Se viene lamentata la violazione al diritto all’autodeterminazione, l’esito dell’intervento e la sua necessarietà sono irrilevanti
23 Aprile 2019
IL CASO La domanda di risarcimento avanzata da una paziente nei confronti dell'ospedale e del medico curante a seguito di un intervento di splenectomia totale, dopo che le era stata prospettata solo la necessità di asportazione di una cisti splenica, e di successive complicazioni, era stata parzialmente accolta in primo grado, e invece rigettata nel successivo giudizio d'appello. La sentenza della Corte d'Appello pur avendo riconosciuto che i sanitari non avevano acquisito il consenso informato all'intervento chirurgico, aveva ritenuto che in ogni caso non spettasse alla donna il risarcimento del danno da lesione del diritto all'informazione. La decisione di rigetto si basa da un lato nell'affermazione per cui la danneggiata non aveva fornito prova del fatto che, ove adeguatamente informata, ella avrebbe verosimilmente rifiutato l'intervento, e dall'altro nel carattere “necessitato” dell'intervento stesso, una volta iniziato l'intervento. La danneggiata ha dunque proposto ricorso per la cassazione della sentenza, sulla base di tre motivi. Il principale di questi riguarda il rigetto della domanda di risarcimento del danno da lesione del diritto del paziente all'informazione ai fini dell'autodeterminazione terapeutica.
IL DIRITTO ALL'AUTODETERMINAZIONE È UN DIRITTO AUTONOMO Tale motivo è stato riconosciuto fondato. Per la domanda di risarcimento del danno scaturito dalla lesione all'autodeterminazione terapeutica in sé considerato, come diritto autonomo (differente, cioè, dal danno alla saluto derivato dalla mancata informazione), il carattere necessitato dell'intervento e la corretta esecuzione tecnica sono circostanze di fatto, che non rilevano. Come già esplicitato in altre pronunce, l'acquisizione del consenso informato del paziente da parte del sanitario costituisce infatti prestazione altra e diversa rispetto a quella avente ad oggetto l'intervento terapeutico, e costituisce autonoma fonte di responsabilità (sul punto si veda la sentenza Cass. civ., sez. III, n. 10414/2016, presente anche su queste pagine con commento dello scrivente).
IL PRINCIPIO DI DIRITTO La Terza Sezione ha ricordato ancora una volta il principio consolidato secondo cui «in tema di attività medico-chirurgica, è risarcibile il danno cagionato dalla mancata acquisizione del consenso informato del paziente in ordine all'esecuzione di un intervento chirurgico, ancorché esso apparisse 'ex ante' necessitato sul piano terapeutico e sia pure risultato 'ex post' integralmente risolutivo della patologia lamentata, integrando comunque tale omissione dell'informazione una privazione della libertà di autodeterminazione del paziente circa la sua persona, in quanto preclusiva della possibilità di esercitare tutte le opzioni relative all'espletamento dell'atto medico e di beneficiare della conseguente diminuzione della sofferenza psichica, senza che detti pregiudizi vengano in alcun modo compensati dall'esito favorevole dell'intervento». Anche in assenza di un danno alla salute la violazione dell'obbligo di informazione può dunque assumere rilevanza a fini risarcitori, a condizione che il danneggiato alleghi e provi l'esistenza di pregiudizi non patrimoniali derivanti dalla violazione del diritto fondamentale alla autodeterminazione in sé considerato. Peraltro anche in questo caso tale diritto dovrà essere leso oltre un certo minimo livello di tollerabilità, richiamando il bilanciamento di interessi esplicitato nelle famose sentenze delle Sezioni Unite di San Martino (nn. 26972/2008 e ss.). Toccherà dunque nuovamente alla Corte d'Appello valutare la domanda risarcitoria proposta dalla danneggiata per la lesione del diritto all'autodeterminazione.
(FONTE: dirittoegiustizia.it) |