840-sexies c.p.c.), ha natura di accertamento della responsabilità del resistente, definisce i caratteri dei diritti individuali omogenei che consentono l'inserimento nella classe, individuando la documentazione che dovrà essere prodotta dagli aderenti. Con la sentenza, inoltre, il tribunale provvede in ordine alle domande risarcitorie e restitutorie solo se l'azione è proposta da un soggetto diverso da un'organizzazione o da un'associazione. Con la sentenza – che determina l'importo che ogni aderente deve versare a titolo di fondo spese – vengono inoltre nominati: un giudice delegato, per gestire la procedura di adesione (e decidere sulle liquidazioni), un rappresentante comune degli aderenti (che deve avere i requisiti per la nomina a curatore fallimentare). La decisione nel merito sull'azione di classe preclude la possibilità di proporre, in relazione ai medesimi fatti, altre azioni di classe, a meno che non si intenda far valere diritti che non potevano essere fatti valere in precedenza. La sentenza dichiara aperta la procedura di adesione. In relazione a quest'ultima, nel provvedimento è fissato un termine non superiore a 180 giorni per gli aderenti. Viene, inoltre, nominato un giudice delegato per la procedura di adesione e un rappresentante comune per gli aderenti. Infine, si stabilisce la cifra da versare da parte di ciascun aderente come fondo spese; il mancato versamento rende inefficace l'adesione La sentenza viene pubblicata sul PST del Ministero entro 15 giorni dal deposito. La nuova disciplina, al pari di quella attuale (art. 140-bis, comma 10,codice del consumo), esclude l'intervento di terzi ex art. 105 c.p.c.; mentre consente l'adesione all'azione di classe. La riforma prevede che l'adesione all'azione di classe possa avvenire in due distinti momenti: nella fase immediatamente successiva all'ordinanza che ammette l'azione oppure nella fase successiva alla sentenza che definisce il giudizio. Nel primo caso sarà lo stesso Tribunale, nell'ordinanza di ammissibilità, a fissare un termine per l'adesione definendo i caratteri dei diritti individuali omogenei che consentono l'inserimento nella classe. Coloro che aderiscono in questa fase, pur non assumendo la qualità di parte, possono ricevere tutte le informazioni dalla cancelleria e possono, al venir meno delle parti, riassumere il procedimento; l'effettivo diritto ad aderire all'azione di classe è verificato solo dopo la sentenza di merito. Nel secondo caso, invece, viene assegnato dal Tribunale, con la sentenza che accoglie l'azione, un termine non superiore a 180 giorni per l'adesione e vengono definiti i caratteri dei diritti individuali omogenei che consentono l'inserimento nella classe, individuando la documentazione che dovrà essere prodotta dagli aderenti (anche da coloro che hanno aderito in precedenza). Le adesioni sarebbero gestite attraverso una procedura informatizzata nell'ambito del portale dei servizi telematici gestito dal Ministero della giustizia. La domanda di adesione, inoltre, non richiederà l'assistenza del difensore, mentre tra gli specifici contenuti obbligatori includerebbe il conferimento del potere di rappresentanza al rappresentante comune degli aderenti. L'aderente non assume la qualità di parte e ha diritto ad accedere al fascicolo informatico e a ricevere tutte le comunicazioni a cura della cancelleria. Inoltre, qualora sia nominato un consulente tecnico d'ufficio, l'obbligo di anticipare le spese, l'acconto e il compenso a quest'ultimo spettanti sono posti, salvo che sussistano specifici motivi, a carico del convenuto. Dopo la presentazione delle domande di adesione, il convenuto può replicare e contestare ciascuna domanda, in quanto ciò che non viene specificatamente contestato, si considera ammesso. Successivamente, il rappresentante comune degli aderenti predispone un progetto dei diritti individuali omogenei degli aderenti nel quale indica, per ciascun aderente, l'importo che il convenuto dovrà liquidare, chiedendo eventualmente al Tribunale la nomina di esperti. Il giudice delegato decide con decreto succintamente motivato sull'accoglimento, anche parziale, delle domande di adesione e condanna il convenuto al pagamento. Al riguardo si è rilevato che l'inserimento di codesta nuova finestra per adesioni “tardive” secundum eventum litis, suscita qualche perplessità. Smuovere dall'inerzia anche i class members più restii all'azione è obiettivo certo meritevole, ma le vie per raggiungerlo son altre e non si deve far premio su garanzie processuali basilari. Il principio di parità delle armi è a repentaglio allorché si consenta ad un soggetto di giovarsi di un giudicato inter alios solo se favorevole, senza aver partecipato al processo in cui è reso e senza aver corso il rischio della soccombenza e senza che ricorra affatto qui la unicità della causa obligandi, che giustifica la peculiare regola dell'art. 1306 c.c. (C. Consolo - M. Stella, La nuova azione di classe, non più solo consumeristica, in una proposta di legge da non lasciar cadere, op. cit.).
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