Cause accessorie

Francesco Bartolini
10 Marzo 2016

L'accessorietà, che l'art. 31 c.p.c. riferisce a rapporti tra cause e non tra domande, costituisce una delle forme di connessione caratterizzate dalla comunanza di elementi oggettivi, oltre che soggettivi, della materia del decidere. Essa consiste in un vincolo di ordine logico-giuridico per il quale la decisione di una causa, quella accessoria, dipende dalla decisione di un'altra, da considerarsi come principale.
Inquadramento

L'accessorietà, che l'

art. 31

c.p.c.

riferisce a rapporti tra cause e non tra domande, costituisce una delle forme di connessione caratterizzate dalla comunanza di elementi oggettivi, oltre che soggettivi, della materia del decidere. Essa consiste in un vincolo di ordine logico-giuridico per il quale la decisione di una causa, quella accessoria, dipende dalla decisione di un'altra, da considerarsi come principale. Questo vincolo è diverso da quello che dà luogo alla pregiudizialità dell'una controversia rispetto ad altra (anche se in dottrina si tende a considerarlo come una fattispecie di pregiudizialità). La pregiudizialità in senso tecnico (artt. 34, 295 c.p.c.) sussiste quando non può decidersi su una domanda senza prima decidere quella che ne costituisce un presupposto logico necessario. L'accessorietà è, invece, una relazione di consequenzialità: l'accoglimento della domanda principale costituisce il fondamento per l'accoglimento della domanda accessoria.

Nozione di accessorietà

L'esempio scolastico che si tramanda per chiarire la nozione di domande accessorie riguarda la richiesta di pagamento degli interessi rispetto alla domanda di restituzione del capitale. La sorte della richiesta degli interessi è legata a quella della richiesta avente ad oggetto il capitale: se questa è fondata, ne segue la fondatezza dell'altra. Le due domande conservano la loro autonomia e possono costituire l'oggetto di separate cause. Tuttavia, esiste tra esse un legame di dipendenza costituito dall'essere l'una un presupposto dell'altra. Questo legame, quando le cause riguardano i medesimi soggetti, giustifica la loro riunione dinanzi allo stesso giudice anche in deroga, entro certi limiti, alla competenza.

In evidenza

Il vincolo di accessorietà che, ai sensi dell'

art. 31

c.p.c.

, determina la "vis attractiva" a favore del giudice competente per la causa principale ricorre quando tra le domande esista un rapporto di consequenzialità logico - giuridica tale che la pretesa oggetto della causa accessoria, pur essendo autonoma, trovi il suo titolo e la sua ragione giustificatrice nella pretesa oggetto dell'altra causa. Un vincolo di tal genere è ravvisabile tra la domanda di risoluzione del contratto per inadempimento e di accertamento dell'insussistenza del credito vantato dalla parte inadempiente e quella di risarcimento del danno (da illecito aquiliano) cagionato dall'illegittima pretesa di pagamento del credito insussistente, essendo chiaro che l'illegittimità della pretesa è strettamente dipendente dall'accertamento dell'insussistenza del credito (

Cass. civ., sez.

III,

o

rd

.,

18 marzo 2003

,

n. 4007

)

Accessorietà ed importanza della causa

La dottrina addebita alla giurisprudenza di adottare, a proposito dell'applicazione della nozione di accessorietà che la configura, criteri individuativi del rapporto tali da condurre ad attribuire rilievo all'elemento della “maggiore importanza” di una delle cause connesse, da considerare, per tale aspetto, come causa principale. In realtà, quel criterio deprecato dalla dottrina non è l'unico al quale si richiamano le decisioni giurisprudenziali. Si veda, ad esempio,

Cass.

civ.,

30 agosto 1990, n. 9036

, la quale ebbe ad affermare che una domanda è accessoria, a mente dell'

art. 31

c.p.c.

, quando, per ragioni di carattere obiettivo, si presenti, rispetto all'altra domanda, in posizione di subordinazione non solo perché di minore importanza ma anche perché, sotto il profilo logico, presuppone quella domanda.

Più di recente si asserisce che il rapporto di accessorietà implica che la pretesa oggetto della causa accessoria, pur essendo autonoma, trovi le ragioni del suo fondamento nell'accoglimento dell'altra.

Ragione giustificatrice dell'art. 31 c.p.c.

Causa principale e causa accessoria, in quanto autonome tra loro, possono essere radicate separatamente, ciascuna dinanzi al giudice per esse competente. Se rientranti entrambe nell'ambito della competenza del medesimo ufficio giudiziario, possono essere sottoposte alla cognizione di questo, negli ordinari limiti entro i quali è consentito il cumulo di domande nei confronti dello stesso soggetto (

art. 104

c.p.c.

). La funzione dell'art. 31 c.p.c. si realizza (ed assume un senso la nozione stessa di accessorietà) quando per la causa principale e per la causa accessoria sono competenti giudici diversi. Si pone, allora, una questione di rapporti di competenza, che il citato art. 31 c.p.c. risolve, disponendo che la domanda accessoria può essere proposta al giudice competente per la domanda principale, in modo da dar luogo ad un unico processo, in deroga ai soli criteri di competenza per territorio. L'accessorietà consente in questo caso, e solo in questo, uno spostamento di competenza con conseguente cumulo di domande.

Competenza

Lo spostamento di competenza non è senza limiti: opera soltanto tra giudici di primo grado. Inoltre, poiché le domande proposte contro un medesimo soggetto si sommano tra loro, quanto alla competenza per valore (

art. 10

c.p.c.

), il detto spostamento di competenza non può avvenire se comporta una deroga alla competenza per valore del giudice presso il quale deve essere condotta la domanda accessoria.

Lo spostamento di competenza per accessorietà non è consentito nel caso in cui, per una delle cause, la competenza spetti per ragioni di materia o di funzione.

In evidenza

In tema di opposizione a decreto ingiuntivo, la competenza ha carattere funzionale e inderogabile, stante l'assimilabilità del giudizio di opposizione a quello di impugnazione, per cui rimane insensibile alle situazioni di connessione delineate dagli

artt. 31,

32,

34,

35

e

36

c.p.c.

e dall'art.

40

in relazione alle cause in cui è competente il giudice di pace; pertanto, qualora dinanzi a quest'ultimo, in un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo relativo a spese condominiali l'opponente deduca di avere impugnato con separato giudizio promosso dinanzi al tribunale la delibera condominiale di approvazione e ripartizione degli oneri condominiali, il giudice di pace deve trattare e decidere la causa di opposizione a decreto ingiuntivo (

Cass. civ., sez.

II

,

o

rd

.

17 marzo 2006, n

. 6054

)

La giurisprudenza ha affermato che lo stesso spostamento di competenza non può avvenire quando il giudice della causa principale è determinato convenzionalmente, per effetto di una clausola negoziale (

Cass. civ., sez.

III, 1 luglio 1994, n. 6269

) ed ha osservato, sotto altro profilo, che la vis actractiva esercitata dalla domanda principale si giustifica finchè è possibile decidere su entrambe le domande, possibilità che non sussiste se su una di esse si è formato il giudicato o se ricorrono altri analoghi motivi di impedimento (

Cass. civ., sez.

III, 22 febbraio 1996, n. 1371

).

CASISTICA

La clausola derogatoria della competenza per territorio contenuta nel contratto di conto corrente per il quale è sorta controversia determina l'estensione del foro convenzionale anche alla controversia concernente la relativa garanzia fideiussoria; ciò in ragione del disposto dell'

art. 31

c.p.c.

e nonostante la coincidenza solo parziale dei soggetti processuali, tenuto conto dello stretto legame esistente tra i due rapporti e del rischio che, in caso di separazione dei procedimenti, si formino due diversi giudicati in relazione ad un giudizio sostanzialmente unico (

Cass. civ., sez.

VI

-1,

o

rd

.

11 aprile 2014

,

n. 8576

).

Contratto di conto corrente

In tema di appalto di opere e servizi, il lavoratore che, deducendo l'illegittimità della trattenuta sulla retribuzione effettuata a titolo di TFR e di indennità di mancato preavviso, agisca contro l'appaltatore e il committente, facendo valere nei confronti di quest'ultimo la responsabilità solidale con il primo ai sensi dell'

art. 29, comma

2

, d

.lgs. 10 settembre 2003, n. 276

, può adire il giudice del luogo ove si trova la dipendenza aziendale a cui è addetto anche per la domanda proposta nei confronti del committente, dovendosi ritenere che tra questa e quella proposta nei confronti dell'appaltatore ricorra una particolare connessione, che, in analogia con le ipotesi più intense di connessione

ex

art.

31 e ss.

c.p.c.

, consente di instaurare, anche in deroga ai fori speciali inderogabili di cui all'

art.

413

c.p.c

.

, un unico giudizio davanti al giudice territorialmente competente per l'una o l'altra delle cause connesse (

Cass. civ., sez.

VI

-

lav.

,

o

rd

. 31 luglio 2013,

n. 18384

).

Appalto di opere e servizi

Il lavoratore che, essendo stato alle dipendenze di un datore di lavoro per contratti a termine seguiti da contratto a tempo indeterminato, agisca nei confronti del datore stesso e del cessionario del contratto di lavoro per sentirli condannare alla ricostruzione della carriera, previa declaratoria di nullità del termine, può adire il giudice del luogo dove si trova la dipendenza aziendale cui è addetto, anche per la domanda nei confronti del datore cedente, ricorrendo, tra questa e la domanda nei confronti del cessionario, una particolare connessione, che, in analogia con le ipotesi più intense di connessione ex

artt. 31 e ss.

c.p.c.

, consente di instaurare, anche in deroga ai fori speciali di cui all'

art. 413

c.p.c

.

, un unico giudizio davanti al giudice territorialmente competente per una delle cause connesse (

Cass. civ., sez.

VI

-

lav.

,

o

rd

. 15 gennaio 2013,

n. 768

).

Ricostruzione della carriera

Tra la domanda per il rispetto della distanza legale

ex

art. 890

c.c

.

tra il confine e alcuni manufatti, tra cui una canna fumaria eretta sul fondo finitimo, e quella

ex

art. 844

c.c

.

, relativa alle immissioni intollerabili provenienti dalla suddetta canna non esiste connessione per accessorietà ai sensi dell'

art. 31

c.p.c

.

, a meno che l'attore non deduca l'esistenza di un nesso causale tra la posizione della canna fumaria e l'intollerabilità delle immissioni e mancando, tra le due azioni, un'apprezzabile differenza in termini di maggiore o minore rilevanza del loro rispettivo contenuto. (In applicazione del riportato principio la Suprema Corte, in sede di regolamento di competenza, ha dichiarato competente il giudice di pace in relazione alla domanda di cessazione delle immissioni di fumo e vapori, così rigettando il ricorso con cui era stato impugnato il provvedimento emesso dal tribunale dinanzi al quale erano state proposte tutte le sopra indicate istanze) (

Cass. civ., sez.

VI

-3,

o

rd

. 14 ottobre 2011

,

n.

21261

).

Distanza legale tra confini e manufatti

Riti diversi

La pluralità dei riti, che caratterizza il nostro ordinamento processuale, ha reso necessarie norme che regolino i rapporti tra le cause soggette a riti diversi nei casi in cui esse debbono venire riunite, per connessione o altri motivi che richiedono il simultaneus processus. L'art. 40 c.p.c., in particolare, dispone nel comma 3 che, nei casi previsti negli artt. 31, 32, 34, 35 e 36 c.p.c., le cause, cumulativamente proposte o successivamente riunite, debbono essere trattate e decise col rito ordinario, salva l'applicazione del rito per le controversie in materia di lavoro quando una delle cause è ad esso soggetta. La disposizione non comprende i casi di cui agli artt. 33 e 104 c.p.c. (cumulo soggettivo), nei quali l'elemento che accomuna le cause è soltanto quello dell'identità dei soggetti. La giurisprudenza ha elaborato in proposito la nozione della connessione “forte”, per le fattispecie che consentono la riunione delle cause, previo spostamento della competenza, e l'assoggettamento ad un unico rito.

L'accessorietà, disciplinata dall'art. 31, rientra nelle fattispecie di questa connessione “forte”; sul punto la giurisprudenza è molto attenta a distinguerla dal caso in cui la riunione di cause tra i medesimi soggetti dinanzi allo stesso giudice risponde a occasionali ragioni di opportunità. Soltanto nei casi che possono essere ricondotti alle previsioni delle disposizioni richiamate dall'art. 40 c.p.c. può operare lo spostamento di competenza per connessione, con conseguente unificazione del rito processuale.

Uno dei casi nei quali più frequentemente la giurisprudenza ha avuto occasione di affermare questo principio riguarda i rapporti tra i coniugi. Molto spesso le parti propongono contestualmente alla domanda di separazione o di divorzio una richiesta di regolamentazione della situazione patrimoniale dei richiedenti. La proposizione congiunta di queste domande è sempre stata dichiarata non consentita dal giudice sull'argomentazione che manca, tra le domande, un vero rapporto di accessorietà. Così, ad esempio, si è pronunciata

Cass.

civ.,

6 dicembre 2

006, n. 26158

per la quale poiché la trattazione congiunta di cause soggette a riti differenti può attuarsi, secondo le regole di cui all'

art. 40

c.p.c

.

, nel testo modificato dalla

legge n. 353/1990

, soltanto se tali cause siano connesse ai sensi degli artt. 31, 32, 34, 35 c.p.c., non è possibile il cumulo in un unico processo della domanda di divorzio, soggetta al rito camerale, e di quella di divisione dei beni comuni, soggetta a rito ordinario, trattandosi di domande non legate da vincoli di connessione, ma autonome e distinte l'una dall'altra.

CASISTICA

Nel giudizio di separazione personale dei coniugi, la proposizione della domanda di annullamento di un accordo transattivo intervenuto tra i coniugi per lo scioglimento della comunione dei beni non consente la trattazione congiunta di entrambe le cause con il rito ordinario, ammessa dall'

art. 40, comma

3

,

c.p.c

.

solo nelle ipotesi di connessione qualificata di cui agli artt. 31, 32, 34, 35 e 36 c.p.c., e non anche nelle ipotesi di cui agli artt. 33 e 104 c.p.c., in cui il cumulo delle domande dipende solo dalla volontà delle parti. Peraltro, nel caso in cui il tribunale non abbia dichiarato l'inammissibilità della domanda di annullamento, decidendola nel merito con il rito speciale previsto per la causa di separazione, la sentenza contiene una statuizione (quanto meno implicita) sulla connessione comunque idonea a determinare, in sede d'impugnazione, l'applicabilità dell'art. 40, comma 3, c.p.c. cit., trovando applicazione il principio dell'apparenza, in virtù del quale il mezzo d'impugnazione va individuato in base alla qualificazione della domanda compiuta dal giudice a quo, con la conseguenza che l'appello cumulativo avverso le statuizioni contenute nella sentenza di primo grado è validamente proposto nelle forme del rito ordinario, anziché in quelle del rito camerale previsto per il giudizio di separazione (

Cass. civ., sez.

1,

29 gennaio 2010

,

n. 2155

)

Separazione personale dei coniugi e scioglimento della comunione dei beni

L'

art. 40

c.p.c

.

consente nello stesso processo il cumulo di domande soggette a riti diversi soltanto in ipotesi qualificate di connessione (art. 31, 32, 34, 35 e 36 c.p.c.), così escludendo la possibilità di proporre più domande connesse soggettivamente e caratterizzate da riti diversi: conseguentemente, è esclusa la possibilità del "simultaneus processus" tra l'azione di divorzio e quella avente ad oggetto, tra l'altro, la restituzione di beni mobili, essendo quest'ultima soggetta al rito ordinario, autonoma e distinta dalla prima. (Nella specie il ricorrente chiedeva pronunciarsi la cessazione degli effetti civili del matrimonio e la condanna di controparte alla restituzione dell'anello di fidanzamento) (

Cass. civ., sez.

1,

21 maggio 2009

,

n. 11828

).

Azione di divorzio e restituzione di beni mobili

Il vincolo di accessorietà tra due pretese giudiziali, ex

art.

31

c.p.c.

, tale da giustificarne il cumulo e la trattazione congiunta ai sensi dell'

art. 40, comma

3

,

c.p.c.

, nel testo novellato dalla

l. n. 353/1990

, sussiste allorchè l'una, oltre a connotarsi per il contenuto meno rilevante, risulti obiettivamente in posizione di subordinazione o dipendenza rispetto all'altra, nel senso che il "petitum" e il titolo della causa accessoria, pur mantenendo la loro autonomia, non possano concepirsi se non come storicamente e ontologicamente fondati su quelli della causa principale. Una tale situazione processuale non si verifica fra la domanda di divorzio e quella di scioglimento della comunione legale e di divisione dei beni dacchè, per un verso, non è lecito assegnare a quest'ultima il ruolo di domanda accessoria - in quanto sia dal punto di vista giuridico sia, soprattutto, da quello pratico, non può considerarsi meno importante rispetto alla prima - e, per altro verso, non ricorre alcuna dipendenza sostanziale, nel senso sopra precisato, fra le due pretese, posto che la domanda di scioglimento della comunione legale e di divisione dei relativi beni non postula la richiesta di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, ben potendo la parte chiedere la divisione dei beni (una volta passata in giudicato la sentenza di separazione) senza dovere necessariamente e contestualmente avanzare domanda di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio (

Cass. civ., sez.

I

,

17 maggio 2005, n. 10356

).

Azione di divorzio e scioglimento ella comunione dei beni

La trattazione congiunta di cause soggette a riti differenti può attuarsi, secondo le regole di cui all'

art. 40

c.p.c.

, nel testo modificato dalla

l. n. 353/1990

, soltanto se tali cause siano connesse ai sensi degli

artt. 31,

32,

34,

35

e

36

c.p.c.

. Pertanto, non è possibile il cumulo in un unico processo della domanda di separazione giudiziale di coniugi, soggetta al rito camerale, e di quella di accertamento della proprietà della casa coniugale, soggetta a rito ordinario, trattandosi di domande non legate da vincoli di connessione, ma autonome e distinte l'una dall'altra. Peraltro, in analogia a quanto disposto dal secondo comma dell'

art. 40

c.p.c

.

- a norma del quale la connessione non può essere eccepita dalle parti né rilevata di ufficio dopo la prima udienza, e la rimessione non può essere ordinata quando lo stato della causa principale o preventivamente proposta non consenta la esauriente trattazione e decisione delle cause connesse -, nei medesimi termini può essere eccepita dalle parti e rilevata di ufficio la mancanza di una ragione di connessione idonea, ai sensi dello stesso art. 40, comma 3, c.p.c. ad attrarre nel rito ordinario domande soggette l'una al rito ordinario e l'altra ad un rito speciale, diverso da quello proprio delle controversie di lavoro. Ne consegue che, ove ciò non avvenga, non si verifica, nel caso di impugnativa di decisione relativa anche alla domanda di divisione della comunione, oltre che a quella di separazione di coniugi, un effetto espansivo del rito speciale prescritto per l'appello, con riguardo alla seconda, dall'

art. 4, comma 12, l. n. 898/1970

, come modificato dall'

art. 8 l. n. 74/1987

, poiché, in siffatta ipotesi, le regole del processo contenzioso ordinario prevalgono su quelle camerali, per le più ampie garanzie di contraddittorio e di difesa consentite dal dibattito in udienza. Pertanto, la impugnazione di una sentenza di primo grado che abbia congiuntamente deciso sulle due domande, è correttamente proposta nelle forme ordinarie, e cioè con atto di citazione, mentre, quanto alla tempestività della stessa, deve aversi riguardo non già alla data di deposito della citazione notificata, ma a quella di notificazione dell'atto di citazione in appello (

Cass. civ., sez.

I

,

19 gennaio 2005,

n. 1084

).

Azione di separazione dei coniugi e accertamento della casa coniugale

Riferimenti

FRANCHI, Della competenza per connessione, in Commentario del cod. proc. civ., diretto da E. Allorio, I, Torino, 1973, 304 ss.;

GIALLONGO, Note in tema di sospensione, pregiudizialità e connessione nel processo civile, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1985, 616 ss.;

RECCHIONI, Pregiudizialità processuale e dipendenza sostanziale nella cognizione civile, Padova, 1999;

SEGRE', Sul concetto di domanda accessoria, in Riv. dir. proc., 1977, 717.

Sommario