Litisconsorzio necessario e comunione legale dei coniugi

07 Maggio 2019

Partendo dal dato pacifico secondo cui la comunione legale dà luogo ad una forma di contitolarità solidale dei beni, per cui ciascun coniuge può disporre dell'intero bene comune, oggetto del presente lavoro è l'analisi delle ipotesi in cui vengano compiuti atti da parte di uno solo di essi, generando, di conseguenza, il dubbio se, poi, nel successivo giudizio, che eventualmente si instaura, sia opportuna la partecipazione anche del coniuge rimastone estraneo.
Il quadro normativo

Il litisconsorzio necessario è disciplinato dall'art. 102 c.p.c., il quale si limita a prevedere che «se la decisione non può pronunciarsi che in confronto di più parti, queste debbono agire o essere convenute nello stesso processo» ed aggiunge, al secondo comma, «se questo è promosso da alcune o contro alcune soltanto di esse, il giudice ordina l'integrazione del contraddittorio in un termine perentorio da lui stabilito».

Dunque, la presenza di più parti, nell'ipotesi delineata dall'art. 102 c.p.c., è condizione di validità della successiva pronuncia di merito, la quale sarà nulla ove tutti coloro che avrebbero dovuto esserlo, non siano divenuti parte del processo.

Orbene, la presente trattazione si pone il problema di comprendere se il coniuge in comunione legale, che non abbia partecipato alla stipulazione di un atto di disposizione di un bene sottoposto a tale regime, debba poi essere coinvolto nel successivo giudizio che scaturisce dal compimento dell'atto dispositivo affinché la sentenza possa essere a lui opposta.

Comunione legale dei beni e sua natura

Per risolvere tale quesito occorre, preliminarmente, considerare la differenza strutturale e contenutistica tra la comunione ordinaria (disciplinata dagli artt. 1100-1116 c.c.) e la comunione legale (artt. 177-197 c.c.).

La comunione dei beni, a seguito dell'entrata in vigore della legge 19 maggio 1975n. 151 recante la Riforma del Diritto di famiglia, è il regime patrimoniale legale della famiglia. Pertanto, salvo che i coniugi, all'atto del matrimonio o in virtù di una successiva convenzione matrimoniale, non scelgano il regime patrimoniale della separazione dei beni, tutti i beni da essi acquistati, congiuntamente o separatamente, durante il matrimonio sono beni comuni.

Gli atti dispositivi compiuti dai coniugi sui beni in comunione legale sono disciplinati dall'art. 180 c.p.c. che distingue tra atti di ordinaria amministrazione, prevedendo in questo caso una gestione disgiuntiva, e atti di straordinaria amministrazione che, per la loro peculiare incidenza sul patrimonio comune, devono essere posti in essere dai coniugi congiuntamente.

In caso di violazione di tale normativa, l'art. 184 c.c. prevede, a tutela del coniuge pregiudicato dall'iniziativa solitaria dell'altro, differenti rimedi a seconda della natura dei beni e della disciplina che ne regola la circolazione. In particolare, nel caso di un immobile o mobile registrato ex art. 2683 c.c. il coniuge pretermesso, laddove non intenda optare per la convalida, potrà agire per l'annullamento dell'atto compiuto senza il suo necessario consenso nel termine di prescrizione di un anno dalla data in cui ha avuto conoscenza del medesimo e in ogni caso entro un anno dalla sua trascrizione. Se l'atto non sia stato trascritto e quando il coniuge non ne abbia avuto conoscenza prima dello scioglimento della comunione, l'azione non può essere proposta oltre l'anno dallo scioglimento stesso; nel caso, invece, di beni mobili diversi da quelli elencati dall'art. 2683 c.c., il coniuge pretermesso avrà diritto di pretendere dal disponente la ricostituzione della comunione nello stato in cui era prima del compimento dell'atto o, se risulta impossibile, il pagamento dell'equivalente.

Ciò detto, è, oramai, pacifico che la comunione legale è una comunione “senza quote” (v. per tutti A. Lener, 296; A. Angiuli, 119. Contra F. Busnelli, 268; F. Corsi,61; G. Gabrielli – M.G. Cubeduu, 105) e secondo una tesi (G. Cian – A. Villani, 66), fatta propria dalla Consulta (Corte cost., 10-17 marzo 1988, n. 311, in Giust. civ., 1988, 1388, con nota di A. Natucci) e dalla successiva giurisprudenza di legittimità (Cass. civ.,19 marzo 2003 n. 4033; Cass. civ., 7 marzo 2006, n. 4890; Cass. civ.,11 giugno 2010 n. 14093; App., Catania, 12 marzo 2015; Cass. civ., 22 maggio 2015, n. 10653) di una forma di contitolarità solidale dei beni.

Pertanto, mentre nella comunione ordinaria ciascun comunista è titolare di un diritto avente ad oggetto una quota, la cui funzione è quella di delimitare il potere di disposizione di ognuno sul bene comune, nella comunione legale i coniugi non sono individualmente titolari di un diritto di quota, bensì sono solidalmente titolari di un diritto avente per oggetto i beni della comunione.

La quota, estranea alla struttura della comunione, assume la funzione di stabilire la misura entro cui i beni (appartenenti a quest'ultima) possono essere aggrediti dai creditori particolari (art. 189 c.c.), la misura della responsabilità sussidiaria di ciascuno dei coniugi con i propri beni personali verso i creditori della comunione (art. 190 c.c.), nonché la porzione entro cui, sciolta la comunione, l'attivo e il passivo saranno ripartiti tra i coniugi o i loro eredi (Corte cost., 10-17 marzo 1988, n. 311; App. Catania, 12 marzo 2015).

Dunque, mentre nella comunione ordinaria ciascun partecipante può disporre pro quota del suo diritto, nella comunione legale ciascun coniuge non può disporre della propria quota, ma dell'intero bene comune con il consenso dell'altro coniuge che, nel prestarlo, compie un negozio unilaterale autorizzativo, finalizzato a rimuovere un limite all'esercizio del potere dispositivo sul bene (Corte cost., 10-17 marzo 1988, n. 311, cit.; Cass. civ., n. 21058/2007; Cass. civ., Sez. Un., 24 agosto 2007, n. 17952; Cass. civ., 11 giugno 2010, n. 14093; App. Catania, 12 marzo 2015), la cui mancanza, traducendosi in un vizio del procedimento di formazione dell'atto, potrà essere fatto valere nei termini previsti dall'art. 184 c.c.

In questa prospettiva, quindi, l'atto dispositivo eccedente l'ordinaria amministrazione posto in essere dal singolo coniuge senza il consenso dell'altro non dà luogo ad un acquisto inefficace perché a non domino, bensì, sussistendo la piena legittimazione del disponente, ad un acquisto a domino in base ad un titolo viziato (Cass. civ., 7 marzo 2006, n. 4890).

Casistica

Delineate così le regole relative alla comunione legale, analizziamo ora alcune fattispecie, al fine di comprendere se il coniuge in comunione legale sia un litisconsorte necessario e, quindi, se pur non avendo partecipato alla stipulazione di un atto, debba necessariamente partecipare all'eventuale e successivo giudizio affinché la sentenza possa essere a lui opposta.

Segue. Preliminare di vendita di un immobile in comunione legale

In merito alla stipulazione di un contratto preliminare di vendita di un immobile, in comunione legale, occorre, preliminarmente, chiedersi se la sua conclusione integri o meno gli estremi di un atto di straordinaria amministrazione e, laddove il quesito venga risolto in senso positivo, se, nell'ipotesi in cui l'impegno traslativo sia assunto da uno solo dei coniugi, l'azione ex art. 2932 c.c. debba proporsi, oltre che nei confronti del coniuge promittente, anche nei confronti del coniuge pretermesso.

Quanto al primo quesito, va precisato che la giurisprudenza (Cass. civ., 17 dicembre 1994, n. 10872; Cass. civ., 21 dicembre 2001, n. 16177, ; Cass. civ., 11 aprile 2002, n. 5191; Cass. civ., Sez. Un., 24 agosto 2007, n. 17952), unitamente alla dottrina (F. Anelli, 273), ritiene che il preliminare di vendita di un bene immobile in comunione legale rientri tra gli atti di straordinaria amministrazione, in quanto pur non producendo effetti reali, si pone quale momento originario di una sequenza di atti, il cui esito è il trasferimento della proprietà del bene.

Pertanto, se quest'ultimo viene stipulato da un coniuge senza la partecipazione o il consenso dell'altro soggiace alla disciplina dell'art. 184 c.c., dovendosi intendere la portata applicativa di tale norma non limitata agli atti dispositivi con effetto reale, ma estesa a quelli che producono effetti meramente obbligatori.

Ne consegue che il contratto preliminare, stipulato in assenza del consenso del coniuge pretermesso, non è inefficace né nei confronti dei terzi, né nei confronti della comunione (contrariamente a quanto accade nella comunione ordinaria), ma è esposto all'azione di annullamento da parte del coniuge non consenziente, nel breve termine prescrizionale di un anno, decorrente dalla conoscenza effettiva dell'atto, ovvero, in via sussidiaria, dalla trascrizione del medesimo o dallo scioglimento della comunione (Cass. civ.,21 dicembre 2001 n.16177; Cass. civ.,8 gennaio 2007 n. 88; Cass. civ., 11 giugno 2010 n. 14093; Cass. civ.,24 luglio 2012 n. 12923), con la conseguenza che fino a quando l'azione di annullamento non verrà proposta, l'atto dovrà considerarsi produttivo di effetti anche nei confronti dei terzi.

Pertanto, un preliminare di vendita di un bene facente parte del patrimonio comune, sottoscritto da uno solo dei coniugi, senza autorizzazione dell'altro, dovrebbe essere eseguibile in forma specifica, essendo atto efficace sia nei confronti della comunione che dei terzi.

Tuttavia, la questione relativa all'esperibilità dell'azione ex art. 2932 c.c. nei confronti del promittente la vendita di un bene immobile in comunione legale e, alla posizione processuale del coniuge pretermesso, è stata oggetto di un vivace dibattito giurisprudenziale, originato da una diversa interpretazione degli orientamenti della Corte costituzionale poc'anzi esaminati.

Le decisioni del Supremo Collegio, infatti, seppur muovono dalle medesime premesse teoriche in merito alla distinzione tra comunione ordinaria, caratterizzata da un diritto di quota liberamente disponibile in capo a ciascun partecipante, e comunione legale, rappresentata, invece, dall'assenza e, quindi, dall'inalienabilità delle singole quote, ove i coniugi sono titolari solidalmente di un diritto sui beni del patrimonio comune, giungono a risultati differenti affermando (Cass. civ., Sez.Un ., 8 luglio 1993, n. 7481; Cass. civ., 14 gennaio 1997, n. 284; Cass. civ., 11 aprile 2002, n. 5191, in Giur. it., 2003, 1150, con nota di A. Angiuli; Cass. civ., 26 novembre 2002, n. 16678; App., Cagliari, 6 settembre 2002; Cass. civ., 5 dicembre 2001, n. 15354) o escludendo (Cass. civ., 29 dicembre 1988, n. 7081; Cass. civ.,20 dicembre 2002 n. 18149; Cass. civ., 28 ottobre 2004 n. 20867; Cass. civ., 7 marzo 2006, n. 4823) la necessità di citare in giudizio il coniuge rimasto estraneo all'atto.

Le Sezioni Unite della Cassazione (sent. 24 agosto 2007, n. 17952, cit.) sembrano aver risolto il contrasto.

In particolare, la Suprema Corte, aderendo alla ricostruzione degli istituti operata dal Giudice delle Leggi, ribadisce che ciascuno dei coniugi ha il potere di disporre dei beni della comunione nel rispetto del modulo dell'amministrazione congiuntiva adottato dall'art. 180 c.c. per gli atti di straordinaria amministrazione. Pertanto, essendo il consenso dell'altro requisito di regolarità del procedimento di formazione dell'atto di disposizione, la sua assenza non rende il contratto inefficace, bensì annullabile nel termine di prescrizione stabilito dall'art. 184 c.c.; ne consegue che il promissario acquirente, agendo in forza di un contratto efficace, pur se viziato, ben può chiedere il trasferimento coattivo dell'immobile promesso in vendita da un coniuge senza il consenso dell'altro.

La circostanza che il coniuge sia titolare del bene per l'intero, e dell'intero abbia disposto, assumendosene la responsabilità, se da un lato legittima la proposizione della domanda per l'esecuzione in forma specifica della promessa di vendita, dall'altro non implica, secondo la Suprema Corte, quale logico corollario, l'esclusione dal giudizio del coniuge che non abbia partecipato alla stipulazione (come vorrebbe Cass. civ., 28 ottobre 2004, n. 20867): egli ha infatti un interesse qualificato ad interloquire nel processo, atteso che il preliminare, producendo solo effetti obbligatori, non ha determinato lasottrazione dell'immobile al patrimonio comune, restando del medesimo ancora titolari entrambi i coniugi.

Pertanto «il coniuge rimasto estraneo al preliminare è titolare di una situazione giuridica inscindibile che lo rende litisconsorte necessario nel giudizio di esecuzione specifica dell'obbligo di contrarre», la cui mancanza determinerà, inevitabilmente, una sentenza nulla e, quindi, improduttiva di effetti, con la conseguenza che il giudizio svolto dovrà essere celebrato nuovamente a contraddittorio integro.

Peraltro, hanno rilevato le Sezioni Unite che l'interesse del coniuge non stipulante a partecipare al giudizio promosso dal promissario acquirente ex art. 2932 c.c. ridiede nel fatto che, pur gravando le obbligazioni scaturenti dal preliminare unicamente sul coniuge che ha contratto, l'impegno assunto da quest'ultimo è, in ogni caso, idoneo ad incidere sul patrimonio comune, non solo in conseguenza dell'emanazione di una sentenza costitutiva produttiva degli effetti del contratto non concluso, ma anche ove sia emanata l'alternativa pronunzia risarcitoria quantomeno per responsabilità contrattuale, in virtù della regola di cui all'art. 189, comma 1, c.c., che prevede la possibilità di esporre all'altrui azione esecutiva non solo i beni del promittente, ma anche quelli della comunione.

Segue. Altre fattispecie

La questione della necessità della presenza di entrambi i coniugi nell'ambito di un determinato giudizio, prima ancora di porsi in relazione al preliminare di vendita rimasto inadempiuto e al successivo procedimento instaurato dal terzo promissario acquirente, è stata affrontata dalla Cassazione anche con riferimento ad altre fattispecie.

In particolare si è posta in relazione al giudizio di riscatto promosso ai sensi dell'art. 39, L. 392/1978 (Cass. civ., 5 maggio 1990, n. 3741; Cass. civ., 5 giugno 1995, n. 6299; Cass. civ., 29 luglio 1995, n. 8341) e – analogamente – in relazione al giudizio di riscatto promosso ai sensi dell'art. 8, l. n. 590/1965 per il caso di acquisto del bene da parte di un soggetto coniugato in regime di comunione legale: in riferimento a tali fattispecie, premesso che la sussistenza di un litisconsorzio necessario oltre che nei casi espressamente previsti dalla legge, è connessa all'esistenza di un rapporto giuridico unico, soggettivamente complesso, tale per cui l'accertamento, la modificazione o l'estinzione di esso non possa operare se non nei confronti di tutti, la Suprema Corte ha riconosciuto la sussistenza di un litisconsorzio necessario avuto riguardo alla circostanza dell'estensione ipso iure della titolarità del bene acquistato a vantaggio del coniuge dell'acquirente e della situazione unitaria venutasi a creare, situazione sulla quale l'esercizio del riscatto tende ad incidere (Cass. civ., Sez. Un., 1 luglio 1997, n. 5895; Cass. civ., 21 aprile 1998, n. 4032; Cass. civ., 5 luglio 2001, n. 9083).

Su queste stesse basi ha successivamente affermato che anche l'azione di riscatto esercitata dai coeredi ex art. 732 c.c., comportando il trasferimento ex nunc dal retrattato al retraente, deve essere promossa anche nei confronti del coniuge del primo ove l'acquisto della quota ereditaria sia avvenuto in regime di comunione legale (Cass. civ., 14 maggio 2003, n. 7404). Sempre sulla base degli stessi principi, ha richiesto, in relazione al giudizio promosso dal curatore ed avente ad oggetto la revocatoria di un atto di acquisto posto in essere dal fallito, la necessaria partecipazione a tale giudizio anche del coniuge di quest'ultimo, per la sua qualità di soggetto dell'unitario rapporto originato direttamente e immediatamente da quell'atto e sul quale la pronuncia di revoca è destinata ad incidere, e ciò a prescindere dalla natura personale e non reale dall'azione revocatoria, «posto che la questione del litisconsorzio necessario va risolta (...) esclusivamente in base al carattere unitario o meno del rapporto dedotto in giudizio» (Cass. civ., 6 luglio 2004, n. 12313; contra Cass. civ., 10 novembre 2006, n. 24051).

In altre pronunce la stessa Cassazione ha, invece, negato la qualità di litisconsorte necessario del coniuge dell'acquirente nel giudizio promosso dal venditore per l'accertamento della simulazione del contratto di acquisto (Cass. civ., 17 ottobre 1992, n. 11428), in quello promosso per ottenere l'annullamento del detto contratto (Cass. civ., 29 ottobre 1992, n. 11773; Cass. civ., 13 dicembre 1999, n. 13941; Cass. civ., 27 dicembre 2004, n. 24031), nonché in quello di rivendicazione di un immobile nel quale il convenuto in regime di comunione legale con il coniuge aveva dedotto la proprietà del bene in forza di un contratto di acquisto da lui solo stipulato ovvero in forza di usucapione per possesso da lui solo esercitato (Cass. civ., 20 marzo 1991, n. 2983).

Le ragioni che, ad avviso dei supremi giudici, avevano giustificato soluzioni così diversificate ed a prima vista fra di loro contrastanti, sono state spiegate in un'importante pronuncia successiva, resa a Sezioni Unite (Cass. civ., Sez. Un., 1 luglio 1997, n. 5895), nella quale si è affermato che il contrasto è in realtà solo apparente, involgendo il termine "acquisti" adottato dal legislatore nell'art. 177, lett. a), c.c. due profili distinti: uno dinamico, costituito dal negozio che ha determinato l'incremento patrimoniale, di cui è parte unicamente il coniuge contraente; l'altro statico, costituito dal risultato di quel negozio, dall'effetto legale che ne deriva, e cioè dal rapporto di comproprietà fra i coniugi su un determinato bene: ciò comporta che, mentre il litisconsorzio può escludersi per quelle azioni che concernono unicamente il contratto (come quelle di invalidità, di simulazione, di annullamento), la sua esigenza va affermata allorché l'azione esercitata incida direttamente ed immediatamente sul diritto acquistato, come appunto accade ove venga esercitata un'azione di riscatto, la quale tende a contestare l'esistenza stessa del diritto.

Preliminare di acquisto di un immobile in comunione legale

Una trattazione a parte merita l'esame della speculare ipotesi in cui il preliminare sia prodromico all'acquisto di un bene immobile ad opera di uno solo dei coniugi.

Sebbene l'art. 177 c.c. nell'elencare l'oggetto della comunione, indica alla lettera a) «gli acquisti compiuti insieme o separatamente durante il matrimonio, ad esclusione di quelli che costituiscono beni personali», dubbi si pongono se la norma si riferisca solo ai diritti che sorgono dalla stipulazione di contratti produttivi di effetti reali (M. Detti, 1176 ss.; M. Comporti, 68; A. e M. Finocchiaro, 870 ss.; E. Russo, 2511) oppure se si estenda anche ai diritti relativi (P. Di Martino, 61 ss.; G. Gabrielli – M.G. Cubeduu, 57; C. M. Bianca, 95 ss.; G. Oberto, 540), comprendendo quelli che nascono da negozi strumentali prodromici a contratti traslativi, quali le promesse di acquisto di beni immobili.

In quest'ultimo senso è orientata gran parte della dottrina, mentre di segno opposto è l'opinione della giurisprudenza, soprattutto, di legittimità che esclude il coaquisto del credito che sorge dalla stipulazione di un contratto preliminare di vendita.

In particolare, il Supremo Collegio, sottolineando la natura relativa e personale del credito vantato dal coniuge promissario acquirente, esclude che esso possa essere ricondotto nell'alveo dell'art. 177 lett. a), in quanto la norma, come si evince anche dal ricorso al termine “acquisti” e al sostantivo “beni”, si riferisce agli atti che implicano il trasferimento della proprietà della res o la costituzione di diritti reali sulla medesima, e non a quelli che, rispetto a tale risultato, producono effetti soltanto strumentali (Cass. civ., 11 settembre 1991, n. 9513; Cass. civ., 27 gennaio 1995, n. 987; Cass. civ., 18 febbraio 1999, n. 1363; Cass. civ., 13 dicembre 1999, n. 13941; Cass. civ., 4 marzo 2003, n. 3185; Cass. civ., 1 aprile 2003, n. 4959; Cass. civ., 7 marzo 2006, n. 4823; Cass. civ., 24 gennaio 2008, n. 1548).

Di conseguenza, i giudici, nell'ipotesi di esecuzione in forma specifica di un preliminare di acquisto di un bene destinato a cadere in comunione stipulato da uno solo dei coniugi, negano la legittimazione del coniuge rimasto estraneo all'atto che non potrà sostituirsi o unirsi allo stipulante neppure per paralizzare gli infausti esiti di una promessa poco assennata (Cass. civ., 14 novembre 2003, n. 17216, in Foro it., 2005, I, 530), oppure essere convenuto nello stesso processo, anche qualora il preliminare sia stato concluso in nome della comunione, ma senza il suo consenso scritto e in assenza di successiva ratifica (Cass. civ., 9 luglio 1994, n. 6493).

Conclusioni

Orbene, alla luce di quanto esposto e delle difficoltà che la stessa giurisprudenza ha incontrato nell'individuare le ipotesi di litisconsorzio necessario, non si può che condividere il parere di chi ha osservato che tale variegato panorama giurisprudenziale sembra indicare «una precisa tendenza a distinguere, ai fini della legittimazione attiva e passiva in relazione a controversie afferenti la comunione legale, tra le azioni concernenti la sussistenza e la titolarità di un determinato diritto, riferibile al compendio comune, e quelle riguardanti la validità, l'esecuzione e l'efficacia di contratti aventi per oggetto l'acquisto e la disposizione di diritti ricadenti nel patrimonio comune. In queste ultime fattispecie, unico legittimato ad agire e a resistere in giudizio è il coniuge che ha stipulato il contratto, indipendentemente dai riflessi che l'esito del giudizio possa avere sulle situazioni giuridiche oggetto della contitolarità; le prime, invece, sono contrassegnate da una situazione di legittimazione congiuntiva, il cui concreto operare, sia sulla base del dato normativo, quale interpretato dalla dottrina, sia per le prese di posizione della giurisprudenza, diverge in modo rilevante e non sempre giustificato, dal generale regime del litisconsorzio necessario» (F. Anelli, 272).

Riferimenti
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