Infortunio sul lavoro e visita di controllo: il datore di lavoro può rivolgersi all'INPS?

Paolo Laguzzi
21 Novembre 2017

Le visite di controllo richieste dal datore di lavoro ai sensi dell'art. 5 L. n. 300/1970 nei confronti dei lavoratori privati assenti dal lavoro per infortunio sul lavoro o malattia professionale devono essere eseguite secondo competenze e procedure previste per le assenze per malattia.
Massima

Le visite di controllo richieste dal datore di lavoro ai sensi dell'art. 5 L. n. 300/1970 nei confronti dei lavoratori privati assenti dal lavoro per infortunio sul lavoro o malattia professionale devono essere eseguite secondo competenze e procedure previste per le assenze per malattia.

Il caso

Il datore di lavoro richiede all'INPS la visita domiciliare di controllo nei confronti del dipendente assente dal servizio per infortunio sul lavoro.

Il lavoratore rifiuta di sottoporsi alla visita del medico INPS recatosi al suo domicilio.

Il datore di lavoro commina per tale fatto al dipendente la sanzione disciplinare della sospensione dal lavoro per tre giorni.

Lo stesso datore, alla richiesta del dipendente di costituzione del collegio di conciliazione ed arbitrato ai sensi dell'art. 7 L. n. 300/1970, agisce avanti il giudice del lavoro per sentire accertare la legittimità della sanzione disciplinare.

Il Tribunale e poi la Corte di Appello rigettano la domanda del datore di lavoro.

La Corte di Appello, in particolare, osserva che trattandosi di infortunio sul lavoro e non di malattia comune il datore di lavoro non aveva diritto di far sottoporre il dipendente a visita domiciliare tramite INPS essendo invece nella specie “competente”, in base all'art. 5 L. n. 300/1970, il servizio ispettivo dell'INAIL.

Il rifiuto opposto dal lavoratore alla visita, pertanto, secondo la Corte di Appello non ha rilievo disciplinare.

Avverso tale pronuncia il datore di lavoro ricorre per cassazione.

La questione

Secondo l'art. 5 L. n. 300/1970, il datore di lavoro può controllare lo stato di infermità allegato dal lavoratore “soltanto attraverso i servizi ispettivi degli istituti previdenziali competenti, vale a dire ricorrendo a strutture pubbliche idonee ad offrire garanzie di obiettività.

Per l'assenza causata da infortunio sul lavoro, a differenza dell'ipotesi della malattia comune, si pone questione circa la concreta individuazione di tale istituto “competente” nonché sulle procedure da seguire per l'attuazione del controllo datoriale.

A monte la questione della sussistenza o meno, sempre relativamente al caso di infortunio sul lavoro, dell'obbligo per il lavoratore di reperibilità al domicilio secondo fasce orarie prestabilite, obbligo strumentale volto a consentire concretamente l'accertamento dello stato di salute.

La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, risponde affermando a chiare lettere che tanto le competenze quanto le procedure sono - pure in siffatta evenienza (infortunio sul lavoro) - le medesime della malattia INPS.

Pienamente legittimo risulterebbe pertanto l'accertamento domiciliare dello stato di malattia effettuato dall'INPS tramite il proprio servizio ispettivo su richiesta del datore di lavoro.

In particolare, richiamando la precedente propria pronuncia n. 15773/2002, la Sezione Lavoro sostiene che “la norma dell'art. 5 L. n. 300/1970 riguarda anche l'ipotesi in cui l'infermità dipenda da infortunio sul lavoro”, non avendo invece fondamento l'attribuzione all'INAIL della competenza ad eseguire le visite di controllo a domicilio richieste dal datore di lavoro.

Ciò in quanto, sempre a dire della Corte, “l'art. 5 del D.L. n. 463/1983, al comma 12, ha ribadito che le visite di controllo del lavoratore assente per malattia possono venire effettuate tramite liste speciali di medici istituite presso le sedi dell'INPS” .

Le soluzioni giuridiche

La questione, anzi le correlate questioni in esame ci paiono più complesse di quanto la sentenza in commento dia conto.

Va infatti considerato che al controllo domiciliare dello stato di malattia è funzionalmente legato l'obbligo del lavoratore di essere reperibile, obbligo o onere la cui sussistenza soltanto può invero rendere effettivo il controllo.

La rilevanza privatistica, oltreché previdenziale, dell'obbligo di reperibilità in capo al lavoratore discende, quantomeno secondo la prevalente opinione, dal citato art. 5 L. n. 300/1970 oltreché dai principi generali di correttezza e buona fede nell'esecuzione dei contratto (Cass. sez. lav., 4 aprile 1980, n. 2225; Cass. sez. lav., 9 novembre 2002, n. 15766; Cass. sez. lav., 23 gennaio 2013, n. 1585; Corte cost. n. 78/1988).

Per la malattia comune, tale obbligo è disciplinato dall'art. 5, commi 12 e 14, D. L. n. 463/1983 che effettivamente attribuisce all'INPS la competenza all'effettuazione delle visite mediche di controllo dei lavoratori e sanziona il lavoratore assente ingiustificato con la perdita del trattamento economico relativo al periodo di malattia per un massimo di dieci giorni. La disposizione di legge ha, poi, trovato concreta e dettagliata attuazione attraverso il D.M. 15 luglio 1986, il D.M. 18 aprile 1996 e, da ultimo, il D.M. 11 gennaio 2016.

Anche i contratti collettivi, in buona parte, riprendono la surriferita disciplina dell'istituto.

La normativa prevede fasce orarie di reperibilità del lavoratore, entro le quali devono essere effettuate le visite mediche di controllo di competenza INPS: dalle ore 10 alle 12 e dalle 17 alle 19 di tutti i giorni, compresi i domenicali o festivi (art. 4, D.M. 15 luglio 1986); per i dipendenti pubblici le ore di reperibilità attualmente sono sette (9-13 e 15-18). È atteso il D.M. (espressamente previsto dall'art. 55-septies, comma 5-bis, del D.Lgs. n. 165/2001) che provveda ad armonizzare le fasce orarie di reperibilità tra lavoro pubblico e lavoro privato.

Inoltre, va sottolineato che dal 1° settembre 2017, ai sensi degli artt. 18 e 22 del D.Lgs. n. 75 del 27 maggio 2017 è entrato in funzione il “Polo unico per le visite fiscali”, con l'attribuzione all'INPS (e non più alle ASL) della competenza esclusiva ad effettuare visite mediche di controllo (VMC) sia su richiesta delle Pubbliche amministrazioni, in qualità di datori di lavoro, sia d'ufficio.

Per quanto qui più rileva, ricordiamo che l'inosservanza dell'obbligo di reperibilità, vale a dire l'assenza ingiustificata alla visita “fiscale” costituendo violazione dell'obbligo di diligenza del lavoratore ha altresì indubbi riflessi disciplinari sul rapporto di lavoro.

Nel caso valutato nella pronuncia in commento, ad esempio, il lavoratore è stato sanzionato con il provvedimento disciplinare della sospensione per tre giorni. In altri casi, soprattutto se le violazioni sono ripetute nel tempo, può giungersi al licenziamento per giusta causa (Cass. sez. lav., 20 marzo 2007, n. 6618; Cass. sez. lav., 27 aprile 1996, n. 3915).

Ne discende che, a ben vedere, il medico fiscale nei fatti controlla sia lo stato di salute del lavoratore sia l'osservanza dell'obbligo di reperibilità.

Orbene, venendo al tema centrale della pronuncia in esame: può dirsi che l'obbligo di reperibilità del lavoratore e le relative procedure di accertamento fissati per la malattia comune si estendono, sic et simpliciter, all'infortunio sul lavoro?

Sorprende che i giuristi debbano tutt'oggi soffermarsi sull'interpretazione di una fattispecie da sempre presente nella quotidianità di aziende e lavoratori. Fatto è che, oggettivamente, giurisprudenza, dottrina e prassi non sono sul punto per nulla univoche.

Gli stessi giudici di legittimità nel tempo hanno fornito antitetiche risposte.

Secondo Cass. sez. lav., 30 gennaio 2002, n. 1247 le norme relative alle fasce orarie di reperibilità che il lavoratore deve osservare ai fini del controllo del suo stato di malattia (di cui al cit. art. 5, comma 14, D.L. n. 463 del 1983) riguardano soltanto gli accertamenti relativi alle malattie ordinarie (espressamente previsti dalla citata disposizione) e non anche quelli sullo stato di inabilità conseguente ad infortuni sul lavoro, non potendo la disposizione stessa che interpretarsi restrittivamente, data la sua incidenza sul diritto del lavoratore quale cittadino alla libertà di movimento sul territorio dello Stato, previsto dall'art. 16 Cost.

Prima ancora, la sentenza 2 giugno 1998, n. 5414 della Corte stessa aveva addirittura affermato la nullità della clausola collettiva che prevedeva l'obbligo di reperibilità per l'ipotesi di infortunio sul lavoro e malattia professionale.

All'opposto, il ruolo del C.C.N.L. nello stabilire tale obbligo di reperibilità è stato pienamente legittimato dalla pronuncia Cass. sez. lav., 9 novembre 2002, n. 15773.

In particolare, detta sentenza afferma che l'obbligo in questione, pur non direttamente disciplinato dalle fasce orarie previste dalla normativa per l'accertamento delle infermità determinate da malattia, può essere legittimamente regolato dal contratto collettivo, non essendo precluso dalla riserva di legge, costituzionalmente garantita, relativa all'accertamento; atteso che la tutela attiene alla natura invasiva dell'accertamento nei confronti del singolo, che è estranea alla reperibilità, la quale riguarda il comportamento passivo del lavoratore volto a rendere possibile l'esercizio del diritto del datore di lavoro al controllo dell'infermità, che discende dall'art. 5, comma 2, L. 20 maggio 1970, n. 300.

In tale prospettiva, la previsione della fasce orarie costituirebbe pertanto una prescrizione a favore del lavoratore al quale, in assenza di un termine, potrebbe essere altrimenti richiesto l'immediato adempimento dell'obbligo di reperibilità, che corrisponde al diritto di controllo del datore di lavoro e deriva anche dal più generale obbligo di correttezza e buona fede nell'attuazione del rapporto obbligatorio.

Questa pronuncia, come detto, viene richiamata quale unico precedente di legittimità nella sentenza qui commentata, la cui massima è peraltro ancor più perentoria: le visite di controllo per infortunio sul lavoro o malattia professionale devono essere eseguite secondo le stesse competenze e procedure previste per le assenze per malattia.

La prassi contraddice il dictum della Corte di Cassazione.

In particolare, l'INPS con il recente Messaggio n. 3265 del 9 agosto 2017 ha affermato che, nonostante l'attribuzione esclusiva all'Istituto della competenza in materia di visite mediche di controllo sullo stato di salute dei lavoratori (di cui al citato D.Lgs. n. 75/2017), esso “non ritiene di poter procedere con gli accertamenti domiciliari medicolegali richiesti dai datori di lavoro nei casi di infortuni sul lavoro e malattie professionali”

In quanto, sostiene l'Istituto medesimo, “alla luce del disposto di cui all'art. 12 della L. n. 67/1988 in tema di competenze esclusive dell'INAIL, [l'INPS] non può interferire con il procedimento di valutazione medico-giuridica di tali tipologie di eventi”.

In altre parole, secondo l'INPS, tali funzioni rimangono di esclusiva competenza dell'INAIL.

Ed, in effetti, il richiamato art. 12 L. n. 67/1988 dispone che (solo) quest'ultimo Istituto “provvede agli accertamenti, alle certificazioni e ad ogni altra prestazione medico-legale sui lavoratori infortunati e tecnopatici”.

A complicare ulteriormente la situazione si aggiunge il fatto che - quantomeno per i lavoratori pubblici - l'INAIL, a differenza dell'INPS, non ha la facoltà di effettuare visite fiscali.

Nel pubblico impiego, infatti, l'infortunio sul lavoro è una delle cause di malattie per le quali non sussiste l'obbligo di reperibilità, come ha previsto il D.P.C.M. n. 206 del 18 dicembre 2009, il quale all'art. 2 esonera dall'obbligo di reperibilità per le assenze ricondotte a situazioni delle quali sia certa la natura e l'origine, tra cui rientrano appunto gli infortuni sul lavoro.

Osservazioni

Considerando l'intricato quadro normativo ed i contrasti emersi nell'ermeneutica, l'unico punto fermo sul tema pare essere la riconosciuta facoltà, ex art. 5 L. n. 300/1970, del datore di lavoro di richiedere all'INPS, anche in occasione di infortunio sul lavoro o malattia professionale e per tutto il periodo di prognosi, la verifica domiciliare dello stato di salute del lavoratore, così come affermato nella commentata sentenza n.25650/2017 della Corte di Cassazione.

Resta da verificare nei fatti come le varie sedi INPS del territorio risponderanno alle richieste datoriali: disponendo o, invece, rifiutando le visite domiciliari in attuazione delle istruzioni amministrative ed operative contenute nel suddetto Messaggio n. 3265/2017.

Su tale ultimo punto, il Messaggio espressamente prevede: “Nel caso in cui la sussistenza di un'istruttoria per il riconoscimento di infortunio sul lavoro/malattia professionale dovesse emergere in sede di accesso del medico di controllo al domicilio del lavoratore, il medico non dovrà procedere alla visita di controllo, ma redigere verbale ove venga evidenziata tale circostanza”. Purtuttavia, l'Istituto stesso fa salva l'ipotesi che sulla questione intervengano diverse interpretazioni ed indicazioni da parte dei “Ministeri competenti”.

In alternativa, non resterà al datore di lavoro – ma solo a quello privato - altra soluzione che richiedere all'INAIL (invece che all'INPS) la visita fiscale domiciliare.

In tal caso, però, il controllo stesso come gli eventuali provvedimenti disciplinari fondati su di esso potrebbero, a seguito di impugnazione del lavoratore, essere dal giudice dichiarati illegittimi e tamquam non essent, in conformità all'indirizzo giurisprudenziale espresso con la sentenza qui commentata.

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