Esecuzione cd. “esattoriale” e cumulo dei mezzi di espropriazione ex art. 483 c.p.c.
06 Giugno 2019
Massima
In materia di esecuzione forzata tributaria, la disciplina sul cumulo dei mezzi di espropriazione di cui all'art. 483 c.p.c. opera, in virtù della clausola generale di buona fede e dei principi in tema di abuso del processo, anche nella fase anteriore all'inizio dell'esecuzione, nella quale il contribuente può pertanto far valere, impugnando la cartella di pagamento (o gli altri atti prodromici alla riscossione coattiva), le condotte abusive dell'agente di riscossione, che manifesti l'intenzione di avviare ulteriori processi esecutivi, pur avendo già impiegato fruttuosamente gli strumenti processuali volti alla soddisfazione coattiva del credito. Il giudice di merito, ai fini della decisione è tenuto a vagliare scrupolosamente le ragioni addotte a giustificazione della reiterata iniziativa esecutiva minacciata. Il caso
Tizia (socia accomandataria della società Alfa) impugnava la cartella di pagamento emessa in suo danno da Equitalia Centro s.p.a. sostenendo la duplicazione del titolo esecutivo, in ragione dell'identità del credito derivante da cartella di pagamento già azionata nei confronti dell'altro socio accomandatario e deducendo, a sostegno della tesi difensiva, la natura satisfattiva e sospensiva dell'ordinanza di assegnazione emessa nella procedura di espropriazione presso terzi intrapresa dall'agente per la riscossione nei confronti di quest'ultimo. La C.T.R. della Toscana accoglieva l'appello formulato da Tizia avverso la sentenza di primo grado con cui la C.T.P. aveva, invece, respinto il ricorso, argomentando nel senso che la natura satisfattiva e sospensiva dell'ordinanza di assegnazione impediva al creditore di azionare nuovamente il proprio credito fin tanto che il terzo avesse provveduto ai versamenti periodici in favore dell'agente della riscossione. La questione
La Suprema Corte chiarisce la natura del rimedio di cui all'art. 483 c.p.c. quale strumento rientrante totalmente nell'alveo del processo esecutivo. La corretta applicazione dell'art. 483 c.p.c. postula, infatti, l'inizio dell'esecuzione forzata tributaria per cui – essendo la cartella un atto solo prodromico all'inizio dell'esecuzione (equiparabile al precetto) – non è possibile invocarne l'applicazione quando l'esecuzione sia solo minacciata. Tuttavia, in via preventiva (ovvero prima dell'inizio dell'esecuzione forzata) innanzi al giudice tributario è possibile fare valere la superfluità per la tutela delle ragioni creditorie dell'iniziativa dell'agente della riscossione (sottesa all'istanza ex art. 483 c.p.c.) o la sopravvenuta carenza del diritto di agire in executivis in conseguenza della già avvenuta soddisfazione del credito erariale, e ciò facendo applicazione dei principi elaborati dalla giurisprudenza in materia di buona fede e di abuso del processo. Le soluzioni giuridiche
L'articolo 483 c.p.c., inserito fra le norme concernenti l'espropriazione forzata in generale, dispone che «Il creditore può valersi cumulativamente dei diversi mezzi di espropriazione forzata previsti dalla legge, ma, su opposizione del debitore, il giudice dell'esecuzione, con ordinanza non impugnabile, può limitare l'espropriazione al mezzo che il creditore sceglie o, in mancanza, a quello che il giudice stesso determina. Se è iniziata anche l'esecuzione immobiliare, l'ordinanza è pronunciata dal giudice di quest'ultima». L'espressione “mezzi di espropriazione”, utilizzata dal legislatore, si riferisce alle varie forme attraverso le quali può realizzarsi l'espropriazione forzata (mobiliare presso il debitore, immobiliare, presso terzi); la norma, nel primo periodo, chiarisce che è consentito al creditore porre in essere contro lo stesso debitore più processi esecutivi di tipo diverso (cd. “cumulo eterogeneo”); se si tratta, invece, di procedure dello stesso tipo, si ha il cosiddetto “cumulo omogeneo” in relazione al quale è comunque applicabile (secondo la prevalente dottrina e giurisprudenza) il disposto dell'art. 483 c.p.c.; la giurisprudenza più risalente riteneva, al contrario, che in caso di cumulo omogeneo, dovesse trovare applicazione la diversa disciplina di cui all'art.496 c.p.c. (cfr. Cass. civ.n. 2604/1995). La norma in commento – affermato il principio generale - disciplina poi uno strumento specifico di tutela del debitore finalizzato ad evitare eccessi nell'uso del procedimento di esecuzione forzata da parte del creditore. La Suprema Corte, nella sentenza in commento, chiarisce che tale mezzo di tutela, pur non potendosi inquadrare fra le opposizioni esecutive ex artt. 615 o 617 c.p.c. (Cass. civ., sez. III, sent., n. 18533/2007) «è totalmente nell'alveo del processo esecutivo: l'istanza per la limitazione dei mezzi di espropriazione è proposta dal debitore con ricorso indirizzato ad uno dei giudici delle diverse esecuzioni promosse (o al giudice dell'espropriazione immobiliare nell'ipotesi prevista dal comma 2); nel ricorso devono essere indicate (e documentate) le circostanze che inducono l'esecutato a ritenere eccessivo il cumulo per la sproporzione tra il credito vantato e il complesso dei beni concretamente aggrediti; sulla richiesta il giudice, sentite le parti, provvede con ordinanza (atto finale del subprocedimento), impugnabile con l'opposizione agli atti esecutivi». Proprio per tale ragione, i giudici di legittimità sostengono che il richiamo alla detta norma, nel caso deciso dalla C.T.R., sia errato in quanto l'applicazione dell'art. 483 c.p.c. presuppone, appunto, l'inizio dell'esecuzione forzata; non può, pertanto, invocarsi l'art. 483 c.p.c. in sede di opposizione alla cartella esattoriale, essendo pacificamente escluso dalla giurisprudenza, che la stessa costituisca un atto esecutivo. Com'è noto, infatti, «la notificazione della detta cartella, nella quale siano riportati gli elementi minimi per consentire all'obbligato di individuare la pretesa impositiva e di difendersi nel merito, costituisce notificazione di un omologo del precetto riferito ad un titolo esecutivo rappresentato, a sua volta, dal sotteso ruolo» (cfr. Cass. civ.,sez. III,sent., n. 2553/2019; ed anche, Cass. civ.,sez. V,ord., n. 1996/2019, Cass. civ.,sez. V, ord., n. 6526/2018; Cass. civ.,sez. III,sent., n. 3021/2018), ragione per cui la cartella è da considerarsi esclusivamente quale atto prodromico di un'esecuzione ancora solo minacciata. Tuttavia, la Suprema Corte, pur escludendo l'applicabilità – per così dire – “diretta” dell'art. 483 c.p.c. prima dell'inizio dell'esecuzione forzata, ammette nella sentenza in commento la concreta possibilità per il contribuente di eccepire «la superfluità per la tutela delle ragioni creditorie dell'iniziativa dell'agente della riscossione (sottesa all'istanza ex art. 483 c.p.c.) o, persino, la sopravvenuta carenza del diritto di agire in executivis in conseguenza della già avvenuta soddisfazione del credito erariale (fatto estintivo integrante, nel processo esecutivo ordinario, un'opposizione ex art. 615 c.p.c.)»innanzi al Giudice tributario – investito con ricorso avverso la cartella di pagamento e, quindi, prima dell'inizio dell'espropriazione e ciò in forza dei principi generali (applicabili pacificamente all'esecuzione forzata) in tema di buona fede e di abuso de processo. In tal senso i giudici di legittimità richiamano quanto già affermato in precedenti decisioni (cfr. Cass.civ., sez. III, sent., n. 7078/2015) con riferimento alla «necessità di coordinare il principio della cumulabilità dei mezzi di esecuzione con il divieto di abuso degli strumenti processuali – ricavabile dalla previsione dell'art. 111, comma 1, Cost., nonché dall'operatività degli obblighi di correttezza e buona fede anche nell'eventuale fase patologica di una relazione contrattuale» e ne fanno discendere la conseguenza per cui «anche prima dell'inizio dell'espropriazione forzata il debitore può far valere eventuali condotte abusive del creditore che manifesti l'intenzione di avviare ulteriori processi esecutivi, pur avendo già impiegato fruttuosamente gli strumenti processuali volti alla soddisfazione del credito». Osserva, dunque, la Corte che, nel caso di emissione di ordinanza di assegnazione (come nella fattispecie decisa) se è vero che questa non preclude di per sé la possibilità di ottenerne delle altre sempre in relazione allo stesso titolo e fino alla soddisfazione effettiva del credito, ciò non esclude, tuttavia, che «intraprendere immotivatamente una nuova esecuzione, pur essendo beneficiari di una ordinanza di assegnazione pienamente satisfattiva nel suo importo del credito vantato, ed in difetto anche della semplice allegazione di una difficoltà ad incassare quanto portato nell'ordinanza stessa»costituisca abuso dei mezzi di espropriazione, censurabile innanzi al Giudice tributario in sede di impugnazione della cartella o di avviso di mora. Osservazioni
La Suprema Corte, nella sentenza in commento, ha avuto occasione di affermare che le condotte abusive dell'agente di riscossione, che manifesti l'intenzione di avviare ulteriori processi esecutivi, pur avendo già impiegato fruttuosamente gli strumenti processuali volti alla soddisfazione coattiva del credito, sono censurabili dal contribuente in applicazione dei principi generali in materia di buona fede ed abuso del processo, sottesi alla disciplina dell'art. 483 c.p.c. In concreto, tuttavia, i giudici di legittimità rimandano al giudice di merito una valutazione scrupolosa delle ragioni addotte a giustificazione della reiterata iniziativa esecutiva minacciata. Nel caso di specie, infatti, la circostanza che fosse già stata emessa ordinanza di assegnazione nei confronti di altro coobbligato (a fronte di un debito di Euro 94.036,52, il credito assegnato ex art. 553 c.p.c. ammontava ad Euro 5,37 mensili) appare non assumere rilevanza dirimente e ciò proprio sulla scorta della natura stessa dell'ordinanza ex art. 553 c.p.c., che in quanto disposta "salvo esazione" non opera l'immediata estinzione del credito per cui si è proceduto in via esecutiva «essendo quest'ultima assoggettata alla condizione sospensiva del pagamento che il terzo assegnato esegua al creditore assegnatario, evento con il quale si realizza il duplice effetto estintivo dell'obbligazione del debitor debitoris nei confronti del soggetto esecutato e del debito di quest'ultimo verso il creditore assegnatario».In conclusione, contrariamente a quanto affermato dalla C.T.R., secondo la Suprema Corte nessuna efficacia satisfattiva e nessun effetto sospensivo è possibile riconoscere all'ordinanza di assegnazione, se non in caso di «immotivato e abusivo ricorso agli strumenti processuali con finalità vessatorie del debitore e senza alcuna ragione a giustificazione della tutela del credito», la cui valutazione – come detto – deve essere effettuata in modo rigoroso dal Giudice del merito al fine di stabilire se la (successiva) notifica della cartella esattoriale, preludio di una nuova esecuzione, possa considerarsi superflua per la tutela delle ragioni creditorie. |